Perché la globalizzazione non è finita
Incorpora video
Perché la globalizzazione non è finita
Partecipanti di alto livello, provenienti da Cina, Europa e organizzazioni internazionali come l'OCSE, discutono se la globalizzazione sia finita o meno. Si analizzano i costi della frammentazione dei mercati e le sfide geopolitiche, con particolare attenzione al ruolo di Cina e Stati Uniti. Emergono diverse prospettive sul futuro, tra cui la necessità di una nuova governance globale che promuova il coordinamento senza imporre la convergenza di sistemi politici ed economici. Infine, si discute della necessità di politiche industriali e della redistribuzione della ricchezza per mitigare le disuguaglianze generate dalla globalizzazione.
Sottotitoli e revisione a cura di QTSS Buongiorno a tutti, benvenuti a questo panel dove si discuterà e si affronterà un tema abbastanza importante per tutti, cioè la globalizzazione è perché, c'è un po' una premessa come dire di principio, perché la globalizzazione la quale ormai tutto il mondo abituato non può essere come dire interrotta meno che mai da un momento all'altro ma è un processo che va governato, che va vissuto, che va capito e orientato. Quindi la globalizzazione non può essere bloccata e è necessario probabilmente anche concentrarsi su un nuovo ordine, la possibilità di cancellare la globalizzazione implica anche un lavoro molto forte e impegnativo per cercare un'alternativa, un'alternativa anche al governo di un qualcosa che non è globalizzazione. Io chiamo al palco in questo momento il professor Giovanni Tria, prego professore, per andare posto, che è l'anima di questo evento, l'ispiratore e dobbiamo dargli neatto anche perché con la sua opera di studio e anche nella sua veste di ex ministro del Tesoro ha partecipato e partecipa ancora in effetti a tutta una serie di attività a livello anche globale per proprio studiare e questo tipo di problemi. E l'interlocutore di questa prima fase è il professor Yang Yao che chiamo al palco. Il professor Yang Yao è direttore del China Center for Economic Research di Pechino, quindi credo che sia una bella premessa di questo evento il fatto che questi due interlocutori possano affrontare proprio il tema di una possibile nuova, nuovo futuro della globalizzazione. Vi lascio il professor tutto a posto, ok? E vi lascio il campo, sperando che a livello tecnico funzioni perché il nostro ospite dovrà... ok, bene, io ritorno tra gli umani a sentire il vostro intervento, prego. Buongiorno, funziona sì. Buongiorno a tutti in questa prima parte di questo evento introdurremo un po' il tema con il professor Yang Yao che viene della Peking University. Ora il tema, il titolo di questo evento è la globalizzazione non è finita, appare come una affermazione. Forse la domanda dovrebbe essere ma la globalizzazione può finire? Ora dobbiamo forse partire da cosa è stata la globalizzazione e cosa è oggi la globalizzazione. Noi abbiamo catene produttive globali che passano attraverso una molteplicità di paesi. Un prodotto che arriva in Italia, made in China, in realtà contiene produzioni, parti che provengono da altri paesi asiatici e a volte contengono pezzi che provengono anche dall'Italia. Questa è la globalizzazione, parte della globalizzazione. Interrompere queste catene produttive significa interrompere i flussi di produzione da una parte e l'altra del mondo. Più bassa crescita e inflazione. Perché la globalizzazione, ricordiamolo in questo momento in cui si parla sempre più di competizione e di conflitto, la globalizzazione ci ha dato tre decenni di crescita globale senza inflazione. Il meccanismo, lo conoscete, grandi investimenti occidentali anche molto americani, in Cina. La Cina ha messo la sua forza a lavoro che è entrata nel mercato globale. La Cina è cresciuta nel suo potere e forza economica come tutto il mondo. La globalizzazione ci ha dato tre decenni di crescita senza inflazione di cui hanno beneficiato tutti i paesi, i paesi avanzati, i paesi emergenti ed i paesi in via di sviluppo. Certo all'interno dei vari paesi c'è stato avvantaggiato e che ha perso, ma questo non è colpa della globalizzazione ma è colpa del fatto che i vari governi non hanno attuato il precetto che la teoria economica insegna e cioè che il libero commercio internazionale che si basa sui vantaggi comparati, cioè ogni paese produce dei settori in cui è più capace di farlo a maggiore produttività, questo avvantaggia tutti, fa crescere la torta che deve essere divisa da tutti i paesi ma all'interno di ogni paese ovviamente ci sono cambiamenti economici, qualcuno perde e qualcuno guadagna, ma se c'è un guadagno complessivo sono le politiche dei singoli paesi che devono attuare la redistribuzione interna, questo non è accaduto, un primo punto. Il secondo punto è quello che voglio far notare che in effetti dopo tre decenni di crescita senza inflazione i pesi globali, i pesi economici globali tra i vari paesi sono completamente cambiati e questo pone un problema di regolamentazione, di governance globale, di come ci si pone tra paesi. Si scopre improvvisamente che questo benessere che è cresciuto in tutti i paesi è dovuto a una globalizzazione che significa interdipendenze tra i vari paesi, ma l'interdipendenza oggi sono interpretate come dipendenze e allora l'interdipendenza tra paesi viene vissuta come paura, paura della dipendenza perché se qualche paese blocca le produzioni l'altro paese viene danneggiato, le catene produttive si interrompono. Questo è uno delle grandi paure, ma sono paure che sono create esenzialmente dalle tensioni geopolitiche. Quello vorrei poter dire è il discorso del professor Yao Yang, come si pongono oggi questi problemi, come le grandi potenze, Stati Uniti e Cina e poi come si dovrebbe porre l'Europa di fronte al problema di come governare questo grande spostamento di peso economico e politico che c'è stato dall'Occidente all'Oriente. Per concludere questo mio stimolo voglio solo ricordare i grandi