Arte, teatro e danza, cinema. Cultura e immaginario come motori dell’economia del territorio e del Pil, fra pubblico e privato
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Arte, teatro e danza, cinema. Cultura e immaginario come motori dell’economia del territorio e del Pil, fra pubblico e privato
La conversazione su arte, danza e teatro con Giacomo Bianchi, Franco Broccardi e Irene Sanesi ha esplorato il tema della cultura come motore economico. Si è sottolineata l'importanza del dialogo tra diverse forme d'arte e la necessità di creare una rete senza compartimenti stagni per favorire la circolarità di sapere e competenze nel mondo della cultura. Parallelamente a ciò, è emerso come il mondo dell’arte e della formazione culturale non generino solo valore economico, ma anche occupazionale.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Con Giacomo Bianchi, con Franco Broccardi e con Irene Sanesi che poi vi racconterò chi sono per non dilungare troppo la parte iniziale appunto di introduzione. Oggi ci occupiamo di arte, di danza, di teatro in chiave però economica. Quindi proviamo a attraversare il tema della cultura come motore importantissimo dell'economia. Forse loro hanno il microfono chiuso. E' da chiedere a loro se hanno il microfono chiuso. In questa nostra piacchierata proprio in cui cercheremo di dialogare insieme perché se c'è una cosa importante nel mondo in generale ma nel mondo della cultura e riuscire a fare rete e che appunto non esistono con partimenti stagni, l'arte dialoga, l'arte intesa, l'arte pittorica, l'arte scultore, a performance ormai dialogano con la danza, col teatro. E' tutto veramente una circolarità di sapere e di competenze. Quindi cercheremo di ricreare fra di noi appunto questa circolarità dialogando. Ma due dati, siamo nel contesto di un festival organizzato dal sole 24 ore, ve li devo dare. E sono due dati secondo me molto interessanti. Il primo, li leggo per precisione, è il totale del valore generato, diretto e indiretto, del sistema produttivo culturale creativo. Cioè quello che sostanzialmente in Italia crea la cultura in sé e crea la cultura come indotto. Quindi pensate anche solo il turismo che è una voce importantissima. Ecco, in termini assoluti, i dati che vi cito sono l'ultimo rapporto simbola, sono di 239 miliardi, che da soli ci dicono fino a lì. Ok. E la percentuale? Loro ci sensano e ci vedono. Ok, va bene. Noi no però, noi no però. E c'è un altro dati che a me sembra ancora più interessante. Sì. Quindi? Ok, quindi se non li sentiamo non possano punti. Se ci pensate, un settore appunto come quello dell'intrattenimento e... Sì, io sono qua. ... dell'approfondimento della formazione culturale genera non soltanto moltissimo valore economico, ma genera anche moltissima occupazione, da 6% un dato che riguarda soltanto gli occupati direttamente in questo settore. Non quindi tutto l'indotto che sappiamo è molto ampio. Quindi, con questi due dati in mente... Faccio dei pagamenti, guarda, una cofitta per fare il pagare della roba. E la Nina è andata via? Non so. Nina? No, dov'è? Chiamo io. In una vesta un po' speciale, l'ho voluto in una vesta un po' diversa dal solito, come presidente di Oriente e Occidente. Io faccio raccontare da te che cos'è Oriente-Occidente sintetizzando quelli che sono 40 anni di vita in poche battute. Mi interessa che tu più sintetizzi qual è il senso appunto di Oriente-Occidente. Grazie. Il senso è proprio quello di un'apertura verso il mondo, guardandolo da qui ma aperti a uno spettro di 360 gradi. Guardarlo con un occhio attento, sensibile, inclusivo, che sia capace di cogliere sia gli stimoli della storia ma anche di trovare tracce di novità, di futuro. Quindi attraverso la danza, che forse è l'espressione che abbatte di più la parola, che è più facile da comprendere, come il colore, ti porta alla stessa sensazione di chiave di lettura, di emozione. Dico, la danza è la forma espressiva forse più bella di cui hanno avuto intuizione 40 anni fa Paolo Manfrini, che a me non c'è più, che si è lasciato qualche anno fa, e L'Anfranco Cisco, che è l'attuale col direttore artistico del festival, assieme a un altro gruppo di amici che hanno voluto dare alla città uno spettro nuovo, diverso. La città era una città comunque che aveva un'ambizione culturale radicata, però una parte contemporanea forse non era ancora così messa, non aveva portato ancora il nervo allo scoperto, e quindi ci è interessato 40 anni fa, forse anche in una forma così d'incoscienza, che i più giovani di 40 anni ti porta a fare queste cose con