Piccola e media impresa, produttività e automazione cognitiva
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Piccola e media impresa, produttività e automazione cognitiva
Si discute l'importanza della produttività, le sfide tecnologiche affrontate dalle PMI, e le opportunità offerte dall'Industria 5.0. Vengono presentate diverse prospettive, da quella imprenditoriale a quella accademica e legale, evidenziando sia i vantaggi economici dell'innovazione (come la manutenzione predittiva) sia le necessità di formazione, collaborazione e adeguamento normativo (AI Act). Infine, si sottolinea l'importanza di una cultura tecnologica diffusa e di una strategia europea per l'intelligenza artificiale.
Il nostro canale è stato ricordato da un'altra persona che ha fatto un'occasione di un'occasione di un'altra persona che ha fatto un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un'occasione di un o 5 A cura di bitcoin, tab평i, e uahu cancellation, eh P übrig krant che認識. 5 min per solo Sponsori di Buongiorno a tutti e benvenuti. Devo dire grande onore perché avete sfidato quello che è l'evento della giornata, perché in centro a Trento c'è il Primo Ministro Giorgia Meloni e invece voi avete preferito questo tema, che devo dire forse è meno appealing di Giorgia Meloni, però è senz'altro il cruciale per il futuro dell'economia italiana. E da questo punto di vista credo che il titolo già di per sé indichi quelle che sono un po' le contraddizioni, che ovviamente non risolveremo qui in quest'ora, però portiamo qualche tassello di consapevolezza, di conoscenza, perché la piccola media impresa, sappiamo tutti che è l'ossatura portante dell'economia italiana, è quella che ha qualche difficoltà, senz'altro di risorse e di competenze per affrontare una sfida tecnologica, ma sappiamo anche che è estremamente flessibile, ha una grande capacità di reazione ed è quella con cui ha sempre contato per riuscire a sopravvivere e costituire un'eccellenza a livello globale, con tassi di esportazione che sono impressionanti che tutto il mondo ci invidia, davvero la sfida dell'intelligenza artificiale è una sfida davvero rilevante e determinante per il futuro. Su questa sfida si gioca probabilmente non solo la produttività, l'efficienza, ma l'arena competitiva del futuro. Chi rimane indietro su questa tecnologia, di cui sentiamo parlare forse in maniera eccessiva in questo periodo, da un anno e mezzo a questa parte sembra che non esista altro che l'intelligenza artificiale, però effettivamente è una tecnologia che cambierà il futuro e cambierà l'arena competitiva. Non risolveremo tutti i problemi della piccola media impresa oggi, però portiamo qualche tassello di consapevolezza e di conoscenza. Lo facciamo con un panel di assoluto livello partendo dalla mia destra da Antonio Calabro, presidente di Musee Impresa e Fondazione Assolombarda, Giulia Baccarina, CEO e founder di MIPU Predictive Hub, Marco Taish, docente del Politecnico di Milano e presidente di MADE, Ferruccio Resta, presidente della Fondazione Bruno Kessler, FBK, Giusella Finocchiaro, legale esperta di diritto delle tecnologie e docente dell'Università di Bologna. Benvenuti, grazie per essere qui. Io volevo iniziare da Antonio Calabro, più che altro perché mi desse una mano, perché lui ha una solida esperienza giornalistica e quindi può aiutarmi a introdurre un po' il tema dal punto di vista giornalistico. Come è posizionata oggi la piccola media impresa rispetto a questa rivoluzione tecnologica? Visto che valla pena fare un quadro, a lungo la piccola e media impresa è stata considerata contemporaneamente un asset e una palla al piede del sistema italiano. C'è stata una lunga stagione in cui la teoria era piccolo e bello, con grande sociologia al rinforzo, perché piccolo era dinamico, perché piccolo era intraprendente, perché piccolo era spregiudicato, perché piccolo era flessibile. E gli anni 80 sono stati occupati da questo elemento che era contemporaneamente pratico e, appunto, ideologico, era una teoria della piccolezza. Poi abbiamo scoperto con le grandi crisi degli anni 90 che piccolo era inefficiente, piccolo era poco internazionale, piccolo era incapace di investire. Oggi come siamo messi? Probabilmente dobbiamo rileggere la mappa delle imprese italiane, perché piccole e media non si possono leggere se non dentro reti di impresa e filiere produttive. Questo spiega perché le piccole e medie imprese continuano a esistere, ma esistono con capacità di trasformazione, con capacità di presenza sul mercato maggiore di prima. Quelle piccole hanno un limite. Sono l'imprenditore e l'imprenditice che l'ha fondata e un gruppo ristretto di collaboratori. Non hanno gerarchie e competenze sofisticate all'interno. Se leggo i dati sull'exporto in cui facevo il riferimento, 670 miliardi di exporti italiani non possono essere fatti soltanto dalle grandi imprese. Sono fatti moltissimo da piccole e medie perché sono parti di filiere produttive in molti settori. Penso alla meccatronica, alla metallo meccanica, all'eurospazio, alla cantieristica, alla gomme, alla plastica, alla farmaceutica, anche alla chimica, all'alimentare, all'abbigliamento, all'arredamento, cioè tutto il sistema dei Made in Italy, stanno là dentro con un sistema di relazioni che consente di godere dei vantaggi del rapporto. Non dei vantaggi di scala, come si diceva una volta nell'analisi economica, ma delle relazioni. Partecipano del successo delle capifila, delle capifiliere. Vanno all'estero non avendo la forza per andare all'estero perché ci vanno al traino delle imprese grandi. Se dovessimo ridisegnare il sistema dovremmo soprattutto guardare non le entità, ma i rapporti. Non i luoghi, ma i flussi di movimenti, di idee, di persone, di capitali, di competenze, tra luoghi diverse verso i ristinatari finali. Ecco questa credo che sia la mappa. Questa mappa ha bisogno di una cosa fondamentale. Una grande leva fiscale per agevolare l'innovazione, così mettiamo subito i piedi nel piatto dei provvedimenti politica-economica. Il Paese è cresciuto moltissimo grazie a quell'ottima intuizione dell'industria 4.0. Vantaggio fiscale per chi investe. È stato usato moltissimo. Adesso ci sono i provvedimenti dell'industria 5.0 che vuol dire dare un elemento di supporto a chi lavora sulle tecnologie, intelligenza artificiale compresa. Non c'è in questo momento né un finanziamento adeguato né una spinta politica perché l'industria 5.0 funzioni, ma quella è la strada. Le nostre imprese sono bravissime a crescere, sono bravissime a fare le cose, sono bravissime a inventare soluzioni. Noi italiani, il nostro vantaggio competitivo reale sui mercati mondiali, siamo capaci di fare su misura quello che serve per rispondere alla domanda. Più complessa la domanda, più noi siamo innovativi. Il vantaggio fiscale per chi riesce a fare questo sarebbe fondamentale. Spero proprio che alla prossima finanziaria i provvedimenti per