Quo vadis Europa
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Quo vadis Europa
Una discussione tra Romano Prodi, Stefano Sannino e Liliana Faccioli Pintozzi sulle sfide che l'Unione Europea affronta. I relatori analizzano le imminenti elezioni europee, considerando i pericoli derivanti da conflitti internazionali (Ucraina, Gaza), la potenziale ascesa di un isolazionismo americano sotto una presidenza Trump e le relazioni complesse con la Cina. Si discute inoltre l'allargamento dell'UE, i suoi benefici e le relative problematiche, in particolare riguardo ai Balcani e all'Ucraina. Infine, si tocca il tema della transizione energetica e la dipendenza tecnologica dalla Cina.
Buongiorno a tutti. Grazie per essere qua con noi, per essere qua con il Presidente Prodi, per essere qua con noi a parlare di Europa. Quo va d 넣se Europa? Dove vale Europa? Tanti giovani, e lo dicevamo poco goods, Certo sarete qua per il Presidente, sarete qua forse anche per noi, sappiamo, ma facciamo finta di non saperlo, che magari siete stati portati qua dalle vostre scuole, ma noi siamo felicissimi che ci siano tanti giovani in sala a parlare di Doveva l'Europa. Doveva l'Europa a pochi giorni, poche settimane dal voto europeo, sono 70 anni Presidente che ci interroghiamo su dove va l'Europa e alterniamo momenti di pessimismo, l'Europa si sta facendo, negli ultimi anni è prevalso un po' più di ottimismo, negli ultimi 3-4 anni, c'era il Covid, l'Europa si occupava di vaccini, c'era la ricostruzione dell'economia post Covid, l'Europa si occupava di next generation, c'era la Russia, l'Europa era coesa, c'è qualche problema con la Cina e l'Europa parla dell'autonomia strategica, veloce sul pezzo, inusuale rispetto a tanti momenti del passato, ma si avvicina alle elezioni, la campagna elettorale e iniziano le voci preoccupate, elezioni di portata storica, pericolo mortale per l'Europa e Macron, perché pericolo mortale, perché elezioni di portata storica? Perché alcuni dicono che questa Europa ha corso in questi anni, ma è un po' come Alice nel Paese delle Meraviglie, voi ragazzi sapete, Alice arriva nel Paese delle Meraviglie e la regina dice a Alice benvenuta, Alice nel Paese delle Meraviglie, il Paese delle Meraviglie è questa terra che io governo, dove anche solo per rimanere fermi nel punto dove si è bisogna correre come dei matti, è quella Europa che ha corso in questi anni, in questo mondo che ha corso ancora di più, dà alcuni, a quelli preoccupati la sensazione di aver fatto una corsa su posizione, su fermo, sul posto, noi di questo parleremo stasera, lo facciamo come dicevo prima con il presidente Prodi, che non ha ovviamente bisogno di nessuna presentazione, di nessuna presentazione ha bisogno ovviamente neanche Stefano Sannino, che è il segretario generale dei servizi europei per l'azione esterna, ma che cosa vuol dire? È il capo di tutti gli ambasciatori, tutte le rappresentanze dell'Europa in giro per il mondo, in Italia sul reportato nazionale, saresti il segretario generale della farmesina, ma tu lo sei a livello europeo, e poi con me, e siamo felicissimi, c'è Liliana Faccioli Pintozzi, un volto notissimo di Sky che conduce questo bellissimo programma serale che è Sky Tigi Mondo di ogni sera dalle 7.15 se non ricordo male. Eccoci qua, e partiamo con una domanda a entrambi i nostri ospiti, e proprio partendo usiamo la frase di Macron, ma come punta dell'iceberg di chi è preoccupato, queste elezioni, questo momento è un momento che rappresenta per l'Europa un pericolo mortale, mortal danger, la copertina dell'economist o sono elezioni di portata storica. Perché è un momento, dice Macron, di pericolo mortale per l'Europa? Cominciarei dal presidente Brodi. Il titolo dove va l'Europa per ora sta ferma, questo è quello che io penso. Da qualche mese, cominciata la campagna elettorale, si fanno balletti di chi era rossoncine, ma sostanzialmente sta ferma in attesa delle elezioni. A mio parere queste sono le elezioni importanti come tutte le elezioni, la portata storica poi andiamoci ad agio perché questo è quello che io penso, non succederanno grandi cose. Il prossimo parlamento non può far senza di democristiani e socialisti, attorno a questo ci sarà qualche variazione sul tema, probabilmente un po' più verso l'aspetto conservatore, ma non fatti rivoluzionari. Perché poi alla fine, quando la gente va a votare, Europa no vota, Europa sì, mugugnando tutto quello che volete, ma la cosa è certa che nella coscienza profonda indietro lo si torna. Questo perché vediamo tutto attorno le guerre, abbiamo visto quella di Yugoslavia, abbiamo visto quella di Ucraina e alla fine, nel momento del voto, c'è il discorso di non rischiare più di tanto. Poi è certo quello che io penso, poi posso sbagliarmi, perché siccome si vota con l'emozione possono succedere degli avvenimenti del tutto, ma io prevedo ancora questo schema. Qual è il mio problema? Che si può tergiversare per un altro po' di tempo, poi vengono al pettile i nodi grossi con le elezioni americane, con questa guerra di Ucraina che non finisce più, con il Medio Oriente da cui ci siamo quasi assentati. Ci fa solo emozione, ma non abbiamo azione politica verso il Medio Oriente. Qualcosa che rompe lo schema, a questo punto poi saremo, ma questo andrà avanti