Piccoli comuni che devono crescere, politiche per lo sviluppo dei territori
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Piccoli comuni che devono crescere, politiche per lo sviluppo dei territori
Si discute delle sfide demografiche ed economiche che i piccoli Comuni affrontano, come lo spopolamento e la mancanza di infrastrutture. Vengono analizzate diverse esperienze virtuose, in particolare in Trentino e Alto Adige, e si propongono soluzioni basate sulla cooperazione, la valorizzazione delle comunità locali e lo sviluppo di competenze specifiche. Infine, si sottolinea l'importanza di investimenti mirati e di politiche che promuovano la produttività e la conoscenza del territorio.
e non è un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. E' un'altra cosa che si può fare. Buongiorno a tutti. Sono Roberto Papetti, direttore del Gazzettino. E ho il compito di moderare, coordinare questa conversazione, questo panel. Che ha come titolo una sorta di imperativo categorico. Piccoli comuni che devono crescere. Un tema cruciale per il nostro Paese, perché quando parliamo di piccoli comuni, dobbiamo pensare a una realtà di 7.000, 8.000 comuni sparsi per il Paese, quasi sempre con meno di 5.000 abitanti, che combattono tra spopolamento, difficoltà a connettersi con le reti, ambizioni però anche, progetti importanti di sviluppo, ovviamente in una realtà che come spesso succede nel nostro Paese, è molto frammentata, è molto differenziata. Ed è evidente per chi ne ha anche un minimo di conoscenza concreta che la realtà dei piccoli comuni di regioni autonome come l'Alto Adige o il Trentino è assai diversa da quella di piccole realtà comunali di zone del sud Italia. Parliamo anche di una realtà sconosciuta, Aldo Bonomi, che è uno dei nostri interlocutori di oggi, in un recente articolo proprio sul solo 24 ore, ricordava che di molte di queste realtà noi veniamo a conoscenza solo quando c'è una luvione o una catastrofe naturale. Allora scopriamo che esistono questi mondi, che sono mondi popolati, dove la gente vive, dove la gente lavora, dove la gente abita. Ma il fatto stesso che siano spesso al centro di calamità naturali o conquistano un ruolo in cronaca per queste ragioni anche questo dovrebbe farci riflettere sulle difficoltà che vivere e lavorare in questi posti, in questi luoghi determini. Comunque siccome su questo palco ci sono persone che ne sanno molto più di me, che potranno dirci su questo tema delle cose più interessanti, vado innanzitutto a presentarveli. Aldo Bonomi, che ho già citato, sociologo, presidente di Aster, che si occupa di sviluppo dei territori, Maurizio Gardini, presidente di Coop operative, Alessandra Protto, che è la responsabile del centro oxy di Trento per lo sviluppo locale, e Federico Samaden, presidente della Fondazione De Marche. Bene, io partirei proprio da professor Bonomi. Insomma, qual è la situazione, quali le prospettive? Il titolo, lo ricordo di questo incontro, è che devono crescere. Ma qual è la strada da percorrere, per crescere? Quali sono le scelte da fare per consentire a tante di queste piccole realtà, se non tutte a entrare a pieno titolo nel futuro, a essere soggetti dello sviluppo e non solo soggetti passivi? Se dovessi dare un titolo con un po' di speranza, direi, quel crescere significa una cosa molto semplice, come il bargine possa diventare centro. Questo mi pare il punto di ragionamento. Perché di cosa stiamo parlando? L'ha citato lei prima. Stiamo parlando di 2.500 comuni, sono un terzo del totale, di cui più del 90% hanno meno di 5.000 abitanti. Stiamo parlando di questo. E quindi nella letteratura economica, nel racconto, sono i luoghi del margine. Attenzione, però, sono anche, uso un termine spero non offensivo, sono lo scheletro, l'ossatura della nostra Italia. Sono in mezzo tra l'Europa del burro e l'Europa dell'olio. L'Europa del burro è segnata dalle Alpi e dalle montagne. L'Europa dell'olio è quella che va giù nel Mediterraneo, ma anche lì c'è l'appennino delle aree interne che arriva fin lì. Se la vogliamo dire in maniera colta, dividono l'Europa del gotico e l'Europa del barocco, tanto per capirci. Quindi sono anche dentro la cultura del nostro Paese, molto importante. L'ha detto lei, lo confermo. Ce ne ricordiamo solo per le emergenze. Devo dire le emergenze che stiamo vivendo anche in questi giorni. Le frane, gli alluvioni, non cito una terra dove Gardini ha molto operato nell'alluvione delle Miglia Romagna, dalla sua Romagna, non so cosa significa questo. Ce ne ricordiamo lì, oppure per l'appennino tellurico, quando ci sono i terremoti, non ci ricordiamo di questo, l'Irpinia, il terremoto delle Marche dell'Italia di Mezzo, ma anche il terremoto delle Miglia, perché anche quello staturo ogni tanto vibra. E siamo lì che guardiamo i campi ferro-irei, tanto per capirci. Questo è il punto vero. Ce ne ricordiamo lì, che ci sono le aree interne, le chiamiamo così, in maniera molto telegrafica. Però su questo tema c'è una letteratura, usiamo pure questo termine pesante, che se ne è sempre occupata, ne ha fatto storia, ne ha fatto racconto. Parto da sud, da Rossidoria, che diceva che l'area della polpa era l'area dell'osso, dicendo che il centro, l'Irpinia, era l'osso. La polpa era a Napoli, o a Taranto, dove si faceva l'Ital Cider. Ci siamo capiti? In mezzo c'erano le aree dell'osso da questo punto di vista. Oggi però, per fortuna, c'è un nuovo racconto a cui io invito i giovani a guardare. C'è un amico poeta arminio, che si definisce un paeseologo, cioè uno che racconta i paesi, che dice che sono diventate aree intense. Oppure un antropologo, mio amico Vito Teti, che dice che si occupa della restanza, si comincia a restare in questi territori, a lottare per restare. Tanto per dire la fotografia del sud. Quando andiamo nell'Italia di mezzo, attenzione, quelle terre sono anche terre di racconto di distretti. Era risalita Salmone dell'Impresa da questo punto di vista. Non riguarda solo l'Italia di mezzo, pensate alla Romagna o alla Minghia, o alla Lombardia da questo punto di vista. Allora, lì cosa c'è? Un grande economista, Joseph Fouin, diceva che era a terra del metal mezzadro, cioè quello che fa la mezzadria, cioè tiene assieme la collina e la campagna, e nello stesso tempo va a lavorare alla Merloni, tanto perché è quello di Fabriano, facendo il metal meccanico. Aggiungo, tanto è vero, che alla Merloni, quando era l'epoca della finnagione, non si guardava tanto al problema del fatto che molti non venivano a lavorare, si capiva che c'era un'alternanza tra manutenzione della terra e l'industria da questo punto di vista. Questa è l'Italia di mezzo. Per non parlare poi invece, ma credo che ci sono persone autorevoli che ne sanno più di me, di quel tessuto intermedio di due signore, l'Emilia e la Romagna. Dico due signore che hanno nelle terre alte il loro tetto di cristallo, tanto per