rendere effettiva l'applicazione della 5.0 funzioni. Grazie Antonio. Io voglio passare dalla teoria alla pratica perché Giulia Baccarin è un ex startup, ormai non è più una startup, ma Mipu è una realtà. Volevo che tu ci aiutassi un pochettino a dare concretezza, come diceva Antonio, al tema intelligenza artificiale. Perché la tua startup è nata dalla manutenzione predittiva, che allora era una visione, oggi è una cosa di cui si parla in maniera più concreta. Allora ci spieghi cosa vuol dire una fabbrica predittiva? Sì, una fabbrica predittiva è una fabbrica dove per effetto dell'utilizzo dei dati che già vengono raccolti all'interno dei macchinari della fabbrica stessa, io so alimentare degli algoritmi, dei modelli che mi dicono che cosa avviene nel prossimo futuro in termini di produzione, energia, manutenzione, qualità e logistica. Evidentemente se so già prima che sarò in grado di produrre tot tonnellate di prodotto, oppure che non sarò in grado di farlo, ad esempio perché avrò una rottura di un macchinario, avrò un inceppamento durante il cambio formato, piuttosto che avrò dei problemi nella produzione di energia, il cogeneratore, eccessivo, scarsa producibilità del fotovoltaico, sono tutti fenomeni che vengono predetti appunto nella fabbrica predittiva, beh, quando so che cosa effettivamente avverrà riesco anche a organizzare al meglio le risorse umane, materiali e finanziarie nel presente, e dunque ad aumentare il margine operativo, a diminuire i rischi di sicurezza e a realizzare anche un ambiente più inclusivo, perché in qualche modo grazie alla predizione, soprattutto quando facciamo operazioni di manutenzione, riesco a svincolarmi o comunque diminuire la necessità di forza fisica, di movimentazione. Sono perfettamente d'accordo con quanto diceva Calabro, l'Industria 4.0 è stato un acceleratore senza precedenti, Mipo è nata nel 2012, quindi qualche anno senza, diciamo, agevolazioni da parte delle agevolazioni fiscali all'innovazione, e poi è arrivata l'Industria 4.0, ancora prima devo dire che ha aiutato molto il Decreto Legge 102 sulle diagnosi energetiche, quello che chiedeva le aziende energivore di mettere un'architettura di misura per raccogliere i segnali di consumo dell'energia. E questo perché, se ci pensiamo, l'energia fluisce all'interno delle nostre fabbriche, delle nostre città, un po' come il sangue all'interno del corpo umano. È qualcosa che, se riusciamo ad analizzare, un po' come per la nostra salute, appunto, facciamo le analisi, è possibile utilizzare l'energia quale vettore, quale segnale debole per intercettare fenomeni di tipo industriale. Ecco, anche questo, devo dire, è stato un acceleratore senza precedenti anche per le aziende più piccole che in effetti, soprattutto se unite all'interno di reti di impresa o di filiere, hanno dimostrato, almeno nel nostro caso, una grande volontà di innovazione. Del resto, le imprenditori, le imprenditrici sanno che chi innova va avanti e chi non innova rischia davvero di restare fermo. Il più grande competitor oggi probabilmente non è qualcun altro, il più grande ostacolo non è un altro competitor, è l'inattività a restare fermi. Chiarissimo questo aspetto dell'innovazione, che era un po' quello che dicevamo anche prima. Marco Taish è presidente di MADE, che è dell'industria 4.0, ha un Competence Center, per cui è un luogo di trasferimento e di dialogo tra la ricerca e l'università e l'impresa che poi deve adottare queste tecnologie. Quali sono le basi, l'approccio corretto? Quello che dicevo prima è che c'è un AIP esagerato sull'intelligenza artificiale, c'è il rischio che le aziende lo facciano senza sapere bene con quali obiettivi, con quale funzioni. Lo fanno perché bisogna farlo. E allora per evitare questo rischio, quale è l'approccio corretto dal tuo punto di vista, dal punto di vista di un Competence Center? Intanto credo che la prima considerazione che deve essere fatta è che l'intelligenza artificiale, quella che Giulia ha raccontato, non è quella che invece negli ultimi due anni in qualche modo sui giornali ha democratizzato il concetto di intelligenza artificiale. E' una delle due forme, è una delle due tipologie. Ha avuto il grandissimo vantaggio di portare alla conoscenza del normale cittadino l'esistenza di una tecnologia, ma è una delle due forme che assume quella tecnologia. E' quella generativa, è intelligenza artificiale generativa. Quella che Giulia invece ha così bene descritto è intelligenza artificiale, qualcuno la chiama tradizionale, qualcuno la chiama predittiva, ed è quella che in realtà serve di più per aumentare, vorrei porre l'attenzione su una parola che c'è nel titolo della nostra sessione, la produttività delle imprese, la produttività delle organizzazioni. Perché è quella che ti consente di analizzare grandi quantità di dati, di fare delle predizioni, di prendere delle decisioni in virtuale e quindi poi di avere una ricaduta. L'intelligenza artificiale generativa è sicuramente molto fascinante, ma se oggi guardiamo le reali applicazioni che vengono fatte nel mondo industriale, nel mondo delle imprese, siamo ancora molto ai call center, che per carità va benissimo, ci aiutano tantissimo, hanno tolto quella sorta di ripetitività noiosa che magari l'operatore del consento era in qualche modo costretto ad avere, perché alla fine non è che sia un lavoro particolarmente nobile, quindi può essere benissimo fatto da una macchina. Parliamo della prima, perché è quella che poi io credo crei la reale produttività delle nostre imprese, delle piccole e medie imprese. Che cosa bisogna fare? Bisogna intanto smittizzarla, perché come sempre succede quando ci sono gli hype, io ne ho vissuto qualcuno di hype da ricercatore, da ingegnero, io mi ricordo ancora quando io ero un giovane di bottega con la computer integrata, il manufacturing, si diceva le fabbriche, si parlava delle fabbriche buie, vedo che qualcuno che ha l'età per ricordare questo, perché si pensava che con la robotica, con la totale integrazione, le fabbriche non avrebbero più avuto le persone, se non c'erano le persone non aveva senso avere l'illuminazione, quindi tu devi tenere le fabbriche buie. Questo non è successo, dobbiamo capire qual era il reale vantaggio di questa tecnologia. Prima cosa, che è quella che noi poi al Competence Center facciamo, lo facciamo con degli esempi pratici. Da noi vengono le imprese chiedendo se quelle tecnologie che vengono raccontate sono utili per loro, come quelle tecnologie possono essere da loro utilizzate. Solo l'anno scorso, nel 2023, noi abbiamo fatto 170 progetti di coaching, di guida, di analisi, di supporto, a fianco delle piccole e medie imprese. Su Intelligenz Artificiale, l'altro devi spiegare come funziona. E alla fine è una cosa semplice. Ma il vero tema che oggi non viene capito è la quantità e la qualità dei dati. Per cui uno si aspetta di poterlo usare sempre comunque, ma in realtà, soprattutto