spostamenti globali di peso economico che ci sono stati negli ultimi due secoli. All'inizio dell'Ottocento il 70% del prodotto interno l'ordo mondiale era prodotto in quello che noi chiamiamo il sud globale. All'inizio del 900 e alla metà del 900 eravamo arrivati per cui è una situazione in cui il 70% del prodotto interno l'ordo globale era prodotto nel nord globale, nell'Occidente. Si va verso una direzione in cui torniamo ai paesi del primo Ottocento. Voglio solo ricordare che nel primo grande spostamento globale che c'è stato dall'inizio dell'Ottocento a metà del Novecento, noi abbiamo avuto due guerre mondiali e molte altre guerre locali. Il nostro compito è come governare in modo pacifico questo nuovo spostamento di pesi economici che è inarrestabile per motivi essenzialmente anche demografici. Grazie, grazie di avermi invitato. È un'opportunità eccellente questa per poter intavolare un dialogo con i colleghi italiani e europei in generale. Il Professor Tria l'ha appena detto, il mondo sta cambiando. Però a mio parere di fatto il cambiamento principale è l'ascesa della Cina, la pila della Cina che lo calcoliamo in termini di PPI è già il più grande al mondo. Se utilizziamo appunto le attuali tasti di cambio siamo al secondo posto. Dalla seconda guerra mondiale nessun paese sembra essere stato al pari dell'ascesa dell'economia cinese. Ecco questo è un grosso cambiamento. Naturalmente la Cina ha un sistema politico diverso e questo ha un fattore importante. Se pensiamo appunto alla globalizzazione in generale, ecco c'era in passato una idea comune, cioè che l'intero mondo avrebbe avuto una convergenza verso lo stesso sistema, cioè il sistema americano, quindi a livello economico, politico, culturale e così via. Di fatto quello che è successo è che c'è stata la crisi finanziaria globale e che ha mostrato che le cose non funzionavano. La Cina non aveva mostrato una convergenza verso il sistema americano. La Cina ha la propria strada, ha un sistema politico diverso. Tutti abbiamo le nostre storie e crediamo nelle nostre storie. Ecco in gran parte dei casi noi riteniamo che la nostra storia sia migliore di quella degli altri e quindi questo rappresenta un cambiamento molto grande a livello mondiale. Gli Stati Uniti in un certo senso, insomma, invece appunto di considerare gli avversari come amici, in qualche modo hanno creato degli antagonismi. Gli Stati Uniti hanno cambiato la loro politica nei confronti della Cina, vedendo la Cina un po' come un avversario, come è stato appena detto dal professor Tria. C'è stato un grosso impatto sulle catene di produzione mondiale e anche sull'ecosistema a livello mondiale. Ma qui non parliamo solo degli Stati Uniti, anche altri paesi si stanno orientando in direzioni diverse. Ecco, non soltanto la Cina, gli Stati Uniti, pensate alla Turchia, pensate anche all'India che stanno cercando di realizzare una cultura coerente all'interno del loro Paese, al tempo stesso cercando di accrescere la loro influenza a livello internazionale, magari a livello della propria regione. Quindi tutto il mondo in qualche modo si sta orientando in direzioni diverse. Però vorrei sottolineare una cosa, se consideriamo soltanto il lato economico, la globalizzazione non è finita. Ecco, se pensate alle guerre commerciali, insomma, ecco, però la globalizzazione continua. Ecco, se pensate anche alle esportazioni cinesi negli Stati Uniti, ecco, naturalmente le esportazioni cinesi sono cresciute nel tempo moltissimo, ma se consideriamo le relazioni Stati Uniti-Cina in termini commerciali, i volumi commerciali diretti sono di fatto un po' diminuiti di recente, del 17% nell'ultimo anno, negli ultimi tre anni anzi. Ma se consideriamo le importazioni americane anche in termini di valore aggiunto, la Cina come componente è aumentata notevolmente dal 2018. Se ricordo bene, adesso siamo al 25% di tutte le importazioni americane, anche se le esportazioni, diciamo, dirette della Cina sono diminuite. Che vuol dire questo? Vuol dire che le imprese cinesi escono dalla Cina e vanno a produrre, altrove per poi esportare negli Stati Uniti, oppure la Cina esporta ben intermedi in altri paesi, paesi asiatici, Messico, e questi paesi poi assemblano queste parti e poi esportano il prodotto finito negli Stati Uniti. Quindi in termini di relazioni commerciali Stati Uniti-Cina non è cambiato, diciamo, nulla, o, diciamo, per diversamente la dipendenza americana delle esportazioni cinesi non è cambiata. Ecco, l'unico cambiamento, diciamo, è che l'atteggiamento degli Stati Uniti di confrontare la Cina ha costretto la Cina a modificare appunto i modelli di produzione. Ecco, se pensiamo agli Stati Uniti, pensiamo anche al Giappone, in particolare il Giappone. Il Giappone, per esempio, vede che la Cina non avrà i livelli, diciamo, dei flussi di capitali che al Giappone parliamo di 10 trigioni. Ecco, però quindi io non credo che ci sia un problema specifico per quanto riguarda la Cina. Le sanzioni americane, anche per quanto riguarda i prodotti tecnologici, non hanno funzionato, neanche loro. Pensate a Huawei, per esempio. Huawei adesso può produrre i chip da 7 nanometri e si arriverà presto a chip da 5 nanometri. Nei confronti di Huawei nulla è cambiato. L'unica cosa che è cambiata è che il progetto tecnologico cinese è stato accelerato dalle sanzioni americane, ma naturalmente questo ha cresciuto i costi per la Cina. E devo dire una cosa. L'unico successo da parte americana è stato quello di costringere le società, una società americana, per esempio, le società internazionali. Scusa come Huawei è diventata una società completamente cinese. Fino ad allora era una società internazionale, adesso è diventata completamente cinese. Ecco, il successo degli Stati Uniti. Naturalmente questo ha anche distrutto l'ecosistema di Huawei in tutto il mondo. C'era una divisione del lavoro fra la Cina, gli Stati Uniti e anche altre economie circostanti in un ecosistema completo. Ecco, la Cina per me