capirci. E anche lì, lì ci sono due esperienze che io vorrei segnalarmi. Lì abbiamo preso atto che in questi territori bisogna ricostruire co-operative di comunità. E lo dico in un territorio di co-operative come il Trentino, poi ne parliamo. Co-operative di comunità. E guardate, lì ho assistito a una cosa estremamente interessante. Gardini non me ne vorrà, lui rappresenta le co-operative bianche. In quelle terre alte si incontrano co-operative bianche e co-operative rosse. La Lega fa le sue co-operative di comunità o tricolori, esatto. E qui si si incontra, perché il problema si è capito che non basta cooperare nelle aree della polpa, dove c'è la frutta, le cose, eccetera. Bisogna cooperare anche per mantenere quei territori. E poi arriviamo, qua ho finito alle Alpi. Le Alpi, devo dividere in due, in tre. C'è la parte ovest, quella della Torino-Fordista, tanto per capirci. Non so chi di voi, ma ovviamente se uno va a Torino, che era allora la compenità, dove c'era la fiat, o alzava lo sguardo, Torino era circondata dalle montagne. Tant'è vero che lì c'è stata una letteratura, cito solo Nuttore Velli, dice, le terre, oppure Fenoglio, le terre della Malora, da questo punto di vista. E quindi una letteratura che era raccontata come si erano spopolate quei territori per andare giù avanti a lavorare in fabbrica. Lì c'è stato il Fordismo, poi c'è in mezzo il Modello Lombardo fatto in parte di Piedemontani e di Salita, e poi arriviamo al nord-est. E nel nord-est, attenzione, ci sono due cose che mi farebbe piacere oggi discutere con gli altri interlocutori, perché qui siamo in un territorio che ci ha insegnato molte cose. Punto primo, l'Alto Adige, faccio notare che è l'unico territorio italiano dove non c'è il deserto della natalità, ma c'è la Christa. Io mi interrovo ancora perché lì, avevamo il problema, lo sappiamo tutti lì, e il Trentino, l'Alto Adige, vanno studiati, perché ad esempio in Trentino, a quel che mi ricordo, ci sono esperienze di comunità di valle, come si costruiscono le comunità di valle, la comunità della Val di No, la comunità della Val di Sole, non so a che punto sono queste esperienze, dico solo che sono le indicazioni di come si lavora lì dentro rispetto a questo. E quindi, ovviamente c'è una specificità probabilmente data anche delle province autonome, su cui bisogna ragionare anche da questo punto di vista, però non c'è dubbio che sono un modello come anche nell'altro confine, quello sulla Sdovenia, dove si comincia a ragionare su una rivitalizzazione del carso, che noi abbiamo in mente solo come luogo drammatico delle guerre. Ecco, questo è il panorama rispetto a questo. Finisco, ma se faccio un secondo giro, interverrò, io credo che il problema non sia rinserrarsi nelle terre alte, il problema è capire come si fa in treccio, tra le terre alte e le terre basse. E su questo io ragiono su un concetto in cui hanno luogo, ad esempio, a città medie come Trento, vero problema è ragionare in termini di metromontagne. Metromontagne significa che bisogna costruire quella filiera che va dai comuni polveri, i comuni polveri sono quelli dove ci sono 350-500 abitanti, i piccoli comuni di cui stiamo ragionando, le città di stretto, perché nella pedemontana di questi territori ci sono i distretti produttivi, o dell'agricoltura, le città di stretto, e che sono sotto, abbassano lo sguardo e vengono le città di stretto. E poi ci sono le città medie, che hanno una funzione fondamentale, e da questo punto di vista Trento è una città media che deve mettersi in raccordo la capacità, e ho finito, di guardare contemporaneamente alle grandi reti, grandi reti, che le attraverse che riguardano Verona, che rimandano alla dimensione padana, e ovviamente alle comunità di valle. Questo ruolo delle città media è fondamentale, credo, per quello che so io, per quello che studio, che quando Gardini, che presiede una fondazione a Forlì, in un luogo di una città media, ma quella città media non può guardare solo al suo sveduppo, oppure alle ottime cose che fate lì, non mi ricordo più, al chiostro di San Domenico, le grandi mostre, ma deve guardare per forza quelle che stanno su, a Santa Sofia, dove risalono tutto quanto, quindi questo ruolo di capire questo. Allora, io credo che bene hanno fatto a fare una cosa di questo genere, bene hanno fatto di fare una cosa di riflessione a Trento come modello, che è quella città media che ci può dare delle indicazioni. Grazie. Nel suo intervento, con le citazioni letterarie che ha fatto, Bonomi ci ha ricordato come questo mondo, a proposito io prima ho parlato di 7-8 mila comuni, perché riferivo al totale dei piccoli comuni italiani, dato di 2005 che ha citato Bonomi, si riferisce a quelli di montagna, le terre alte, cioè montane o pede montane, che sono naturalmente le realtà dove le problematiche di cui parliamo oggi sono più sentite. Ma, dicevo le citazioni letterarie fenoglio, così ci fanno capire come questi mondi, che sono talvolta molto distanti e spesso molto sconosciuti, fanno parte intimamente della storia di questo Paese, non solo da oggi. E Bonomi però ci ha anche ricordato come uno dei verbi da declinare quando si parla di piccoli comuni è cooperare. Quindi a me piacerebbe sapere qual è il punto di vista del Presidente dei Cooperativi su questo tema, qual è la vostra esperienza e quali sono le vostre indicazioni e le vostre aspettative. Prego. Sì, grazie e viva che il Festival dell'Economia non si occupa solo di geopolitica, di grande finanza, di grandi economie, ma si occupa anche dell'economia della gente comune. E in particolare questo focus sulle aree interne, sui comuni minori, sui comuni che rischiano di essere abbandonati. Io non mi lascerò andare alla delusione e alla frustrazione che evidentemente una lettura puramente statistica ci indicherebbe. Perché se guardiamo all'inverno demografico, in quelle aree l'inverno è siberiano, non è un inverno mediterraneo. Se guardiamo agli elementi di disinfrastrutturazione sociale, è chiaro. I problemi che abbiamo nel resto del Paese in quelle aree cosiddette fragili, diventano ancora più evidenti, ancora più difficili da affrontare. Ma c'è soprattutto un incalzare molto veloce della fragilità di queste aree che rivendica un'attenzione veloce nella definizione di nuove politiche, di nuovi interventi, perché il rischio è che quando si interverrà sia troppo tardi. E allora cosa bisogna fare? Bisogna in qualche misura prendere atto di quelle che sono le criticità e affrontare con delle risposte concrete. E allora c'è lavoro per tutti, c'è un lavoro cooperativo, c'è lavoro per tutti, c'è lavoro per le istituzioni, c'è lavoro per la politica. C'è un lavoro da ripristinare di infrastrutturazione ai vari livelli, non penso solo alle strade. Anzi oggi penso alle strade non come un elemento di priorità. Paradossalmente l'infrastrutturazione tecnologica, l'infrastrutturazione