nella piccola, dove o i volumi produttivi non sono particolarmente elevati, o la ripetitività delle produzioni non è così alta, tu non hai una base di dati sufficientemente alta per applicare in maniera corretta questa tecnologia. E quindi quello che noi facciamo è di dire, guarda che in realtà tu puoi fare predizioni, puoi risolvere i tuoi problemi anche con altre tecniche che, lasciatemi dire, per questa onda mediatica sono in qualche modo state oscurate. Io non vorrei che ci dimenticassimo che dietro l'industria 4.0, 5.0, che dir si voglia, in realtà c'è una quantità molto ampia di tecnologie digitali, c'è l'intelligenz artificiale, ma c'è l'internet e le cose che ci consente di raccogliere i dati. C'è il cloud che ci consente di memorizzare i dati. C'è tutto il tema dei big data e poi qui ci siamo dimenticati la parolina magica, perché big data analytics, perché big data da solo non vuol dire niente. Le AI, l'intelligenz artificiale, non di queste, ma ci sono molte altre tecniche per analizzare grandi moli di dati. C'è tutto il mondo della robotica, della robotica collaborativa, c'è il mondo della realtà aumentata, c'è il mondo della realtà virtuale. La vera comprensione, quello che facciamo noi nel Made in Competence Center, è di spiegare alle imprese che in realtà la soluzione dei loro problemi industriali deve avvenire usando tutte le diverse tecnologie necessarie. E non solo l'ultima, che in qualche modo è diventata più di moda. Mi aspetto che fra un anno, sono pronto a scommetterci un pranzo al prossimo festival, parleremo tutti blockchain e ci saranno tantissime sessioni sulla blockchain, perché magari a quel punto avremo trovato modi di utilizzarla. Quindi, come posso dire, dobbiamo spiegare molto bene e fare informazione, informazione e informazione diventa fondamentale, ed è quello che fanno i Competence Center. Bene, avete preso nota della promessa, ti va bene che non c'è molta gente... Sì, intanto... Quindi blockchain, anno prossimo blockchain. Mi aspetto che quella che è rimasta lì, rispetto alle altre, sia un po' nascosta, se vogliamo, nascosta dal fatto che, ripeto, quell'onda mediatica su chat GPT e su tutti quei sistemi di intelligenza artificiale generativa, ha spostato l'attenzione mediatica. Assolutamente. E quindi, in qualche modo, l'ha tolta da altre porte. Assolutamente, grazie, perché da ingegnere hai messo un po' d'ordine tra gli argomenti e passo anche a un altro ingegnere, perché appunto Feroccio Resta, presidente di FBK. Allora, FBK è abbastanza simile in qualche similitudine con il com'è il made 4.0, ha una natura più privata e forse più legata al territorio. E quindi allora, dal vostro punto di vista, l'approccio verso l'impresa, qual è? Innanzitutto, grazie a tutti. Grazie a tutti. Nommero uno. Scusa se si si. Stado con questo. Grazie. Io sono un ingegnere meccanico, quindi F uguale M per A. Tutto quello che in qualche maniera è lontano dall'intelligenza artificiale. Dopodiché, io dico sempre, ho iniziato a progettare sospensioni automobilistiche ferroviarie, mi trovo adesso a gestire auto-autonome e metropolitane a guida autonoma, quindi in qualche maniera hanno fatto fuori l'ingegnere meccanico, adesso faranno fuori anche pian pianino l'ingegnere informatico. Che cos'è FBK? Sono 800 persone, sono 800 ricercatrici e 800 ricercatori, perché cominciamo a riportare poi che tutto questo poi si fa con le persone, con il capitale umano, con l'innovazione. E sono 800 ragazze e ragazze ricercatrici e ricercatori che decidono che si può fare ricerca in Italia, si può fare ricerca a Trento, si può fare ricerca competitiva a livello internazionale, siamo considerati uno dei grandi centri a livello internazionale, facendo, nasce da un'intuzione, da l'intuzione di Bruno Kessler che decide che bisogna investire anche in ricerca scientifica e fa due cose. La prima dice che dobbiamo specializzarsi in microelettronica e machine learning, lo fa vent'anni fa. La seconda è che a fianco ai centri scientifici, quindi che fanno scienze, dobbiamo mettere scienze umanistiche, perché pian pianino la tecnologia si dovrà scontrare con le scienze sociali, le scienze comportamentali, perché saranno loro che poi deteranno lo sviluppo della società. FBK è quindi un centro di ricerca che ha come suo obiettivo quello però di guardare lontano, di essere un po' bifocali, nel senso che guardiamo lontano per cui capiamo e stiamo guardando che cosa succederà alle tecnologie che presidiamo tra vent'anni, ma poi dobbiamo rispondere alle esigenze del territorio. Su questo poi magari torniamo, facendo quello che si chiama trasferimento tecnologico o comunque impatto. Allora vengo a due considerazioni. La prima, piccola media impresa, Tonio ne ha già parlato, in realtà è molto diverso parlare di una piccola realtà di una decina di persone, di qualche centinaia di migliaia di euro, qualche milione, oppure una realtà da 200-300 milioni di fatturato. Certamente la possibilità che hanno di rimanere sul mercato è la velocità, l'innovazione, la flessibilità, la capacità di risolvere il problema specifico. Certamente hanno bisogno di andare in filiera e quindi è un peccato che non abbiamo perso la grande impresa a livello nazionale perché questo ci dava la possibilità di tirare tutto. Secondo me, oggi, ne parlo prima da Politecnico, OCDF e BK, ci interfacciamo bene con la media impresa perché riesci in effetti ad interagire e fare trasferimento sulla piccola, c'è un po' di difficoltà, perché ci vogliono un po' di investimenti. Mondo completamente a parte sono le start-up. Allora lì, guardo i più giovani, qui c'è veramente una prateria davanti, nel senso che l'esperienza di Giulia può essere davvero un momento importante per costruire le realtà, le imprese del domani. Guardate che al fine degli anni 90 c'è stata Internet, è partita Internet, che era un'altra grande tecnologia di rompente. L'Europa e l'Italia hanno cominciato a discutere se Internet faceva male, se Internet portava via i posti di lavoro, se Internet in qualche maniera ci portava via la privacy. Grande discussione, quindi io Internet non la userò mai, io figurati se la scrivo, oggi voglio vedere chi non ce l'ha e noi abbiamo perso un'opportunità, non perché non abbiamo fatto quella riflessione che andava fatta, ma perché a fianco a quella riflessione non abbiamo investito in maniera significativa e seria in quella tecnologia. Ecco, la stessa cosa succederà oggi con l'AI, sia generativa che non, e allora faccio un esempio, perché con gli esempi si capisce di più le cose, e io credo che qualunque azienda, quella di Giulia, quella di tutti voi e quelle delle vostre aziende future, un'azienda che cosa fa? Produce, produce servizi, produce prodotti, e un'azienda quindi deve fare un'analisi di produzione, deve avere predizioni, deve cercare di ottimizzare un processo, deve pianificare delle azioni. Noi abbiamo fatto come FBK, c'è stato fatto, abbiamo