una facilità e con una estrema semplicità. Però il festival è partito subito. E' stato un crescente invece in termini di perfezionamento del management, si è strutturata l'associazione, di come si è evoluta, di come ha battito all'inizio, ha sbagliato, e poi ha anche trovato però una sua nuova dopo 40 anni, con l'aiuto di René Franco abbiamo avuto una sorta di occhio terzo per farci un po' esaminare, per vedere lo stato dell'arte, per vedere di dove andiamo, per vedere una strada che doveva essere corretta. In realtà ci siamo ritrovati su tante cose e alcune che devono essere attualizzate, con il loro contributo abbiamo dato assolutamente corso a questa nuova avventura. E' sceso? E' sceso, vabbè dai. Allora, sono lunedì, va bene. No, perché se le chiamavano... Il primo filo me l'hai lanciato tu, e quindi subito vado da questa parte, chiedo ad essere una più vicina. Promesso. Se non mi ricordo dimmi notà. E' stata parlata di economia della cultura, al di là di quello che avete fatto per l'Oriente e l'Occidente, poi magari ci veniamo, a me faceva piacere prima chiederti proprio, poiché non l'ho fatto io, quasi un cappello introduttivo a questa nostra chiacchiera, perché noi ci siamo dati questo titolo anche importante di economia della bellezza, con quest'idea che appunto la bellezza la intendiamo alla vera greca, il bello è buono, il bello che produce, il bello che crea, voi che vi occupate di economia della cultura, vi riconoscete in questo titolo in che modo lo possiamo mettere a terra molto concretamente? È sempre la parte più complicata, quando cosa fate, li facciamo i commercialisti e cala la tristezza di solito, in realtà poi cerchiamo di farlo in maniera un po' diversa. Credo che oggi la parola che traduce il bello e il buono che tu hai citato probabilmente è benefit, ed è quello che siamo. Intanto siamo uno studio di dottori commercialisti, come diceva Franco, e quindi quando si diceva questa parola forse sovviene più un significato prosaico che poetico, però siamo anche commercialisti che si occupano, in particolare in BBS Lombard, di economia, gestione e fiscalità della cultura e dell'arte. Siamo degli autodidatti, cioè bellissima questa idea di giovani. Ai nostri tempi non esistevano le lauree ibride come ci sono adesso, dove anche ci capita noi oggi di magari insegnare nei master, nei percorsi, quindi il concetto di economia della cultura è un concetto antichissimo, come citava Nicoletta, è un concetto che attraversa la storia dell'Occidente. Io, come sentite, sono toscana, per cui davvero posso dire che il concetto di bello, buono, ben fatto, molto tipico del nostro rinascimento, per cui un qualunque oggetto, oggi pensiamo al design, come evoluzione anche di quel percorso, davvero doveva essere bello, ben fatto, utile tutte queste cose insieme. E quindi oggi mi verrebbe da dire che le parole contemporanee per esprimere questi concetti sono sicuramente il concetto di bello, buono, ben fatto, per cui non c'è più forse oggi, come c'è stata per molto tempo, un'idea di innovazione che sta dentro al concetto di bello, buono, ben fatto, solo per la competitività, ma anche per la sostenibilità e anche l'impatto, cioè quello che può essere effettivamente quello che accade intorno alla tua comunità, nel tuo territorio. Ed essere una società benefit oggi significa proprio questo, portare all'interno del proprio scopo sociale e societario non solo lo scopo for profit, ma anche uno scopo benefit, cosiddetto di beneficio comune. E noi abbiamo declinato il nostro scopo benefit proprio rivolgendoci al mondo della cultura e dell'arte, anche devo dire ad alcuni temi che ci stanno molto a cuore, come il tema del welfare culturale, il tema di genere, quindi il tema dell'inclusione, della diversity and inclusion, a tutti gli effetti possiamo dire che siamo in questo luogo meraviglioso dove credo che il concetto di bello, ben fatto e anche benefit sia quello che gli anglosassoni definiscono in maniera secondo me molto magistrale, il cathedral thinking, cioè il pensiero dei costruttori di cattedrali. Quando le nostre maestranze a Trento piuttosto che a Toscana altori di tutto il nostro paese, mettevano mano a una grande opera, adesso sapevano che non ne avrebbero visto la fine, cioè consegnavano a chi arrivava dopo di loro non solo la conclusione di quest'opera, ma anche il godimento, che è un'espressione che mi piace più di fruizione, il godimento di quest'opera. E questo davvero credo che ce l'abbiamo nel nostro DNA, ma è anche una grande sfida, una grande responsabilità che dobbiamo sentirci