alla discussione, dovremo prendere alcune decisioni enormi che peseranno su di lui, sulla politica estera e sulla politica di difesa, senza le quali verremo presi in giro, soprattutto se arriverà Trump. Allora ecco, adesso elezioni in un periodo che io ritengo molto meno drammatico di quanto non ritiene la gente, ma con un futuro in cui o noi decidiamo o fidiamo con essere definitivamente irrilevanti. Ambassadore Sannino, riformulo domanda prendendo le parole del presidente Prodi. Quali sono i pericoli mortali che ricadranno sulla testa del capo della diplomacia europea, capo con Borrello ovviamente, un successore di Borrello nei prossimi mesi, già anticipato qualcosa del presidente Prodi? Dubbiamente le due guerre pesano, la guerra in Ucraina e anche la guerra a Gaza, ma la guerra in Ucraina ha un peso anche strategico per l'Unione Europea molto forte, perché la minaccia è una minaccia che va non soltanto contro l'Ucraina, ma anche contro il nostro continente, contro il fianco orientale del continente europeo. Quindi c'è una percezione, Paccani, Polonia, Romania, di essere esposti a una minaccia che può essere una minaccia mortale, quindi c'è una difficoltà forte da questo punto di vista. C'è un problema, e Romano lo accennava prima, c'è una reazione americana di cui non sappiamo ancora il risultato, che può avere un impatto sull'Europa se gli Stati Uniti ritornano verso una politica isolazionista e quindi quali conseguenze tutto questo può avere su di noi. C'è un tema di sicurezza, più in generale abbiamo parlato di sicurezza militare, ma anche di sicurezza economica, abbiamo visto i risultati sui temi energetici, ma anche le questioni che riguardano la tecnologia, che cosa fare nei nostri rapporti con la Cina, e c'è un grande dibattito in corso in Europa su come sviluppare le nostre capacità, parlavi prima quello dell'autonomia strategica o della sovranità strategica europea, aperta, chiusa in collaborazione con altri paesi, come possiamo rafforzare le nostre capacità. Tutte queste sfide, c'è un problema di capacità militare che dobbiamo affrontare seriamente perché abbiamo disinvestito nel corso di molti anni, abbiamo un problema che le guerre ormai si combattono non soltanto militarmente, ma anche con altri sistemi, quindi la cyber security, i temi delle minacce ibride, la strumentalizzazione delle politiche, c'è un problema di sicurezza economica, come poter evitare di avere delle dipendenze che poi possono in qualche misura essere utilizzate contro di noi, come è successo con l'energia, e c'è un problema che non è indifferente di una proliferazione nucleare a livello regionale, quello che succede in Iranno, quello che succede in Corea del Sud, possono avere un impatto molto forte e la fine del sistema bipolare o unipolare ha creato una situazione, se possiamo usare questo termine, di caos. Di queste, prima di dare la parola alla collega Liana, ne citate tante, il presidente ne ha citate alcune prima, ma qual è quella che tiene sveglio di notte il capo della riplomazione europea? La sfida più dirumpente o quella su cui noi abbiamo più difficoltà a far passi avanti? La sfida più dirumpente è quella di avere una capacità militare forte a livello europeo. Grazie mille. Sulla capacità militare torniamo tra brevissimo. Presidente, vorrei ripartire dalle sue parole iniziali. Innanzitutto con un dato, lei diceva, indietro non si torna, il dato positivo dell'ultimo eurobarometro, il 74% degli europei ora si sente cittadino europeo in primis, ed è un dato in crescita del 2% negli ultimi anni. Questo è sicuramente un dato positivo. Due considerazioni? Soprattutto dopo la Brexit. Aiuta quello aiutato. Però sai come? Io ero a Londra durante la Brexit e c'era uno scherzo tra noi giornalisti. Si diceva l'euroscettico di successo è l'euroscettico che non vince le elezioni, perché quando le vinci lo devi fare e diventa tutto molto più complesso. Dall'euroscettico al sovranista. Due considerazioni. Questo parlamento sarà in mano dei democrati e dei socialisti come è sempre stato, magari qualche conservatore, ma non sarà rivoluzionario. Prima veloce domanda, non la preoccupa l'apertura di Ursula von der Leyen, a parti del gruppo conservatore in primis, ovviamente i deputati di Giorgio Emeloni, non pensa che questo potrebbe cambiare l'anima e la posizione in maniera importante del Parlamento. E poi parlando di sovranismo, Donald Trump, se dovesse tornare alla Casa Bianca, il che è una possibilità con tutte le considerazioni che si possono fare sulla democrazia americana, secondo lei avrà un impatto di rafforzamento del sovranismo anche in Europa o al contrario sarà lo stimolo, l'ennesima crisi che farà fare un passo in più all'Europa. Un'Europa che lo abbiamo visto cresce con le crisi e spesso le sa affrontare meglio di quanto non si potesse prevedere. Un telegramma sulla Brexit che a distanza di 5 anni la considero come un vaccino. Ha fatto passare la fantasia a molte persone. Puoi fare l'Orban finché vuoi, ma via non ci vai, perché si è visto. Riguardo al problema, ancora succede, alleanze von der Leyen, eventuale Trump, non credo che sia molto prevedibile quello che avviene, prima di tutto perché Trump è un ragazzo inquieto. Quindi i grandi proclami prima delle elezioni, poi deve vedere