come economista non dovrebbe investire nel settore, per esempio, dei chip di alta fascia perché non è un vantaggio comparato che ha la Cina, ma adesso la Cina deve farlo e c'è riuscita peraltro. Ma non è certo la situazione ideale e non penso che sia ideale né per la Cina né per gli Stati Uniti questa situazione. Quindi le sanzioni americane nei confronti della Cina di fatto non hanno successo. E questo lo dicono anche i funzionari di governo americani, sono d'accordo? Lo dicono. Ecco, sappiamo che ci saranno degli svantaggi ma dobbiamo farlo. Ecco, per me da economista è un suggerimento, è un atteggiamento che non può avere successo. Ora credo che la cosa fondamentale qui rimanga alla questione delle storie, cioè gli Stati Uniti e President Biden adesso dicono non permetteremo alla Cina di dominare l'ordine mondiale. Ecco, però questo è un atteggiamento da giochi insomma a zero insomma che non funziona. Ma la sfida che abbiamo di fronte per creare un nuovo ordine mondiale è come appunto così far coesistere paesi con sistemi politici diversi, possiamo creare un nuovo ordine mondiale con integrazione ma senza convergenza? Ebbene, io penso che sarà una domanda molto difficile da affrontare, una sfida molto difficile da affrontare per tutti i paesi. Ecco, perché ognuno come dicevo vive la propria storia, però forse è giunto il momento di mettere da parte le proprie storie e pensare invece al benessere di tutto il mondo e con questo vorrei fermarmi. Bene, grazie. Siamo alla fine di questo diciamo incontro a due, vi ringraziamo per aver dato anche delle linee di riflessione, soprattutto questo aspetto del nuovo ordine che è effettivamente difficile da gestire, da maneggiare per il futuro. Io inviterei gli altri ospiti per il secondo giro, faremo una tavola rotonda in cui vi saranno rivolte due giri di domande e ognuno di voi avrà cinque minuti di tempo per rispondere. Quindi inizio dai nostri amici cinesi, Shuamin Hui che è il professore associato del Dipartimento di Economia della scuola, del comitato centrale del partito. Yu Miao, la collega Yu Miao che è anche lei dello stesso struttura e organizzazione del partito. Prego, ovviamente bisognerà lasciare il posto per un'altra persona, quindi prego il professore Miao di riprendere il posto. Fabrizia Lapecorella che è una vecchia conoscenza del festival anche e soprattutto ha un incarico molto molto importante a livello vicesegretario, vicesegretario dell'Oxè che è l'organizzazione che si occupa della cooperazione internazionale e quindi proprio alle mani nella marmellata. Infine abbiamo un'altra ospite Valentina Meliciani che è direttore dell'Istituto delle analisi europee politiche europee, Università Luiz. Bene, allora cominciamo questo round, mi raccomando il tempo perché siamo in tanti e i temi sono veramente molto forti quindi comincerei poi dalla mia sinistra e progressivamente. La domanda che credo ci facciamo tutti è quali sono i costi di questo mondo così frammentato? Cioè se la globalizzazione dovesse andare in pezzi quali sono i costi di questa frammentazione e quali sono anche i costi del non poter fare delle cose che potrebbero essere utili a tutto quanto il pianeta ad esempio in termini di energia, di risparmio, di rispetto dell'ambiente. C'è bisogno di coesione, c'è bisogno di avere un accordo globale quindi io se è chiara la domanda comincerei proprio dal nostro amico Xuamin. Prego. Sì grazie infinite. Io sono assolutamente d'accordo sul punto che è stato sollevato dal dottor Yao che la globalizzazione non finirà ma continuerà, non è finita anzi andrà avanti appunto ma vorrei soffermarmi su alcuni punti su tre punti in particolare su quella che è la globalizzazione di oggi. Come primo punto vorrei dire questo proprio come il professor Tria ha sottolineato dobbiamo capire quelli che sono i costi e quelli che sono i pericoli anche di questa frammentazione di quella che è l'attuale globalizzazione. Che costi comporterà questa frammentazione? Bene, si è parato di deglobalizzazione recentemente dei mercati internazionali e i mercati si è detto che appunto questi mercati internazionali sono tutti ormai divisi in vari frammenti. Questa frammentazione dei mercati internazionali porterà a delle inefficienze di questo mercato sicuramente non consentirà una maggiore integrazione dell'economia mondiale e andrà proprio a limitare quella che è la visione proprio come risultato di questo, andrà a ostacolare il progresso come quello tecnologico per esempio e andrà a ostacolare anche l'innovazione in particolar modo andrà ad eliminare l'opportunità, tante opportunità per i giovani del mondo, l'opportunità di poter portare avanti un'innovazione che riguarderà l'intero mondo e che avrà un impatto importante sul loro futuro. Poi secondo punto per quanto riguarda invece l'aspetto più politico. Ecco qui secondo me è molto importante dire che la globalizzazione va di pari passo all'economia globale. Una frammentazione quindi porterà alla stagnazione soprattutto per quanto riguarda il problema dell'inflazione e a maggior instabilità e minore crescita. Questo può essere l'esito. Quindi le catene del valore, le catene industriali che sono state costruite dall'economie mondiale nel corso degli anni, ecco tutto questo valore, questo valore è importante e sta diventando un punto anche di conflitto e sta portando a un'instabilità geopolitica e non si pensa invece ai vantaggi invece che ci sono stati con la globalizzazione se li raffrontiamo appunto raffrontando le cose. Quindi è molto importante arrestare questa frammentazione dei mercati internazionali, è importante arrestarlo per avere più crescita e più stabilità in futuro. Il mondo, la governance politica internazionale a mio avviso pensa a un mondo, un sogno possiamo dire come è proprio molto importante e questo è già stato detto appunto nel 2008 alle Olimpiadi e si è parlato di villaggio globale, del fatto che siamo vicini, del fatto che non possiamo essere separati per sempre, che