immateriale è ancora più urgente del mantenimento di un fondo stradale. Perché in quelle aree si arriva la rete, si arriva la connessione stabile e veloce, si può anche sognare di rimanerci, di lavorare in smart working. Io conosco un amico, un funzionario di banca, che lavora in una banca importante senza fare il nome di Milano, che sei mesi all'anno, grazie al contratto. Non sono rimaste molte, quindi... Grazie al contratto che hanno fatto, sei mesi all'anno lavora in Val d'Osta. Lavoro in Val d'Osta, se necessario, in due ore e mezzo arriva a Milano, però può anche pensare di lavorare. Allora, infrastrutturazione tecnologica, infrastrutturazione sociale, perché qui stiamo perdendo ogni giorno sempre di più pezzi importanti e significativi di assistenza, di scuole. Connesso, perché anche qui non vorrei essere frainteso, paradossalmente, in un comune di 800-900 abitanti, come la media dei comuni del mio territorio appenninico, nasce un bambino all'anno. E c'è una popolazione oltre 65 anni che è oltre il 50%. Per cui, se dovessimo andare per priorità, dovremmo in qualche misura tenere presente il problema scolastico come affrontalma, ma dovremmo tenere presente anche il problema sanitario, le esigenze della popolazione anziana e tutto il resto. Ma poi, posto che abbiamo visto come anche lo stato precario della finanza pubblica, non rende sempre possibile intervenire con efficacia. Sarebbe di per sé un grande elemento se i fondi strutturali comunitari, i fondi di coesione, i fondi per le are interne arrivassero in maniera razionale e arrivassero anche nei tempi giusti. C'è stato uno slittamento connesso anche al fatto del PNRR, ma bisogna che non tardino molto ad arrivare a queste risorse. Anche se l'elemento su cui Aldo richiamava il ruolo che la fondazione ha svolto nel mio territorio dove abbiamo messo insieme i comuni, ci sono comuni che non hanno più neanche un ufficio tecnico. O hanno un ufficio tecnico tra 5-6 comuni e non riescono a portare avanti la ordinarissima amministrazione anche con tempi di ritardo. Quindi anche la capacità di metterli insieme per costruire un progetto per le are interne, per riuscire ad entrare all'interno dello SNAI e poter pensare a progettare e a costruire una progettualità per il futuro. Ma poi per noi è diventato un elemento di grande priorità, per noi cooperatori, per noi co-operative, un elemento di grande priorità, lo strumento cooperazione di comunità. Perché la comunità riporta al centro non solo il territorio, che è un'espressione geografica, ma riporta al centro la gente, le donne, gli uomini che abitano quel territorio, che in qualche misura vanno anche riscoprendo la restanza, come diceva Aldo. E la restanza in nome di qualcosa è con uno strumento che dà il senso dell'azione, del progetto e delle cose per cui va la pena impegnarsi. Allora abbiamo visto come il fiorire di cooperativi di comunità ridà uno slancio, ridà una proiezione, mette insieme i cittadini, la gente di un territorio per riscoprire il senso e il valore. Nelle articolazioni più disparate, tentando di affrontare quelli che sono i problemi più concreti. A Pissoferrato, in Abruzzo, il problema è il distributore della benzina. Bisogna fare 35 minuti di macchina per andare a fare il pieno di benzina. E allora la cooperativa di comunità costruisce il distributore, Pissoil, costruisce il distributore che si fa carico di dare i combustibili, di dare la benzina, di dare il grassoio per la movimentazione. Ecco esperienze anche piccole, ma che danno il senso di essere al fianco delle comunità per ridare un senso alla restanza. Ed è bello perché il protagonismo dei cittadini in qualche misura, che deve impattare un protagonismo anche delle istituzioni che rimangono, contribuisce insieme, non a una visione immaginaria, ma a una visione concreta di rilegittimazione. E noi abbiamo bisogno in maniera fondamentale. Lo dico perché il degrado, lo spopolamento, l'abbandono e l'incuria dei territori di queste aree, genera, soprattutto con i cambiamenti climatici, problemi inimmaginabili che scendono a valle. Perché i problemi dell'alluvione in Romagna sono nati in montagne e in colline, là dove c'era un'incuria, poi una precipitazione straordinaria ha evidentemente accentuato il problema. Però la cura e il controllo del territorio finisce per essere fondamentale per dare un assetto, un controllo e per evitare di dover spendere 7-8 miliardi per riparare dei danni e non saranno mai sufficienti. Forse con un miliardo avremmo fatto un'operazione di manutenzione del territorio che avrebbe consentito di contenere l'urto di un evento importante. Ecco quindi il senso completo e chiuderei qui per adesso. Grazie. A proposito dell'esempio che lei ha citato, nel secondo giro di domande mi piacerebbe che ciascuno, se li conoscete, provasse a pensare a dei modelli, delle esperienze concrete, non per stabilire delle classifiche o per indicare i più bravi, ma perché forse poi partendo dalle esperienze concrete si può pensare poi di trasferirle, di declinarle anche su altri territori, comunque servono a riflettere. Abbiamo parlato della situazione del nostro territorio, però io vorrei chiedere ad Alessandra Proto che dal suo osservatorio del Hoxe, alla possibilità di avere una visuale che va oltre anche i nostri confini, qual è la situazione complessiva anche in altri paesi da questo punto di vista? Perché mi sembra di capire, abbiamo citato più volte questo termine, restanza, e Bonomi ha parlato di ricostruire una filiera, in realtà quello che forse sta avvenendo è l'esatto contrario, cioè un gap, una frattura che si allarga sempre di più o sbaglio. Prego. Buongiorno, grazie e benvenuti a tutti e a tutte. Io sono forse una rappresentante di quella che è la scienza triste, quindi sarò un po' meno rispetto a questo affresco che è stato dato dell'Italia e anche alle necessità dei territori e questa importanza sulla comunità. Porto magari un po' l'esperienza di un'organizzazione che è presente in 38 paesi del mondo e che si occupa di sviluppo, in particolare di sviluppo economico. A Trento abbiamo un ufficio che si occupa di sviluppo locale, che quindi è esattamente all'opposto rispetto a quello che fanno i colleghi di Parigi che guardano alle grandi politiche industriali a livello nazionale e lavorano con i governi, però c'è stata un'intuizione ormai vent'anni fa di provare a vedere che cosa succede. Quindi quel famoso sviluppo dal basso. Quindi il nostro ufficio si occupa esattamente di questo. E quello che stiamo osservando, e qui è la nota di un trend globale, è quello di una forte polarizzazione che sta avvenendo e che sta aumentando. Polarizzazione sia geografica, quindi è vero che ci sono dei piccoli comuni o dei comuni che si stanno spopolando, però abbiamo delle città in compenso che stanno crescendo. Quindi dal punto di vista della demografia e di dove la