Navigare nell’incertezza
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Navigare nell’incertezza
Un'intervista a Gianfranco Bacchi, comandante dell'Amerigo Vespucci. L'intervista, strutturata in quattro capitoli basati sul libro di Bacchi "Capo", esplora temi di leadership, gestione di crisi (come la pandemia), e la creazione di un ambiente di lavoro positivo a bordo della nave. Il dialogo coinvolge anche Fausto Manzana, presidente di Confindustria Trento, offrendo una prospettiva imprenditoriale. La serata è arricchita da video e musica.
Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Un'estate di trance Buonasera, benvenuti innanzitutto al Festival dell'economia del 2024. Sono qui come rappresentante di Confindustria Trento perché anche quest'anno abbiamo contribuito nell'organizzazione di alcuni eventi all'interno del programma del Festival. Uno di questi, lo facciamo qui questa sera, sono eventi che a noi interessano perché coinvolgono tutta la comunità e sono soprattutto quello di questa sera. Non vuole essere rivolto al mondo dell'impresa e dell'economia, ma è un evento che invece interessa un po' tutti e mi fa piacere di vedervi anche qui numerosi. Ci tengo anche a sottolineare che è un percorso che stiamo facendo da qualche anno, questo è il terzo evento che facciamo e che è un mix dove si va a intervistare dei personaggi anche famosi e dove insieme inseriamo anche la musica, il megatrend, eccetera. Vedete, sicuramente sarà una serata speciale. Il fatto che ci troviamo la fila armonica, anche questo non è casuale, non è casuale che qui ci sia anche un piano forte e non è casuale nemmeno gli ospiti o l'ospite d'onore che abbiamo. Ci tengo innanzitutto però a far salire sul palco e a ringraziare chi è l'ideatore di questo format, è un amico, è Alessandro Garofalo, che ti invito a salire e lo accogliamo anche con applauso. Alessandro Garofalo che con tutta la sua creatività ci propone ogni anno degli spettacoli diversi e quest'anno penso che sia veramente uno spettacolo interessante perché l'ospite speciale, e adesso lo vado a chiamare, è Gianfranco Bacchi. Prego, l'accogliamo con applauso. Gianfranco Bacchi è il 122°, se non mi ricordo male, giusto? Giusto, esatto. Comandante della nave scuola della Marina Militare Amerigo Vespucci, ecco, io penso che solo citare Amerigo Vespucci ci faccia già navigare tutti con la fantasia. E oggi ci racconterà tantissime, penso, della sua vita, non solo le avventure che ha avuto, il modo di affrontare i tanti impegni e incarichi che ha avuto anche nella sua carriera. E ci stupirà, sono convinto, anche tramite le domande che tu sempre anche in maniera disacrante sai fare, sto girando le spalle al pubblico, ai nostri ospiti. Ecco, io mi fermo qui, lascio a voi la parola, ci tengo solo a ricordare una cosa. Il festival, anche quest'anno, dell'economia ha tantissimi eventi e vi invitiamo a partecipare. Noi ci siamo permessi di indicarvene qualcuno, li trovate sul foglietto che vi abbiamo messo, che trovate nelle sedie. Ma mi permetto anche di segnalarvene uno che, tra l'altro, è l'evento di chiusura di questo festival, che si farà domenica, domenica alle 17. E' l'evento dove ci sarà la prima uscita ufficiale del nuovo presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. Ecco, vi invito a partecipare anche perché è un presidente che è stato eletto oggi, io sono appena rientrato da Roma, che c'era l'assemblea elettiva, e quindi vi invito a venirlo ad ascoltare anche perché la sua prima uscita, come ho detto, la farà il festival dell'economia e la farà a Trento, e quindi questo ci onora. Quindi buon festival e buona serata a tutti. Grazie, grazie Roberto, grazie. Allora, pronti per questa navigazione, questo viaggio, che sarà anche abbastanza veloce, abbiamo due o tre ore di tempo, no? Perché ci sbattono fuori, siamo sempre in realtà pubbliche, quindi insomma entro l'ora, diciamo, finiremo tutto. E vi spiego un po' il format, quindi nella prima parte che vedremo di contenere in 35 minuti una cosa di questo genere, facciamo una piccola conversazione su quattro capitoli dell'ultimo libro che il comandante ha scritto, l'ultimo libro si intitola Capo, che è un acronima un po' particolare che vedremo dopo, però è il secondo libro perché il primo che ha scritto è il punto più alto, proprio al termine del mandato del comando. Sono dei libri molto interessanti, una cosa che anticipo sono libri dove si parla di leadership e di leader, dove mai questa parola è scritta, quindi è difficilissimo, chi fa il consulente usa sempre quella parola, chi invece fa la pratica e gli esempi non la usa mai e parleremo dopo di quello. Nella parte finale, invece, quindi lo vedo anche in sala, ma ovviamente sapevo che c'era, c'è il presidente Manzana, a cui chiedo un applauso, lo ringrazio per essere venuto, perché non ha un compito banale, lui è stato preparato perché sa che sui quattro capitoli poi deve fare un commento. Quindi intanto si è letto i capitoli, a differenza di molti che non spero, oppure qualche collaboratore ha letto il capitolo e poi ha fatto una sintesi, come poi ci dirai la verità, a parte le battute. Quindi era di vedere dal tuo punto di vista imprenditoriale, essendo anche imprenditore di una grossa azienda e oltre che presidente Confindustria, di vedere queste quattro declinazioni, insomma, come le vedi nella vita quotidiana all'interno della tua azienda, quindi un tuo parere. Comandante, io direi di partire subito, e di solito quando si parte cerchiamo di far vedere alla gente dov'è che hai vissuto. E quindi chiedo alla regia con cui parlerò a vista, anche se non ho gli occhiali e vedo buio totale, comunque lì in fondo alla regia, chiedo, si può mandare il video numero uno, piccolino, che si intitola Permesso accordato, per capire chi è lui intanto. Comandante, buongiorno, chiedo il permesso di salire a bordo. Permesso accordato. Cos'è un pezzo di Amerigo Vesbucci, dopo la vedremo meglio, e te indivisa. Infatti per me è anche un effetto, diciamo, siamo amici, ci conosciamo l'anima, vederti non indivisa è anche per me, diciamo, un'emozione, diciamo, particolare. Allora, partiamo