come le lezioni sono state, ma non è un problema che si può fare con il vaccino, e quindi i grandi proclami prima delle elezioni, poi deve vedere come li mette a posto. La reazione nei confronti di un'eventuale vittoria di Trump può essere assolutamente duplice, nel senso che da un lato è chiaro che quello fa male, perché non è solo che dica 2% della spesa militare, è che strutturalmente è ostile all'Europa. Poi i suoi consiglieri lo metteranno, ma lui ha proprio la testa di come se avesse un fatto froidiano nei confronti dell'Europa, fa anche dispetti proprio, no? Quindi questo creerà dei problemi. Il mio punto interrogativo è, ma questi dispetti unificheranno l'Europa? Creeranno una maggior coesione? No, se non c'è un atto di coraggio da parte di qualcuno. Sarà un ticchio, ma penso che sia la Francia, che può in un giorno solo creare l'esercito europeo e la politica esteropea. Qui è il momento degli atti di coraggio. Voi pensate bene che adesso la Germania ha obbedito a Trump, ha messo sul tavolo un sacco di soldi per la difesa, che avrà un bilancio della difesa che è più del doppio di quello francese, ma ci pensiamo bene che possa spingere per un esercito europeo in cui arba nucleare, diritto di veto, lo strumento militare e lo strumento politico è in mano alla Francia. Ma è il buon senso, vuol dire, ma io non lo farei mai. Allora bisogna che la Francia abbia il caraggio di capire la storia e dire che questi due grandi suoi poteri, che li sono rimasti dalla Seconda Guerra Mondiale, devono essere serviti all'Europa. La Francia diventa più forte e l'Europa diventa più forte. Che cosa succederà? Questo è evidentemente il mio pensiero, che prima o poi sarà l'evoluzione del mondo obbligare la Francia a fare questo. Perché quello che sta succedendo in Africa giorno per giorno viene erosa da una generazione che non ne vuole più sapere delle eredità, delle eredità del colonialismo. Che sta succedendo in Africa? Qualcosa che non m'aspettavo. Io ho fatto il missionario dell'ONU in Mali per un certo tempo e c'era ancora questo legame con la Francia molto forte. In pochi anni si è dissolto nel Mali, in Burkina Faso, in Repubblica Centro-Africana, adesso nel Niger. Cioè c'è una nuova generazione che non sopporta più le eredità del nazionalismo. Allora la politica europea deve cambiare anche in conseguenza il cambiamento del mondo. Questo è quello che io penso. Se non succede questo, allora un trompismo o qualsiasi cosa del genere ci eroderà pezzo per pezzo fino a renderci definitivamente marginale. Questo è quello che io penso. Cioè o un atto di coraggio o la morte per inedio. Cioè comunque l'emarginazione per inedio. Questo è quello che penso. E professore, l'ingresso di una eventuale maggioranza usula anche del pacchetto dei conservatori la preoccupa? Ma cosa vuole? Mi preoccupa nel senso che darebbe ancora più difficoltà a prendere operazioni. Ma il problema in questo momento non è continuare a mediare. Nell'ultimo tempo, dopo le bellissime cose della unità del Covid e del PNR, è stata una mediazione continua, con rimpalli di responsabilità. Pensiamo all'ultima riunione del Consiglio Europeo, non della Commissione ma del Consiglio Europeo, che dibatteva sui problemi della difesa. Molto interessante, tante discussioni, eccetera. Però tu vai a dibattere su come finanzi eventualmente la difesa e non c'è il dibattito su cosa fai, su come fai, se fai davvero l'esercito. In una situazione di questo genere, poi che ci siano quattro deputati conservatori in più o in meno, non è che cambia molto. Il problema è che la Commissione in questo momento è soffocata dal Consiglio. Se non c'è uno scatto dei paesi che comandano il Consiglio, la Commissione finisce con essere mediatrice. Se tu vedi un pochino qui, coi Dorotei, coi Morotei, non è che cambia molto. I ragazzi in sala non sanno cosa sono i Dorotei, ma se andate su Wikipedia dopo trovate un pezzetto della strada del nostro paese quando le mediazioni avvenivano all'interno del partito più importante, la democrazia cristiana, non c'era da mediare con gli oppositori, ma erano le correnti. L'immagine è molto bella. Presidente, sono passati vent'anni dal grande allargamento dell'Unione Europea, dieci paesi che sono entrati. Lei era presidente e questo viene a volte riconosciuto come un merito, a volte come una responsabilità. È stato pro di allargare l'Unione Europea e di creare dei problemi. Noi oggi abbiamo in lista d'attesa nove paesi. Non tutti sono pronti, la Turchia ha un percorso interrotto, però tanti e potrebbe succedere in tempi non lunghissimi che alcuni di questi entrano e da 27, uno l'abbiamo perso per strada, diventiamo 30, 31, 32. Qualcuno nella sala dirà che gli Stati Uniti sono 50, l'India è qualcosa più 8 territori, sono 35, ma la grande differenza è che gli Stati Uniti e l'India sono stati federali, l'Europa non lo è. Quindi la domanda è, anche oggi lei crede che l'allargamento sia un bene per l'Europa o oggi dopo vent'anni dal precedente allargamento e alla luce di ciò che lei ha detto, che serve lo scatto e essere intanti in un condominio non necessariamente aiuta, oggi sull'allargamento avrebbe qualche preoccupazione in più. Allora, definiamo le cose. Quando è sfratto l'allargamento, un momento di entusiasmo, poi tantissime