gente va a vivere, noi vediamo queste città e soprattutto i piccoli comuni che però sono in un interland, che quindi sono in una cerchia vicino a delle grandi città, che invece stanno acquisendo popolazione. La dove invece il 50% dei comuni europei si sta riducendo e il 40% anche delle cittadine, quindi delle medie città, sta perdendo popolazione. Quindi questo effettivamente è un trend molto importante, perché ovviamente da un lato hai una pressione anche economica nei confronti di questi luoghi che hanno evidentemente meno persone, meno entrate, però certi servizi vanno mantenuti. E attenzione, noi parliamo sempre di necessità di avere i servizi, ma io aggiungo necessità di avere servizi di qualità, perché altrimenti uno si concentra. Abbiamo la rete in alcuni comuni, però l'evidenza dimostra che per esempio nei comuni remoti, in quelle che sono chiamate le aree rurali, la rete ha una velocità ridotta del 40% rispetto a quella delle grandi città. Quindi ci sono anche queste che sono tutti elementi che creano appunto sia una polarizzazione geografica, ma soprattutto anche una polarizzazione nell'ambito dello sviluppo. Paradossalmente, se è vero che l'economia è stando quindi a livello nazionale, i paesi stanno convergendo, cioè si stanno avvicinando a livello di sviluppo, quello che erano paesi anche dell'est Europa, quindi la Bulgaria adesso è molto più vicina all'Italia o alla Francia rispetto a quello che erano anni fa. Ci siamo portati all'interno dei confini nazionali invece un aumento delle divergenze, quindi divergenze tra regioni in maniera molto importante e queste stanno aumentando. Paradossalmente tutti dicono che con il Covid queste divergenze siano aumentate, invece in quel periodo di stallo molto particolare, forse dove c'è stato anche il cambio anche di alcuni modi di lavorare, in realtà quello è stato un momento che non ha aumentato le divergenze, è nella fase di sviluppo che queste divergenze aumentano. E allora il punto è che i piccoli comuni che devono crescere, e su questo io veramente sottoscrivo la scelta del titolo di questo panel, ma devono crescere come? Perché uno pensa subito di crescere di dimensione. Ecco a me viene da dire che devono crescere di competenze, devono crescere di conoscenze, devono crescere di capacità e quello che stiamo vedendo anche a livello internazionale adesso ci sono delle politiche, le avete citate voi, politiche di coesione, perché il grande obiettivo del legislatore è di cercare di ricomporre la società e quindi di fare delle politiche, le politiche di coesione sono delle politiche che devono aiutare i territori a convergere, quindi a far crescere i territori. Quindi il mezzogiorno, le aree interne, eccetera. Si sta discutendo adesso a livello europeo di cambiare i meccanismi di allocazione delle risorse, che prima erano basati su delle necessità, quindi mi serve la strada, mi serve la scuola, mi serve l'ospedale, ma adesso la discussione che c'è a livello internazionale è di allocare queste risorse in base invece alla performance, quindi alla capacità dei territori di riuscire ad avere un utilizzo ovviamente dei fondi efficienti e di riuscire a fare delle opere, appunto delle riforme che siano di successo con tutta una serie di inserimenti o di meccanismi di valutazione. Ora lei citava giustamente del fatto che ci sono dei comuni che hanno un tecnico e quel tecnico deve gestire ovviamente già l'ordinario, figuriamoci lo straordinario. Ecco questa probabilmente è una delle grandissime sfide, noi l'abbiamo visto col PNRR per intenderci, in cui grandissimi fondi sono arrivati direttamente ai comuni con una capacità progettuale effettivamente che era molto limitata. E questo è stata una grande difficoltà perché non si è abituati, non si hanno le competenze e su questa cosa appunto bisogna trovare il modo di lavorare per dare un futuro da un lato per contrastare questi trend. Noi abbiamo ovviamente il cambiamento climatico da un lato e quello dell'inverno demografico e delle sfide demografiche che sono ovviamente due grandi trend internationali, globali che però hanno delle ripercussioni terribilmente locali perché come dicevate appunto gli effetti sono a livello locale. E allora che cosa si può fare? Di sicuro dobbiamo farli crescere questi comuni, quindi promuovere delle collaborazioni. Promovere delle collaborazioni, ci sono vari esempi, le unioni dei comuni, le associazioni, ci sono esempi anche un po' più innovativi perché le innovazioni spesso e volentieri avvengono proprio in luoghi dove per forza di necessità si inventano delle cose nuove. E quindi collaborazioni, mi viene in mente lei parlava di un esempio pratico, lo faccio subito, in Germania c'è un, avevano un grande caso di una autostrada che non si riusciva a finire di costruire, finiva con un terrapieno, un po' una Salerno Reggio Calabria nostra. E del nord della Germania in questa grande zona molto infrastrutturata, pienura peraltro, quindi non terre alte, questa autostrada non si finiva mai perché c'era un problema di governance perché rispetto alle infrastrutture la governance ovviamente ci sono litigiosità sempre in atto. Al che le comunità, quindi le varie municipalità che si trovavano lungo un fiume che si chiama EMS, quindi lungo l'asse dell'EMS, infatti si chiama EMS-ACSE, hanno fatto un'associazione particolare perché è riuscita ad associare non solamente i comuni che si trovano lungo il fiume, hanno coinvolto anche il settore privato e hanno coinvolto anche altre istituzioni, hanno creato questa associazione. E' una associazione di regione regionale che si chiama EMS-ACSE e che alla fine è riuscita a finire a costruire questa autostrada ma è rimasta come entità per affrontare quelli che sono i problemi di questo territorio che si snoda lungo questo fiume e quindi formazione. E' un'altra associazione che si chiama EMS-ACSE, ma adesso il grande tema è quella del lavoro, della carenza della mano d'opera e tutti i territori stanno vivendo ancora di più ovviamente i territori che sono poco popolati. Il telelavoro è vero che ha aiutato, noi abbiamo fatto degli studi su questo per capire quanto il telelavoro è in grado di mantenere la gente nel proprio luogo di origine e di favorire anche la ricerca di mano d'opera. E' un luogo che non devo muovermi ogni giorno, sono disposto a fare una distanza maggiore ovviamente, quindi il caso che si è visto, il caso del Trentino per esempio che è un luogo ovviamente piccolo dove il mercato del lavoro conta 500.000 persone solitamente, se si aumentano le giornate di telelavoro a disposizione dei lavoratori il bacino riesce ad arrivare fino a coprire 1-2 milioni in base di persone, in base a ovviamente i tempi di distanza che uno in grado di percorrere. Faccio l'esempio, se io da Verona voglio venire a lavorare a Trentino e devo farlo ogni giorno magari non lo faccio, se devo farlo due giorni