siamo una comunità e quindi è molto importante la cooperazione e non la competizione, non il conflitto per i nostri rapporti di lungo termine perché ognuno di noi ha basato la propria felicità e basa la propria felicità su quella, quella sua felicità dipende da quella dei suoi vicini, che non ci siano conflitti ma che ci sia invece una situazione appunto di assenza di conflitti. Grazie assolutamente lei poi avrà tempo per completare questi suoi pensieri, la ringrazio comunque molto per questa introduzione, questi commenti. In 5 minuti una risposta sintetica a una domanda tremenda, quanto ci costa questa deglobalizzazione? Beh, rita questa, che potrò, quanto ci costa ancora non l'abbiamo calcolato però costa, costa, costa tanto. La tendenza alla frammentazione dei mercati internazionali va probabilmente anche un attimo inquadrata nel contesto in cui ha cominciato a materializzarsi e io diciamo in maniera molto schematica direi che abbiamo assistito all'inizio della tendenza alla frammentazione a partire dalla pandemia covid. Durante la pandemia covid abbiamo sperimentato per la prima volta per ragioni strettamente connesse all'emergenza pandemica e quindi ai lockdown, primi strozzamenti, prime interruzioni nelle catene globali del valore che hanno determinato costi, incremento dei costi di produzione o interruzione, grossi ritardi nella consegna dei beni, quindi primi costi per l'economia internazionale ma tutto sommato un fattore esogeno, drammatico, esogeno, le interruzioni che si sono verificate. La frammentazione che ha cominciato a evidenziarsi era, poteva essere una, avere assistito a quel fenomeno poteva essere una validissima ragione, una grande opportunità per cominciare a trattarlo, quindi cominciare a riflettere su come gestirlo. In realtà immediatamente dopo l'invasione della Russia, l'aggressione della Russia contro l'Ucraina ha determinato in Euro, in una zona del mondo importante occidentale, la crisi energetica e di nuovo la crisi energetica ha inserito un nuovo elemento nella funzione obiettivo dei governi, la dimensione della sicurezza energetica come elemento della sicurezza economico-finanziaria, quindi le politiche dei governi informate non soltanto alla massimizzazione del benessere delle ma anche a gestire, a rispondere a vulnerabilità strategiche delle economie. Direi che su tutto l'esigenza di, nel contesto attuale, la frammentazione è un problema rispetto all'esigenza indifferibile di perseguire politiche che rispondano a emergenze che sono genuinamente globali. Di queste di nuovo ci sono certamente la risposta, la necessità di avere pronte risposte a ulteriori fenomeni pandemici, quindi minacce alla salute pubblica che si è dimostrato essere una minaccia che non ha confini e quindi una minaccia globale che richiede una risposta globale ma soprattutto l'esigenza indifferibile di decarbonizzare l'economia globale per contrastare il cambiamento climatico che avrà dei costi che ormai sono apprezzati, per avere dei costi insostenibili ormai apprezzati da tutti. Quindi in un momento di crisi tu pensi che sia stata il importante questa globalizzazione per rispondere allo shock della guerra, al shock energetico? La globalizzazione ha sofferto di queste cose e ha comportato dei costi che sono non soltanto costi economici ovvi, perdia di efficienza, effettivamente dei mercati, incremento dei costi alla produzione, ha provocato anche costi in termini di riduzione degli investimenti diretti esteri, di riduzione della capacità dei paesi di trasferire tecnologie e conoscenza che sono elementi fondamentali nella gestione, nella definizione delle politiche economiche che sono necessarie a rispondere alle emergenze globali che comunque ancora abbiamo. Quindi la frammentazione, il costo più importante della frammentazione è quello di rendere più costosa, più difficile la risposta a emergenze di tipo globale. Perfetto, credo che questo sia un tip molto importante per noi tutti che vogliamo capire e seguire cosa sta succedendo adesso e cosa potrà esserci dietro a un angolo. La stessa domanda al professor Tria che però ha solo tre minuti, come si fa? Avendo parlato già prima, no scherzo, è sempre questa sui costi della frammentazione, se glielo do questo poi dopo che succede non riesco a tagliare. I costi della frammentazione dei mercati, è stato già detto ovviamente, si tratta di porre tariffe, barriere, diciamo porre vincoli di merci ma di tecnologie e di conoscenze. Si entra in una logica di gioco a somma zero. La globalizzazione è stato un gioco non a somma zero, nel senso che l'idea era che la crescita globale poi portava benefici per tutti che si redistribuivano. Il gioco a somma zero significa che io non posso guadagnare se qualcun altro non perde. Il progresso nella storia è venuto quando i giochi non erano a somma zero. Nel periodo della storia in cui i giochi erano a somma zero, nasceva ovviamente il conflitto e spesso, diciamo, le guerre. La frammentazione dei mercati è stato richiamato come è nata anche la frammentazione dei mercati, che è chiaro che durante la pandemia è venuta quella che ho chiamato prima la paura della dipendenza, quando chiaro la globalizzazione è fatta di interdipendenze, ma le società moderne sono fatte di interdipendenze. Quando si ha paura della interdipendenza si arriva alle società primitive. Ora, in questo momento ci sono le basi per portare avanti la globalizzazione per un nuovo ordine globale nel senso di nuove regole condivise dalle varie del mondo. Prendiamo l'esempio delle rapporti Stati Uniti e Cina. Guardiamo alla Cina. La Cina è cartarizzata dal fatto che ha il 45% di tasso di risparmio nazionale con cui ha alimentato massici investimenti. All'inizio del suo sviluppo arrivavano investimenti dall'Occidente, poi da decenni grandi risorse sugli investimenti in tecnologia avanzata. Dall'altra parte i benefici erano di avere i consumi. Gli Stati Uniti hanno tasso di risparmio quasi pari a zero e quindi durante