critiche. Poi quando è arrivata la guerra d'Ucraina, o ma aveva poi ragione Prodi. Perché se la Polonia fosse come l'Ucraina, 17 anni dopo, mi hanno dato ragione. Il tempo ha la sua forza. Però faccio due riflessioni per quello che è importante. I paesi dell'allargamento, quando trattavamo, il maestro è qui vicino, prima avevano l'Anato e poi l'Europa. Cioè il problema della sicurezza era quello drammaticamente più sentito. Poi naturalmente siccome questi paesi hanno avuto un successo economico impressionante, cioè l'Apolonia non è più quella, la roba che non è mai successa della storia, la cosa del genere. Sono stati questi giorni a celebrare il ventesimo, ma tutti alla fine ero quasi un eroe. Perché le condizioni di vita sono cambiate in modo enorme. Ed è stata questa la critica che hanno fatto nei nostri confronti. Arrivata la guerra, ha detto no, questo andava fatto. Però attenzione, che allora accompagnavamo come fatto naturale che con l'allargamento ci fosse il cambiamento delle istituzioni. Perché dicevamo che non si poteva regolare un'Europa a 27 con le regole di un'Europa a 15. Ecco, questo era il... ma non per problemi di divergenze politiche, proprio per il funzionamento dell'istruzione. Perché poi per le divergenze, io dico scherzosamente, che ho fatto il presidente della commissione a 15 a 25. E il mio problema era sempre uno solo, la Gran Bretagna. Non è che abbia cambiato poi tanto. Allora, il nuovo allargamento secondo me è indispensabile per tutta la parte della ex Iogoslavia e Albania. Quello non porta problemi, chiude un cerchio, si può fare, bisognava fare tante altre cose che non stiamo qui a toccare sui confini e sui non confini. Però lì si fa prezzo. Ma senza il cambiamento delle istituzioni diventa impossibile un'Europa a 35 con le attuali regole. Diverso è il problema di Ucraina, Georgia. Georgia, perché portano un salto politico assolutamente diverso e anche un problema economico. Cioè adesso giustamente tutti, diciamo, Ucraina nell'Unione come grande fata di solidarietà. Poi appena il grano, l'esportazione di grano si sposta un pochino verso la Polonia, a bassi prezzo del grano in Polonia, il grande difensore dell'Ucraina, che la Polonia picchia giù contro l'Ucraina. Ecco, allora attenzione che un ulteriore allargamento porta problemi politici ed economici. E quindi va visto nel nuovo quadro futuro. Però ripeto, in ogni caso il cambiamento delle istituzioni, del modo di decidere, è indispensabile. Questo ci porta dritti a quello che nella sua commissione, il suo commesso allargamento definiva il problema della politica estracomunitaria. L'allargamento alla fine è la nostra, non in realtà, però in effetti sì, unico strumento reale di politica estera. Noi facciamo politica estera comunitaria attraverso l'allargamento, no Sandino, in qualche modo. Lavoriamo in tutto il mondo, siamo presenti in tutto il mondo, lei guida rappresentanze in tutto il mondo, ma poi alla fine l'Unione Europea di forte, l'arma nucleare diplomatica è quella nostra. Come si nesce, come si rafforza? Abbiamo la volontà politica, e torniamo a quello che dicevamo all'inizio, di superare questa fase, perché possiamo allargarci ora i Balcani, sarà molto semplice come c'era il Presidente, abbiamo questo grande punto di domanda, Ukraine, Moldavia, Georgia, e poi l'Unione Europea cosa fa con quello che abbiamo oggi sul tavolo? Volevo dire varie cose, uno è l'allargamento del 2004, e poi quello che è seguito con Bulgaria, Lomania e Croazia, è stato qualcosa che tutti volevano, è stata un po' la riunificazione o la unificazione del continente europeo, quindi c'era una forte spinta politica. Abbiamo chiuso la guerra fredda così? Abbiamo in qualche modo chiuso la guerra fredda così, ed è stato un grande avanzamento per tutti, ed è vero che in questi paesi hanno fatto un balzo in avanti strepitoso, ma anche noi, nel senso che anche l'Europa di 15 sia vantaggiata enormemente di un mercato più grande e più forte, quindi questo risponde anche parzialmente alla sua domanda sull'importanza dell'allargamento. Quello che rappresenta il grande cambio, tu dicevi 9, in realtà sono 10, perché teoricamente con la Turchia non abbiamo ancora completamente chiuso la partita, però quello che è il grande cambiamento è l'Ucraina per le dimensioni, un paese di 44 milioni, anche con dei problemi così forti e così grandi, cambia la storia, cambia la narrativa dell'Unione Europea, sposta il baricentro geostrategico e crea effettivamente dei problemi di tensione all'interno di quelli che sono gli strumenti, soprattutto degli strumenti economicamente più importanti o più pesanti dell'Unione Europea che è la parte agricola e la parte dei fondi strutturali. Quindi bisognerà immaginare un nuovo modo, non soltanto un nuove regole, ma anche un nuovo modo di gestire tutto questo per far sì che ci sia poi un equilibrio. Detto questo, l'allargamento rimane obiettivamente il nostro strumento più forte di politica estera, perché è quello che ha una capacità di trasformare più fortemente, in maniera più profonda, i nostri vicini. Il passaggio, se vuole, interessante di questi ultimi tempi è che abbiamo capito che non possiamo fare un allargamento in cui prima non c'è nulla e poi c'è tutto, che è stato un po' il problema, che ha bloccato