a settimana probabilmente lo faccio, allora si riescono a trovare casi ovviamente molto più distanti. Di questo per esempio noi parleremo questa sera in un panel che si chiama Lavoro Mercerara, proprio con esempi di imprese che sono per esempio in montagne come fanno a trovare lavoratori. Dicevo il caso di M.Sax è un caso molto interessante, adesso sta lavorando proprio sul come attrarre talenti in forma comunitaria e quindi attivando le varie istituzioni. Poi però c'è anche in maniera molto realistica la questione che da un lato la contrastiamo, contrastiamo questa decrescita e questo declino e è giusto farlo e è giusto mettere in campo delle politiche, dall'altra probabilmente dobbiamo anche come dire prenderne atto. Quindi intanto sapere bene i dati di dove succede, cosa succede e quali sono le implicazioni, perché ovviamente ogni luogo ha una storia a sé e ha delle tendenze che sono differenti. C'è un progetto che si chiama Shrinking Smartly, quindi ridursi in maniera intelligente. Ecco i paesi del nord, la Lituania, la Lettonia, l'Estonia che stanno vivendo una fortissima riduzione della popolazione e l'abbandono di molti paesi, di molti comuni, hanno messo in atto questa cosa a dire benissimo. Cerciamo di trarne vantaggio, di farlo in maniera comunque programmata e quindi stanno facendo dei piani di sviluppo a 10-15 anni per riuscire comunque ad affrontare questo modo di cooperare con questa riduzione dei comuni, con questo rimpicciolimento, però facendolo in maniera consapevole e quindi attivando delle collaborazioni, facendo una divisione di fornitura di servizi e riuscendo a lavorare di nuovo sulla qualità delle erogazioni dei servizi il più possibile. Quindi in questo ci sono, c'è adesso un meccanismo, uno strumento che si chiama Strategic Foresight, cioè provare a guardare al futuro in maniera strategica. Non è predire il futuro, ma sono delle modalità di lavoro nel cercare di capire sulla base dei dati quali sono gli impatti dei trend globali e poi fare un piano di azione e lavorare. Al contrario, per dire benissimo, io tra 30 anni, 20 anni so che quello che succederà in un modo o nell'altro sarà questo, come cerco di affrontarlo e quindi coinvolgendo in maniera molto partecipativa tutto il territorio si definiscono dei passi per riuscire a raggiungerli. Ecco, questi sono alcuni meccanismi, alcune metodologie che alcuni comuni stanno affrontando non da soli, perché se lo fa appunto un paesino e l'altro rischiano ovviamente di avere stati divergenti. Invece queste esperienze un po' laboratoriali che crescono e che nascono in luoghi che hanno bisogno di vedere un futuro e probabilmente un futuro che sarà diverso da quello che è stato quello degli ultimi 15 anni, io credo che sia anche un segno molto positivo. Cioè uno guarda sempre in maniera molto drammatica l'effetto e l'impatto di questi megatrend globali, soprattutto su territori fragili, abbiamo parlato di fragilità, abbiamo parlato il fatto che ci accorgiamo di questi luoghi solo quando succedono i disastri. Ecco, è vero anche che molte esperienze innovative nascono da questi territori e nascono dalla creatività e dalla vitalità che in alcuni casi ci sono e che forse bisogna riuscire a trovare il modo di farli emergere e di aiutarli ovviamente a fare da collante nei luoghi stessi in cui si trovano. Grazie Alessandra Proto. Il tema della formazione, dell'istruzione è stato toccato in diversi interventi. Io adesso chiamo in causa Federico Samadem che è presidente della Fondazione De Marche. Ecco il vostro punto di vista qual è la realtà di queste piccole comuni, terre alte, terre medie ma come abbiamo visto spesso anche terre basse. Innanzitutto condivido quello che diceva Bonomi prima che il Trentino è una terra fortunata, è una terra dove si è avuto attenzione. Volendo seguire le sue citazioni a nord nostro c'è l'Alto Adige che è ancora più virtuoso e che a mio avviso è il modello. Non dobbiamo inventarci molto altro. Perché in Alto Adige sono state decise scelte economiche di investimenti pubblici per far sì che un contadino possa mantenere una stalla di sei vacche per poter dare il latte che viene raccolto alla mattina tra una strada asfaltata che arriva al Maso. Le terre sono state mantenute e hanno creato attrattività turistica ma soprattutto hanno creato appartenenza, hanno sostenuto l'appartenenza. Quindi la parola che è emersa anche prima e che è molto abbinata a questo concetto delle piccole terre è quella della comunità. Trentino ha le comunità di valle, co-operative di comunità, spesso si usa la parola comunità. In fondazione delle Marche abbiamo detto ma quali sono gli elementi che compongono una comunità? Come possiamo andare alla radice di questa parola? Ci sta una cosa molto semplice che appartiene alla vita di tutti noi e che spesso è considerata quasi scontata ma che in realtà è il presupposto allo sviluppo di qualsiasi sistema economico globale. Che è come cresce un bambino che nasce oggi in questo territorio, come cresce. Quindi i processi educanti, la potenza educante, la capacità educante, l'intensità educante è la radice di tutto a nostro avviso. E quindi bisogna rimettere lo sguardo lì perché io non pretendo di trattare i grandi temi economici parlando di filiere educative. Però io so che non potrà esistere svilutto a meno che non si imbocchi decisamente la strada dell'intelligenza artificiale e dell'acconnazione dell'essere umano che per carità può essere uno scenario. Ma per il momento noi abbiamo a che fare ancora con delle cose che sono patrimonio nostro perché anche chi non ha figli sa che cos'è questa storia di cui sto parlando. Che è la vera benzina perché passa per l'emozione, passa per l'energia, si genera lì. L'energia tu non la determini con le leggi e neppure con i grandi movimenti economici. L'energia la generi sulla potenza educante, sulla potenza di relazione e si ha messo a guardare ai territori da questo punto di vista e ci siamo accorti che il più grosso casino che c'è adesso al mondo è la solitudine. E allora come mai questa società che è così attenta agli sviluppi economici, così attenta ai mercati finanziari, così attenta da seguire innovazioni su innovazioni in questo campo genera progressivamente un tasso di solitudine sempre maggiore? Allora abbiamo detto vedi perché è giusto ripartire dall'antidoto alla solitudine, dell'antidoto alla solitudine e nessuna relazione. E allora se tu guardi dall'alto l'Italia da questo punto di vista ti accorgi che in quei territori considerati sfortunati, considerati marginali ci sta la potenza educante più forte. Allora questo ci ha fatto pensare, abbiamo detto Caspita ma allora questo tema di far vedere le capacità educanti dobbiamo renderlo uno strumento, un driver di sviluppo? E quindi i miei ricercatori hanno scommesso, sono stati bravissimi, hanno laureato un anno su questo indice di capacità educante