la globalizzazione hanno potuto consumare più di quello che producevano, perché importavano. Chi andava in un surplus commerciale come la Cina aveva dollari e quindi in qualche modo chi emette dollari poteva continuare a finanziare i propri consumi. Ora si entra in un mondo frammentato perché si ha paura di queste dipendenze per scontro geopolitico perché ormai il mondo i pensi globali sono cambiati, i pensi economici globali sono cambiati. La frammentazione viene anche da questo e soprattutto da chi dominerà i prossimi mercati, da chi sono determinati. Da cosa è determinato il prossimo mercato? Della grande necessaria rivoluzione ecologica, i beni pubblici globali. Dobbiamo avere un'economia green, ma come si raggiunge un'economia green? Con i prodotti green, con i pannelli sorarili, le auto elettriche, i semiconduttori eccetera. Bene c'è una parte del mondo che ha investito molto su questo e adesso è all'avanguardia gli altri come l'Europa ha investito meno. Cioè dovranno comprare e dovranno comprare. Meno risparmio e meno investimento. A questo punto c'è il conflitto su chi dominerà questi importanti mercati già attuali ma soprattutto futuri. E lì nasce la nuova politica industriale, nasce il protezionismo con l'idea di in qualche modo non perdere competitività in questi mercati. È una specie di contraddizione. Dobbiamo cooperare sul piano globale per il contrasto al climate change ma stiamo arrivando al conflitto per chi domina la produzione di questi beni. La frammentazione. La frammentazione è soprattutto i costi derivano dall'incertezza. Adesso ci discute di porre vincoli al trasferimento di tecnologie oltre che di beni perché si pensa che alcune tecnologie possono avere un dual user, cioè uso civile e uso militare. Bene questo è uno dei punti fondamentali che alimenta questa futura frammentazione ma cosa significa questo? Qual è il confine? Come si definisce il dual user? Soprattutto chi lo decide? Ci sono regole generali? Ovviamente ogni paese è libero di decidere che a un certo punto una tecnologia è dual user e bloccarne il commercio. Questo cosa significa per gli investitori? Incertezza. Una grande impresa che vuole investire in qualche parte del mondo sa che domani parte con una linea di produzione che richiede alta tecnologia ma domani mi bloccano la tecnologia. L'effetto immediato è rallentare gli investimenti in tutte le altre lezioni del mondo, avere minore crescita e soprattutto più inflazione perché si produce meno nel mondo. Professore grazie anche per quest'altro elemento. Il dual user sentiamo tutti i giorni che sta diventando veramente un problema importante anche per cercare di capire come giustamente dice lei cosa è civile, cos'è militare perché è una nozione che solo in parte viene decisa dalla tecnologia. Allora io passo la parola a Valentina Meliciani che sicuramente potrà darci un punto di vista anche dell'industria delle aziende, quanto costa la frammentazione. Grazie, grazie è un argomento molto interessante e molto difficile al quale dare una una risposta. Io partirei da una considerazione che forse è già emersa dagli altri interventi. Fino a qualche anno fa quando si parlava di importazioni si parlava di spillover tecnologici, l'idea era che il commercio internazionale e quindi anche appunto l'interdipendenza tra paesi portasse dei vantaggi in termini di capacità di innovare anche attraverso appunto limitazione e quindi appunto i benefici della diffusione della tecnologia. Oggi si guarda esattamente alla stessa fenomeni con una prospettiva molto diversa. Quindi c'è appunto quest'idea che le importazioni contribuiscano ad una dipendenza tra paesi e quindi si pone l'accento sull'importanza dell'autonomia strategica. Quindi anche in Europa il concetto di autonomia strategica però aperta quindi insomma l'idea che non si debba rinunciare agli scambi internazionali però i paesi non debbano nemmeno rinunciare ad essere in grado di produrre autonomamente determinati beni. Non è ancora bene chiaro quali nel senso se sono soltanto quelli di natura strategica e quali sono però questi beni di natura strategica. Questo per quanto riguarda un po' l'approccio concettuale, quindi l'approccio concettuale in effetti è molto cambiato. Se andiamo a guardare la realtà... Mi scusi, posso per cortesia è possibile spegnere? Se andiamo a guardare la realtà... Mi scusi, mi scusi. Se andiamo a guardare la realtà, la realtà non è cambiata così tanto come l'approccio, e quindi credo che l'abbiamo sentito prima che in realtà la globalizzazione non è assolutamente finita, il commercio continua ad aumentare, il digital trade è più che raddoppiato e anche quando non ci sono legami diretti tra paesi in realtà ci sono poi dei legami indiretti perché le imprese percepiscono ovviamente il protezionismo come un enorme costo e quindi sicuramente la globalizzazione non è finita, sicuramente qualche cosa è cambiato in termini di questo termine French shoring, quindi l'idea appunto di gruppi, di paesi che sono più simili tra di loro da un punto di vista politico, quindi anche il tentativo di misurare questo attraverso il modo in cui i paesi votano presso l'Assemblea delle Nazioni Unite, di vedere se il commercio tra paesi che votano in modo simile sta aumentando più che tra paesi che sono disallineati e su questo ci sono una serie di studi che confermano questo tipo di pattern e ne calcolano anche i costi, quindi diciamo un tentativo di calcolare questi costi c'è stato, ovviamente il calcolo differisce a seconda dei modelli utilizzati ma si arriva fino a produrre stime che vanno anche al 4,7% del PIL dei paesi, quindi una riduzione sostanziale nel tasso di crescita legato appunto a non avere un commercio che risponda a esigenze soltanto di efficienza ma che risponde a esigenze diverse, quindi a esigenze di sicurezza non ben definita ma comunque che si riconduce all'idea dell'allineamento politico tra paesi. E quando è che questa globalizzazione, però perché questa