cuscita addosso. Grazie e con questo pensiero di costruttori di cattedrali, inevitabilmente tiriamo dentro la nostra conversazione subito Giacomo Bianchi, Presidente Arte Sella. Voi i cattedrali verdi, i cattedrali che si integrano fortemente con il territorio, con la sua identità naturale che a proposito di lasciare qualcosa che continua dopo di noi, non solo continua dopo di noi, ma cresce, cambia, affido qualcosa alla natura e poi la natura ne fa un po' quello che vuole. Sì grazie, è proprio così. Arte Sella è un luogo dove tutto si trasforma e tutto cresce, così come le opere che realizziamo e che vengono lasciate in qualche modo alla natura, anche Arte Sella è nata in questo modo, prima sentivo tantissime assonanze rispetto alla storia di Oriente-Occidente, più o meno Arte Sella e Oriente-Occidente sono nati nello stesso momento, insieme ad altri in Trentino, che hanno iniziato a parlare un linguaggio completamente diverso, il linguaggio della contemporaneità e mi sembra che le nostre storie veramente siano create e si siano evolute in parallelo questo è straordinario vedere come, pure nella diversità, siamo riusciti ad arrivare a questo punto in modo forse intuitivo all'inizio. No, no, io vedo un festival di economia a pento, le persone sulle poltroncine bianche e vedo tutto, ma io non vi sento. Però io non posso attivare un audio, quello forse è il microfono vostro. Ci siamo compresi, non è mai una comprensione definitiva, l'aspetto forse che più mi piace sottolineare di Arte Sella, ma di tutto il sistema creativo, l'identità che intima a rinnovarsi, non è mai un'identità fissa. Arte Sella era la cattedrale, ma è tanto di più, è anche un grande investimento in tecnologia, ad esempio, in scienza, con gli ultimi artisti con cui stiamo lavorando, stiamo esplorando dei limiti che fino a ora non avevamo mai provato ad esplorare, per cui questa identità mobile che è radicata in una storia, però che ci permette di continuare a pensare al futuro. Ma di cosa? Dovrebbe essere un dialogo, io non ho la più valida, non so niente, nel senso che so che c'è questo libro, però... Vi sto usando esattamente all'opposto delle vostre competenze, perché così ci divertiamo di più, no? Ma se riesco a sentire che possa essere un dialogo, ha senso, sennò spero che possa bastare Giovanoni dal vivo, io gli sconnetto. Tutti i rischi, tutti i problemi che ti possono capitare, tutto quello che succede, appunto, non cominci neanche. Invece però, e lo dico proprio anche per i giovani in sala, la forza della gioventù è anche quella. Ci credo, ci provo e guarda che cosa creo. A proposito di ci credo e ci provo, io ho letto che BBS Lombard sostiene una cosa che davvero è più che mai all'avanguardia, non solo investire in cultura, non solo corporate social responsibility, di cui ormai parlano tutti, sostenibilità, ecc. Ma voi sostenete proprio che la cultura cura. È proprio usata questa parola. E quindi, anche questo mi sembra un concetto bellissimo che ti rimando. Sì, se l'ho fatto, la cultura cura non è una cosa nuova, ma in realtà sono studi scientifici che provano questa correlazione tra le visite ai musei, l'ascolto della musica, l'andare a teatro e la prevenzione dell'insorgere di malattie. E quindi noi abbiamo sempre sostenuto questa cosa anche in maniera abbastanza innovativa, anche provocatoria, anche lanciando qualche anno fa un'idea che potrebbe essere quella di se io posso detrarre dalla dichiarazione dei redditi le spese per le medicine, perché non posso allo stesso modo detrarre le spese, perché non considerare le spese culturali come spese mediche. E quindi questa cosa era stata proposta sei o sette anni fa, mi ricordo, a un convegno, qui avevo di fianco Franceschini, che mi ha guardato come un pazzo, ovviamente. E la cosa non ha avuto corso, ma in realtà è una cosa che è stata riproposta ancora quest'anno al nuovo ministro tramite Federiculture, perché tra le varie cose che facciamo è sostenere la lobby in senso buono della cultura. E lo facciamo anche in vari modi, tra cui anche lavorando insieme a Federiculture, che è questo organismo che riunisce enti pubblici, operatori della cultura culturale, che rappresenta un po' il mondo della cultura insieme a Simbola, per preparare un rapporto annuale della stessa vastità di indagine. E quindi anche tramite Federiculture, anche quest'anno, abbiamo riproposto questa cosa, vedremo se non passerà mai. Il concetto, perché è un po' come se il singolo, in qualche modo le aziende già lo fanno, l'arbonus in fondo è stato quello, perché non il singolo