Imprese, responsabilità sociale e sviluppo territoriale
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Imprese, responsabilità sociale e sviluppo territoriale
L'evento "Imprese, responsabilità sociale e sviluppo territoriale" esplora il ruolo sociale delle imprese nel supportare il terzo settore e lo sviluppo locale. Si discute l'importanza della collaborazione tra profit e non profit per la creazione di un ecosistema economico e sociale sostenibile e inclusivo.
Cercavo il futuro. Volevo doccare il cambiamento. E un giorno mi sono guardato attorno. E ho visto una città, la sua storia. Una storia che non accettava limiti. Che non voleva barriere. Che guardava oltre. E poi ho visto una comunità. Che si è unita nell'acqua, nel fame. Tra le speranze e i diritti. E ha creduto alla solidarietà. Alla condivisione. E allora ho cercato per le strade tutto questo. E ho incontrato una persona. Poi un'altra. E li ho visti essere presenti. Con la loro attenzione. Con il loro tempo. Per tutti. E sai cosa? Ho vissuto esserci anch'io. E ho visto un sorriso. Poi un altro. E poi il mio. E allora ho capito il cambiamento. Il futuro. È questo. È energia che si trasforma in cura. In sostegno. E costruire un presente di tutti più giusto. Più equo. E oggi siamo tantissimi in queste stesse strade. Per una comunità che diventa sempre più grande. Per un territorio che crede sempre di più ai valori. E siamo così tanti. Che quasi questa non è più solo una città. Oggi siamo una capitale. Buon pomeriggio a tutti. Imprese, responsabilità sociale e sviluppo territoriale. Di questo parleremo oggi. Mi chiamo Andrea Biondi. Sono giornalista del Sole 24 ore. E saluto gli ospiti con cui discuteremo di questa tematica. Oggi saluto Anita Penati. Direttrice generale della Fondazione Caritro. Abbiamo Alessandro Bitteleri. Dipendente ITAS MUTUA e segretario di ITAS Solidale. Marcello Casamenti, agente ITAS e vicepresidente del gruppo. E Paolo Venturi, direttore di ICON. Allora, parliamo di questa tematica. Imprese, responsabilità sociale e sviluppo territoriale. Lo facciamo nel centro congressi della compagnia sicurativa più antica d'Italia. Siamo a oltre 203 anni. Se la memoria non mi ingrativa. E' una città che è molto importante. Quello dell'impresa, della responsabilità sociale e dello sviluppo territoriale. Che sono evidentemente intrecciate. La prima domanda alla Fondazione Caritro, è che la Fondazione Caritro è una città che ha avuto una grande città che ha avuto un'autorezza e che ha avuto un'autorezione molto grande. E' una città che ha avuto un'autorezza molto grande. E' una città che ha avuto un'autorezza e che ha avuto un'autorezza molto grande. La prima domanda la faccio a Marcello Casamenti. E' una mutua, una delle due mutue in Italia. Ha anche questa struttura particolare. Che significa anche una responsabilità particolare nei confronti dei clienti e degli assicurati. Nel suo statuto prevede che una parte degli utili generati dalla compagnia siano reinvestiti proprio per sostenere le comunità e i territori in cui la stessa compagnia opera. In che modo e con quali strumenti? Ci spieghi un po' qual è l'attività. Se lei permette, chiedo scusa a tutti, la prenderei un po' alla varga. Come no? Per poi arrivare all'acquisito che mi ha posto. Siccome siamo in questo tavolo due romagnoli, casualmente, vorrei partire da alcune esperienze romagnole che parlano di impresa. La prima è dei genitori di Paolo Cevoli. Immagino a tutti di conoscere Paolo Cevoli, un comico. È diventato famoso col personaggio di Palmiro Canzini, l'assessore alle varie eventuali del comune di Roccofritto. I genitori di Paolo Cevoli, che ha i dirimini, nel primo dopoguardo hanno aperto una pensioncina. Poi la pensioncina è diventata un albergo e sono cresciuti, eccetera. Paolo Cevoli dice che quando chiedevano a suo babbo, che era comunque un imprenditore, un piccolo imprenditore, qual era il motivo per cui lui continuava la sua attività, cosa gli piaceva della sua attività, lui diceva, io sono contento, sono soddisfatto, se i miei clienti stanno bene. Quindi è chiaro che lui lavorava per produrre reddito, per produrre profitti, però il suo piacere, il suo fine era far star bene i suoi clienti, le persone che gli anni in anno ritornavano nella sua pensione, nel suo albergo. L'altro personaggio, questo l'ho conosciuto, è un altro imprenditore della Riviera, uno dei più grossi imprenditori nel settore alberghiero, si chiamava Battani, bravo, Antonio Battani. Battani, la cui famiglia è originaria di Bagno di Romagna, quindi dentro terra romagnola, in mezzo alle montagne, bellissime, la sua