globalizzazione è stata un po' messa in crisi? Perché altrimenti se i vantaggi, se ci fossero solo vantaggi non staremmo qui a parlare del problema. Allora Fabrizia ha già menzionato la pandemia, io andrei anche un pochino più indietro nel senso che la globalizzazione in fondo è stata voluta dai paesi avanzati, cioè è stato un modo per le imprese dei paesi avanzati di ridurre i costi di produzione, di rendere la produzione più efficiente, sono nate così le famose catene globali del valore e questo ha portato nella prima fase della globalizzazione un aumento sia del commercio, della quota del commercio mondiale, della quota dei redditi mondiali dei G7, ma questo processo a un certo punto però si è arrestato, quindi a partire dalla fine degli anni 80 c'è stato un trend inverso, quindi i paesi avanzati G7 hanno perso più del 20% della quota di esportazioni mondiali e di reddito mondiale a favore di una serie di paesi emergenti, ovviamente la Cina e qualche altro paese, non tutti i paesi purtroppo del sud del mondo, però alcuni paesi, la Polonia, l'Indonesia, l'India e quindi nel frattempo nei paesi avanzati c'erano delle categorie che iniziavano a soffrire i problemi della globalizzazione, ci si è accorti che ridurre il peso del settore manifatturiero perché appunto in queste catene del valore gran parte di quello che i paesi avanzati continuavano a fare era soprattutto legato appunto ai servizi avanzati e sempre di meno legato appunto alla produzione, perdere il settore manifatturiero portava dei problemi sia problemi di ordine sociale perché appunto portava la diminuzione della domanda di alcuni tipi di lavoratori, quelli meno qualificati e quindi portava soprattutto negli Stati Uniti, questo è stato molto evidente, c'è stata un grande aumento delle disuguaglianze nel periodo della globalizzazione che non è sicuramente ascrivibile alla globalizzazione di per se stessa che però veniva in qualche modo associato a questo e poi il fatto appunto di accorgersi che il progresso tecnologico ci sono delle forti economie poi sono state dominate linkage economies ovvero io sono più efficiente nell'innovare se anche produco e quindi l'idea di perdere il settore manifatturiero è iniziata ad essere considerato un limite per i paesi avanzati e allora come si può conciliare tutto questo con il fatto che la globalizzazione deve rimanere e che io sono perfettamente d'accordo con l'idea che la chiusura dei mercati è un gioco assomma negativa, secondo me c'è un po' il rischio di passare da un estremo all'altro e di in un certo senso identificare le politiche industriali con il protezionismo mentre... Lo stiamo già vedendo, lo stiamo già vedendo, questo non è una roba futura. Le due cose devono essere tenute profondamente distinte perché la Cina e i paesi che sono cresciuti hanno portato avanti politiche industriali in un'era globalizzata e quindi i paesi diciamo possono andare a superare i problemi della deindustrializzazione senza necessariamente farlo attraverso politiche protezionistiche. Grazie, grazie mille per queste suggestioni sono molto importanti e ci riportano anche ad alcuni elementi appunto il protezionismo che non era una parola che non era stata ancora pronunciata finora e io sono molto curiosa di sapere invece il punto di vista della professoressa Yu Miao. È il suo turno, prego. Grazie per l'invito a noi qui e oggi voglio condividere la mia opinione sull'altra parte. Penso che ci sia un nuovo momento alla globalizzazione, cioè il sviluppo della economia digitale. Per prima cosa possiamo dire che il intercettore digitale è stato particolarmente promenata nella ricaricazione del intercettore globalizzato e il intercettore servizio data-driven ha già accoltato la metà del intercettore. Secondo, possiamo trovare che le compagnie digitali multinazionali hanno raggiunto la crescita del rapido, diventando la forza dominante in la globalizzazione, in cambiare il rilascio global e il landscape di investimento. Poi c'è anche un nuovo fattore che è quello del contributo dei dati alla crescita economica che sta continuamente aumentando. La Cina è molto impegnata a condividere queste nuove opportunità per raggiungere questo progresso tecnologico con e-commerce transfrontaliero che forniscono sicuramente un'elevata qualità in questo campo. E anche sicuramente produzioni transfrontaliere e con molti service provider con l'utilizzo di dati che possono portare a una ridituzione dei costi delle catene internazionali. D'altro lato, questo sviluppo dell'economia cosiddetta digitale, delle tecnologie digitali, ha consentito a più individui, a più società di partecipare a quelle che sono le comunità attraverso i social media, attraverso altri strumenti di collaborazione, attraverso queste le persone possono direttamente condividere per esempio i loro punti di vista, possono discutere delle varie questioni, possono partecipare anche al processo decisionali. Ha permesso anche questo, quindi la tecnologia digitale anche offre dei strumenti assolutamente innovativi, per esempio il blockchain, la tecnologia blockchain che consente la trasparenza dei dati. Questo lo fa bene perché l'intelligenza artificiale può aiutare molto ad analizzare per esempio grossi volumi di dati e aiutare in questo senso chi determina anche le politiche. Ecco perché io parlo di economia digitale perché secondo me questa ha portato un nuovo slancio all'economia mondiale generale. Siamo in, fate voi calcoli di conti, come dico io a casa mia dei miei, io non sono matematica ma faccio i conti della serva, però se sono il metodo Tria non ce la faremo mai, vero? Ma non lo stai a mai? Per cui io farei una sola domanda molto secca a tutti, cominciando proprio da Yu-Miao così il primo ricomincia con la coda. Molto semplice, i tre blocchi che sono stati evocati quindi Europa, Cina e Stati Uniti, che margini ci sono perché possano trovare un nuovo accordo su nuove regole. Molto semplice, drammatico, però la domanda è secca. Ok? Come ho