invece? Assolutamente sì, poi ripeto, siccome c'è questa correlazione, quindi la cultura cura, e quindi è una medicina, è un medicinale omopatico vogliamo dire, perché non considerarlo la stessa stregua? A noi piace anche provocare molto, e poi alla fine qualche reazione dopo un po' di tempo dai propri frutti, quindi questa cosa ci piace. Comunque un'altra cosa che mi piace ricordare, ne approfitto perché ho visto qua nel pubblico Michele Lanziker, che è il presidente di ICOM, e visto che ci sono tutti questi ragazzi, un'altra cosa che ci piace sempre provocare è il dialogo. Quindi quando ci sono state le azioni dei ragazzi di ultima generazione che sono nati a imbrattare opere nei musei, l'idea è stata perché non far rincontrarli? Questa cosa è stata fatta a Milano durante una fiera di fare la cosa giusta, è stato un lavoro che abbiamo curato per qualche mese. Servirebbe una galleria, Paolo, se riuscissimo a mettere in produzione una linea come una stienda, con una galleria un rapporto con una galleria sarebbe bene. Pronto? Ciao! Certo, ma senti, questo qui è il tuo numero? È il tuo numero? Oh, va bene, così me lo salvo. Io torno alla concretezza dei numeri, o quantomeno alla concretezza del valore economico, perché uno dei vecchi luoghi comuni che con la cultura non si mangia, invece con la cultura si mangia, non solo appunto si crea occupazione, si crea turismo, si rendono le nostre città appetibili per le persone che vengono, ma come ci si alimenta? Si imbarazza moltissimo non avere un dialogo, non sapere cosa dicono, cosa state dicendo prima, non è proprio... Ma se non sento quello che dice Stefano, quello di cui si sta parlando, viene una cosa... La banda tendenzialmente cerca sempre di tenere una rotta molto rigorosa molto dritta, insomma, affrontando l'attualità e aggiornandola di giorno in giorno, nel senso che si fanno dei programmi... Va bene, però magari qualcuno mi deve fare dei gesti, è un po' assurdo, ma è possibile che non si possano attivare... Una cosa che non abbiamo mai utilizzato, che non conosco, che è V mix call, video mix call, totalmente mix, che però all'audio non va. Allora si vede che un canale è spento, non so cosa dire, perché... Magari io, perché proprio non so niente nessuno... Non c'è un tema solo di spettacolarizzazione del momento... Allora che non lo sento, quindi magari che qualcuno sul palco mi dica a gesti... Va assolutamente continuata, monitorata e va anche, come dire, difesa, perché poi, insomma, le cose sono tante, noi pensiamo di essere un'eccellenza, ma ce ne sono altre tante. L'Italia è fatta di 1300 chilometri di eccellenze in tutti i mondi, tu lo sai, e quindi anche questo credo che serva, avere quell'atteggiamento serio, rigoroso, che consente di sederti al tavolo di interloquire con i soggetti e gli stakeholder più interessati e interessanti. Più pubblico o più privato sostiene Oriente e Occidente? Noi più pubblico, 70% pubblico è rimanente tra soggetti diversi, ma il 70% è pubblico. Adesso evidentemente si sta cercando di trovare una forbice un po' più ampia verso il settore privato, l'arbonus, tutti questi riferimenti, anche noi siamo diventati ETS, siamo iscritti al Roont abbiamo la possibilità di fare un bilancio sociale, quindi è cambiato un po' anche l'atteggiamento in questo senso quindi i numeri sono più o meno questi. Posso aggiungere una cosa, scusami, in questo caso cango il cappello e il consigliere di Oriente e Occidente, siamo per semolini, noi siamo ovunque. Sono poi le cose che portano alla sostenibilità economica, uno l'essere contemporanei, quindi anche qui questione di linguaggio, se per parlare il linguaggio contemporaneo non rimanere, pur nella tradizione ma non rimanere ancorati ai discorsi vecchi due è l'impatto che dai non solo culturale ma anche sociale nella tua attività, che è quello che ti rende davvero utile quello che fai, che dà ad avere un impatto forte d è quello che poi anche in termini economici ti porta ad essere attrattivo. Anche se, ma apriremo un tema troppo ampio, se c'è un problema dell'Italia, che noi abbiamo moltissimo patrimonio antico che va rinnovato e riproposto reso contemporaneo, ma quello è il tema, no? Il nostro vantaggio-svantaggio è il rinascimento, secondo te sempre, perché noi siamo rimasti alla bellezza del rinascimento, meraviglioso, però non possiamo rimanere sempre a pensare che l'Italia è quella roba lì, perché prima o poi ci sarà qualcun altro che arriverà ad avere il proprio rinascimento che sarà più vicino all'età contemporanea, quindi rischiamo di perdere un vantaggio competitivo