consegnato un lavoro per una realtà, un committente norvegese, che aveva bisogno di ottimizzare la raccolta dei mirtilli, quindi una cosa semplice da fare, prendeva delle persone, le mandava in un bosco, raccoglievano i mirtilli e tornavano indietro. Tempo, difficoltà, perdita delle persone, per poi rimanevano nel bosco, bisognavano andare a trovarle con gli elicotti, no, scherze, parte, era così, era quello il problema. Allora, sono stati presi dei droni che a sciame in autonomia andavano, quindi riconoscevano gli alberi del bosco e si rimappavano, nello stesso tempo facevano delle fotografie e quindi pianificazione di traiettorie, di nuove tecnologie. Seconda parte, la fotografia dovevamo riconoscere una differenza di colore dal manto e quindi riconoscere dove c'erano in qualche maniera le colonie di mirtilli più abbondanti, perché era inutile mandare una persona dove c'era un mirtillo, ma dove... Secondo, ottimizzare la produzione, cioè il percorso che queste persone, questi volontari andavano e naturalmente direttamente sul tablet gli arrivava il percorso, lo raccoglievano e tornavano a casa. Allora, guardate che se voi adesso decidete che non ci saranno più una serie di attività future, il paralegale, il radiologo e via dicendo, e capite qual è il nuovo processo da fare, l'intelligenza artificiale è uno strumento per fare impresa oggi. Può essere in qualunque cosa, ogni volta che c'è un'immagine, ogni volta che c'è un timesheet, quindi un questionario, questo può essere automatizzato e fatto a impresa. E questo vorrà dire che le nostre imprese che riusciranno a fare proprio a quella tecnologia avranno un valore competitivo. Quelle imprese che invece diranno, no, io internet non la volevo e non voglio neanche l'AI e tutte le tecnologie che l'AI porta, perché vuol dire telecamere, vuol dire droni, vuol dire robot e via dicendo, quelle lì scompariranno. Quindi il problema non sarà perdita di lavoro, ma perdita delle imprese che non coglieranno questa trasformazione digitale. Assolutamente mi viene da chiedere se poi i mirtilli li avete applicati anche in Quintentino. No, perché in Quintentino ci sarà una produzione di mirtilli molto serie, quindi siamo tranquilli. No, ecco però la sottolineatura da una parte delle opportunità che si aprono per i giovani, credo che sia importante, stamattina c'era una sessione dove erano start-upper di IG news, che è una delle realtà che sta emergendo a livello italiano nell'intelligenza artificiale. L'altro aspetto della perdita di posti di lavoro, perché comunque la tecnologia è sempre messa in contrapposizione, devo dire che io ho intercettato diverse storie di piccole e medie imprese che sono quelle più visionarie, hanno capito che l'aumento di efficienza non passa tra l'eliminazione di posti di lavoro, ma di spostamento da lavori a basso valore aggiunto a lavori ad alto valore aggiunto. E soprattutto, che non hanno nessuna intenzione, perché hanno già poche risorse, eliminare delle risorse al loro interno vuol dire tagliarsi le gambe, invece aumentare la qualità del loro lavoro diventa un valore aggiunto per tutta l'impresa. Se posso fare una battuta, il radiologo non ci sarà più, è vero, punto, finito. Adesso possiamo anche discutere e costruire delle protezioni, ma la radiografia qualcuno la dovrà leggere, certamente, e quindi ci saranno informatici, gestori dell'informazione, datacenter, datacenter, via dicendo, che prenderanno quelle immagini, le elaboreranno e le tradurranno in un documento. Chi prima capisce questo fa l'azienda, chi invece pensa, povera Zia Maria, che fa la radiologa e va be', quello è andato. No, no, certo. Assolutamente. Giusella Finocchiaro, termine questo primo giro, non è ingegnera, è legale, e l'aspetto legale è decisamente rilevante. Sappiamo che l'Europa ha avuto un approccio rispetto a queste nuove tecnologie, ma non soltanto a queste, ha comunque un approccio più rispettoso dei diritti delle persone ed è partita, tra mille polemiche, con un AI Act che regolamenta, che a breve entrerà in vigore, che regolamenta tutto l'aspetto dell'intelligenza artificiale. La polemica è evidente, l'aspetto, questo rispetto dei diritti, la tutela legale dei diritti e delle persone, diventa un supporto per la tecnologia o diventa un ostacolo, una parola al piede per le imprese? Qual è il bilanciamento? Allora, adesso ti dirò la mia opinione, però innanzitutto voglio dire che è una polemica inutile, perché tanto l'AI Act, ormai ce l'abbiamo, è stato approvato, sta per entrare in vigore, ci dobbiamo confrontare con quello che c'è, poi possiamo discutere se si poteva fare meglio, se si poteva fare peggio, se era l'approccio giusto pure no, io penso che sia eccessivamente regolatorio l'approccio europeo, però, torno a dire, siamo concreti. L'AI Act ormai è stato approvato dopo una discussione che è partita nel 2018 e che finirà nel 2026, perché entra in vigore nel 2026, quindi otto anni, sostanzialmente, per avere questo complesso di regole, che è estremamente complicato. Sono 459 pagine, difficili da leggere anche per gli addetti ai lavori, con le quali comunque dobbiamo confrontarci. Più qualche allegato, credo. Sì, molti allegati, su questo non ci sono dubbi. Allora, cosa c'è di buono nell'avere delle regole europee? C'è di buono che ormai abbiamo una certezza, cioè abbiamo un quadro normativo approvato. Nessuno potrà dire non si può fare questo perché non sappiamo quali sono le regole. La certezza c'è, non ha senso neanche invocarne di nuove, di regole, perché la certezza c'è. Questo è l'aspetto positivo. L'aspetto negativo è che queste regole, che poi sostanzialmente sono regole che normano l'accesso al mercato europeo dei prodotti, dei servizi di intelligenza artificiale, quindi se tu vuoi creare, distribuire, sviluppare un sistema di intelligenza artificiale nel mercato europeo, devi rispettare queste regole. Queste regole servono a tutelare determinati diritti. Comunque, le regole, dicevo, servono a normare il quadro. Sono complicate, sì, come dicevo prima, sono fondamentalmente regole di compliance, cioè per sviluppare dei prodotti di intelligenza artificiale bisogna osservare alcuni dettami normativi, quindi bisogna che ci sia l'attestazione di norme di sicurezza, bisogna che ci sia l'attestazione di norme di organizzazione, bisogna che ci sia una certificazione finale. Sostanzialmente, molte regole di compliance che hanno lo scopo di tutelare i diritti fondamentali. L'approccio europeo è quello che abbiamo detto, cioè un approccio di overregulation, se vogliamo, rispetto a quello di altri paesi, di altri continenti, però con questo sicuramente noi dobbiamo fare i conti. Che cosa serve adesso? Venendo al tema di oggi, piccole e medie imprese, noi dobbiamo cercare di sostenere le piccole e medie imprese nell'applicare anche queste normative. Non è pensabile che un imprenditore medio o piccolo si lega queste 459 pagine, le comprenda e le vada