anche per dieci anni il processo di allargamento, che adesso invece è onestamente ripartito in maniera vera. E quindi stiamo progressivamente parlando di integrazione progressiva di questi paesi dell'Unione Europea, cioè come aprire ai programmi, come aprire a quelli che sono anche dei benefici di partecipazione al mercato interno dell'Unione Europea. E questo è un passaggio importante. Come passaggio importante è l'accompagnamento economico che cerchiamo di dare a questi paesi perché possano svilupparsi autonomamente durante il periodo del negoziato. C'è un'ultima cosa che secondo me è anche importante dire. L'allargamento è un processo, è una strada a doppio senso. Noi dobbiamo volerla e dobbiamo sostenere effettivamente i paesi in questo processo. I paesi devono volerla. E questo è un altro punto fondamentale. E vediamo i nodi che abbiamo adesso in Serbia, per esempio, con le ambiguità sull'atteggiamento nei confronti della Russia o della Cina, in Georgia, la situazione che stiamo vivendo in questi ultimi giorni, che hanno un impatto anche sul processo e su come sviluppiamo questa politica nei confronti di questi paesi. Però c'è una, io credo che continui ad essere uno strumento di grande importanza, di grande rilevanza, che è il grande potere di attrazione dell'Unione Europea, la sua capacità di costituire un modello, anche se ormai non si può troppo più dire, perché non so se è politicamente corretto, però un modello abbastanza unico di libertà economiche, civili, sociali, che non tutti gli altri continenti sono riusciti a raggiungere. Posso aggiungere proprio, guardate che si è parlato tanto di esportazione della democrafe, è l'unico caso questo, perché, come ha detto Saligno, non è stata un'esportazione. Ce l'hanno richiesta e noi abbiamo aderito. L'altra cosa impressionante, qualcuno ha detto che l'abbiamo fatta in fretta, era l'unico momento in cui si poteva fare, perché allora non si poteva fare allargamento, urtando la Russia. Abbiamo fatto allargamento con la Russia che sostanzialmente Putin, ti ricordo bellissimo, ci diceva, va beh, allargamento fate quello che volete. Il mio problema è che io non abbia lanato ai miei confini. Allora in quel momento la storia passa un attimo e noi, pam, invece di 6, 7, 10. Adesso viene riconosciuto che abbiamo fatto bene, però, come ha detto Saligno, la seconda tappa è una tappa assolutamente diversa, perché c'è una Russia diversa, ci sono tensioni diverse e allora va gestita politicamente. È uscito un libro di Silvigular sull'allargamento, dice, il titolo, l'allargamento lo dobbiamo fare, ma in modo che non scoppia, no? Come fosse un pallone che non deve scoppiare. E questo credo che sia la cosa da fare, quindi obbligarci a cambiare noi e farlo in modo da non creare conflitti e tensioni. Anche senza sottovalutare i messaggi che arrivano da questi paesi, come dicevi, da Serbia, Georgia, ecc. Proviamo a guardare la nostra Europa da una viciella spaziale. La nostra Europa ha dall'altro lato dell'Atlantico l'alleato storico, ma con un punto di domanda il ritorno di Trump con i suoi dispetti, la possibile ritorno. Dall'altro lato, a Oriente, abbiamo una guerra calda, una guerra combattuta con la Russia, che è stata un partner economico importante in questi anni. Sotto abbiamo le tensioni in Medio Oriente e più lontano Oriente con la Cina c'è una situazione molto particolare e proviamo a riavvolgere insieme il film. Cinque anni fa c'è Trump alla Casa Bianca, Trump alla Casa Bianca che inizia, ancora Trump alla Casa Bianca, che inizia una sua battaglia in solitario contro la Cina, dicendo la Cina distrugge l'America, la Cina i dazi, Huawei, le sanzioni, la Cina, la Cina. E noi europei guardiamo e diciamo, ma noi non vogliamo entrare in questo gioco, è un problema dell'America la competizione con la Cina, noi europei facciamo affari con tutti perché facendo affari il mondo migliora. Poi arriva Biden alla Casa Bianca, c'è la guerra in Russia, la Russia invade l'Ucraina e lentamente, c'è qualcosa che sta succedendo il sottofondo, lentamente ma inesorabilmente quel confronto America-Cina che noi vedevamo con distacco, tanto è vero, ce lo ricordiamo, poco prima che arrivasse Biden tedeschi e francesi spingono per un accordo industriale con la Cina, che diventasse ancora più un partner, pochi giorni prima che arrivasse Biden alla Casa Bianca sul titolo di Koda, ma lentamente, lentamente la Cina diventa anche il nostro nemico, il nostro nemico economico, l'America mantiene i dazi, mette ora dazi sulle automobili elettriche e noi stiamo discutendo, lo chiamiamo the risking, lo chiamiamo autonomia strategica, ma siamo anche noi facendo le cose che fa l'America. Presidente, è un percorso logico, è un pericolo davvero così minaccioso la Cina, come molti credono, stiamo seguendo un po' troppo l'amico americano che ci porta nella sua partita contro il suo competitore strategico del futuro, cosa, lei è un grande conoscitore della Cina da sempre? È proprio quello su cui sto tentando di capire, e quando dico tentando di capire vuol dire che non ho capito del tutto, però, allora, prima di tutto, Trump ha iniziato una tensione politica molto forte e un disaccordo economico, Biden sull'economia ha seguito Trump pari pari pari e l'ha aggravato recentemente, allora