famiglia erano contadini, sono venuti giù nel dopoguerra, come è successo con tantissime altre famiglie, e lui è diventato pian piano un imprenditore nel settore dell'otellerie. Era proprietario del grande hotel di Rimini, del grande hotel di Cesenatico, l'hotel Palace di Milano Maritimo, gli hotel più prestigiosi della Riviera. E, fra le altre cose, aveva costruito un hotel anche a Dacquapartita, sopra il Bagno di Romagna, dove abitavano i suoi genitori, un posto dove non c'è niente, proprio niente, un paio di hotel, un laghetto, e ci vanno i pensionati, quindi persone abbastanza anziane, durante l'estate. E io ci andavo perché mi suosera andava lì con i bambini, la domenica andava a trovarla. E la domenica arrivava Antonio Batani, col suo fuoristrada, e scaricava in questo hotel ogni, benedì, frutta, verdura, tutta roba fresca che produceva lui. Perché, mi ha spiegato poi, i suoi ospiti, anche se, fra virgolette di serie B, avevano diritto al miglior trattamento come se fossero stati al grande hotel. Questo per dare un senso, per dare un'idea di cosa vuol dire fare impresa in un certo modo, con l'attenzione al territorio, con l'attenzione al benessere comune, con l'attenzione ai propri dipendenti. Quindi è un modo di fare impresa che, insomma, ha fatto la fortuna per altre cose di tutta la nostra riviera. Perché noi non abbiamo niente, però abbiamo solo questa capacità di relazione con il prossimo. Il terzo esempio, sempre sull'Omognolo, è personale. È personale perché io ho 65 anni, purtroppo, però ho avuto la fortuna, come tanti altri, di vivere degli anni straordinari, erano gli anni 70, anni di un fermento culturale pazzesco, anni complicati, ma anche veramente meravigliosi da certi punti di vista. E anche gli anni del postconcilio, per cui la Chiesa si è aperta al mondo. Sono nate delle esperienze bellissime. All'epoca frequentavo le parochie, poi ho fatto servizio civile, e lì ho incontrato il mondo della disabilità. Prima, i disabili, non so se vi ricordate, erano, se andava bene, gli handicapati, oppure, in certi casi, i subnormali, quindi persone, neanche di serie B, di serie C. Quando io mi sono avvicinato a questo mondo, e ho scoperto, fra l'altro mi vergogno ancora di quello che pensavo io all'epoca, anch'io pensavo che fossero persone di serie C, e quando ho scoperto questo mondo, e ne ho scoperto la ricchezza, ho scoperto il fatto che con persone disabili, con persone svantaggiate, si poteva rapportare serenamente, si poteva andare in vacanza. A volte mi accorgevo che era molto più quello che mi veniva trasmesso, che non l'aiuto che io potevo dare, che evidentemente era solo un aiuto, un supporto. E quindi ho scoperto un mondo, e devo dire che mi ha fatto diventare una persona migliore, non per merito mio, per merito loro. Tutto questo mondo qui, poi, e è partito da quegli anni lì, sono nati le associazioni, sono nati le cooperative sociali, sono nati tutte quelle organizzazioni e quelle strutture che oggi offrono un servizio fondamentale alla nostra società. E questo è tutto il mondo del Terzo Settore. E questo mondo, il Terzo Settore, che è diventato un pilastro fondamentale non solo del nostro vivere ma anche della nostra economia, solo per dare qualche numero, poi magari Paolo Venturi sarà più preciso, è un mondo fatto da 350.000 associazioni, da 110.000 cooperative sociali, da 4-5 milioni di volontari che quotidianamente si dedicano al prossimo, da un impatto sull'economia che vale il 4% del PIB. Eccoci. E qui finisce il fatto di prenderla alla larga per entrare nel merito, invece, della nostra compagnia. Però l'è rimasto poco. Velocissimo, magari lo posso riprendere nella seconda parte. ITAS ha una storia di 220 anni arrotti. È nata come mutua, una mutua sicuratrice. E in 200 anni non ha mai cambiato la propria forma societaria. Mutua sicuratrice cosa vuol dire? Vuol dire che chi si assicura in ITAS non è un cliente, ma automaticamente diventa socio della compagnia. Attraverso il premio, una parte del premio che viene pagato in ogni polizia, fa parte del capitale sociale, va ad aumentarlo, e chi stipola contrari con noi diventa uno socio. Il fatto di essere socio è fondamentale. Cambia completamente la visione del rapporto fra l'impresa e la persona. Perché se tu sei un cliente, io posso anche guardarti come se tu fossi un po' lo. Nel senso che se sei un cliente, vediamo se posso togliere qualche penna delle tue piume. Se tu sei un socio, io devo avere un atteggiamento completamente diverso. È proprio un modo di guardare all'attività lavorativa che cambia. Il socio fa sì che io debba trovare per te le migliori soluzioni