ad applicare. Dobbiamo cercare di sviluppare, anche attraverso le università, anche attraverso i centri di innovazione, delle linee guida, delle policy, degli strumenti concreti che dicano in sostanza, in breve, in sintesi, che cosa bisogna fare per applicare le regole europee. Questo sarebbe estremamente importante dal punto di vista pratico, dal punto di vista proprio concreto, perché altrimenti questa regolazione rischierà di diventare, come tante altre regolazioni che ci sono state, soffocante rispetto all'innovazione. Questo ovviamente non può e non deve accadere. Quindi le regole le abbiamo. In questo momento c'è poco da fare, cerchiamo di aiutare le nostre piccole e medie imprese concretamente ad applicarle, affinché non sia uno svantaggio avere le regole europee. Benissimo, credo che questa possa essere un'idea anche per una potenziale startup, potrebbe essere. Certamente sì. La sorta di bigino per affrontare il tema legale. Assolutamente sì, strumenti concreti per andare oltre... Questa aspetta. Volevo tornare a Giulia Baccarini perché appunto il suo aspetto mi sembra davvero rilevante e un modello. Prima ci hai spiegato che cosa vuol dire, ma qual è il valore economico di questa predittività? Abbiamo parlato di sostituzione di posti di lavoro, di efficienza, di produttività. In che termini la fabbrica predittiva diventa un valore? Trovo interessante condividere con voi un po' quella che è l'esperienza di più o meno 200 installazioni che abbiamo in Italia dal 2012 ad oggi, quindi abbastanza lunga. Da un punto di vista di riduzione dei consumi energetici, noi, senza altri investimenti hardware, riusciamo a far risparmiare le imprese tra il 3 e il 15% dell'energia a parità di produzione. Per effetto appunto la possibilità di intercettare inefficienze o sprechi sul nascere. Dal punto di vista di riduzione dei costi di manutenzione, anche qui andiamo dal 10% al 20%. Un aspetto importante è che la manutenzione predittiva non serve tanto a intercettare i disastri, diciamo, a intercettare le rotture. Quello sicuramente lo fa. La manutenzione predittiva però porta il suo vero vantaggio nel fatto che se tu segui le indicazioni predittive puoi andare a ridurre tutte quelle operazioni pianificate che vengono abitualmente svolte su base ore, un po' come una volta facevamo il tagliando dell'auto ogni 20.000 km, oggi è l'auto che lo chiama quando necessario. E di conseguenza si riducono tutte quelle operazioni non necessarie che vengono comunque svolte, che gli ingegneri meccanici sanno bene, peraltro riportano in alto la probabilità di difetto in quanto l'andamento dei difetti a cosiddetta curva vasca da bagno, ma senza tediarvi troppo con queste reminescenze politecniche, sostanzialmente diciamo appunto il vero vantaggio appunto di riduzione di operazioni che sono di fatto inutili in quello specifico momento. Una cosa interessante che stiamo sviluppando sempre più è l'impatto sulla sostenibilità, quindi sostenibilità ambientale e qualità della produzione. Oggi esistono delle possibilità di sviluppare molto facilmente anche degli ottimizzatori che ad esempio noi in Italia abbiamo 17.000 impianti di depurazione delle acque. Sono in gran parte ci sono quelli pubblici, quelli diciamo del servizio idrico, ma poi ci sono anche tutti quelli delle aziende che utilizzano l'acqua nel loro processo industriale. Ecco questi impianti di depurazione sono sostanzialmente delle grandi piscine con dei mixer dove entra l'acqua con varie, diciamo, vari gradi di sporco e deve uscire con una determinata qualità di pulizia. Oggi diciamo sulla base dell'esperienza viene data velocità all'impianto, vengono buttati dei reagenti di maniera da cercare di raggiungere quella determinata pulizia in uscita. L'intelligenza artificiale è bravissima nel suggerire agli operatori o addirittura nell'azionare da sola come settare l'impianto per essere certi di avere questa qualità in uscita consumando meno energia, meno reagenti, meno batteri possibili. Ecco, parliamo di persona aumentata, essere umano aumentato, non sostituisce l'operatore che oggi fa del suo meglio per, ma di certo gli suggerisce come raggiungere quell'obiettivo con maggiore sostenibilità. E parliamo di un impatto anche qui decisamente importante, ne abbiamo uno in particolare a Venezia, meno 18% di reagenti, meno 8% di consumi energetici a parità di depurato. Ecco, se riuscissimo oggi per me l'innovazione non è tanto la nuova idea, l'innovazione è la scalabilità. Quando noi siamo in grado di costruire un sistema così su uno, dobbiamo avere, come diceva Kant, l'imperativo categorico di portarlo su tutti e 17.000 depuratori, di portarlo su tutte le nostre aziende, perché è qualcosa di buono, in questo senso la mia augurio e sfida per le ragazze e per i ragazzi è di avere sì un'idea innovativa, bella da portare in giro, ma soprattutto di portarla in giro tanto, di poterla industrializzare, scalare, di vederla nei mercati di tutto il mondo. Io credo che una delle più grandi soddisfazioni che ho avuto, diciamo, nella vita imprenditoriale di Mipu e Finisco è stato quello di vendere il nostro software italiano, ex studenti del Politecnico, ai giapponesi in giapponese. Un bagno di sangue, vi sono sincera, perché ho scoperto dopo, pur avendo studiato in Giappone, che in Giappone il software si traduce non solo il front-end e il back-end, ma anche il sistema operativo in giapponese, cosa che, insomma, un lavoro che non vi dico, se non era mia mi mandavano a casa, penso. Comunque è stato portare la nostra tecnologia all'estero, ecco, credo che possa essere una grande soddisfazione anche per il sistema Paese. Sì, siamo creativi, sì siamo simpatici, ma di certo purtroppo la tecnologia, cioè quando dici Italia non è che uno viene in testa software e questo forse è qualcosa che dobbiamo lavorare per cambiare. Assolutamente questo è un impegno che vedo, siccome ci sono tanti giovani in sala, è un impegno, un augurio di poter smentire quella che è la tradizione dell'economia italiana, come viene percepita all'estero. Con Antonio Calabro volevo tornare sul tema, appunto lui prima aveva accennato, alla necessità di supportare come questo sistema delle piccole e medie imprese, lasciando da parte l'incentivazione fiscale che non dipende da noi e quindi vedremo se il governo deciderà di attuare delle politiche di supporto. Ma a livello di sistema, come tu hai parlato di supporto, di PMI inserite in una rete, in una filiera, questa è effettivamente la prospettiva anche su queste tecnologie? La prospettiva vera è la diffusione, la maggiore possibile, della conoscenza e della collaborazione. Faccio un esempio concreto, io lavoro in Pirelli, grazie ai simulatori costruiti mettendo insieme tutti i dati che avevamo, abbiamo risparmiato il 30% nella elaborazione del prodotto più un sacco di materiale di scarto, il simulatore. Operazione costosissima e difficilissima, l'abbiamo messo in piedi