detto la globalizzazione deve affrontare numerose sfide, indubbiamente. Anche quella dell'economia digitale in tutti i suoi aspetti, perché anche questa dovrà affrontare delle sfide come la sicurezza dei dati piuttosto che la privacy, piuttosto che anche le memorie dei dati. Stati Uniti, l'Europa, la Cina hanno sicuramente anche opinioni diverse, divergenti su questi aspetti. Quindi il dibattito su queste regole l'abbiamo già visto in questa nuova generazione di accordi, per esempio l'accordo tra Stati Uniti, Messico e Canada, piuttosto che gli accordi commerciali tra gli Stati Uniti e Giappone. Quindi queste diverse regole sono molto specifiche e richiedono una convergenza e una discussione comune, condivisa. Per parlare di economia digitale di nuovo, come ho detto, questa fornisce dei nuovi strumenti per risolvere questi problemi con la tecnologia digitale che consente alle persone, agli individui, di partecipare direttamente alle discussioni di politica, alla formulazione di politiche attraverso delle piattaforme online. Questo è uno strumento molto importante, può essere un nuovo modo per condividere, il che significa anche sviluppare ancora di più questa forza dell'economia digitale, che deve essere forse ancora più presente. L'economia digitale sicuramente è una questione da considerare, anche se sappiamo benissimo che le piattaforme digitali ognuno si fa la sua, spesso è complicato, però potrebbe essere anche un modo per affrontare anche qualche sorta di nuova globalizzazione. Valentina? Grazie, io farei un'altra domanda, come risposta alla domanda, esistono veramente tre blocchi. Possiamo considerare l'Europa un blocco alla pari della Cina e degli Stati Uniti? Faccio questa domanda anche perché secondo me la risposta dipende anche un po' da questo. Vogliamo parlare anche degli Stati Uniti che sono profondamente divisi in due blocchi, a questo punto voglio dire. L'Europa lo è anche strutturalmente, che non avendo ancora completato un reale processo di unificazione, soprattutto dal punto di vista fiscale, ma anche dal punto di vista della difesa, dal punto di vista delle politiche sulla sicurezza e così via, molto spesso esprime anche posizioni che non sono necessariamente allineate. Io penso che la risposta a questa domanda molto interessante dipenda anche un po' dalla capacità dell'Europa di fungere realmente come attore globale e di portare avanti un po' l'idea che è importante l'autonomia strategica, ma deve essere appunto aperta. Quindi questo, diciamo un po' slogan da questo termine che è stato coniato, però poi abbia una reale implementazione e che quindi le politiche europee si pongano in maniera tale da evitare la reale formazione di blocchi e un reale diciamo movimento verso... Quindi un elemento di mediazione. Un elemento di mediazione importante per quello che dicevamo prima, perché le sfide che ci attendono sono sfide globali, la transizione ecologica, la transizione verde, stiamo parlando di un bene pubblico globale e quindi in assenza di cooperazione è difficile raggiungere questi obiettivi. Grazie. Allora Fabrizia e dopo il professore e alla fine la conclusione all'ideatore di questo evento, al professor Triga. Ok? Prego. Allora io molto rapidamente vorrei dire che trovo che questa è stata una conversazione molto interessante, credo che sia il ragionare sul ruolo che questi tre blocchi possano avere nel ripristinare o nel indirizzare la governance dell'economia globale verso un, diciamo, recupero la divisione sul ruolo importante che la globalizzazione poi deve avere nel nostro futuro, forse richiede anche però due prospettive temporali diverse. Nel breve periodo sono d'accordo, la domanda e il focus giustamente su questi tre blocchi, l'Unione Europea da un lato, la Cone dei Stati Uniti. Nel medio periodo probabilmente bisognerebbe invece ragionare su come fare ripartire e come sostenere una globalizzazione di tipo diverso anche tenendo conto delle economie emergenti e dei paesi in via di sviluppo, perché lo diceva Giovanni all'inizio nella sua introduzione nei ricorsi e alla storia, il disequilibrio probabilmente, l'instabilità è intelligentemente collegata a uno spostamento, a un nuovo spostamento delle grandezze economiche da un'area all'altra del mondo che è quello che va governato. Quindi io trovo che sia illuminante quello che è stato detto nel primo dialogo tra il professor Riau, quello che serve è un nuovo ordine mondiale e probabilmente come orientamento di una nuova governance, finalizzarla a realizzare il coordinamento senza la convergenza, perché nella precedente fase si è cercata la convergenza delle coste. Siamo in una prospettiva in cui dovrebbe essere l'obiettivo di chi è preposto a governare l'economia mondiale cercare il coordinamento senza la convergenza. In questo contesto, fate meno di io non per fare pubblicità, io credo che ci sia un ruolo importante per gli organismi multilaterali, credo che ci sia un ruolo importante che non è scontato, sono gli organismi multilaterali che ormai sono anche l'OXE che nasce come organismo internazionale che raggruppava l'economia occidentale, adesso è regolarmente aperto a tutti i paesi del mondo, processi multilaterali che devono essere inclusivi e quindi che possono far sentire la voce e ascoltare la voce di chi è imprescindibile nel medio periodo, cioè paesi in via di sviluppo ed economie emergenti e che devono avere come obiettivo fondamentale quello di sviluppare un forte senso di fiducia verso l'obiettivo del coordinamento senza convergenza. E questo è assodato, ma il multilateralismo, professore Suomi, è un asse molto importante per la Cina, vero? La Cina è un paese che non si può dire che non abbia mai sostenuto, non voglia sostenere, lei pensa che questo elemento è importante? Sì, sì, sono d'accordo e credo, anzitutto, che la governance globale richieda un approccio articolato e inclusivo, quindi un quadro di governance che sia inclusivo. Ci devono essere dei pilastri che la