subito con le riflessioni del primo capitolo. Il primo capitolo riguarda la C, quindi la conoscenza e il coraggio. E quindi la prima domanda che mi ero segnato di farti è legata al fatto ma c'è un solo tipo di leadership o di verse? Come ti poni davanti, diciamo, a questo termine? Beh, intanto saluto tutti perché, insomma, passo per maliducato, invece vi saluto, vi ringrazio di essere qui, non è mai scontato trovare una platea a cui potessi rivolgere, soprattutto una platea così numerosa. Dunque, non c'è un solo tipo di capo. Ci sono tanti capi, quante persone esistono che hanno la responsabilità di dirigere o di coordinare dei gruppi o delle comunità. E ognuno deve, a mio avviso, farlo secondo quelle che sono le sue caratteristiche personali, caratteriali. E' per quello che noi parliamo di pratica, abbiamo deciso di parlare di pratica. Perché? Perché la teoria è un qualche cosa che non può essere indossata da tutti e ci vorrebbero delle eniciclopedie per fare teoria di qualunque standard di condotta delle risorse umane. Invece la pratica è molto più semplice, uno narra quello che ha fatto, parla di come ha interpretato la figura del capo e poi le persone che le agono ascoltano decidono se è qualcosa che interessa oppure che è totalmente lontano dalla propria congenizione. Per cui noi facciamo questo. Quindi ci sono tantissimi tipi di capi. Il fatto è che, come dice Baricco, la realtà è l'insieme dei fatti più la narrazione. Oggi c'è molta più narrazione dei fatti e quindi c'è molta fuffologia su questi termini. Invece nel tuo caso, diciamo, è molto concreta. Mi piaceva leggerti una definizione che non è frutto mio. Io ho lavorato quattro anni in Ferrari e con un gruppo di 33-34 manager di loro si è fatto un lavoro per definire, diciamo, cos'era per loro la leadership. Te la leggo perché è una frase del gruppo che ho messo in questo piccolo libro che poi ha fatto la Ferrari su questo mio lavoro. Allora, questa parola, la leadership, indica un... però non è detta. Indica un privilegio che consiste nell'avere il compito di guidare l'operato altrui a vari livelli di responsabilità e rispondendo di successi e di sconfitte per raggiungere gli obiettivi di un'organizzazione. Questa è la definizione più semplice che abbiamo trovato in una trentina di persone. Ti identifichi? C'è qualche... Sì, ma soprattutto la parte finale. Cioè, rispondendo dei successi e degli insuccessi. Per me è qualcosa di bellissimo potersi assumere responsabilità. Io vedo che c'è tanta difficoltà, invece, da parte di molti dirigenti di aziende con cui mi sono confrontato in questi ultimi due anni, di assumersi responsabilità. Cioè, di mettere la persona e la faccia di fronte a dei problemi, a degli insuccessi, a delle cadute. Invece, per me, è qualcosa di sublime. È bellissimo prendersi responsabilità. È proprio la soddisfazione massima del compito del capo, del compito del comandante. Metterci la faccia, poi. Certo, cioè, metterci la faccia e difendere il proprio equipaggio, difendere il proprio gruppo a tutti i costi. Poi dopo sta a me, insomma, chiaramente intervenire nei confronti di chi magari può avere causato il problema, insomma, essere stato parte. Ma di fronte al mondo esterno, la difesa del proprio gruppo è fondamentale. È proprio bella, poi, da dentro a prendere. Partiamo dall'inizio. Una domanda che avevo preparato sono i famosi primi 100 giorni nelle aziende. Nella nave ho messo le prime azioni preso il comando della nave. Tu hai avuto con te più di 400 persone di cui hai contribuito anche, diciamo, alla selezione. Queste sono le prime cose che hai fatto per capire e spiegare loro, quando tu parli, che sono poi loro a decidere chi è il loro leader, non tanto tu a decidere che sono loro il tuo equipaggio. Ci approfondisci questo concetto. Ho fatto quello che i manuali di comunicazione dicono che non si fa mai, cioè esponere le proprie debolezze. I manuali di comunicazione dicono che quando tu parli, a un pubblico non devi mai mettere davanti a scusatemi se ho qualche defajas, scusatemi se... Io ho fatto proprio il contrario. Io mi sono messo a nudo di fronte all'equipaggio dicendo, allora, io ho paura dell'altezza, per cui non vi sognate di pensare di portare il comandante in cima all'alberata di questa nave perché non lo farò mai, a meno che non abbiate la capacità di accompagnarmi. Allora, questo è il mio modo di presentarmi e quindi di mettermi un piano sotto di loro, perché invece loro sono principalmente i nocchieri che sfidano le interperie per andare a aprire e chiudere le vele in qualunque condizione. È stato un modo per guardarmi con un occhio un pochettino più disteso, un pochettino più amichevole. Poi, di fatto, il principio di comandare un gruppo di professionisti sta proprio in questo, cioè nel fatto di essere prima accolto da loro e poi mettere in alto l'azione di comando. Quindi io prima ho dovuto, volentonolente, accettare di essere annusato dal gruppo e di essere accettato. L'ho stato scansionato. Loro hanno cercato immediatamente di capire se io fossi all'altezza oppure no. Questo è stato un processo che fra l'altro non solo ho accettato, ma mi ci sono proprio integrato con soddisfazione. Mi piaceva questo, mi piaceva essere osservato. Da un lato perché mi sentivo abbastanza sicuro di quello che stavo facendo e dell'incarico che avevo assunto. E dall'altro perché mi permetteva comunque di presentarmi senza filtri e di far capire a loro che io stavo lavorando in quella nave e stavo assumendo il comando di quella nave con tanta passione. Che è quella che loro mettevano ogni giorno e che io avrei dovuto superare. Perché chiaramente loro pensavano, è il comandante che viene qui a comandarci, quindi a decidere le nostre vite, deve tenere alla nave più di quanto teniamo noi questa nave. Quindi era una prova praticamente giornaliera fino al momento in cui mi sono reso conto di essere stato accettato. Da quel punto lì ho veramente potuto chiedere qualunque cosa. Quindi è quasi un paradosso perché hai ribaltato la logica del comando. Prima l'accettazione. Si, intanto pensano che si presenta al gruppo e si inizia a far capire qual è l'idea di comando, qual è l'impostazione che si vuole dare. Io ho investito un po' di giorni invece per lasciarmi annusare dall'equipaggio. Poi quando ho capito che il baranco mi aveva accettato, allora dopo ho iniziato a dire che allora si fa così. Allora chiedo alla regia, per ora sono in ordine perché ogni tanto potrei cambiarlo, e godiamoci così per entrare direttamente nell'atmosfera il secondo video che è quello chiamato Vespucci con LinkedIn, perché poi qui c'è tutta una parte sui social con cui avete lavorato. Andiamo col secondo video. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Direi un applauso a questo gioiello del Made in Italy. Come avete visto, ci sono moltissime cose in questo video. La frase di Leonardo Da Vinci. La musica, avete capito che la musica è sua e lui che suonava non per nulla c'è questo pianoforte. E non solo tua perché avete anche un gruppo di altri musicisti all'interno della nave con altri, diciamo, tuoi colleghi. Poi mi ero segnato i giovani, il tirare tutti dalla stessa parte, ci sono un sacco di metafore nelle ispezioni del video che si vedono, l'analisi dei dettagli, il senso, diciamo, di appartenenza. Quindi quello che qua volevo chiederti è però, lui ha avuto una situazione molto difficile, e ce la racconti ora quella domanda, in pratica appena avuto il comando per girare il mondo è successo qualcosa, che ha cambiato completamente il livello di motivazione della persona. Ci racconti questo momento difficile spiegando bene cosa è successo perché era questione di due anni fa, mi pare, no? Va bene, tanto la musica è dei Linkin Park, non è la mia perché non sembra che la mia abbia creata io, non si può dire. È successo che io ho assunto il comando l'8 ottobre 2019 e subito dopo, la settimana successiva, mi è stato illustrato il programma per la nave. Per l'anno successivo, insomma, per la campagna destrativa 2020. E il programma per la nave era un programma molto ambizioso, ma, insomma, straordinario, era il giro del mondo. Il giro del mondo passando dal, quindi navigando verso est, fermandosi a Tokyo per le Olimpiadi, perché in 2020 erano previste le Olimpiadi a luglio, e va bene, poi completando con il Pacifico, Capo Ornei, rientro. Quindi 18 mesi di campagna destrativa, quindi già mi era stato prospettato un comando superiore all'anno. Normalmente il comando, io sono stato il 122° comandante di una nave che ha 93 anni, per cui gli avvicendamenti avvengono anche prima della scadenza dell'anno. Per cui questo è il progetto. La partenza era prevista per il 15-16 di marzo 2020, quindi perfetta proprio con la pandemia. Settimana prima, nave pronta a partire, 410 persone a bordo, mi arriva la telefonata che comunque era già nell'aria abbondantemente, appunto dicendo, annunciandomi che il giro del mondo era stato quantomeno sospeso. Poi le Olimpiadi sono state procrastinate di un anno, quindi forse riusciamo a partire più tardi, forse, forse, alla fine non siamo mai partiti per il giro del mondo. Abbiamo dovuto però, in qualche maniera, riconfigurarci, attraversando il periodo di lockdown in maniera tragica, perché da 410 persone si è rimasto in 30. Io ho dovuto mandare via tutti, perché c'è stato il diradamento come per tutte le aziende, quindi ho liberato la nave, tutti sono tornati quasi tutti a casa per salvaguardare la loro salute. Inizialmente siamo rimasti in pochi per salvaguardare la salute della nave e poi dopo qualche mese, a giugno, ricevo una chiamata dallo Stato Maggiore Marina in cui mi dicono che sarei dovuto partire. Benissimo, per andare dove? Dove vuoi, in che senso dove vuoi? Eh sì, non puoi avere una destinazione, perché non ti puoi, permette di incontrare persone, di far salire persone a bordo, perché c'è il Covid, quindi dovete rimanere una sorta di bolla. Quindi farete i 15 giorni di quarantena, poi partirete e niente, vai dove vuoi, basta che non vai in porto. Perfetto. Per me poteva anche essere una sorta di vacanza, perché l'alloggio del comandante, adesso non c'è una foto del Vespucci, però è un bellissimo alloggio che sta nella parte poppiera della nave, sotto al cassero, per cui l'unica persona che probabilmente gode di un po' di privacy è il comandante, basta, non ci sono altre persone che hanno un minimo di privacy, perché dall'albero di Mezzana in poi, quindi si parla di poco più di 70 metri, ci vivono 400 e passa persone, quindi c'è una densità di popolazione, quindi c'è un po' di spazio, quindi c'è un po' di spazio, quindi c'è un po' di spazio, quindi c'è un po' di spazio, quindi c'è un po' di spazio, quindi c'è un po' di spazio, quindi c'è un po' di spazio, quindi c'è un po' di spazio, quindi c'è un po' di spazio, quindi c'è un po' di spazio, quindi ci sono tanti problemi che non sono mai stati a bordo, è incredibile. Il problema però era subito evidente, era come gestire 400 persone, farle vivere in uno spazio così ridotto e non farli mai scendere. In realtà non è che non si andasse mai in porto, si poteva andare in porto quando le provviste erano finite, quindi per imbarcare acqua, bottiglie d'acqua, quindi acqua potabile, perché quella di bordo non è potabile, delle casse, e poi per imbarcare i viveri, per fare il bunkeraggio, per fare gasolio, per i diesel. Quindi ogni 8-10 giorni si fermava, banchina deserta, bancali di cibo, di acqua, e noi scendevamo, ci prendevamo le nostre cose e poi si riusciva di nuovo in mare. Questa era la prospettiva. Non era, diciamo, una proposta facile da far digerire. E pensate che per me era già complesso quando era la programmazione di giro del mondo far digerire di dover navigare per 30-35 giorni circa da Tokyo a Honolulu, perché sono 3.500 miglia, quindi avremmo impiegato più di un mese. E per me era un problema, insomma, riuscire a navigare per più di un mese senza far scendere l'equipaggio, con la prospettiva di arrivare a Honolulu. Cioè, non... Io invece stavo proponendo al mio equipaggio di partire dalla Spezia, di stare tre mesi in mare senza mai scendere, per poi tornare alla Spezia, che non è a Honolulu, con tutti i rispetto che ho per la Spezia. Per cui, insomma, era