per darti protezione, perché il mio mestiere è proteggere. Protegge di patrimonio, protegge il capitale, protegge le persone. E devo trovare il miglior modo di darti queste protezioni, queste soluzioni. Se tu sei un socio quando hai un sinistro, io devo essere lì, devo essere vicino per fare in modo che tu riceva la miglior liquidazione per il tuo sinistro. Che non salti fuori qualcuno che mi trova, come dice Fabrizio Lorenz, l'articolino scritto in piccolo per cui ti nego una liquidazione. È un modo di vedere le persone che si rapportano con noi completamente diverso. Essere una mutua significa anche esprimere solidarietà. Non ci piove, perché i soci assicurati si mettono assieme per un sentimento di solidarietà. Perfetto. Benissimo, ci torniamo poi in un secondo momento. Bitteleri, volevo affrontare una questione particolare, la riforma del terzo settore. La riforma del terzo settore ha aperto delle prospettive chiaramente per le assicurazioni. In che modo i Tasmuto ha accolto questa opportunità? Per essere più vicini al mondo del sociale, al territorio e alle comunità. Mi collego a ragionamento fatto da Marcello poco fa. L'articolo 2 dello statuto di Tasmuto prevede proprio che al fianco dell'identificare delle soluzioni assicurative per i soci ci sia anche lo scopo di migliorare le condizioni culturali, sociali ed economiche dei soci e dei territori di riferimento. Questo in un'ottica evidentemente mutualistica. Quindi l'obiettivo di Tasmuto in questi termini è quello di semplificare il più possibile la vita degli enti del terzo settore costruendo delle soluzioni assicurative complete e che quindi rispondano anche agli obblighi assicurativi derivanti dal codice del terzo settore e che, faccio un piccolo escurso, sapeva proprio questo come obiettivo principale, quello di raccogliere in un unico trattato normativo tutte quelle leggi e le giuncole che erano contenute in gazzetta ufficiale nei posti più disparati. Raggiunto in parte, a nostro modo di vedere, però comunque vive della stessa idea che Itasmutua ha, cioè fornire delle coperture assicurative complete ma allo stesso tempo dinamiche e flessibili. Ne è un esempio il recente lancio di un prodotto, i Tasgiv, che permette agli enti del terzo settore di assicurare i cosiddetti volontari occasionali. Marcello prima ha citato 5 milioni circa di volontari. Non tutti questi svolgono volontariato in maniera strutturale. Molti di loro vengono a conoscere il terzo settore o l'amplio un po' il modo del no profit da la loro cerchia amicale, da qualche conoscente e magari partecipano a una sola iniziativa di volontariato di qualche ente. Ecco, i Tasgiv ha proprio l'obiettivo di permettere agli enti del terzo settore di assicurare anche una sola persona e anche per una sola giornata. Quindi un prodotto dinamico e flessibile di Instanti Insurance, che è anche il primo lanciato in Italia, pertanto scendendo nel concreto ci permette di essere vicini al mondo del terzo settore. Chiaramente, qui ho parlato della prima parte del nostro articolo 2 della Statuto. Nella seconda parte c'è l'idea che ITAS Mutua ha avuto di sposare un'iniziativa nata dal Basso, ormai nel 2006, nata da un comitato informale di dipendenti, che hanno deciso di costituire un fondo di solidarietà per sostenere dei progetti del mondo del no-profit. ITAS Mutua ha accolto quelle che erano le dinamiche positive che partivano da questa iniziativa e ha deciso di contribuire raddoppiando le quote dei dipendenti. Nel 2012 si sono aggiunti gli agenti sia dal punto di vista di sostegno economico che dal punto di vista di proposta a livello progettuale, permettendoci di andare in maniera capillare sul territorio. Questo ha fatto di ITAS Solidale nel 2019 una associazione a tutti gli effetti, quindi abbiamo dato una forma giuridica a quella che era un'iniziativa informale. Nel 2020 abbiamo assunto la qualifica di Onlus e poi nel 2023 quella di Ente del Terzo Settore. ITAS Solidale lavora su tre direttrici principali, una è quella storica, che è il fondo di solidarietà. C'è poi un bando, Energie di Comunità, giunto ormai alla terza edizione, che ha sostenuto più di 20 progetti con 200.000 euro, circa, di sostegni concreti ad associazioni che avevano deciso di partecipare a questo bando. E c'è poi purtroppo, mi viene da dire, il sostegno delle emergenze che in questi ultimi anni hanno veramente contraddistinto la nostra azione come ITAS Solidale. ITAS Mutua è stata molto vicina, fin dal terremoto del centro Italia, diciamo, è stata la prima iniziativa sua matrice e poi andando avanti con la pandemia fino ad arrivare alle più recenti