che al momento ancora abbiamo il momento di svegliarsi. Certo, ma lo dicevo anche nel senso proprio di scelte strategiche, perché comunque a questo patrimonio ce l'abbiamo e va conservato. Il problema è che non si possono fare soltanto scelte conservative. Esattamente. Ma io volevo in realtà riproporre la stessa domanda, perché credo che questo sia un nodo importante tanto più in un festival dell'economia come il nostro, il pubblico e il privato, quanto pesano in realtà culturali di successo, lo dico io così non lo faccio dire da voi, ma così è anche di successo e di successo internazionali, quali in un caso oriente-occidente, volevo porre la stessa domanda già come Bianchi per Arte Sella. Quanto appunto essere una realtà di eccellenza che ha coinvolto artisti internazionali ha aiutato appunto nella comunicazione del contemporaneo quindi nell'attrarre non soltanto fondi pubblici, ma anche fondi privati? Sì, è un tema fondamentale ovviamente, perché in tanti credono che appunto storie di successo come queste si autoalimentino in qualche modo per magia. In realtà è un mix, è un grande mix di attenzione interna ed esterna. Noi più o meno l'80% del nostro budget è generato da Arte Sella, quindi sono fondi privati, quindi dipendiamo dal pubblico per più o meno il 20%. Questo diciamo da punto di vista prettamente economico, poi come dicevamo anche prima chiaccherando fuori, in realtà c'è tutto un aiuto da parte del pubblico che a volte non è monetizzabile, perché è un aiuto strutturale, è un aiuto di contesto, è un aiuto in campo ad esempio della comunicazione, è un aiuto a volte anche puramente amministrativo, che appunto non è quantificabile da un punto di vista economico, ma che ha un valore immenso. Noi due anni fa abbiamo siglato un accordo di partenariato speciale pubblico-private con il comune di Borgo Valsugana, che ci permette di poter utilizzare lo spazio pubblico, quindi l'area principale di Arte Sella, per gli scopi di Arte Sella per 40 anni. Questo è un valore enorme, perché si permette di irradicarci nel territorio. Credo che sia anche qui col pubblico privato c'è moltissimo anche di visione, nel senso che se riusciamo a avere uno sguardo verso il futuro, uno sguardo anche imprenditoriale, a creare valore, poi il valore arriva. Noi abbiamo più di 25 aziende sia del territorio locale, quindi della Valsugana, ma di tutto il Trentino anche fuori dal Trentino, che ci aiutano economicamente, in comunicazione. Questo è un valore enorme. Ci aiutano perché riconoscono in Arte Sella un luogo dove si può fare ricerca, dove si può immaginare una crescita anche, non solo economica, ma anche una crescita sociale. L'indotto di Arte Sella sul territorio è fortissimo. L'indotto è notevole. Il numero di visitatori che abbiamo raggiunto ormai è equiparabile a alcune eccellenze trentine. Facciamo più di 80.000 visitatori all'anno. Avere queste attività, che sono molto importanti, è un valore enorme. Avere questi numeri significa generare un'economia. Abbiamo più di 25 strutture ricettive convenzionate, tre ristoranti che in una microvalle come la Val di Sella operano in modo continuativo. Il fatto di decidere come Arte Sella di essere sempre aperti come museo, perché siamo anche un museo convenzionato con la provincia, significa assumersi la responsabilità di quel territorio. Essere aperti 364 giorni su 365 significa diventare un baluardo di un territorio quindi continuare ad essere attrattivi. Un altro tema su cui stiamo lavorando molto è quello della relazione con il tessuto, il tessuto anche locale. Il grosso lavoro che stiamo facendo con le scuole in ordine a grado ci permette anche qui di creare un indotto intangibile in qualche modo, perché stiamo investendo sul futuro. Paolo, tu hai questi dati anche di indotto di Oriente-Occidente da condividere? Sì, abbiamo alcuni dati. Sono dati certi, l'ultimo bilancio sociale. Per esempio, nell'ultima edizione abbiamo riversato circa il 30% del budget sul territorio. Il 70% lo gestiamo direttamente noi in acquisti, in forniture sul territorio lo restituiamo in termini di consulenze, in termini di rapporto continuo attivo di lavoro. Quindi è un indotto interessante. Andate a vederlo, il bilancio sociale è bellissimo. A proposito. Irene, vengo a te su questo, perché a me sembra che in generale il Trentino rappresenti un esempio nell'esempio di eccellenza. Perché voi lavorate, non soltanto in questa regione, ma essendo ubicati a Milano, avete molte relazioni, ti vengono in mente altri case history altrettanto interessanti in questa capacità fortissima