veramente una sfida impegnativa. Ma come tutte le sfide, insomma, per me, almeno nella mia vita è sempre stato così, io ho iniziato a fare il marinaio per sfida perché poi, fra l'altro, sono di origine contadina, sono di fuori lì, quindi con il mare non avevo nulla che fare. E quindi l'abbiamo accettata. Poi magari spiegherò come, però insomma... Va bene. Ci sono dei verbi che mi piacciono molto nel primo capitolo che usi, poi adesso iniziamo, diciamo, il secondo viaggio, e diciamo un concetto del valore doppio delle emozioni nelle persone con cui lavoro. Cioè, un conto sono i fatti e le cose, diciamo, con cui si parla, ma l'emozione, tu dici nel libro, vale due volte. Approfondisci. Sì, approfondisco volentieri. Dunque, io ho sempre cercato di di fare quello che volevo nella vita, anche da militare. Io ho fatto il militare per 35 anni e ho sempre cercato, devo dire che sono riuscito abbastanza, a dare un'interpretazione molto personale a quello che stavo facendo. E questa interpretazione era sempre mossa dalle emozioni, dalla passione. Insomma, non riesco a lavorare se non metto passione in quello che faccio. Per cui ritengo che la passione per la professione che si svolge sia un moltiplicatore, un moltiplicatore di performance per tutti. Una volta, all'inizio, proprio, avevo appena assunto il comando, un amico, poi diventato un amico, mi ha intervistato e mi ha chiesto, ma come si fanno a comandare più di 400 persone in una nave complessa come come la verigo Vespucci? E la risposta fu identica, cioè con la passione, cioè cercando di alimentare la loro perché ne avevano tantissima, ne hanno tantissima, le equipaggi del Vespucci hanno tantissima passione. Pensate che loro vivono in questo guscio, sacrificando veramente la loro qualità della vita per la nave, perché loro potrebbero sbarcare quando vogliono. Cioè non c'è un sistema coercitivo che impone ai marinai di rimanere sul Vespucci. Se una persona vuole sbarcare dal Vespucci, fa domanda e il giorno dopo sbarca. Oh, non vuole sbarcare nessuno da quella nave. Nessuno. E vivono in locali collettivi da 60 con tre bagni, anzi, quattro inizialmente, poi uno l'ha sacrificato per mettere in una lavatrice. E oppure nelle amache, vabbè, gli allievi, diciamo, loro lo fanno più come una sorta di competizione, perché devono arrivare alla fine, alla fine dei tre mesi formativi, poi sbarcano. Però dirifada, diraffada, quella nave non vuole sbarcare nessuno. Perché è una nave che veramente si lascia amare. Quindi tornando al discorso, la domanda che mi facevi prima, come si fa? Con passione, alimentando la passione delle persone che stanno con te, un po' con l'analogia di cui ti parlavo oggi, con la musica. Io, il pianoforte non è qui per caso, questo è un tranello che mi ha... Perché io ho sempre suonato, male, ma ho sempre suonato. La musica per me è una fonte di analogie, è anche un'ispirazione tante volte. E quando ho pensato a come spiegare questo fatto della passione, l'ho spiegato con un'analogia musicale. Esposi a questo mio amico, la musica prog, in particolare, il prog rock, è una musica complessa. Però per essere capita e per essere apprezzata, deve avere un elemento, diciamo, che la rende unica. Jetro Tal. Jetro Tal è un gruppo che senza il flauto di Jan Anderson, che è il leader del Jetro Tal, non sarebbe Jetro Tal, sarebbe una musica, diciamo, ordinaria, complessa ma ordinaria. Poi quando Jan Anderson prende il flauto e inizia a suonare, cioè, diventa la perfezione, cioè, diventa Jetro Tal. Ed è un po' la stessa cosa, cioè, tu sei a bordo di una nave, fai il tuo lavoro, quando sei in porto 8-17, in navigazione fai i tuoi turni, ma se non metti passione, alla fine, non riuscirai mai a raggiungere obiettivi che non erano magari previsti, come questo di navigare tre mesi con il Covid. Invece con il flauto di Jan Anderson, con la passione dell'equipaggio mia anche, perché la condividevo, siamo riusciti a fare tutto. Tutto e con estrema semplicità, con sorriso nelle labbra. Perfetto. Ci regia, ci incaminiamo nel secondo capitolo. Il secondo capitolo lo introduciamo con un altro video particolare, che è il terzo, che si chiama, lo chiamiamo nel gergo, il passaggio del canale, perché qua è avvenuta un'operazione particolare, diciamo che poi brevemente ci spieghi. Quindi andiamo col passaggio del canale, che è Taranto. representative finale battuta Diciamo che pergarti, I non addetti al lavoro può sembrare una manovra semplice e una manovra quasi impossibile. Cosa è successo? Ce lo racconti? Intanto io devo rompere gli indugi con questo... ho deciso. No, perché è uno Steinway, questo è l'ammiraglio dei pianoforti. Perché ho suonato? No, perché la manovra è nata da questo. Cioè dal fatto che un giorno purtroppo è mancato il maestro Morricone. Ed era il 6 o 7 luglio 2020. E noi stavamo attraversando lo striotto di Messina. Con delle manovre che fra di due ci eravamo imposti. Ci avevamo detto ok, visto che dobbiamo fare una navigazione senza sosta, almeno facciamo delle belle navigazioni. E ci facciamo anche vedere. Cioè cerchiamo di fare dei passaggi vicino a costa attraverso i quali la gente anche dalle finestre di casa o dai porticcioli ci possano vedere. Per cui ci invegliamo 24 vele aperte e passiamo lo striotto di Messina sotto maestrale, quindi è stato un bel passaggio. Poi arriva questa notizia della scomparsa del maestro Morricone. Per cui le nostre navigazioni erano riprese da noi stessi perché tutti questi video che avete visto li abbiamo fatto i noi con un telefonino, cioè montati con un iPhone 11 e con il mio Mac. Naturalmente avevamo un drone che mandavamo in volo per riprendere chiaramente la nave che navigava dall'alto. E quindi in quel caso riprendiamo la nave che passa lo striotto di Messina e poi una cerimonia di Ammaina Bandiera di fronte a Taormina. Alla fine della cerimonia di Ammaina Bandiera mi viene in mente di chiedere all'ufficiale di rotta, che si occupava anche della diffusione di musica agli esterni quando c'erano i ricevimenti, di mettere un pezzo di Morricone, un tributo a Morricone. E lui inise il tema d'amore. Per cui è stata una scena