la guerra in Ucraina. Se ho un minuto mi piacerebbe citare un esempio di iniziativa che abbiamo svolto, sia nell'estate del 2022 sia nell'estate del 2023, oltre 50 ragazzi ucraini con i loro accompagnatori hanno avuto la possibilità di vivere qualche giorno di serenità, di normalità, sulle rive del lago di Caldonazzo, qui proprio in Trentino, al villaggio SOS Feriendorf. È stata un'iniziativa complessa da realizzare, guardo nel pubblico anche qualcuno che ha svolto concretamente un lavoro difficile, potete capire a livello logistico, portare tanti ragazzi dall'Ucraina fin qui non è stato affatto banale, ma è stato tutto, lo sforzo è stato ripagato enormemente dagli sguardi, dai visi, dai sorrisi, è stata veramente una bella emozione. Grazie, grazie mille. Anita Penati, direttore generale e direttrice generale della fondazione Canitro. Canitro, esatto. Allora, Trento, capitale europea del volontariato 2024, ci si interroga ancora di più sulla base di questo, sul ruolo dell'impresa a sostegno del terzo settore. Cosa fa la fondazione, come vi state organizzando, quali sono le vostre attività? Grazie a tutti e buon pomeriggio. Sono molto contenta di avere quest'occasione, di raccontare chi è una fondazione di origine bancaria, perché non sempre è conosciuta per la sua reale ruolo che ha all'interno di una comunità. Ancora troppo spesso vengono le fondazioni di origine bancaria confuse con le banche, mentre una fondazione come la nostra è più vicina al mondo del no profit, al mondo del terzo settore. E proprio perché il principale, l'unico obiettivo che scopo che ha è quello dello sviluppo del territorio in cui abita, dello sviluppo della comunità. Questo scopo però lo cerca di portare avanti in modo sempre più adeguato al contesto che cambia, ai cambiamenti e alle urgenze che il contesto ha. Purtroppo gli è rimasta ancora appiccicata quella etichetta di erogatore di contributi, mentre l'erogazione per la fondazione non è più un fine, ma è un mezzo. Un mezzo per portare competenze, per portare collaborazioni, per portare cooperazione, per portare coprogettazione. E questo ruolo va via via crescendo, lo chiede Aglienti con cui insieme sostiene, ma lo chiede anche a se stessa. Ed è per questo che la fondazione ha un ruolo fondamentale all'interno di capitale europea del volontariato. E' dentro nel comitato di scopo di Trento, capitale italiana europea del volontariato, proprio per garantire anche quello che deve essere il giusto riconoscimento del volontariato e anche del volontariato d'impresa. Tra i tanti tavoli su cui sta lavorando con il comune, con il CSV, è quello di gestire un tavolo che possa portare riconoscenza al volontariato d'impresa e strutturazione al volontariato d'impresa. Perché la fondazione crede proprio che ci sia necessità di collaborazione tra un mondo del profit e del no profit. Grazie. Pensiamo che questa collaborazione sia importante. E' importante sicuramente perché il mondo no profit ha bisogno, come dicevamo prima, di competenze. E queste competenze possono proprio venire dal mondo dell'impresa che può dare al mondo del no profit quelle capacità di organizzarsi, di essere più manageriale, strutturarsi e di essere affiancata e diventare quella che può essere un'impresa sociale. Crediamo anche che anche il mondo dell'impresa abbia un beneficio, un beneficio che non si traduce soltanto in un miglioramento sicuramente dell'immagine, in un miglioramento reputazionale. Ma anche sempre più le persone che lavorano all'interno del mondo dell'impresa cercano una riconoscibilità, un allineamento dei propri principi etici, della propria responsabilità sociale. E quindi diventa sempre più necessario per uno e i due mondi avvicinarsi. Poi il dialogo non è facile. Nei vari percorsi che abbiamo promosso all'interno di fondazione per avvicinare questi due mondi ci siamo resi conto delle difficoltà. Perché non è facile? È perché i linguaggi sono molto diversi. I linguaggi sono molto diversi e bisogna trovare sicuramente un vocabolario comune per intendersi. E quindi non sempre, insomma, in alcuni esempi che posso portare del percorso per esempio, accompagnami, che è un percorso di competenze piuttosto che un percorso di erogazione, abbiamo affiancato le imprese sociali con dei professionisti, una rete di professionisti o imprenditori che portavano, a seconda del progetto che veniva sviluppato, competenze di marketing, competenze di finanza, competenze di economiche, competenze di comunicazione. E a volte riuscire anche ad intendersi sui modelli di business, dove i modelli di business possono portare, capire che anche il sociale