insieme, lavoro comune tra Pirelli e il Poitecnico di Milano, così come facciamo Pirelli e il Poitecnico di Torino per il robot della fabbrica di Settimo, così come facciamo in Messico, così come facciamo gli stabilimenti negli altri paesi. Collaborazione vuol dire avere a lavorare in contemporanea sullo stesso caso, sullo stesso processo, gli esperti del settore, gli ingegneri e i nostri tecnici di produzione. Questo consente di ottimizzare e anche di scambiare, a vantaggio del Poitecnico, quello che sappiamo dall'esperienza di fabbrica, a vantaggio nostro quello che il Poitecnico studia. Questo meccanismo della collaborazione e della diffusione della conoscenza è una cosa che possiamo considerare come buona pratica generale. Su cosa costruiamo lo sviluppo di questo paese? Su un rapporto tra impresa centri della conoscenza e pubblica amministrazione. Sapendo che ci sono pubbliche amministrazioni efficienti, siamo in un territorio in cui questa pubblica amministrazione lo è, pubbliche amministrazioni meno efficienti ma che vanno forzate ad essere efficienti mettendole a paragone, e comunità di ricerca. Io credo che essere collaborativi, che non è un'attitudine particolarmente diffusa in questo paese, ma che va crescendo, sia la ricetta da seguire. Abbiamo davanti un problema vero che riguarda tutti quanti ed è che per l'intelligenza artificiale noi dipendiamo dalla Cina e dagli Stati Uniti. Noi siamo applicatori, sinora, dell'intelligenza artificiale e l'Europa, varrebbe la pena che dopo aver fatto le regole, farragginose, Giusella, e insopportabili, da questo punto di vista, hai ragione, dovrebbero diffondere e cominciare dalle strutture di rappresentanza delle imprese. Varrebbe la pena che l'Europa si desse una sua strategia politica sull'intelligenza artificiale perché dipendere dai Cinaesi ha una serie di controindicazioni abbastanza rilevanti anche dal punto di vista della politica. Dipendere dagli americani è una diminuzio di sovralità europea. Io credo che un grande investimento sull'intelligenza artificiale, così come sulla sicurezza, sulla difesa, sulla ricerca scientifica, sia non auspicabile, indispensabile. Benissimo, chiaro. Questa ricetta dei grandi che in filiera aiutano a supportare... Noi abbiamo 4.000 fornitori, sono dentro i processi. Sì, chiarissimo il tema. Però quello che mi chiedevo dal vostro punto di vista, al punto di vista di un competence center come Madde, come 4.0, questo rischio di digital divide tra piccoli e grandi che effettivamente c'è, poi dopo possiamo tamponare e aiutarli in questo sistema di filiera, però non tutti sono inseriti in una logica di filiera, hanno bisogno di investimenti particolari, specifici, di risolvere dei problemi. Ecco, dal vostro punto di vista, qual è la ricetta per poterli supportare i piccoli medi? Intanto digital divide è multidimensionale, perché noi abbiamo osservato un digital divide all'interno della stessa azienda, della stessa organizzazione, tra i giovani che entrano e meno giovani che già sono all'interno di queste organizzazioni e che quindi sono meno avvezze all'uso delle tecnologie digitali. Noi oggi abbiamo nelle nostre organizzazioni 4 generazioni per la prima volta, dai boomers, generazione X, Y e Z, e fra un po' arriverà la generazione alfa e quindi avremo 5 generazioni all'interno, che vuol dire una lontananza non più anagrafica, ma di utilizzo e di prossimità con l'uso di queste tecnologie. Io racconto sempre un fatto a cui ho assistito, in cui in un'azienda di medie dimensioni Lombarda sono andato insieme a un neolauriato che avevo suggerito io che venisse assunto, avevo nominato, avevo fatto mandare il curriculum, arriviamo e il vecchio grande responsabile dello stabilimento di questa azienda dice, non ci fai vedere cosa fate qui, è lui un tutto orgoglioso, qualche anno fa e non adesso, però tira fuori un bellissimo foglio a zero e in due dimensioni cerca di spiegare quali fossero i pezzi che venivano realizzati in questa azienda. Nel neolauriato del Politecnico di Milano, in qualche modo adesso sto un po' esagerando evidentemente, sto un po' rendendo macchietta, dici, ma io non ho mai visto questa roba qui, questo foglio di carta, me lo spieghi? Perché uno ragionava ancora in due di, questo ragazzo ragiona in tre di, chi esce oggi dall'università ragiona già in quattro dimensioni, perché già mette anche il tempo in questa cosa. Tu hai un digital divide all'interno della stessa organizzazione e si sta allargando il divide. Hai un digital divide tra aziende piccole e aziende di grandi dimensioni, perché le grandi hanno capacità di investire, hanno capacità di rimanere al passo con le tecnologie, le piccole rimangono indietro per cultura, per capacità di non seguire. Poi è chiaro che sono tirate dalle grandi quelle che rimangono dentro le filiere, ma quelle che appena appena rimangono un po' fuori, attenzione che vengono buttate fuori, non rimangono, sono secondo o il terzo, il concetto di effetto combinatoriale delle tecnologie, che cosa vuol dire? Vuol dire che noi negli anni 70 quando si affermarono i mainframe, sapevamo che c'era una tecnologia digitale, era quella, poi sono arrivati i personal computer, era una sola, erano i personal computer, poi arrivata internet, sapevamo che era quella. Oggi ne abbiamo tantissime, non puoi pensare di quest'anno mi adotto una tecnologia, l'anno prossimo faccio quest'altra, l'anno prossimo ancora faccio quest'altra, perché il fatto di andare uno per uno e di non affrontarle tutte insieme, fa sì che quell'effetto di rinforzo sull'efficienza che l'adozione contemporanea di questi ha, a tutti lo perda e quindi vuol dire che il tuo competitor, che è appena un pochino più rapido di te nell'adozione, in realtà accelera in maniera significativa la sua distanza rispetto a te. Tu rimani tanto indietro, rimani appena indietro, rimani tanto indietro, quindi c'è un divide anche di questo tipo. Terzo quello che noi stiamo vedendo è il divide geografico, è innegabile questo, ci sono aree geografiche del paese e dell'Europa che hanno trovato dei meccanismi di diffusione della tecnologia e altre aree che stanno rimanendo significativamente indietro e questo polarizza ancora di più il paese. Il divide se lo vogliamo veramente capire dobbiamo vederlo rispetto a tutte queste dimensioni e l'origine è sempre la stessa, è l'accelerazione all'innovazione che queste tecnologie stanno dando. Chi rimane indietro, il vero freno sono le persone, sono le competenze delle persone ed è qui che noi rischiamo veramente di rimanere indietro rispetto a quello degli altri paesi. Quindi investire in competenze. Quando noi abbiamo fatto il piano nazionale 4.0, al di là dell'incentivo fiscale, per chi si ricorda quella slide, c'era sotto un frecione che era la base di quella costruzione grafica che avevamo dato che era competenze, era la formazione 4.0. È stato significativamente snobbato dalle imprese, io credo, con