molto bella perché la nave a riento moto di fronte a Taormina con tutte le luci, il tricolore acceso a bordo nell'alberata. Meraviglio, una scena meravigliosa. Io mi alzo, vado al pianoforte che avevo di fronte al camerino e inizio a suonare il tema d'amore di Morricone. Si riprende un ufficiale e con questo video improvvisato, vi assicuro totalmente improvvisato, montato in questo modo qui, iniziamo un qualche cosa che poi non abbiamo più saputo controllare. Cioè il fatto di creare dei video di navigazione con un accompagnamento musicale creato da bordo, quindi inizialmente da me e poi da dei gruppi. Quindi questo è il primo. Il primo che ha avuto due milioni di visualizzazioni in una settimana. Nei social, poi è stato acquisito da Canale 5, da Studi Aperto, da Skype, per cui è passato un po' ovunque. Da qui abbiamo iniziato a fare video musicali su tutto. Mi chiama il sindaco di Ischia e mi chiede di fare un tributo a Pino Daniele. Quindi facciamo il tributo a Pino Daniele. E noi facciamo un applauso. Ormai saremo incantati. A contrario, a Ischia facciamo il tributo a Pino Daniele. Poi io inizio a ricevere telefonate dagli amministratori di tante città costiere che mi chiedevano dei tributi musicali, la Sardegna. Quindi iniziamo a fare per mestiere questo. Noi navigavamo, poi la sera ci troviamo. Con delle formazioni improvvisate, ci davamo tempo due giorni per creare un tributo musicale. La cosa va bene. Da punto di vista della comunicazione va molto bene. L'estate maggiore marina era molto contento. Addirittura il capitano maggiore, anche lui, fa una sua richiesta. Mi chiede un tributo musicale a De André nel trasferimento verso Genoa. Facciamo anche il tributo musicale a De André. Da Genova, verso la fine di questa avventura, più o meno tre mesi, arriva la richiesta finale. Quella di andare a Taranto per sbarcare gli alievi, però farlo in una maniera un pochettino più visibile. Entrare dentro Taranto, quindi attraversare il canale navigabile di Taranto a Vela. È una manovra che infrange il codice della navigazione perché non si può transittare per il canale navigabile a Vela neanche con un laser, neanche con una piccola imbarcazione. Per cui sapevo che mi sarei dovuto prendere una responsabilità disciplinare, oltre che da cui poi in realtà sono stato sollevato. Però era talmente bello il fatto di poter entrare in una città in cui si poteva fare una cosa molto più semplice. Perchè? Perché noi avevamo raccolto le nostre idee, avevamo pensato di creare un format proprio di questo tipo. Entrare nelle case dei nostri connazionali in un momento in cui loro non avevano la possibilità di venireci a visitare. Per esempio, il Vesput ci fa 10.000, 15.000, 20.000 visitatori al giorno. E quindi, in un momento in cui non c'era nessun problema, in un momento in cui non c'era nessun problema, per cui i video erano per noi, erano per l'Italia. Erano qualcosa con cui noi vogliamo condividere una bella parte d'Italia, che era Merigo Vespucci, non solo nella sua espressione professionale, ma anche nella vita di bordo, quindi nelle forme d'arte, nella musica, in altre forme che non erano per noi. Per cui l'ingresso del Vespucci nelle case dei nostri connazionali è stato reso ancora più evidente nell'ingresso dentro una città. Quindi la nave ora entra veramente fisicamente dentro la città. Ed è quello che abbiamo fatto. Fra l'altro, era una manovra che qualcuno prima di me aveva già fatto, un qualcuno che si chiama Agostino Straurino. Quindi, insomma, un fenomeno, un fenomeno che è stato un fenomeno che è stato un fenomeno che è stato un fenomeno che è stato un fenomeno non ne si può neanche definire umano. Per cui la nave era quella, il canale era lo stesso, le condizioni c'erano assolutamente. Per cui abbiamo studiato e affrontato questo tipo di navigazione in maniera comunque consapevole. Insomma, non è stata complessa, però è un'espressione di lavoro di squadra veramente alto. C'è un punto in questo capitolo in cui parli di un aspetto che mi pare molto interessante, di cui che va molto di moda, diciamo adesso, il benessere dell'equipaggio, che per te è una preoccupazione al primo posto. Ci racconti cosa intendi su questa qualità della vita delle persone che lavorano con te, cosa vuol dire? Ma sì, anche qui è un qualche cosa che... Va beh, io ho sempre avuto attenzione al benessere dell'equipaggio perché anche in una forma egoistica, è brutto dire, va io sì ci tengo, per me almeno, è brutto presentarsi, ah sì, io tengo tanto il personale, perché? Perché è una bassa pubblicità, insomma. Allora, la voglio raccontare sotto una prospettiva totalmente egoistica. Io voglio stare bene, va bene? Io a bordo voglio stare bene, devo navigare, devo stare dei mesi in mare, vedi? Ti voglio stare bene. Per stare bene ho bisogno che anche gli altri stessi non si riconosci, non si riconosci, non si riconosci. Per stare bene ho bisogno che anche gli altri stiano bene. Perché se gli altri stanno ben sto bene anch'io, ok? Per cui lo faccio per una forma, diciamo, egoistica di interpretazione della mia vita in mare. E questo è quello che ho sempre raccontato tutta la mia vita. In questo caso, invece, era dichiarata, cioè, io dovevo far star bene il più possibile l'equipaggio perché gli stavo chiedendo veramente un'impresa o un sacrificio enorme era quello di rimanere tre mesi in questo guscio pestandosi piedi, tutti i giorni. Per cui, quando ho accettato la sfida, ho messo una condizione. La condizione era, ok, però devo poter interpretare questo viaggio in un modo molto più flessibile rispetto a quello che avrei interpretato o che avrei messo in atto facendo una navigazione da un porto ad un altro. E quindi mi sono preso delle libertà, che naturalmente l'ho stato maggiore e mi ha concesso perché non ho fatto nulla di nascosto, ma che ha cercato di dare un po' di qualità ai miei uomini e donne perché poi il risultato è stato raggiunto. Ecco, a proposito di uomini e donne, un punto che citi è la forza del feedback e quindi dei ritorni e delle restituzioni, dei corretti o meno comportamenti. Una battuta su questo prima di incamminarci al terzo