Trump, che ormai lo spirito interno anticinese degli Stati Uniti è così forte, ha addirittura detto che farà delle misure ancora più dure quando verrà, quindi il problema dell'isolamento americano è un problema reale, proprio perché è nella campagna di tutti e due, e Biden ha aggiunto anche delle misure economiche molto forti, un programma che si chiama IRA, che in teoria si chiama Inflation Reduction Act, con la riduzione dell'inflazione oriente che fare, solo suscita all'imprese, quindi è tornato il protezionismo. Allora, la politica americana è definita, la politica europea è meno definita, ma perché noi siamo in condizioni diverse dagli Stati Uniti e diverse fra paesi e paese, ed è interessantissimo il dibattere in questi giorni, il colloquio fra tedeschi, fra cancelliere Xi Jinping e presidente francese Xi Jinping, sono due linguaggi assolutamente diversi, e in Europa è diverso il linguaggio delle imprese rispetto al linguaggio dei governi, cioè in poche parole la Volkswagen, la BMW, la S3 hanno cominciato a spostare in Cina centri di ricerca, di innovazione, perché? Perché nell'automobile elettrica la Cina è molto più avanti, non c'è mica niente da dire, tecnicamente la Tesla e quelli americani, ma con costi infinitamente più alti e poi con una gamma di avanzamento molto più ristretta, cioè sta succedendo quello che è successo per il solare, in cui sostanzialmente i cinesi hanno preso il mercato mondiale, non c'è pannello solare che non sia cinese, 93%, 98% adesso, oh benissimo, mi corregge sempre Sanlino. Allora, cosa sta succedendo? Sta succedendo che gli imprenditori tedeschi dicono no, il mercato cinese ci interessa, perché la Volkswagen, il leader di mercato fino a pochi anni fa dell'automobile in Cina si chiamava Volkswagen, che non è un nome cinese proprio, no? E tuttora i grandi tedeschi hanno grande interesse, quindi comincia una collaborazione. Allora è chiaro che noi abbiamo da un lato le imprese che non amano d'azzi molto elevati, dicono, ma sì, mettiamo un po' di dazietti con la Cina, ma noi dobbiamo operare. I governi invece spinti sia dagli americani, soprattutto agli americani, ma anche da una certa opinione pubblica che ha paura di perdere l'industria dell'automobile, sono molto più prudenti, quindi abbiamo questo conflitto. Cosa ha fatto la Presidente della Commissione Europea? Ha riviato il problema, ha detto, facciamo una commissione di analisi e a settembre decideremo. E quindi vediamo come sarà la posizione futura, ma è molto interessante perché guardate che con i panelli solari noi abbiamo sostanzialmente chiuso un settore enorme all'industria europea. Allora c'è il rischio che avvenga sìmene nel settore dell'automobile. E c'è la posizione di governo, perché tendono più alle imposte? Perché dicono no, è meglio costringere i cinesi a fare le fabbriche d'Europa. Allora vedremo a settembre se comincerà, come io ritengo assai probabile, la concorrenza fra paesi europei per attirare le imprese cinesi. E qui scientificamente parlando sarà un gran casino. Presidente, Presidente, ma abbiamo un napoletano nel panel, non so di napoletano, ma c'è un'espressione napoletana che diceva che farà muina, quelli che sono a poppa vanno a prua e quelli che sono a prua vanno a poppa. È una cosa di surreale, i tedeschi vanno a produrre le auto in Cina e non vogliono i dazi sulle auto cinesi. Allora i cinesi vengono a produrre le auto in Europa. Il contrasto fra governo e imprese è interessante. E c'è già la gara. Se posso interviene, perché obiettivamente, abbiamo parlato delle preoccupazioni, tu dici che il continente sveglia una notte, però è vero che come noi gestiamo il rapporto con la Cina determinerà il futuro della nostra economia, globalmente il futuro, il nostro futuro. Ed è un enorme complessità perché c'è un problema di fondo, lo metto in maniera molto semplice, che è quello della fiducia. Manca nei confronti della Cina la fiducia per come la Cina può utilizzare la sua forza economica. È interessante vedere che negli ultimi anni il livello degli investimenti europei in Cina non si è ridotto, ma non ci sono nuovi investimenti, sono reinvestimenti delle grandi imprese tedesche, essenzialmente del settore automobilistico e della chimica, che sono i due grandi settori. E su quello hai ragione, perché c'è effettivamente una tensione molto forte. È una delle poche cose che l'Unione Europea non abbia fatto male. Come gestire il rapporto con la Cina? Perché abbiamo guardato la complessità e abbiamo detto che dobbiamo gestire questo rapporto che ha dei punti di collaborazione, dei punti di concorrenza, ma anche dei punti di frazione nella visione del mondo. Perché la visione europea dei diritti non è la stessa che hanno i cinesi. E i cinesi hanno una forza per poter esportare la loro visione. Quindi abbiamo cercato di articolare tutto questo, però è vero che mentre quello che diceva la von der Leyen dell'idea del de-risking, cioè di ridurre l'esposizione, la sovraesposizione in alcuni settori particolarmente critici, non è stato accompagnato dalle imprese che invece vogliono continuare a fare affari e che ci continuano a guadagnare molto. Però è anche vero un problema quello che è successo nel settore energetico, che poi i guadagni sono per le imprese, ma le