che adesso presenteremo a brevissimo. È composto da 10 indicatori ed è uno sguardo su questa cosa di cui tutti in qualche modo si dimenticano però la danno per scontata. Allora si fanno gli indici di sostenibilità, si fanno gli indici della purezza dell'aria, si descrivono i territori per la capacità di attrattività turistica, si descrivono i territori per mille cose, nessuno che si ferma a dire la potenza educativa che ha quel luogo e quindi questo la dice lunga sulla disattenzione e quindi nella comunità c'è un altro tema, non c'è la disattenzione ma c'è l'attenzione. L'attenzione è legata anche alla dimensione, quindi la dimensione piccola diventa a quel punto un valore e allora è l'esatto opposto rispetto alla metropoli, il paesino di 3.000 abitanti ha una forza competitiva se visto da questo punto di vista e quindi bisogna rimettersi a guardare quella cosa. Allora questo indice servirà più o meno a questo, a fare i mezzi e non a fare classifiche perché le rifiuteremo e non verranno mai fatte, però verrà dato a ciascun territorio, a ciascun comune il feedback della lettura dei dati che comporranno questo indice e gli servirà per migliorare e per creare un network, nella nostra idea, un network virtuoso di gente che vuole rinvestire da questo punto di vista, che poi genera le comunità, le cooperative di comunità, le comunità di rai. Quali sono le strutture organizzative che devono essere le comunità energetiche, devono essere lanciate, sono il nuovo, ma se non ripartiamo a ridare valore a quella scintilla che va mantenuta accesa e bisogna alimentarla in ciascuna persona rispetto al tema dell'appartenenza alla vita e quindi della potenza di rapporto con la vita, noi continuiamo a costruire le robe sopra che non sono attaccate al sotto. Questo è l'Alto Adige, per ritornare lì, perché fanno più figli l'Alto Adige? Perché per loro l'appartenenza alla terra è un dato reale e i bauer in Alto Adige comandano, comandano i contadini, perché hanno un rapporto con la terra che genera appartenenza e l'appartenenza genera fiducia della vita e la vita si pulsa, è pulsante, basta andare in un maceo dall'Alto Adige e si sente la vita e la relazione fra la vita, il rispetto che c'è per ogni forma di vita. Questo diventa un esempio virtuoso. L'ultima cosa che mi pare interessante come sguardo sul futuro, che ci sono dei modelli interessantissimi in Trentino, ad esempio la magnifica comunità di Fiemme, è un modello di governance eccezionale e allora se voi riprendiamo quel modello e lo applichiamo a una cosa che il futuro dovrà affrontare, cioè che i dati devono essere un bene comune, i dati che sono la ricchezza attuale del mondo, quei dati non possono essere appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena appena app faccio un Gund teacher par double. Allora nine equ infected of man. Ephonetic Alicia. Anche in<|ro|> thanks waste someone else qua ehm e Princess compartment and e hablar la awake specific al di anticiparci qualcosa dalla ricerca ha fatto finta di niente, quindi ne prendo... No, perché sarebbe troppo lunga e non c'abbiamo più tempo. Sto scherzando. Per concludere abbiamo ancora una decina di minuti, 12 minuti. Io partirei proprio dalla sollecitazione, dalla sottolineatura dell'ultimo intervento, e cioè l'alto adige come modello. Allora, io faccio il direttore di un giornale che copre 7 province, molte di queste hanno tante terre alte, hanno tanti piccoli comuni, e più di una volta ci è capitato di raccontare di situazioni abnormi, malghe collocate da una parte in un altro territorio, per l'altra parte nel territorio Veneto, la metà Trentina era ristrutturata perfettamente funzionante. Quella nel territorio Veneto, invece, era lasciata andare, diroccata così. È solo un problema di risorse, è un problema di cultura, è un problema di potenza educativa, come ci diceva adesso. Esistono altri modelli di riferimento che possono in qualche modo indicare delle linee guida. Questo è un tema cruciale perché oggi è un po' meno di attualità, però, e scusate se cito ancora il Veneto, negli anni scorsi ci fu un fenomeno che stava assumendo un rilievo politico importante, comuni di confine, piccoli comuni quasi sempre, che chiedevano di passare a un'altra regione, di passare al Friuli, di passare al Trentino, al Alto Alge, proprio perché vedevano in quei territori delle opportunità, non di crescita, ma di migliore condizioni di vita, che evidentemente in una regione che certamente non è una regione che soffre di scarso livello di benessere medio come il Veneto, è solo un problema di risorse, è veramente quello il modello di sviluppo, esistono delle variabili possibili o no? La stessa domanda per tutti, tenendo in conto che abbiamo una decina di minuti ancora. Tre battute. La prima, devo dire che questo incontro interro dalla scienza triste, perché non è che noi siamo qui a occuparci di sviluppo locale o di ruralità, l'ultimo intervento ha detto e ha posto un tema che riguarda proprio i grandi temi dell'economia, non è solo economia, logistica, capitalismo delle reti, la socializzazione dei dati, evocata, rimanda al dibattito sull'intelligenza artificiale e il rapporto dei poteri rispetto a questo. Quindi stiamo parlando di come ciò che vi ho detto, di come ciò che viene ritenuto marginale deve entrare dentro i grandi processi di cambiamento. Prima osservazione, e ci entra dentro, io sono totalmente d'accordo, con la presunzione di usare parole antiche, la comunità, che è una parola addirittura del novecento poco usata e dell'ottocento per capirci, parole antiche come comunità e cooperazione, pensa a te nell'epoca del capitalismo delle reti, e no perché quelle parole antiche vanno rimesse dentro l'ipermoderità che viene avanti, questo è il punto che io ritengo importante. Quindi non è che il festival sia dato il contentino, si discute anche dei piccoli comuni perché è importante, perché siamo a Trento, perché c'è cooperative, no no no, siamo dentro un nodo fondamentale, e questo vale anche per l'Oxie, dal mio punto di vista, ok, intanto per capirci, che non è solo, poi facciamo i grandi temi di banco e economia, e poi ci occupiamo anche di sviluppo locale, no, le due cose vanno assieme, questa è la mia posizione rispetto a questo. Perché, e ho finito, entriamo dentro dalla parola comunità, per lui ne ha invocata una molto importante, io ragiono in questi termini, a fronte di questi grandi processi dell'ipermoderità selettiva, non c'è dubbio, io e Gardini che ne pratichiamo lo sappiamo benissimo, non c'è dubbio che c'è anche tanta comunità del rancore, la gente ha paura dei cambiamenti, si rinserra, si arrabbia un tantinello, per gli dici ma come, noi che siamo qui nel margine, è tutto per voi e per noi niente, ci siamo capiti no? Per fortuna, per fortuna, c'è tanta comunità di cura, è quello che lui ha invocato, la comunità di cura che deriva dalla