capitolo. Il feedback per noi era molto semplice. Tu facevi un'attività che richiedeva un grande sforzo perché noi abbiamo navigato praticamente a vela sempre. Proprio per il fatto che non avevo vincoli, non avevo un porto da raggiungere, cosa abbiamo detto noi? Facciamo una bella cosa, apriamo le vele e non le chiediamo più. Andiamo col vento, il vento gira e noi giriamo. Tanto il problema non ce n'è solo, perché poi un porto lo prendiamo, non andiamo per andare a fare rifornimento. Da qualche parte andiamo. Per cui, non avendo questi vincoli, però navigare a vela è molto più faticoso che navigare a motore. Perché le vele dei Vespucci non sono fiocca in aranda di un 470. Sono un numero di metri quadri che si conta in migliaia di tela pesantissima. Per cui manovrare è molto faticoso. Quando chiedevo di fare navigazioni particolari dove c'era uno sforzo fisico notevole da fare prolungato, è evidente che dovevo cercare di capire come veniva accettato l'equipaggio. C'era un momento in cui io osservavo loro, osservavo la loro espressione. Io vedevo delle espressioni meravigliose, perché intanto proponevo delle belle navigazioni. Davano il loro sacrificio per la nave, anche per me in una certa misura. Alla fine io vedevo che erano molto soddisfatti. Per cui, cosa si faceva? Si brindava. Perché avevamo vino dappertutto, dovevamo portare in giro per il mondo. Il vino è rimasto a bordo e noi ci siamo bevuti. Non è che ci rimane lì. È vero o giusto? No, la nave è piena di vino. Non c'era più il posto per mettere neanche uno spazio da denti. Perché? Dovamo portare il vino in giro perché l'abbiamo scelto come oggetto del Made in Italy. Quando hanno interrotto il giro del mondo, io avevo bottiglie da marrone che mi cascavano in testa mentre dormivo. A proposito della nave più bella del mondo, vediamo, entriamo nel terzo e poi nel quarto capitolo abbiamo terminato, chiedo alla regia di vedere il video numero 4, Siete la nave più bella del mondo, appunto, per capire perché. E c'è un aneddoto. All'interno di questo ambiente elegante possiamo trovare alcune particolarità, alcuni ricordi che fa piacere raccontare e che meno descrivono l'ambiente in cui ci troviamo. Sempre all'interno di questo locale possiamo notare anche un'altra immagine molto storica, che racconta un episodio famoso e importante per questa nave. L'incontro nel 1962 nel Mar Mediterraneo con una portairi statunitense, la USS Independence. Seguendo un'antica tradizione marinara, la prancia della portairi invio un messaggio a lampi di luce, chiedendo l'identità di quella maestosa nave a vela. A la risposta, nave scuola Merigo Vespucci, Marina e Militare Italiana, la replica del comandante non si fece attendere. Siete la nave più bella del mondo. E da quell'episodio deriva il meritato titolo, The most beautiful ship in the world, che la Merigo Vespucci detiene, simbolo dell'eccellenza navale italiana nel mondo. Quindi la domanda, la domanda qua è più musicale, avendo tu un piano forte da questa parte e il direttore Busiato avendo parlato prima di due anni fa, mi pare, quando abbiamo fatto il concerto jazz. Quindi la domanda è, ma la Merigo Vespucci, tu che l'hai comandata, diciamo per due anni, la vedi più come un'orchestra, come equipaggio o come un quartetto jazz? O un misto, non lo so. Allora, è decisamente orchestra, perché è la piattaforma, che è un termine che usiamo anche noi in Marina, le navi sono delle piattaforme, è una piattaforma perfetta per il team building. Perché? Perché è una nave che va in un certo modo solo se tutti quanti lavorano in sincronia, in sincronia uno con l'altro, per cui è sicuramente una nave orchestra, dove però elementi, elementi jazz, quindi elementi che riescono a fare, a avere delle interpretazioni quasi improvvisate, quindi delle vere proprie improvvisazioni sono necessari e sono utili. Ecco, una cosa che per me, Alessandro, è importante e questo, di là della nave, ma proprio come un discorso aziendale, adesso io collaboro con una realtà privata, l'elemento, il fuori classe, va bene, quello che riesce a improvvisare, riesce a fare delle cose straordinarie per istinto, non può essere un problema in un'azienda. Tante volte si dice, ma è ingestibile, no, è ingestibile perché non lo sai gestire, ma il fuori classe non può essere un problema. E recentemente ho visto un video, per me è bellissimo, un'intervista a Shaquille O'Neal, Shaquille O'Neal è un giocatore, un cestista americano, colosso, che ha giocato nei Lakers con Kobe Bryant. Già Shaquille O'Neal era un campione, se lo conoscete, comunque è un campione 2,20 metri quasi, sono stato a 200 kg. E allora raccontavo questo aneddoto, parlando di Kobe Bryant. A un certo punto lui era il veterano della squadra, Kobe Bryant era arrivato da poco, il resto della squadra lo prende da parte, il capitano della squadra gli dice, hey Shaq, c'è un problema, ditemi qual è il problema, Kobe non passa la palla. E lui ha detto, come non passa la palla? Kobe non passa la palla, non si può. E lui dice, vabbè ragazzi, ci penso io, lui è il leader della squadra, armadio. E va da Kobe Bryant, gli dice, hey Kobe, there's no I in me. Scusate, there's no I in team, cioè non c'è la lettera I nella parola team. Quindi non ci sono personalismi, non puoi lasciarti andare personalismi. E Kobe Bryant gli risponde, praticamente adesso, senza andare nel termine inglese, ci sono io però in, questo lo devo dire per forza, in motherfucker. Io posso permettermi di fare questo perché sono uno ingestibile. E Shaqilun il capisce che di fronte ha una persona che non avrebbe potuto mai imprigionare in schemi come potevano essere quelli che volevano imprigionare campioni come Cristiano Ronaldo o Messi, per cui riunisce di nuovo il gruppo, i Lakers, e gli dice, ragazzi, prendiamo rimbalzi perché Kobe non passerà mai la palla. Questo per dire, ma Kobe Bryant alla fine ha vinto tutto, c'è stato un campione indiscuso, e ha fatto vincere le sue squadre, quindi non si può pensare che un elemento jazz in un gruppo sia un problema, per cui ben venga se c'è, anche se si tende sempre a concepire il gruppo come un'orchestra. Allora, ultimo