di valorizzazione del territorio. Valorizzazione della cultura e legame pubblico privato che poi però restituisce ancora una volta il territorio. Parto da questi due ultimi passaggi che citava anche Giacomo per cui ffettivamente il Trentino è davvero un'eccellenza che sono effettivamente due ambiti di lavoro dove, e qui di nuovo guardo i giovani, c'è una vera e propria prateria, che sono il tema degli strumenti innovativi sulle governance della cultura. Prima Giacomo Bianchi citava il partenariato speciale pubblico privato. Artesella è uno dei pochissimi casi in Italia insieme al Teatro Tascabile di Bergamo per esempio alla città di Orvieto che ora si è avviata a questo strumento qualche caso in Puglia e poco altro. L'altro tema è la sostenibilità. Dove ci sono le risorse, dove c'è un territorio che oltre alle competenze alle competenze trama presenti ha la possibilità di essere accogliente, di fare leva sostanzialmente perché quella propensione al rischio che comunque ci deve essere all'innovazione degli operatori è un cortocircuito estremamente positivo. Perché tocco anche il tema della sostenibilità? Il pubblico continuerà ad esserci, deve esserci. Forse per troppo tempo abbiamo letto l'articolo 9 della nostra Costituzione che titola La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura come lo Stato. In realtà dobbiamo essere consapevoli che la Repubblica siamo noi e la res pubblica, ma è anche vero che abbiamo bisogno di attrezzarci con formule nuove di raccolta fondi e networking. In questo il Trentino è molto avanti. In questo possiamo contare su un altro vantaggio competitivo che è quello della retratezza in termini gestionali, organizzativi. La retratezza non è che si può giocare troppo facile, poi a un certo punto arriva il momento in cui dobbiamo metterci competenze, risorse e professioni al rischio all'innovazione. Detto questo è chiaro che poi l'Italia, come diceva anche Paolo, è molto lunga. Io sono reduce da due giorni, lunedì e martedì, dove coordinavo le 10 capitali italiane per la cultura al Roma al Ministero finaliste, quindi c'era Grigento, si sta parlando già del 2025, davvero si andava da Aosta fino a Grigento, quindi fino alla Sicilia, attraversando il nostro stivale. Lì cosa vedi? È un punto di osservazione sicuramente privilegiato, perché sono realtà che hanno investito su un progetto, su una visione, attraverso anche gli asset culturali, devo dire che alcuni territori più sperimentali, più avanti, ci sono. Il Trentino per me rimane un'eccellenza. C'è l'idea di cominciare a lavorare sull'encanto economy. Molto prima, noi abbiamo scritto da tanto tempo, scriviamo dell'encanto economy, che è l'idea davvero di sviluppare un'economia della bellezza che però ha solide basi anche economiche, senza le quali secondo me non possiamo essere efficaci. Bellissima anche questa idea dell'encanto economy, mi sembra meravigliosa. L'anno prossimo, Paolo, ci pensiamo, invece di chiamarci economia della bellezza, ci chiamiamo economia dell'incanto. Siamo d'accordo. Stiamo andando velocemente verso la fine del nostro incontro. Io ci tenevo però a fare ancora un rapido giro di tavolo, perché siete stati bravissimi nel tenere i tempi, proprio su questo tema. Mi dai tantissimi spunti, proprio col naming, che poi è importante. Intanto non so se sono già passate anche le immagini di Oriente-Occidente. Mi piacerebbe, a proposito di incanto, se riuscite a far girare qualcosa oltre ad arte e sella. E questo abbiamo parlato, volutamente io sono partita coi dati, ho detto, parliamo di economia della bellezza, conomia della cultura. Ma adesso regalateci qualche incanto. Io vorrei che tu, Paolo, proprio ci dicesi uno o due produzioni che valgono questi 40 anni di Oriente-Occidente. Faccio parlare a te per primo, così già si prepara, invece, per la risposta su arte e sella. È ovvio che faremo torto a moltissimi altri, ma credo che sia importante, appunto, nel produrre incanto. È anche bello fare qualche esempio concreto. E so che ti metto in difficoltà. Sì, mi metto un po' in difficoltà. Devo guardare un po' qualcuno che mi aiuta. No, diciamo che comunque io ricordo l'incanto, per esempio, di un palcoscenico ricco di fiori in uno spettacolo... Eh? Si, dica-lo. Ricco di fiori, completo, 2.000 erano, in uno spettacolo di Pina Bausch che rimane scolpito nel nostro... forse questo non era tanto una produzione, ma era uno spettacolo proprio scelto ad hoc aveva un fascino straordinario. Ma un altro fascino, poi ti do una lettura del tutto personale e di ricordo. Questo danzatore buto, anzianissimo