ha bisogno dei ragionamenti economici non è sempre così scontato. Ancora più difficile quando poi ci avviciniamo a progetti di co-innovazione, quindi vogliamo portare innovazione tecnologica all'interno anche di quello che è il mondo sociale. E quindi ci sono queste letture un po' difficili da parte dei due mondi, ma quando si superano i primi ostacoli, sicuramente si ottengono dei casi di successo. Abbiamo ottenuto nel percorso a Compagnoni, nel percorso nel bando Welfare chilometro 0 e abbiamo anche capito che dobbiamo iniziare a farlo puntando anche sugli studenti. Per cui cerchiamo di far sì e proponiamo agli studenti sia alle superiori che alle università dei programmi che li portino vicini a imparare a essere imprenditori anche per progetti sociali. Lo facciamo con il progetto GreenJob, impresa in azione, alle superiori oppure con un progetto Enatus dove promuoviamo la collaborazione tra studenti universitari, il mondo delle imprese e referenti accademici. Proprio perché crediamo che bisogna iniziare prima a capire quanto il mondo del profit e il mondo del no profit devano iniziare a collaborare, proprio per superare quelle che saranno le sfide del futuro. Grazie mille. Paolo Venturi, direttore di ICON, parte dell'Università di Bologna che si occupa di economia sociale. Che numeri ci sono di questo fenomeno? Anno Iva rispetto al discorso delle competenze della formazione, se non ho colto male il suo feedback rispetto alle cose che diceva la direttrice della fondazione. I numeri rispetto al mondo del terzo settore, un po' li ha dati anche Marcello, stiamo parlando di una pluralità di istituzioni che sono veramente tante, ma il problema non è contarle, è pesarle. Noi adesso stiamo parlando di sviluppo. Cosa tiene insieme la fondazione, il volontariato, le imprese rispetto al tema dello sviluppo? La prima cosa fondamentale, prima di entrare sulle competenze, ha a che fare con l'identità. Se vogliamo sviluppare un territorio è necessario che questo abbia un livello minimo di biodiversità. Non esiste sviluppo senza biodiversità. Cosa voglio dire? Voglio dire che se ci fosse la più grande impresa del mondo, più efficiente del mondo, in un territorio, quell'azienda pur cubando tantissimo PIL non lo sviluppa quel territorio. Perché? Perché la categoria dello sviluppo non si misura in termini appena di capacità di aumentare le transazioni economiche. La parola sviluppo significa togliere i sviluppi, significa aumentare la libertà, potenziare l'espressività delle persone. Marcello parlava di far star bene le persone. E quindi il tema dello sviluppo ha a che fare con la biodiversità, ha a che fare con la diversità, ha a che fare con la libertà, Marti Assent ci insegna. Ha a che fare con il dono. Cosa c'entra il volontariato con lo sviluppo? C'entra tutto. Perché senza capitale sociale non c'è sviluppo. E il capitale sociale cos'è? È fiducia. Paradossale che se ne nutrano i mercati che cos'è lo spread se non il costo della sfiducia. Pensate quanto impatta sulla finanza lo spread. E quanto impatta invece uno spread positivo, cioè il capitale sociale, la fiducia in un territorio. Ancora molto poco. Allora per fare questa azione qui, prima cosa bisogna mettere sul territorio un numero significativo di soggetti diversi. Soggetti diversi che fanno, perché il caso di ITAS, il caso delle fondazioni di origine bancaria, racconta di istituzioni che al di là di quello che fanno è importante come lo fanno. E quindi c'è questo tipo di diversità. L'altra cosa che secondo me è rilevante, che mi insegnavo e che mi ero segnato ascoltando appunto quello che diceva Anita, è il tema del territorio. Scusate però, non voglio fare i professori qui, che cos'è il territorio? Allora, il territorio ci sono due logiche con cui in qualche modo vengono prese, vengono sviluppate le politiche per lo sviluppo territoriale. La prima è quella che considera il territorio de Matteis e Magniaghi come una costruzione sociale. Cioè il territorio è sostanzialmente un'infrastruttura sociale. Anzi, poi Magniaghi lo spiega e dice che è un sistema vivente. Cos'è un sistema vivente? Un sistema che o lo tieni vivo o muore. Oppure c'è un'idea del territorio molto più statica. Il territorio è una geografia oppure l'insieme di un ente amministrativo. Amici miei, a seconda del modello che prendiamo di territorio si fanno cose diverse. Ma ci sono anche... e quindi molti dei nostri problemi non sono la mancanza di risorse, ma l'incapacità di capire che cos'è il territorio. Perché se uno trattasse il territorio per quello che è, cioè una costruzione sociale, capirebbe quanto è importante una