capitolo, poi tra poco chiamo quindi il Presidente, siamo in orario perfetto per un piccolo commento insieme. Sul ultimo capitolo ho due domande da farti. La prima è anche dal video, ora non mi ricordo esattamente il numero, apparentemente è un ambiente maschile, una nave come l'Amerigo Vespucci, avete imbarcato, diciamo, molte donne, non me lo ricordo, ma diverse decine, quindi come è andata? È andata come tutte le comunità, dove ci sono uomini e donne, insomma, non è andata bene. C'erano 80 donne a bordo, quindi noi eravamo 410, e avevamo una buona percentuale di donne, avevamo 40 donne dell'equipaggio fisso, Vespucci ha un equipaggio fisso di 264 persone, e 150 circa allievi dell'Accademia, quindi sono 40 donne dell'equipaggio fisso e 40 allievi dell'Accademia. Seconda domanda riguarda un punto importante che citi a pagina 65 del tuo libro, questo episodio, se ce lo racconti, dei 264 abbracci, cioè c'è stato un momento importante, e poi leggo la conclusione. Ecco, il valore dell'abbraccio che è stato fatto tra te, se ben ricordo, e tutti i tuoi collaboratori, prima di lasciare il comando, o alla fine, correggimi. Il valore dell'abbraccio era un modo per me per trasmettere le mie emozioni, quindi abbiamo parlato di emozioni all'inizio. Per me il modo migliore per trasmettere emozioni era stato, per lunghe navigazioni, il fatto di poter suonare. In quel momento era un qualcosa che dovevo e volevo fare con tutti quanti, contemporaneamente, o comunque nello stesso momento, nello stesso occasione. E non c'era un parolo che avrebbe potuto, in quel momento, esprimere quello che avrei voluto dire, cioè che era un ringraziamento, ma più che un ringraziamento, una condivisione. Quindi noi abbiamo fatto quella navigazione complessa di cui prima abbiamo parlato, poi abbiamo ammainato le vele dentro la mar Piccola Taranto, ci siamo girati e abbiamo ormeggiato la nave proprio all'interno del canale navigabile. Dopodiché io ho pensato, ho deciso di chiamare un'assemblea, quindi eravamo tutti quanti riuniti, e in questa assemblea, in realtà quello che ho fatto è stata la continuazione di quello che era nato a marzo. Io a marzo ho dovuto fare un'assemblea molto simile, con uno spirito diverso, per annunciare la cancellazione del Geo del Mondo. Per cui è stata un'assemblea di una tristezza unica, fra l'altro un'assemblea che non sapevo nemmeno come concludere, perché dopo che uno dice, va beh, noi in programma c'era la partenza fra settimane, invece in realtà non partiremo, perché il Covid ci ha rovinato questo sogno. E poi che faccio? Finisco così? Non potevo finire un'assemblea in questa maniera, dicendo poi magari anche ora ve ne dovete andare, qui rimaniamo solamente in 30. Per cui l'ho finita con una frase a cui all'epoca non diedi alcun significato, ma dissi, l'ho fatta solamente per cercare di mantenere attenzione alta, o comunque di mantenere un grip con l'equipaggio, ed è stata, non ha importanza quello che succederà da ora in avanti, prendetevi cura di voi stessi, quando tornerete e partiremo faremo qualcosa che ricorderete per tutta la vita. Ma io non avevo un'idea di quello che stavo dicendo, assolutamente, perché non c'erano programmi, non c'era proprio una luce, il tunnel ancora dovevamo intraprenderlo. Per cui quando ho chiamato quell'assemblea a Taranto, è stata proprio per questo, è stata la conclusione dell'assemblea che avevo chiamata a marzo, ho detto ora finiamo con l'assemblea. Perchè l'ho chiamati e non sono riuscito a dire una parola, quindi sono arrivato davanti a loro, avevamo preparato il microfono, tutto quanto, per fare un grande discorso, in realtà sono arrivato lì, non avevo niente da dire, mi sono girato verso il primo e ho detto, se non sbaglio, prendiamoci cinque minuti. E ho abbracciato il primo, poi il secondo e mi li sono abbracciati tutti. All'inizio, diciamo che la reazione è stata un po' rigida, i primi diciamo che stava facendo, questo non è normale. Poi dopo avevamo capito invece che era qualcosa che non solo volevo io, ma volevano anche loro. E mentre li abbracciavo mi ringraziavano, cioè loro ringraziavano me. Io avrei dovuto dare la vita a loro per quello che avevamo fatto, per quello che eravamo riusciti a costruire insieme. Per cui è stato il momento più bello della mia vita. Quello è veramente stato più bello della mia vita professionale, il punto più alto della mia vita professionale. E il motivo per cui non ho più una divisa addosso, ho i capelli lunghi, insomma, è anche questo, perché momenti così poi non sono uscito più a viverne. Certo. Cioè ho fatto un altro anno poi sul Vespucci, quindi ho vissuto ancora un anno di bellissime esperienze, fra l'altro cercando di perfezionare quello che avevamo intrapreso. Ma lasciato il Vespucci non c'è più stata la stessa intensità. Quando vivi in un mostro nel genere, poi è tutto a contentarsi. Io non sono fatto per accontentarmi. A proposito di conclusioni, di avventure, vediamo come si conclude anche ufficialmente un'avventura sulla Merigo e quindi chiedo alla regia di fare un salto e di andare all'ultimo video, che è il video 6, l'ultimo, piccolissimo. Quindi siamo stati ospiti tuoi sulla nave. Lo sentiamo con gli onori che vengono riservati agli ufficiali emirali e autorità superiori. Attenti. Sei alla banda. Fuori. Grazie. Abbiamo dovuto correre col tempo. Mentre il presidente Manzana mi raggiunge, viene su da questa scala, prende il microfono e l'accompagna. Così il presidente... Addirittura. Dai, un po' di musica. Ci vuole un po' di musica, presidente. Mentre lei parla io sono... Dove trova un'accoglienza del genere? Può parlare? Ti ha dato la facoltà di parlare con un sottofondo musicale. La conversazione è a caldo. Un tuo parere su questa serata? Intanto mi sono venuto in mente il lockdown, per come l'ho vissuto io. Il rambento non il giorno, ma il primo termine, era il primo aprile. Poi era stato spostato al primo maggio. La prima sensazione era che noi la si potesse vivere in apnea, questo blocco. Era qualcosa di incredibile, di surreale. Con tante migliaia di dipendenti, non era una cosa banale. Quando hanno spostato