giapponese, che si innamora nella sua vita in tarda età di una danzatrice argentina vuole imparare il tango, quindi si discosta dalla sua tradizione va verso un nuovo linguaggio, una nuova formula va in scena, fa uno spettacolo straordinario nel nostro teatro, quindi due immagini così flash molto personali, molto mie, perché poi, come dire, ognuno si accosta in maniera del tutto soggettiva a questa proposta, a queste cose. Poi ci sono spettacoli non di oggi in genere, ma per ogni tipo di sensibilità. Poi un festival, voglio dire, non è tutto eccellente, non è tutto bello, non è che è tutto magnifico, un festival è una proposta qui dentro questa c'è quella che tu gradisci di più, gradisci di meno, quella che coli di più, che ti stimola di più, che ti stimola di meno. Quindi è una forma anche di partecipazione sì collettiva, ma anche personale molto intima questo è anche una parte bella di questa offerta culturale che avviene dentro questo teatro, che poi è un teatro del settecento. Noi lavoriamo molto anche sull'esterno, sulla parte proprio della città, perché comunque questo tema di rapporto coltivato, come diceva anche Giacomo, lo facciamo assolutamente col territorio, con la città. Quindi ogni fase della giornata in qualche maniera la città è coinvolta con performance, con incursioni in spazi più tradizionali, ma anche più liberi, quindi nelle piazze, nelle vie, quindi ci sono delle parade. Quindi quest'anno sarai invitata sarai assolutamente nostro ospite con grande piacere. Le date più o meno sono, non lo ricordo, ma si collocano sempre negli ultimi giorni di agosto primi giorni di settembre, quella settimana. Quindi, anche quest'anno, il tema sono sempre quelli del Mediterraneo, che è una grande fonte inesauribile di lettura, di chiavi di lettura, dove le sfaccettature sono tantissime. Sono 46 mila, non so quanti chilometri di perimetro del Mediterraneo, ma il Mediterraneo è fatto a centri concentrici quindi si espande sempre di più lì noi cerchiamo di individuare, di incontare il mito, ma di trovare anche strade nuove, di ascoltare nuovi messaggi, nuove voci, assolutamente. E poi, giustamente, come dite peraltro nella presentazione di Oriente Occidente, sono nuovi linguaggi che però si parlano, non hanno la barriera della lingua, perché appunto la danza è un po' il vostro esperanto. L'esempio che tu hai fatto di passare dall'Oriente al danzatore di Buto, a invece il tango argentino, è un esempio bellissimo. Attraverso una storia personale peraltro, perché un danzatore antico, un anziano che si innamora della sua storia, quindi raccogli anche questi sentimenti che sono del tutto intimi e straordinari, si riportano in scena. Incanto ad Arte Sella. Veniamo tutti ad Arte Sella quest'esate dove ci soffermiamo? Di solito si dice l'ultimo e così si esce dalle in passe di fare torto agli altri. Le opere per noi sono come dei bambini, dei figli, è difficile dire qual è il figlio preferito. Siamo l'ultimo nato, allora. Olivera per me. Io credo che chiunque in sala sia andato ad Arte Sella, me compresa, ha il suo pezzo preferito. Come diceva anche Paolo prima, amiamo pensare che le opere abbiano una risonanza che è proprio personale, di chi attraversa questo bosco nella sua fatica, magari con la pioggia, col sole, c'è un corpo che attraversa uno spazio. Forse l'opera che più sento raccontare è quello che siamo adesso, in questo momento storico, è l'opera di Arcangelo Sassolino, che dopo vedrete, che sono questi due grandissimi massi in gabbia. Sono 40 tonnellate di granito, tonalite della Damello, che arriva dall'altra parte del Trentino. Eccolo qua. E questa è un'opera che ha dentro tutto, è 100% natura, perché è una massa incredibile c'è dentro tutta la storia, milioni di anni di storia, dentro in questi massi. Ma c'è anche tutto l'uomo qua, perché in questi due massi è stata costruita una macchina, un motore, un grandissimo lavoro di ingegneria che è durato più di due anni. E questi due massi, la mattina, come un fiore, sono chiusi e appena arriva il sole, iniziano a schiudersi, si aprono. Si aprono seguono proprio l'andamento della giornata. L'opera si apre, si schiude poi a mezzogiorno si ferma, riposa un po' verso sera torna a chiudersi. È una magia, è un ciclo tra l'altro continuo, lentissimo d è un invito proprio a fermarci un attimo. Siamo tutti presi anche nel nostro settore culturale, da quest'ansia di fare, di produrre, di essere, di relazionarsi, che è bellissimo. Questa è un'opera che ci riporta in qualche modo a un ritmo lento, a capire i ritmi della natura, a tornare