necessità della prossimità, ci si tiene assieme perché se non ci si tiene assieme, le sciacquure ti portano avanti rispetto a questo, quindi recuperando anche una parola antica da questo punto di vista, c'è tanta comunità di cura e quindi da questo punto di vista si riprende la memoria della cooperazione, della comunità, si fanno le comunità operose rispetto a questo. Ma attenzione, l'ultimo intervento l'ha beccato un'altra, la comunità educante, cioè il luogo della comunicazione che significa informazione, attenzione non è che significa solo scuola importante, quindi noi dobbiamo tenere assieme contemporaneamente le economie dell'ipermodernità, perché se non lo facciamo e non teniamo assieme, tanto per capirci, le Alpi, cito solo un esempio, le Alpi come polmone ecologico e il polmone un po' malato dalla Padania, vogliamo dire questo, cioè tutto che arriva giù lo vediamo in questi giorni, se non teniamo assieme queste due contraddizioni abbiamo un problema di destino, di comunità di destino complessivo, perché la crisi ambientale è questa roba qui, la crisi ambientale è comunità di destino per l'umanità e per noi da questo punto di vista. Ma ha detto questo, dobbiamo tenere assieme le economie dell'ipermodernità, farle atterrare, quindi va benissimo la finanza, i flussi, ma che atterrino sul territorio, le funzioni a questo compito, va benissimo le internet company, va benissimo l'intelligenza artificiale, ma facciamo atterrare nella sua praticità da questo punto di vista. Quindi le economie delle innovazioni con le economie fondamentali, se non si praticano le economie fondamentali che rimandano attenzione, le cito la casa, l'ambiente, la sanità, i lavori, la scuola, queste sono le economie fondamentali, tenere assieme queste sono le economie fondamentali e da questo punto di vista le esperienze che provano a tenere assieme queste cose ce ne sono tantissime, perché nelle terre del margine sta venendo avanti una cosa molto importante. Io parlo per me, noi figli del novecento, io sono del novecento, credo anche i cardini, noi abbiamo sempre ragionato in termini anche di cosenza di classe, per vedere le differenze economiche, le situazioni ecc. Bisogna ricominciare, c'è molta gente che ricomincia a ragionare in termini di cosenza di luogo, il problema è che avremo di prendere coscienza di luogo per rapportare i propri territori e i luoghi dentro i grandi processi di cambiamento e questo è un processo che è in atto nei vari territori. Ci sono alcuni che lamentano la scomparsa delle banche, dell'ufficio postale, e lamentano poi le risposte che vengono date a loro, perché a loro dicono usate la rete, ma queste persone che magari hanno settanta, settantacinque anni, a parte che la rete spesso funziona male, c'è un digital divide che rende difficile tutto questo. Anche da questo punto di vista, coniugare è difficile però, prego. Si, coniugare è difficile, è chiaro che abbiamo prima fatto un viaggio nell'iperificente comunità dell'Alto Adige, del Trentino, ci faremo un convenio o un pane il prossimo anno, è chiaro che il combinato disposto dell'autonomia e delle competenze e delle risorse forse ha creato un meccanismo virtuoso, io dico forse non ripetibile nel resto del Paese, francamente. L'esperienza, la conoscenza deve essere messa al servizio perché aiuta a compiere meno errori, però francamente questa esperienza diventa più difficilmente trasferibile. Però poiché noi non siamo rassegnati a perdere la battaglia, perché perdere la battaglia significa perdere la coesione del Paese, noi non siamo rassegnati, bisogna che ci diamo una responsabilità, e la responsabilità è prima di tutto investire sulle conoscenze e sulle competenze, che è quella roba che ci mette in condizione anche le istituzioni locali, i sindaci, gli assessori, quelli che costituiscono un po' le reti del territorio, ci mette in condizione di essere in grado di progettare lo sviluppo guardando avanti e avendo una visione di prospettiva. Questo è il primo perché se non sappiamo dove andare la meta è incerta. Questo è sicuramente il primo obiettivo. Il secondo obiettivo, le risorse, i fondi strutturali, i fondi di coesione e la fiscalità. Noi dobbiamo richiamare una fiscalità di scopo che in qualche misura premi quello che è più difficile, perché se tenere aperta una banca in un comune di 800 o 1000 persone non è conveniente e c'è lo spopolamento, in 700 comuni c'è uno sportello bancario della banca di credito cooperativo che tiene ancorato lo sviluppo in quel territorio, allora il riconoscimento di un'azione di un ruolo distintivo. Questa è la fiscalità in qualche misura e una politica con la più maiuscola che deve tentare di fare. E poi è chiaro il chiamare a raccolta attraverso un senso di appartenenza, chiamare a raccolta la popolazione che rimane, la popolazione che resta, chiamare a raccolta i giovani. A me è capitato in questa stagione, assembliare che abbiamo fatto di conf cooperativa, di andare sui territori e di vedere dei casi che mi hanno anche commosso, perché giovani che decidono, dopo aver brillantemente studiato, decidono di rimanere nel loro territorio a giocarsi una sfida competitiva sul loro territorio con un'incertezza, con la sicurezza di un mancato di un minore guadagno rispetto al trasferimento in altri contesti. E quindi c'è del materiale buono su cui ancora costruire, si chiama restanza, si chiama chiamiamolo come vogliamo. Su quel materiale noi dobbiamo investire dando strumenti, dando opportunità, dando anche capacità di innovare le legislazioni. Adesso non voglio fare una provocazione, ma i piccoli appalti nei piccoli comuni o nelle zone devono rispondere alla grande normativa sugli appalti o possono rispondere alla opportunità di ancorare il lavoro in quel territorio, all'impresa di quel territorio. Ecco, sono suggestioni che in qualche misura ci consegniamo e che la politica deve in qualche misura affrontare, deve affrontare, io penso anche in una chiave sussidiaria per tentare di costruire lo sviluppo di questi territori. Grazie. Alessa Daproto? I servizi nelle aree più remote e rurali costano circa il 30% in più di quello che costano invece nelle aree urbane o nelle città. E questo è un dato di fatto. Il richiamo della scienza triste. E non solamente costano di più o di meno, costano di più, il 30% in più. E appunto bisogna fare attenzione a mantenere la stessa qualità, perché altrimenti io mio figlio lo mando a scuola in un altro posto perché nella scuola non riesco a trarre l'insegnante che ha competenze e quindi questo è un dato di fatto. Allora come si fa? Perché queste risorse vanno trovate e bisogna produrle. E l'Italia è il fanalino di coda dei paesi del mondo europei, in particolare dei paesi sviluppati, in termini di produttività. E quindi se non cresce la produttività, ovvero la capacità di produrre ricchezza che va utilizzata esattamente per fare