mutua, una fondazione, ma anche delle imprese. Cioè quanto è importante costruire un sistema. Costruire, diciamo, un sistema, qualcosa che in qualche modo è interdipendente. La parola ecologia secondo me è una delle cose più adeguate. Nel senso che l'ecologia ha a che fare non soltanto con il tema ambientale, ma proprio con il sistema che lo alimenta. Quindi il territorio è un sistema vivente, ha bisogno di biodiversità, ha bisogno di istituzioni diverse, apro una parentesi, non leggetelo perché sono 600 pagine, ma nel libro di Assemoglu Robinson, Perché le nazioni falliscono, che è un grandissimo libro che spiega sostanzialmente la teoria della povertà oggi e delle disuguaglianze. Assemoglu, che è un grandissimo economista, spero prenda il premio Nobel il prima possibile, spiega perché le nazioni falliscono, perché i territori falliscono, perché si spopolano, perché la gente se ne va. Assemoglu guarda due territori negli Stati Uniti, nel New Mexico, e dice da una parte, a parità di dotazione di risorse economiche, umane, storiche, da una parte sono maledettamente ricche e prosperi, e dall'altra c'è un paese, sono territori sottosviluppati. Qual è la differenza? Assemoglu fa con una dovizia econometrica e quindi inattaccabile storica. La differenza è la natura delle istituzioni che ci sono nel territorio. Cioè, le istituzioni sono le regole del gioco, e le regole del gioco costruiscono gli incentivi, le forme, le logiche, costruiscono i sistemi con cui viene redistribuito il valore. Non basta crearlo il valore. Io voglio sapere come viene redistribuito. L'ultimi dati ci dicono che è aumentato il PIL più del più arvisto, ma è aumentata anche la povertà assoluta. Quindi? Quindi significa che aumentare il PIL non è buono per aumentare la sostenibilità, per ridurre la povertà. Questo non significa che dobbiamo abbassare il PIL. Ma per combattere quel tipo di patologia bisogna portare a bordo un altro fattore, che è il fattore sociale, eterno. Parlando dell'impresa, che è nel titolo, però non ne abbiamo parlato. Il fatto che il territorio sia una costruzione sociale. Guardate che molte imprese, il tasso è un'impresa, la mutualistica è un'impresa, l'hanno capito benissimo. E non stiamo parlando di responsabilità sociale, stiamo parlando di un'altra cosa, stiamo parlando di qualcosa che va molto più in là. Siamo in un'altra era, cioè l'era secondo cui la competizione si fa sulla base della capacità di legarsi col proprio territorio. Sono i territori competitivi che fanno le imprese competitive, non è vero il contrario. Quindi capite che investire sul proprio territorio oggi non è un'azione di benevolenza, è quanto di più evoluto possa esserci per un'impresa. Perché l'incapacità di costruire un territorio competitivo significa sostanzialmente rinunciare alla propria competitività. I sistemi, o sono competitivi o non sono. Quindi l'impresa oggi porta, diciamo, non è più, e qui il mutualismo è la punta più avanzata, il tema non è più solo restituire la socialità al territorio, il tema è costruire il territorio attraverso un'azione economica che è anche sociale. Parto da lei per l'altro giro di domande, in breve facciamo delle risposte, brevi 2-3 minuti. C'è questa consapevolezza, quanto manca questa consapevolezza adesso dell'importanza del territorio nello sviluppo? Le disuguaglianze che comunque batte. Allora tutte queste sfide, se ci fate caso, e anche qui, vabbè io ogni tanto giro, vedo, si possono prendere in due modi. O parto dal bisogno e in una logica, la dico alla finanziaria, stand alone, da solo mi metto a risolvere quel problema, oppure costruisco alleanze intorno a quel problema e comincio ad alimentare, diciamo, una trasformazione insieme ad altri soggetti. Quindi la consapevolezza nasce dal fatto che le transizioni, che non sono neutre oggi le transizioni, basta pensare a un'impresa che significa avere il rating meno ISG. Questo vale anche per una famiglia, che oggi deve comprare una casa e al di là dei soldi che ha, il fatto che la casa sia più o meno efficiente ha delle condizioni completamente diverse. Allora cosa voglio dire? Voglio dire che le transizioni oggi rendono il rapporto col territorio decisivo. Perché? Perché il territorio è l'arena dove appunto si costruiscono le alleanze per affrontare quelle transizioni lì. E guardate che le alleanze sono tanto più innovative e sostanzialmente efficaci quanto sono popolate da soggetti diversi. Cioè l'innovazione non nasce da eguali. Il territorio, le trasformazioni hanno bisogno di soggetti diversi. Quindi, voglio dire, il dono, se uno guarda anche la capitale del volontariato, però