a quello che siamo, alla nostra umanità. Ci vorrebbe una giornata intera. Ci ho provato un giorno a stare fermo tutto il giorno osservare questo ritmo lentissimo. Sono mezzo centimetro ogni tre minuti. È veramente impercettibile. Credo che questo sia tutto il senso di un po' di artesella ma anche di fare arte in natura. E di fare incanto. E quante relazioni vedo perché anche nella danza nel movimento c'è il controllo del gesto, magari il gesto rallentatissimo invece rapidissimo. Io però voglio lasciare l'ultima battuta a Franco. Perché mi sembra che valga la pena di tirare una conclusione. Pinter diceva che la cosa più bella è la fine che non vuole finire. E io ho sempre questa sensazione quando chiudo un incontro. Dico, abbiamo toccato tanto ma dovremmo andare ancora avanti per tirare fuori più argomenti per entrare più nel merito. Tanto più quando si parla di incanto. L'incanto è inesauribile. Però io credo che come comunicatori noi quindi tiro in ballo di soli 24 ore in generale di chi si occupa di comunicazione, abbiamo la responsabilità ancora di fare molto su questi temi. Mi piace il fatto che voi, che avete un'altra professione, però avete delle vostre riviste, dei vostri giornali, ovviamente di nicchia, ma che fanno esattamente questo, fanno cultura sulla cultura. E quindi la domanda con cui vorrei concludere è proprio questa. Quanta cultura sulla cultura ancora bisogna farla? Quanto grado di sensibilizzazione ancora serve? Quanto la dobbiamo davvero comunicare? Una premessa sul fatto che le cose che non finiscono è sull'incanto. Il vero incanto in oriente occidente, l'ho visto quest'anno al termine dello spettacolo inaugurale, quando la platea, dove erano quasi tutti i ragazzi, non smetteva più di applaudire, siamo andati avanti quasi mezz'ora, di standing ovation con gli artisti che sono dovuti uscire più volte, ecco quello è l'incanto. Se succede quello hai vinto, indipendentemente da quello che si è stato prima, quello è il vero incanto. Cultura sulla cultura. In realtà noi pubblichiamo come studio un trimestrale che non ha date precisissime, quando ci riusciamo lo facciamo, perché comunque è un impegno che abbiamo assunto, che ci piace portare avanti, ma comunque è gravoso. Questa rivista che si chiama AES, Arts and Economics, che era partita in realtà come rivista di arte d economia. Poi in un certo punto abbiamo capito che ra un po' limitante questa cosa qua e quindi ha preso una piega molto più sociale, molto più culturale quindi non era neanche tanto cultura sulla cultura, ma era proprio uno sguardo, mi ha cercato quantomeno di dare uno sguardo ampio su quel partendo da quello che è il mondo culturale, però che desce un senso proprio alla cultura in senso molto più largo. Le ultime due numeri della nostra rivista, ad esempio, le abbiamo dedicati alla sostenibilità. Il primo, la sostenibilità ambientale della cultura, ossia la cultura è bella, ma quanta inquina a volte quindi quanta impatta. Invece che messaggi può dare? Il secondo invece è sulla sostenibilità sociale della cultura, quindi sul lavoro, quello che si diceva prima, la cultura e l'arte, cosa possono fare per essere davvero agenti sociali, agenti politici nella nostra società. E quindi, insomma, abbiamo cercato di dare in questo taglio alla nostra rivista, dove invitiamo in realtà non economisti, noi scriviamo, ma in maniera molto relativa, forse a volte c'è un articolo nostro, però abbiamo invitato Paolo Fresu a raccontare del suo festival in Sardegna, che è un festival altamente sostenibile e lo è non da adesso, che magari potrebbe essere di moda, ma lo è da anni. Quindi, insomma, abbiamo cercato sempre di dare un taglio molto molto alto sui aspetti sociali sociologici della cultura. Abbiamo parlato di filosofia, quindi ci piace, dicevo prima, intrecciare i mondi, intrecciare i dialoghi, perché la cultura non è rinchiusa, così come non lo è l'economia. È tutto un'intrecciarsi, insomma, come quelle persone sono fatte di mille cose e quindi il mondo dove viviamo. Grazie, io devo chiudere anche perché si avvicenda su questo palco, che non è un palco, ma insomma si avvicenda la collega Chiara Savino, a cui devo cedere il palco la parola. Io ringrazio Paolo Baldessari, Giacomo Bianchi, Franco Broccardi Irene Sanesi continuiamo in questi giorni ancora continueremo a parlare di economia della bellezza, speriamo di aver posato qualche germe di incanto che adesso Chiara Savino proseguirà e continuerà a portare avanti. Grazie a voi per la vostra attenzione.
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