sorreggono, innanzitutto gli individui, quindi i cittadini globali, poi in secondo luogo partner, in particolare le aziende, e poi le ONG, quindi persone fisiche, giuridiche, ONG. Ecco, e poi c'è un altro pilastro, una base per una governance globale sana e solida. C'è un'altra cosa che vorrei dire. L'Unione Europea ha una grande esperienza in questo senso, anche di multilateralismo, e può sicuramente contribuire ulteriormente a una governance globale futura, in particolare nelle relazioni UE e Cina, con una maggiore collaborazione, perché con una maggiore collaborazione possiamo davvero realizzare una base ferma, solida, equilibrata, una struttura che ci permetta davvero di avere un'interazione corretta fra UE, America, Cina e paesi in via di sviluppo, in un contesto globale, quindi un gioco a livello mondiale. Professore, cosa vogliamo concludere, cosa vogliamo dire alla fine di questo dibattito abbastanza pimpante? Ovviamente non è possibile concludere su questo. Vorrei richiamare tre punti, sono in modo esplicito o implicito nati in questo dibattito. Qual è la base attualmente di un possibile grande accordo, e cioè di andare verso politiche industriali che tutti hanno ripreso? La Cina ha sempre avuto una politica industriale, gli Stati Uniti hanno ripreso una politica industriale, l'Europa finora ha parlato di una politica industriale ma non c'è ancora la politica industriale. I bargini quali sono? Partiamo da un dato il fondo macro, vogliamo dire. Se guardiamo la situazione cinese in estrema sintesi noi abbiamo la situazione in cui c'è deflazione, carenza di domanda, eccesso di risparmio e al stesso tempo grande investimenti pur con un eccesso di risparmio e quindi quella che si chiama sovracapacità produttiva. Dall'altra parte abbiamo assenza di risparmio, inflazione. Eventualmente in un mondo ideale è possibile avere una politica win-win, risparmio che va da una parte, investimenti che viaggiano e vanno a riequilibrare il mondo. Forse da questo punto di vista possiamo immaginare che come nell'insula globalizzazione gli investimenti, i capitali occidentali andavano in Cina possiamo avere una convergenza al contrario che in Cedirettori c'è un passaggio a produrre in occidente e quindi riportare un po' di manufattura, ma non solo in occidente, qui ci dimentichiamo che la metà del mondo non è nella Cina né nell'occidente e la Cina lo sta facendo nel resto del mondo o meno lo sta facendo l'Occidente. Questo è un primo punto che noi dobbiamo dobbiamo dobbiamo porci della politica industriale ripetendo che mentre gli Stati Uniti hanno lanciato due anni fa si sono resi conto che debbano produrre anche loro i beni green che ci servono, adesso vogliono mettere tariffe, credo che sia sbagliato perché l'altro è protezionista, ma in ogni caso dietro il protezionismo c'è una spinta a produrre. In Europa che facciamo mettiamo le barriere senza avere gli investimenti per produrre in Europa? Questa è un po' la situazione, non abbiamo chi fa politica industriale in Europa. Il secondo punto che voglio richiamare perché è quello dei problemi interni ai paesi, è stato richiamato chi ha perso e chi ha guadagnato. Allora come paesi io credo che abbiamo avuto un cambiamento dei pesi relativi perché l'Occidente ha perso peso relativo ma non è che è andato a livello assoluto e è andato indietro, la torta è cresciuta per tutti, per alcuni è cresciuta di più, per altri di meno, dicevo anche per motivi demographici, anche di convergenza. Se c'è una convergenza i paesi più poveri si avvicinano ai paesi più ricchi, eventemente quando la massa popolazione sta nei paesi poveri nel totale alcuni paesi perdono di peso relativo ma non perdono. Questo discorso a livello di paese, come dicevo all'inizio, ha un riflesso interno, chi ha perso all'interno dei paesi. Ma questo è un problema di governance all'interno dei paesi, si è ritenuto per molto tempo perché per competere nei mercati globali bisognava togliare per esempio il welfare, per risparmiare, per avere costi più bassi. Non si è capito che se si aprono i mercati tu devi rafforzare i welfare perché il guadagno di paese nell'entrata nel commercio internazionale in qualche modo deve essere in parte redistribuito a quelle classiche in questo grande mutamento strutturale perdono e qui nasce la spinta contro la globalizzazione, la paura dall'interdipendenza alla paura della dipendenza. Questi sono i grandi problemi che dovrebbero essere in questo momento affrontati. Allora, il problema è che mentre all'interno dei paesi bisogna affrontare questo punto di vista anche redistributivo come stare nei mercati internazionali è il punto terzo, il punto più importante in questo momento, che si è disposti nel mondo ad accettare il mutamento dei pesi relativi economici pensando che questo porta un incremento in realtà di benessere per tutti ma toglie peso economico e quindi può togliere peso politico e di potere. Questo è la grande storia, il grande pericolo. Dietro la frammentazione c'è questo confronto, il benessere può crescere per tutti ma se diciamo il 50 per cento della evoluzione mondiale non sta né in Stati Uniti, né in Europa, né in Cina, né in India e neppure in Russia sta dall'altra parte addirittura. Questo è il futuro da governare e questo è il grande problema. Se abbiamo paura del mutamento dei pesi relativi ci aspetta un periodo di frammentazione dei mercati ma di conflitto pericoloso. Grazie, grazie professore. Alla fine potremmo cambiare il titolo anziché dire perché la globalizzazione non è finita, perché la globalizzazione non può finire se siete d'accordo. Quindi io ringrazio Valentina Melicciani, Yu Miao, Xiang Yuwei, Fabrizia Rappelcorella, Giovanni Tria e ovviamente il professor Yao per aver partecipato a questa taura su un tema veramente molto hot, quindi molto scottante ma anche molto difficile non solo da intuire ma da maneggiare praticamente. Grazie e buona giornata a tutti.
{{section.title}}
{{ item.title }}
{{ item.subtitle }}