queste cose qui, non si riescono a fare. E per quale motivo? Lei ha citato l'Alto Adige. Noi stiamo facendo uno studio. Abbiamo detto benissimo, l'Italia cresce dello zero virgola da diversi anni, da tanti anni. E questo è un problema. Il mondo dice, l'Europa in questo caso ha detto, 8 anni fa circa, il Consiglio d'Europa ha detto, il tema della produttività è un tema fondamentale perché se non saremo sempre di meno e quindi lavoreremo o lavoriamo di più o evidentemente non riusciamo a coprire i costi della vita e dei servizi che bisogna fare. A questo punto dice, facciamo, bisogna studiarla questa produttività e bisogna capire per quale motivo si è incastrato il meccanismo e alcuni paesi non riescono più a crescere. L'Italia insieme alla Spagna in realtà è l'unico paese in Europa che non ha fatto questa commissione per la produttività perché è un posticipato, è sempre stato un tema. Il Trentino è questo come laboratorio perché di per sé è vero, c'è un sistema di governo che è molto più compatto e quindi è vero che c'è l'autonomia che è una cosa molto importante, che c'è una comunità che lavora in un certo modo, ma ovviamente in maniera molto più compatta si pone anche un po' come avanguardia e ha costituito proprio l'anno scorso una cosa che si chiama la commissione per la produttività territoriale. Cioè benissimo lo 0, italiano, ma i territori hanno anche dei percorsi di sviluppo e un modo di, come dire, produrre ricchezza e per ricchezza mi riferisco sicuramente a una ricchezza relativa al Pil ma anche a ricchezza sociale che è diversa. Quindi il Trentino cresce in un modo così come il Molise cresce in un altro, l'Alto Adige. E cosa abbiamo visto? Che effettivamente dieci anni, venti anni fa, no dieci anni fa scusatemi, i paesi, abbiamo preso alcune regioni in giro per il mondo che avevano lo stesso livello di produttività delle regioni, quindi il Trentino, una in Germania, una in Grecia, quindi stiamo parlando di situazioni diversificate. Quindi avevano tutti lo stesso livello di produttività. Negli ultimi vent'anni a un certo punto, questi hanno continuato a crescere facendo una tendenza di questo genere, il Trentino invece si è agganciato a una tendenza italiana, quindi di stagnazione se non di declina a un certo punto, quindi la produttività da un certo punto in poi è iniziata ad essere piatta. E questo evidentemente è un problema perché tutta questa cosa che si vuole fare, che è necessaria, ha bisogno di risorse. Quindi andare ad indagare, andare a capire i dati a livello territoriale, non solamente le medie aggregate, che se no uno non riesce a capire che cosa succede in un posto rispetto nell'altro, è sicuramente fondamentale. Ecco io credo che questo esempio, una cosa che viene fatta qua, l'Alto Adige per esempio, invece ha una crescita agganciata più alla Germania, culturale, di vicinanza, storica, tutto quello che si vuole, però evidentemente ha invece una crescita della produttività che è diversa rispetto a quella del Trentino. Perché c'è anche una struttura industriale diversa. Noi abbiamo delle imprese che sono delle micro imprese, che sono piccolissime, che quindi non sono produttive, quindi o imparano ad essere più efficienti, più capaci a produrre e a lavorare, o altrimenti questa cosa qui non cresce. Questo tema dell'Alto Adige ha delle imprese che sono mediamente più grandi, quindi la media delle imprese altoatesine è un po' più grande di quella del Trentino. Ma questo è un dato di fatto di tutta l'Italia. E di conseguenza questi sono elementi, ripeto, che vanno un po' studiati. E secondo me questo esempio di nuovo Trentino, ma non perché siamo qua, ma perché secondo me è un caso di eccellenza, del laboratorio della produttività, di lavorare e analizzare a livello territoriale quali sono le dinamiche e i driver per poter crescere e quindi di poter creare ricchezza e benessere a livello comunitario, credo che sia un esempio da tenere d'occhio anzi da portare anche in altre luoghe. Grazie. Ho visto che scuoteva la testa quando è stato detto che il modello altoatesino non è difficilmente riproducibile. No, no, no, no, per carità. Capisco la fortuna in cui... Però molto spesso si pensa e si parla del Trentino come ah sì, ma però il Trentino con i soldi che c'ha, perché c'è sempre questo sbaglio e non si capisce che invece la fortuna del Trentino è stata avere dei governanti che hanno guardato lungo e hanno creduto. Allora, e hanno creduto. Allora la conoscenza, per prendere quello che diceva lui, la conoscenza è fondamentale, il tema della conoscenza. Allora anche lì abbiamo provato come fondazione a metterci la testa e abbiamo detto, invece di contare quante scuole ci sono, facciamoci un'altra domanda. Cosa sa fare la gente? Cosa sa fare la gente nei territori? Abbiamo noi uno strumento, qualcosa che ci fa emergere cosa sa fare la gente, perché la vera ricchezza è cosa sa fare la gente, non i titoli di studio e neanche i lavori che fanno. Cosa sa fare la gente? E se riguardi da questo punto di vista, più uno è anziano e più cosa sa fare, perché passa più tempo a fare cose. E quindi la ricchezza degli anziani in una popolazione che invecchia. E allora la conoscenza, abbiamo il Trentino, abbiamo l'onore noi di essere quelli che gestiscono questo processo di conoscenza che è l'Università della Terzetta, di tempo disponibile, abbiamo 6.500 anziani che in 85 punti del Trentino, 85 paesini, escono di casa e vanno a seguire dei piani di studio. Quindi lo studio, e non è uno studio per prendere un titolo, è per mantenere vivo la curiosità della prendere. Allora, più un paese riesce a fare questo, più chi cresce in quel paese, quel bambino o quella bambina che nasce in quel paese, vedono questi esempi, si agganciano al tema della conoscenza. E allora lo scenario a cui noi stiamo cercando di guardare e su cui stiamo studiando, perché questo di far emergere cosa sa fare la gente, abbiamo anche costruito un'app che non è ancora pubblica e su cui abbiamo avuto alcuni problemi tecnici, ma però è assolutamente quella la strada, costruire strumenti per realizzare la circolarità della conoscenza. Cioè il tema è che tutti parlano di economia circolare, ma parliamo di conoscenza circolare, come scambiamo, come rendiamo un bene comune la conoscenza. E questo è un altro grandissimo tema che stiamo affrontando e l'ultima cosa che proprio l'altro giorno abbiamo deciso di fare è di andare indagare il rapporto fra anziani e intelligenza artificiale. E questo secondo me sarà un campo divertentissimo, bellissimo di approfondimento, perché sono sicuro che emergeranno delle robe estremamente stimolanti. Bene, grazie, abbiamo sforato già di qualche minuto, ringrazio tutti voi, abbiamo vinto la sfida con il metro, magari vinceremo anche la sfida dei piccoli comuni. Buona giornata a tutti. Buona giornata.
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