grandissima miopia e questo è il problema che fa sì che ci sia divide digitale tra l'Italia e gli altri paesi. Grazie, hai fatto un scenario, io riprendevo da quest'ultimo punto, non della formazione, ma dell'aspetto geografico per ritornare a Ferruccio Resta, che è un attore che gioca molto sul territorio. Come si crea, si gioca sull'ecosistema territoriale per risolvere questi problemi? Ma unisco un po' quello che è stato detto da Antonio Calabro e da Marco Taishi. Antonio diceva che abbiamo bisogno di tre grandi ingredienti, abbiamo bisogno di un pubblico, perché il settore pubblico è la spina dorsale di un paese, poi i muscoli sono le imprese, ma senza un settore pubblico efficiente facciamo fatica. Abbiamo bisogno di un settore imprenditoriale delle imprese capace, aperto, pronto alle collaborazioni e poi abbiamo bisogno di un mondo della ricerca e dell'innovazione che non abbia paura di confrontarsi con la pratica. Ecco, la Fondazione Bruno Keiser ha un po' questo vantaggio, agisce su un territorio che ha questi tre ingredienti. Sicuramente la provincia, la provincia autonoma, è disponibile a utilizzare se stessa come un grande laboratorio, è sufficientemente piccola, perché sono 500.000 persone, quindi i processi sono relativamente facili da gestire, però è anche molto aperta a dare la possibilità e ricercare le cose. Ci sono le possibilità ai ricercatori della Fondazione Bruno Keiser di provare, di testare le loro innovazioni. E poi ci sono le imprese, perché poi naturalmente noi non facciamo prodotto, noi facciamo proof of concept, cominciamo a sviluppare piccole iniziative, poi abbiamo bisogno o che nascano dall'interno o che ci siano delle imprese che prendano la nostra innovazione, che poi la permetteranno di scalarla, perché poi noi non abbiamo come obiettivo quello di fare business. E' un grande bell'esperimento che questo chiaramente innesca un circolo virtuoso, e quindi mi collego a quello che diceva poi Marco, perché non pastiamo più un solo nome per essere attrattivo. La Pirelli non ce la fa più da sola a essere attrattiva. La Fondazione Bruno Keiser, il Politecnico di Milano, attrattivo a cosa vuol dire? Attrattivo di finanza, di soldi, perché Giulia ha avuto bisogno di fondi per partire, attrattivo di capitale umano, di competenze. E quindi se tu non hai un mondo attrattivo, una situazione attrattiva, non viene una persona a scommettere su di te la propria vita professionale. E per essere attrattivo, qui aggiungo di nuovo, ci vogliono gli stessi tre ingredienti. Ci vuole un territorio che sia in grado di dare quello welfare necessario, dare quel benessere necessario nel senso veramente più alto, che vuol dire culturale, sanitario, degli affitti, e vi dicendo. Ci vuole un lavoro che sape interpretare, motivare le persone, perché sono diverse da quelle che eravamo noi, e ci vuole anche una capacità di una possibilità di crescere. Ci vuole anche un po' un sogno da fare, da fare, da far viva. Ecco, secondo me quindi, davvero l'ingrediente è lo stesso, per partire e per essere attrattivo. Naturalmente, di nuovo, chi è mio per ritenere che il suo benessere locale, il suo sviluppo locale, a scapito del suo vicino, che sia una difiliere, che sia di un territorio, che sia di una università o di un suo centro, a scapito di questo, sta decidendo una politica della trimestra. La politica del suo terreno è una politica di un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che è un terreno che mi fa sentire che siete piccoli io credo che con queste nuove tecnologie si possono peacht e mi anche più grandi più scalabile vi dicendo cioè passare da 500.000 persone a 5 milioni non è impossibile passare da una applicazione a 16.000 non è impossibile perché oggi queste tecnologie ti aiutano sì qui abbiamo ovviamente due casi di eccellenza per ma tra MAD e FBK sono due casi di eccellenza per cui sono da espandere, da copiare senza dubbio. Volevo finire con una sottolineatura di un aspetto che aveva sottolineato Marco Taisch, quello della formazione delle competenze. Allora è chiaro che è la base di tutto, perché senza quelle non si va da nessuna parte. L'Italia, da questo punto di vista, ha delle competenze, è in grado di creare, di formare delle competenze di altissimo livello. L'importante è poi trattenerle qui. E quello che volevo chiedere a Giusella Finocchiaro è, bastano le competenze o ci vuole una cultura della tecnologia più diffusa? Sicuramente la formazione delle competenze sono necessarie e questo è un dato di fatto. Io aggiungerei due parole, consapevolezza e cultura. Consapevolezza dal lato delle imprese, perché le imprese devono essere consapevoli del patrimonio enorme che hanno in dati e informazioni. Parlate che in questo momento le nostre piccole e medie imprese spesso non sono consapevoli del valore dei dati e delle informazioni che detengono e li svendono o li regalano senza valorizzarli opportunamente. Quindi, innanzitutto bisogna lavorare sulla consapevolezza delle nostre piccole e medie imprese. Invece, dal lato della formazione e dall'altro dell'educazione, credo che certamente le competenze digitali, la formazione digitale, sono necessarie, però in questo momento, in questo Paese, c'è bisogno di cultura, anche di cultura di base. Perché dico questo? Perché è solo con la cultura di base che si è in grado di sviluppare poi la capacità critica, la capacità di porsi delle domande, la capacità di sollevare dei nuovi interrogativi. E in questo momento è importantissimo farsi delle domande. Anche qui concludo con un esempio rapidissimo. Molti miei colleghi hanno deciso di utili... io insegno ovviamente a giurisprudenza. Molti miei colleghi hanno deciso di vietare l'utilizzo da parte degli studenti di chat GPT o strumenti simili, perché dicono vabbè, si fanno fare i casi, si fanno risolvere i casi, la chat GPT, allora a questo punto usiamo un sistema difensivo vietato. Io penso che sia importante fare esattamente il contrario. Cioè, dal momento che quelli che sono studenti oggi domani lavoreranno in studi legali oppure nelle imprese e inevitabilmente avranno lì davanti, oltre alla carta, oltre al computer, oltre all'internet, anche l'intelligenza artificiale, devono imparare a usarla e devono imparare a usarla da noi, ma imparare a usarla in maniera critica. Quindi secondo me è importante stimolare, non vietare, ma stimolare a utilizzare e fare crescere capacità critica. Usala e poi dimmi dove ha sbagliato. Perché in molti casi, e ci sono casi famosi in questo senso, anche avvocati che hanno sbagliato gli atti perché si sono ospidati completamente la chat GPT e questa ha citato delle sintesi inesistenti e quindi poi sono stati sanzionati, allora bisogna dire usala e poi scopri dove ha sbagliato. Assolutamente credo che appunto questo invito alla consapevolezza e alla cultura e alla conoscenza al metterci sulle mani sia davvero l'importante, perché appunto non possiamo