il dono, il volontariato oggi è una grandissima arena dove costruirgli in predatorialità. Perché il dono, che è diverso dalla donazione, il dono è una relazione, la donazione è l'oggetto di quella relazione lì. Il dono postula un rischio. Quindi chi fa volontariato, lo si vede anche nei colloqui, ha una propensione a rischio molto più alta. La stessa cosa, l'impresa, ok, ha bisogno, così come il dono costruisce l'impresa, l'impresa oggi che è sempre più intenzionalmente sociale, non sto parlando di filantropia, il mutualismo, il mutualismo è sostanzialmente reciprocità portata in economia. Bene, all'impresa che diventa più sociale costruisce un territorio e un terreno utile per fare, diciamo, progetti. Una delle tante cose che fa ITAS, per esempio, sono progetti di crowdfunding. Quindi un'istituzione che, in qualche modo, alimenta donazioni per cosa? Per rispondere ai bisogni del territorio. Per rispondere ai bisogni del territorio. Questa è una triangolazione esemplificativa che fa capire che la consapevolezza ancora non c'è del tutto. Ma chi vuole competere bisogna anche cominci a capire che il territorio non è più l'ambito a cui restituire, ma è lo spazio più evoluto e ricco di risorse per riuscire appunto a competere. Benati, dal suo osservatorio, come vede, insomma, c'è effettivamente questa consapevolezza, manca questa consapevolezza? C'è e non c'è. Nel senso che non è facile essere consapevolezza. C'è la consapevolezza, c'è, e poi metterla in pratica è più difficile. Perché comunque, sicuramente, anche all'interno della fondazione, tutti questi ragionamenti che si parlano del territorio, che va guardato non più come un'area geografica, ma come un insieme di comunità, perché di persone e di fatte di relazioni. E' un'area in cui anche il ruolo della fondazione si sta modificando in ragione di questo. Per riuscire a rispondere alle esigenze delle comunità che vivono nei territori bisogna appoggiarsi sulle comunità. E quindi ascoltare le comunità. E quindi il primo passo che ci stiamo cercando di fare è quello di ascoltare le comunità per capire i loro bisogni e dare delle risposte che vadano incontro a quelle che sono i loro modi di potersi strutturare per poterli rispondere. Ogni territorio può leggere lo stesso bisogno, potrebbe essere il bisogno dei disagini giovanili in modi più disparati. Chi lo può fare facendo un nuovo community hub? Chi lo può fare con dei progetti sociali diversi? Però lì bisogna ascoltare le comunità e capire quali sono gli strumenti di cui si vogliono dotarsi per poterlo fare. E in questo dialogo con le comunità dobbiamo prendere tutti gli attori delle comunità e trovare come fondazione un referente che si faccia un po' ambasciatore in un senso o nell'altro del bisogno, del modello che vuole attivare per poter sostenere la propria comunità. E quindi poi la fondazione si fa co-progetta, supporta quel modello di sviluppo della comunità stessa. In questo senso sicuramente dobbiamo cambiare il punto di vista. Non è facile, la consapevolezza c'è, ma sicuramente bisogna portarsi dall'ascolto della comunità e dalla collaborazione tra gli attori che stanno nei territori e nelle comunità. Certo, brevemente sulla collaborazione pubblico-privato, quale è? Anche questa è una sfida che abbiamo iniziato già tanti anni fa, che facciamo in primis noi cercando di parlare con lente pubblico in cui cerchiamo di portare avanti diversi progetti insieme. Lo facciamo già dal 2016, più o meno, quando abbiamo iniziato il bundle Werffel, chilometro zero, dove lì con la provincia ci siamo messi a dialogare, ma soprattutto dove chiediamo a chi che partecipa a questi progetti di essere una rete, di essere una rete dove abbiamo lente pubblico, lente privato e lente del mondo. E' un progetto che va avanti, siamo arrivati alla quarta edizione, con non poche difficoltà, però ci si sta mettendo in gioco. Quando però la collaborazione, la coprogettazione riesce, trova il meccanismo, riescono progetti molto interessanti, però lì sta sempre nella relazione che si basa soprattutto anche tra le persone. Bittelleri, questo è un territorio che ha delle particolarità in questo senso, positive o negative? Senza ombra di dubbio, nel senso che il tessuto sociale è permeato di associazionismo, di volontariato, i numeri sono importanti. Ithas in questo senso ha fatto la sua piccola parte sfruttando una di quelle che ha le caratteristiche principali del suo modello di business, che è quella di avere una rete agenziale capillare a livello territoriale. E questo ci permette di essere molto vicini ai territori di riferimento, in modo che i nostri