al primo di maggio, ho detto no, no, questa cosa qua non si può vivere in apnea, perché poi avremmo un altro rinvio. E così è stato. E noi ci siamo preparati, per noi un momento storico, quella dell'attivazione della casa integrazione. Perché a valle del lockdown, abbiamo avuto un picco di attività incredibile, cioè chiudere le disdette, gestire tutte le attività, perché anche le strutture sanitarie per le quali lavoravamo si sono stati in grado di fare una cosa che non è più facile. E poi, ecco noi che non avevamo mai incrociato questo tema, ricordo che eravamo 120-130 differenti direzioni IMS a cui chiedere, perché noi lavoriamo in oltre 800 presidi di vera, di vera, di vera, di vera, di vera, di vera, di vera, di vera, di vera, di vera, di vera, di vera, perché lavoriamo in oltre 800 presidi diversi, ecco, questa l'ansia, l'ansia, l'incertezza che ha procurato questo in quei momenti, è stata un qualcosa di terribile. Ed essere al comando rispetto e decidere, cioè, comunque sia, si fa così, e assumersi nella responsabilità, è un qualcosa che sicuramente pesa, ma nel momento in cui si ha per davvero a cuore il bene comune, è un qualcosa che senti leggero nel cuore. Questo è quello che io ho percepito lì, in quel contesto. Non è in alcun modo banale, ecco, non erano momenti sicuramente banali. Vi leggo a tutti e due una frase che mi ha colpito, è di Attila, Attila, diciamo, l'unno. Ce ne sono tante, sono un po' le regole del suo esercito, ma ce n'è una che mi ha colpito. È una tragedia, leggo le prime. Gli uni di successo imparano a raffrontare le avversità e a superare gli errori. Un re i cui condottieri concordano sempre con lui avrà dei consiglieri mediocri. Un condottiero saggio non uccide mai l'unno che gli porta le cattive notizie. Così, tanto per iniziare, ma per chiudere, andiamo a questa. È una tragedia quando le decisioni finali vengono prese da condottieri che si trovano a chilometri di distanza dal campo di battaglia e che si limitano quindi a immaginare le circostanze e le potenzialità che solo un capitano che si trova sul posto può conoscere. I due punti di vista, di un imprenditore e di un militare. Vado io? Certo. Direi che bisogna fare di necessità virtù. Nel senso che io condivido completamente, peraltro fin quando ho potuto. Ero il primo che apriva la porta e l'ultimo a chiuderla per tantissimi anni. Questo anche semplicemente stando vicino ai diversi team che lavoravano, predisponevano varie cose. Poi bisogna fare di necessità virtù e fare un passo un pochettino a lato e immaginarsi un'organizzazione. Un'organizzazione che ti permette di gestire un qualche cosa a 8.000 chilometri di distanza. Tanto è più o meno la distanza che ci separa da Houston, dove abbiamo là, o Mexico City. Lì è un tema. Lì la questione del grip, quei pochi momenti di incontro, di discussione, di ingaggio che si ha con il leader che necessariamente sta dall'altra parte dell'oceano, è un qualche cosa da pesare. Quell'ora, ora e mezzo che uno ricerca di trasmettere esattamente quello che una persona è, questo è un momento importante. Un'altra cosa che mi vorrebbe da dire, soltanto noi non dobbiamo, come leader, cercare di recitare. Questo sarebbe un'idiozia fatta e finita. Noi dobbiamo necessariamente essere noi stessi. Soltanto così, se siamo autentici, riusciamo ad arrivare e a trasferire il nostro messaggio. Il tuo parere su questo. Da qua potremmo stare delle ore, però ho dei tempi che devo rispettare. Perfetti. Abbiamo un minuto e 26 secondi. Un minuto e 25 secondi. Usiamo il leadership per la prima volta. Per la prima volta. Secondo me il miglior modo per esprimere il leadership è con l'esempio. L'abbiamo detto tante volte. L'esempio. La leadership anche nell'ambito familiare. A miei figli raramente do consigli o delle... A volte do delle istruzioni, delle indicazioni. Chiedo delle cose. Però quando li devo far crescere, quando penso di fare veramente il padre per farli crescere, io cerco di dare un esempio. Va bene? Che non è un consiglio, è un esempio. Poi loro devono decidere se l'esempio a loro piace, se loro vogliono in qualche maniera affiancarsi a questo esempio oppure vogliono tenersi discosto da questo esempio. Questo modo di approcciare... le persone che sono a mio fianco. Nell'azione di comando per me questo è un discorso fondamentale. Io volevo dare l'esempio, ma volevo, cercavo l'esempio. E lo dicevo, lo dichiaravo. Io dichiaravo ai miei equipaggi il fatto che sarei stato ingombrante. Io vi romperò le scatole, sarò molto ingombrante. Vi senterete sempre osservati, vi senterete sempre qualcuno che vi sta a fianco, che vi controlla. Ma non vi controlla perché vuole verificare quello che fate, ma perché vuole capire e vuole capire anche cosa puoi mostrare lui, e quindi mostrare io come comandante, con il mio esempio. Poi i miei equipaggi avevano totale facoltà di giudicarmi e di dire, sì, l'esempio che dà il comandante Bacchi è un esempio buono, un esempio, io voglio essere come lui, gli allievi, gli allievi ti guardano perché poi dopo trent'anni potrebbero essere comandanti del Vespucci. E quindi io mi aspettavo che qualcuno di loro avrebbe pensato io da grande vorrei essere come lui, così come altri, invece, insomma, pensare esattamente all'opposto. Cioè, questo non è il tipo, il modello di comandante che io vorrò seguire. Però l'esempio per me era importante, l'esempio ci doveva essere. Il comandante deve stare sull'onda, non deve stare dietro l'onda. La deve surfare, la deve cavalcare, non può farsi superare dall'onda e aspettare, insomma, che gli altri la cavalchino. Allora, siamo perfetti nella gestione del tempo. Io direi semplicemente, diciamo, una cosa. Abbiamo avuto un capitano di industria e un capitano di vascello. Ringraziamoli tutti e due, davvero. Grazie. E ringraziamo il pubblico. Grazie, grazie. Facciamo una foto, una foto insieme. C'è qualcuno che ci fa una foto? C'è qualcuno che ha una foto, perché se no si mettiamo in posa. Quando facciamo queste cose... Sottotitoli e revisione a cura di QTSS Sottotitoli e revisione a cura di QTSS
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