tenere queste innovazioni al di fuori dal sistema di formazione e sarebbe il sistema più sbagliato. Siccome abbiamo ancora un minuto, un minuto, volevo sentire se c'era qualche domanda dal pubblico. Ecco lì, c'è il microfono, grazie. Buongiorno, grazie a tutti, innanzitutto. Visto che si parla di piccola midia impresa e di innovazione, automazione e quant'altro, parto dal mio caso personale come trampolino di lancio. La mia è una famiglia di imprenditoriale, di imprenditori, però io ho deciso una formazione ingegneristica, lavoro come ingegnero in una multinazionale statunitense. Questo perché piccola azienda, manufatturiera, la reputo molto molto distante dai miei valori e diciamo ho una difficoltà a vedere un futuro in questa azienda perché è molto distante dalla mia realtà e ho preferito seguire una strada molto più innovativa, moderna, in cui si innova, si investe. Avete dei consigli su come poter lavorare, trasformare una piccola azienda manufatturiera e quali siano le leve che si possono utilizzare per portare questa azienda più tradizionale verso un'innovazione. Capisco sia una domanda molto difficile, molto complessa e sia difficile rispondere, però diciamo questo è il problema mio di tante persone che conosco che hanno deciso di seguire una strada diversa rispetto all'imprenditoria familiare. Vi ringrazio molto. Credo che sia molto difficile rispondere non sapendo esattamente quali siano i risposti. Possiamo provare a dare una risposta? Guarda, io vengo da una famiglia imprenditoriale, mio padre faceva carte da gioco, un'azienda bruttante che faceva carte da gioco. E gli ha detto, guarda, proprio voglio fare ricerca e quindi ho una grande estima dell'imprenditorialità. Io quello che posso dirti è capire che un'impresa è un'impresa fin quando riesce a intercettare un'esigenza. Io non so cosa faccia l'impresa tua. E quindi devi capire se quell'impresa è ancora in grado di intercettare quell'esigenza. E come tu riesci a portare tutto il tuo sapere che stai avendo in quella realtà internazionale per dare ancora valore aggiunto a quella risposta, a quell'esigenza. Quindi se non c'è più l'esigenza, è giusto che tu rimanga in un altro settore. La tua visione internazionale, la tua visione nella multinazionale ti può dare se quell'esigenza sta cambiando, sta diventando globale e quindi puoi addirittura intercettare una maggiore globalità nella tua esigenza, ma naturalmente devi trovare il modo perché il prodotto, il servizio che voi fate per rispondere a quell'esigenza sia il più innovativo e il più competitivo rispetto al resto. Io credo che tu dopo un percorso tornerai a riguardare quella realtà della tua famiglia con occhi diversi, quindi fai bene a fare questa esperienza, e se tu riuscirai a leggerla con occhi moderni, riuscirai a dar valore a quell'azienda. Questo è un po' quello che è successo nell'azienda italiana, nell'azienda europea, che continuano ad essere indispensabili per le filiere, come diceva Antonio, perché continuano ad essere innovative. Chiaramente se invece c'è il prodotto che è completato, se fate fax, ecco io non andrei a lavorare per un'azienda che fa fax adesso. Sì, aggiungo il fatto che non metterai in contraposizione la manifattura con l'innovazione, proprio perché il problema è se la manifattura risponde a un'esigenza. Qualche altra domanda? Buongiorno, io lavoro in una metalmeccanica qua in provincia di Trento, che fa parte di un gruppo internazionale, noi costruiamo grandi macchinari tessili. Stiamo iniziando un progetto di manutenzione predittiva, non all'interno della nostra fabbrica, ma dei nostri macchinari e all'interno delle fabbriche degli altri. Noi esportiamo in tutto il mondo, mi ha anche un 10% qua in Italia, tutto il resto in giro per il mondo. Quello che io mi chiedo, non sono un ingegnere, quindi io veramente faccio fatica a capire, però alla fine stiamo parlando di un logaritmo, giusto? Un algoritmo. Sì, volevo dire algoritmo, ecco già si capisce. Un algoritmo, ma che migliora sempre di più, perché impara da se stesso. Questo mi hanno insegnato i progettisti in azienda, questo è quello che ho capito. Noi il progetto lo iniziamo con il supporto di un fornitore di componenti pneumatici, che ha sviluppato all'interno del proprio gruppo un'azienda che fa solo questo, e quindi ci appoggiamo a loro. Non conoscevo la sua possibilità, ma adesso che la so informerò ai colleghi. Quello che non capisco è se alla base dell'algoritmo, perché non può essere diffuso, perché c'è probabilmente dietro un senso di proprietà, non lo so, adesso anche magari si entra questo, ma perché non viene come dire, diffuso in un certo tipo di aziende, in un certo tipo di società manufaturiere, nel senso se è già in tante realtà, in 10 anni che si lavora su queste, noi arriviamo dopo 10 anni, voglio dire. Siamo in ritardo? Probabilmente, non lo so. Ecco, ma perché non è diffuso in qualche modo per poi andare ai pezzettini a aumentare? Giulia, direi che devi rispondere tu, ti tocca. Sì, intanto una intelligenza artificiale è la specializzazione di una serie di algoritmi, che sono delle formule che si trovano anche su internet statiche, sui vostri dati. Quindi in realtà l'intelligenza che viene creata per voi, per andare insieme alle vostre macchine dai clienti finali, che magari faranno, diciamo, anche farà evolvere il business, non si venderà più forse la macchina, ma la servitizzazione, cioè un canone di utilizzo il fatto che la macchina continui a funzionare, in realtà, diciamo, appunto è la specializzazione di questa strategia algoritmica sui vostri dati specifici. Dopodiché, e quindi diciamo, in questo senso qui non è esattamente replicabile, cioè non posso prendere quella di qualcun altro e metterla da voi, o comunque minima parte. Poi certo, ecco, se uno lo ha già fatto si va per conoscenze incrementali, questo io non so, se è la prima volta, se è la conoscenza anche del fornitore che vi accompagna, però c'è una differenza, appunto, alle volte noi parliamo di algoritmo e di intelligenza artificiale come se fossero sinonimi, in realtà non lo sono. Perfetto, grazie mille, direi che dobbiamo chiudere perché sennò ci cacciano a pedale nel dietro. Io credo che una sintesi sia difficile, però davvero spero che questi discorsi riescano ad aumentare, quello che avevano detto, la consapevolezza attorno a queste tecnologie andando oltre l'IPE e la cultura necessaria per affrontare questi temi come ragazzi, per cui dal punto di vista del percorso professionale e come imprenditori, come persone di fronte a queste nuove tecnologie. Io ringrazio tutto il panel che ci ha accompagnato, abbiamo capito che il mondo potrà essere degli ingegneri, perché sono intervenuti in gran parte ingegneri, però Giusella Fiorchiara ha detto che abbiamo bisogno di una cultura che sia onnicomprensiva, quindi questo è davvero importante capire. Grazie davvero.
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