agenti si facciano portavoce di quelli che sono i valori, di quelle che è la mission di Ithas Mutua. Proprio nel 2019 è partito un progetto che si chiama Agenzie Mutualistiche, con un pilota di 16 agenzie, prevalentemente, almeno a livello iniziale sul territorio Trentino. Il progetto che è poi evoluto molto nel corso degli anni e che prevede che gli agenti si facciano portatori di progettualità interessanti promosse da enti del terzo settore del loro territorio. Le propongono a un comitato scientifico, a tutti gli effetti di Ithas, che decide se e in che modo può finanziare queste progettualità. Questo ci dà modo di avere una partecipazione attiva anche da parte dell'agente e dei suoi collaboratori alle iniziative, visto che questa è una delle prerogative obbligatorie se si vuole presentare questo tipo di progetti. Il tutto è accompagnato da una formazione continua per gli agenti sia di stampo mutualistico che sul mondo del no profit in generale. Nel giro di 4 anni, mi viene da dire, perché il 2020 purtroppo è stato un anno dedicato in particolar modo all'emergenza epidemiologica, le agenzie mutualistiche di Ithas sono diventate 74, oltre 130 progetti sostenuti con circa 700.000 euro complessivi fra la quota finanziata e cofinanziata dalla compagnia di impatto economico sui territori. I temi sono i più svariati, pro futuro, in ottica propositiva mi sentirei di sostenere un filone in particolare che secondo me è ancora poco esplorato, che è quello dell'educazione finanziaria. Abbiamo parlato della necessità di competenze all'interno del terzo settore, io credo che le imprese bancarie e assicurative debbono avere un ruolo da questo punto di vista. Mi piace citare un progetto nato dal CNEL, che si chiama Recidiva Zero, che prevede, peraltro il Sole 24h è stato media partner del progetto, e si propone di abbassare la percentuale di ex carcerati che tornano a delinquere una volta tornati in libertà. Dal mio punto di vista l'educazione finanziaria, in particolare quella assicurativa e previdenziale, può riportare all'interno della vita sociale dei soggetti che siano più consapevoli del loro ruolo e che possano ritornare a svolgere una vita attiva. Abbiamo fatto un'inchiesta in 14 puntate su questo tema, la ricordo bene. Che particolarità ha questo territorio? I territori sono fondamentali per la nostra società, per la nostra compagnia, proprio perché noi operiamo in tutta Italia a questo punto. ITA è nata 200 anni fa sotto lo spirito della solidarietà. Questo lo abbiamo già detto, lo abbiamo ribaduto. Quello che è interessante secondo me è che da 200 anni questo spirito non è cambiato. Generazione dopo generazione dopo generazione è stato trasmesso ed è arrivato fino ai giorni nostri e ne ha impregnata tutta la compagnia, partendo dalla governance, partendo dal management, partendo dai dipendenti, partendo e arrivando alla rete degli intermediari sui territori. Il valore fondante di ITA è la solidarietà per cui ha nata e su questa sta facendo la sua attività da 200 anni. La particolarità è che ITA vuole che questo valore venga trasmesso anche nella propria rete di agenzie e di intermediari. Se ci pensate, è una cosa che non esiste nel mercato assicurativo italiano, è un modello economico, un modello di impresa particolarissimo. Io sono intermediario di un'agenzia media di Forlì, io rappresento a tutti gli effetti i valori espressi dalla mutua nel territorio di Forlì. Quando ho preso il mandato ho fatto anche una scelta, ho fatto la scelta di essere evidentemente monomandatario, proprio perché mi riconosco perfettamente in quello che esprime l'ocitato. A questo punto è chiaro che diventa fondamentale il rapporto con i territori, perché io nel mio territorio ci lavoro, ci opero, io faccio come mestiere un intermediario. Questa attenzione sulla propria comunità, sulle persone che ci circondono, sul fatto di offrire protezione, perché ribadisco la nostra attività, la mia attività, l'attività della mutua, è proteggere le cose, le persone, i patrimoni, ecc. E se io nel mio territorio opero al meglio delle mie professionalità, delle mie competenze, sapendo che alle spalle ho una mutua che questo mi chiede di fare, io ripeto, sono un intermediario soddisfatto. Allora, mi chiedo se ci sono delle domande dal pubblico, qualcuno vuole chiedere qualcosa? Benissimo, allora mi sa che siamo stati assolutamente esaustivi, io ringrazio tutti voi per questa discussione su imprese, responsabilità sociale e sviluppo territoriale, 203, adesso andiamo avanti. Grazie, grazie a tutti. Grazie, grazie a tutti.
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