eventuali perdite sono per le società. Quindi c'è una questione di trovare un punto di equilibrio, ma se tu guardi quello che noi abbiamo fatto di come gestire il rapporto con la Cina, c'è effettivamente un gap tra la parte pubblica e la parte privata. Prima Magri ha detto che c'erano state delle trattative. Qui è interessantissimo, i problemi con la Cina sono enormi, c'erano state 6-7 anni di trattative per fare non tanto un accordo, ma una specie di programma futuro di avvicinamento dei modi di procedere. Non si era mai arrivati a una conclusione. Poi nell'intervallo fra Trump e Biden, sono tre mesi, non si vota novembre e il Presidente entra in carica a gennaio, la Merkel furbettina, porta avanti questo qui e fa provare in modo da fare un concetto. Poi in modo da avere una prospettiva, soprattutto tedesca, che è l'unico grande Paese che è un attivo nella bilancia commerciale con la Cina, per portarla avanti. Arriva Biden, pacch! Questo tutto si rompe, anche poi perché i cinesi hanno cominciato a fare delle sanzioni contro i parlamentari europei, ma è ricominciata. È interessante che l'unico punto di avvicinamento fu nell'intervallo fra i due Presidenti. Un punto di inflessione importante è stato nel momento in cui ci siamo tutti resi conto che il governo, particolarmente la CCP, interveniva nell'economia in maniera politica. Perché non c'era più un accordo. Il grande patto che c'era stato tra non mi disturbate politicamente, ma in economia fate quello che volete, è stato rotto. Ragazzi, salto una domanda, rispettiamo i tempi. Volevo dire ai tanti ragazzi in sala, che qualcuno di voi sta pensando, adesso comincia l'ora dell'intervallo, queste politiche industriali, quello di cui stiamo parlando, tocca il tema che sta più a cuore a noi e a voi, che è la transizione energetica. Perché dobbiamo essere molto onesti. Se l'Europa o l'America decidono nei prossimi giorni e settimane di boicottare con dazi enormi i pannelli solari cinesi o le auto elettriche cinesi, noi rallentiamo la transizione energetica. Perché il costo, il tempo in cui le industrie europee americane recuperano sulle auto elettriche, sui pannelli, per metterli sul mercato a un prezzo competitivo, è molto lungo, oppure li vengono venduti a un prezzo molto alto. Quindi le proteste che già ci sono sulla transizione energetica, perché costa di più, saranno ancora più forti. Quindi noi andiamo contro a un rallentamento della transizione energetica. Non stiamo parlando solo di politica industriale. Scusa Liliana. Ma c'è anche un aspetto di difesa. In questa conversazione manca completamente, quindi ve lo chiedo io, l'aspetto Taiwan. Se qualcosa dovesse accadere, siamo al secondo giorno di queste esercitazioni punitive così definite da Pekino nei confronti del presidente indipendentista lai di Taiwan, quanto è importante per l'Europa quello che avviene a Taiwan? Potrebbe cambiare l'approccio? Perché poi per l'America è importantissimo e quindi sicuramente irrigidirebbe o meno e segue questa... A noi interessa, all'Europa interessa e quanto? Ne sa più lui di me, però... Aspetti aggiungo un'altra cosa... Sono commentissimo proprio la cosa. A Taiwan tutti prendono tempo. Ognuno pensa che la guerra cominci domani e invece a Taiwan la Cila ha bisogno di tempo, gli Stati Uniti hanno bisogno di tempo, non succede niente. Questo è quello che io penso. Forse, anzi, credo che tu non sia d'accordo. No, non sono d'accordo. C'è la situazione, la preoccupazione, a parte la politica che abbiamo seguito da tempo di avere, una politica che riconosce che ci sia una sola Cina, ma che riconosce anche la possibilità per Taiwan di poter continuare a essere, a poter esercitare i propri diritti democratici e lo abbiamo visto anche durante le elezioni. È un esempio di democrazia da questo punto di vista. Grande partecipazione, fair play tra i contendenti. Il grande interesse è che Taiwan è il più grande produttore di chip mondiale. E quindi anche lì c'è una tendenza strategica fondamentale. Seconda cosa, per il stretto della Cina, per il mare del sud della Cina, passa più di un terzo del commercio mondiale, incluso quello che va verso l'Europa. Quindi anche per l'Europa è importante quella dimensione. Io ormai sono convinto di una cosa, che non c'è un settore nel mondo che non sia importante per tutti. Quello che succede nelle isole Salomone, che non tutti hanno presente, è fondamentale. È la Cina che sta cercando di trovare il modo di poter entrare in una parte del Pacifico dove fino ad ora non è mai stata. Quindi c'è un interesse globale di tutti su tutto. Perché i teatri di sicurezza si sono uniti. Paralossalmente abbiamo perso la globalizzazione economica, abbiamo raggiunto la globalizzazione politica di sicurezza. C'è un interesse molto forte da parte di tutti. E dobbiamo in qualche misura anche lì, non solo in disarco, anzi penso che tu abbia ragione, è vero che tutti cercano in qualche modo semplicemente di lasciare che le cose non cambino. Cioè di tenere una situazione di un equilibrio. Gli stessi taiguanesi, che da un certo punto di vista continuano a dire, perché non ci invadano e perché non ci sia una forza, una invasione fatta con la forza, per noi va bene così. E questo è quello che stiamo cercando di fare. Ma fa parte della complessità di come gestire il rapporto con la Cina. Adesso io vorrei chiedere, so che c'è una domanda dal pubblico e vediamo se riusciamo a far arrivare il microfono qui in prima fila. Buongiorno a tutti, anzitutto grazie per questa opportunità e per l'interessantissima discussione. Buongiorno, mi perdonerete l'emozione. Io volevo un attimo riportare l'attenzione su un argomento che avete toccato, che è quello dell'allargamento nei balcani occidentali, perché mi ha interessato sentire come si parlasse di un allargamento facile. Eppure mi sembra che il ruolo della Serbia sia quasi di un paese che sta cercando di sfruttare la sua posizione nel mezzo. Un po' con l'Europa, un po' con la Serbia, è consapevole del fatto che fino a quando la questione Kosovo non verrà risolta, non si faranno seri passi avanti, e questo porta anche un abbassamento nella credibilità che l'Unione Europea ha nella regione. Visto che l'Italia si è recentemente anche fatta avanti nel ruolo di mediatrice con l'Albania, ma anche con Kosovo, storicamente ci sono dei rapporti culturali, secondo voi il nuovo mandato, il nuovo parlamento, la nuova commissione che si insederà a partire dalle prossime lezioni, cosa dovrà effettivamente fare per riacquisire credibilità? Lo chiedo da un punto di vista giornalistico, accademico, di think tank e di diplomazia, perché penso che ci siano sfaccettature diverse. Grazie. Servirebbe tutta l'ora, quindi lascio... Non mi rispondo solo un aspetto, poi Sanino chi è lì là, quando io dico in fretta, dico, ma ogni giorno che passa la Serbia si sposta sempre più verso oeste, ma dico, un anno o due anni fa erano tutti entusiasti di vivere in Europa, poi ci incischiamo, te diversiamo, pensiamo, discutiamo, eccetera, questi ad agio ad agio, la Russia corteggia, ad agio ad agio, l'opinione pubblica serba cambia, allora cosa aspettiamo? Quando io dico in fretta dico, ragazzi, le cose quando la storia ha dei passaggi stretti, tre li passano una volta sola, o lo facciamo o non lo facciamo, e quando la Francia ha fermato il primo passo, il cominciare a negoziare con la Baccadaria del Nord e con l'Albania, dico, Dio, siamo alle solite, allora noi dobbiamo fare in fretta se lo vogliamo fare, se non lo vogliamo fare, la Serbia, un'anomalia in un quadro e una tensione nella ex-Yugoslavia che continua, andiamo avanti con l'incertezza, questo è quello che io penso. Sì, c'è un elemento, lo ricordavo anche prima, c'è un elemento di ambiguità nella posizione serba, lo dico sinceramente, infranto come direi, l'allargamento, ma ne sono occupato molto professionalmente, se c'era un paese dei Balcani che tutti volevano dentro, incluso la Francia, il momento in cui ha bloccato i processi era la Serbia, e lì le ambiguità anche da parte serba sono state molto forti, e c'è stato un po' questo tentativo di ritornare a una specie di posizione centrale stile tito, paesi non allineati, un po' con la Cina, un po' con la Russia, un po' con l'Unione Europea, e questo non ha facilitato le cose, non soltanto la definizione dei rapporti tra Belgrade e Pristina, ma anche la volontà, la determinazione di andare in maniera più decisa avanti sul processo di integrazione europea e di definire qual è il posizionamento. E lì, ripeto, forse delle ambiguità ci sono state, e ci sono ancora e devono essere risolte. Non è un caso che quando guardiamo all'allineamento della Serbia sulle posizioni prese dell'Unione Europea in politica estera, il tasso di allineamento è al di sotto del 50%, mentre altri base dei Balcani sono al 90-95% o addirittura al 100%. E quello dicevo per questo, una strada un po' che va nelle due direzioni, e c'è bisogno che sia l'una che l'altra parte abbiano voglia di farlo. Quello che è vero, e su questo sono assolutamente d'accordo con il presidente Prodi, è che per molti anni, per una decina di anni circa, noi abbiamo fatto finta di voler allargare e gli stati di questa regione hanno fatto finta di fare riforme. E una delle cose, capisco che con dettaglio tecnico, ma non è indifferente perché le parole contano e pesano, sotto la commissione Prodi c'era ancora una direzione generale che si chiamava allargamento, e che faceva questo, cioè negoziava l'allargamento. Da 10 anni questa direzione generale è sparita e c'è una direzione che si chiama vicinato. Come cambiano le cose? I nomi definiscono. Dobbiamo citare Moretti. Allora io credo che siamo arrivati al termine del tempo a nostra disposizione. Mi ringrazio a tutti i presidenti, un'ultima domanda, one shot per lei. Le sfide per l'Europa sono tante, qualcuno l'abbiamo affrontata adesso, tante altre sono aperte. Se lei potesse scegliere con la bacchetta magica chi guida la prossima commissione europea, chi sceglierebbe? Il cognome non lo so, il nome si chiama Ursula. Probabilmente, diciamo così, 50% dei casi. Se viene un impasse può essere chiunque. Nell'attuale situazione io credo che in questo caso avrebbe, la scelta sarebbe per un ulteriore mediatore. Questa è la mia paura. Però siccome il prossimo presidente deve essere approvato con voto segreto dal Parlamento, anche per esperienza personale il voto segreto è il luogo della vendetta. Grazie. Ragazzi basta. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie.
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