Libere professioni e nuovi talenti
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Libere professioni e nuovi talenti
Giulio Biino, presidente del Consiglio Nazionale del Notariato, Elbano De Nuccio, presidente del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Raffaella Ferrai, presidente ODCEC Trento e Rovereto in dialogo con Maria Carla De Cesari, caporedattrice Il Sole 24 Ore. Il tema centrale dell’incontro: nuovi talenti e libere professioni. Durante la conferenza sono stati esaminati i cambiamenti, le difficoltà, i nuovi scenari e le opportunità da cogliere.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Buongiorno a tutti, benvenuti a questo incontro su professioni e nuovi talenti. Abbiamo un parterre particolarmente elevato per parlare di nuovi talenti poi vedremo come declineremo questa espressione. Presento subito alla mia destra a Raffaella Ferrari che è presidente dell'Ordine dei commercialisti di Trento poi continuando sempre alla mia destra Elbano Denuccio, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti a sinistra Giulio Abina, presidente nazionale del notariato. Qualche anno fa, se avessimo dovuto intavolare una discussione sui nuovi talenti, avremmo considerato naturale pensare che il notariato sia l'espressione dei talenti. Cosipure, devo dire, per i dottori commercialisti dove fino a qualche anno fa le professioni erano considerate davvero un po' l'elite intellettuali di questo paese. Oggi le cose forse non so se stiano cambiando nella percezione, perché purtroppo le professioni stanno attraversando un momento di, non dico di crisi, ma probabilmente un momento di cambiamento e di riflessione e anche di un po' particolare nella percezione del pubblico. Questo è un po' innegabile. Naturalmente i giovani fanno fatica ad avvicinarsi alla professione. Questo vale anche per il notariato. C'è sempre stata la corsa ad arrivare ad una professione che veniva dopo un concorso particolarmente rigido, dopo anche un percorso formativo molto rigido e molto articolato. Oggi invece è un po' tutto diverso. E quindi è vero che le professioni sono un po' il covo dei talenti, però bisognerebbe un po' capire come questa declinazione possa in qualche modo essere portata avanti in futuro. Nuovi talenti io lo declinerei con due valenze. Da un lato i giovani e i giovani migliori. E dall'altro però anche, e perché no, professionisti magari più maturi, senior, che in qualche modo dopo un percorso diverso, magari alle dipendenze, magari nelle grandi consulting, scelgono di entrare negli studi più tradizionali e di fare professione ad altri livelli. Ecco, vediamo un pochino come si declina oggi in una situazione un pochino di crisi, perché anche il notariato fa fatica a trovare nuove leve e soprattutto probabilmente a motivare un percorso formativo molto, come dicevo prima, molto complicato. E questo mi stupisce un po', perché si dice, forse voglio, studio tanto, ma forse è meglio diventare, non so, magistrato. Perché avete perso un po' di appeal, Presidente Vino? Per intanto grazie. Direi che il tema interessa, perché comunque abbiamo tanti giovani, talenti probabilmente se sono venuti ad ascoltarci, perché vuol dire che vogliono provare a immaginare come noi vediamo questo percorso verso il futuro. Perché? Perché noi stiamo dando una accezione di talento che in qualche modo è equiparabile a eccellenza. E quando ho studiato io, girava quel luogo comune per cui c'erano due condizioni per poter diventare notaio. O eri figlio di notaio, oppure eri un genio. E non era vero in una cosa o nell'altra, perché essere figli di notai è veramente uno stereotipo se voi considerate che i parenti di notai, neanche i figli, sono il 17%, che mi pare un numero fisiologico considerando che magari i figli dei notai frequentano lo studio del papà, come è successo, io ho tre figli, le domeniche in studio ne ho passate tante e loro venivano a giocare in studio, però nelle mura di uno studio notarile. Quindi è chiaro che respiri un'aria. L'altro luogo comune che occorresse essere un genio, cosa tutt'altro che vera, occorreva essere un'eccellenza e per eccellenza si intendono due cose. Una è naturale perché aiuta un po' in qualunque professione, avere una buona memoria, questo è chiaro che è un requisito che qualcuno ha e qualcuno non ha, che però non è un prerequisito fondamentale, ce n'è un altro e quello invece è un prerequisito veramente unico, bisogna avere moltissima voglia di studiare. Questo sì è un prerequisito assoluto e avere una certa forza psicologica, avere quella struttura che ti permette magari di superare un insuccesso con la voglia di farlo diventare un successo la volta dopo. Un metodo molto a disciplina. Moltissimo, però, e qui rispondo alla tua domanda e lascio spazio a loro, perché ha perso questo appeal? In realtà non credo che l'abbia perso il notariato. È un problema delle professioni, questo è diffuso un po' per tutti perché ce l'hanno i commercialisti, ce l'hanno gli stessi avvocati. L'avvocatura l'ha vota molto prima, è probabilmente stata una colpa il fatto di non interrogarsi su questo, è stata una colpa dell'avvocatura ma forse è stato un problema di tutte le professioni. Poi vedo che il vano denuccio sta, è un problema di tutte le professioni nel non interrogarsi di una crisi che era alle porte, perché questo è come dire un... Era una crisi del mondo professionale proprio, del mondo professionale. C'è, e mi piace dirlo e magari ci torneremo nel corso del dibattito, una certa inversione di tendenza. Oggi anche l'attenzione governativa al mondo delle professioni probabilmente può di nuovo attivare un po' i talenti e le eccellenze verso il mondo professionale. Ecco io adesso vorrei dare la parola al vano denuccio su questo, ma con questa suggestione, che cosa sarebbe opportuno fare in questo momento? E perché non si è fermata negli anni 90 questa crisi incipiente? Buongiorno a tutti, grazie per l'invito, tra l'altro vorrei... E qualche cosa è dovuto anche, perché io un'idea ce l'ho pensando allo schema dell'avvocatura, però vorrei che... Adesso cercherò di soddisfare la curiosità della domanda. Innanzitutto ringrazio per l'invito, ma soprattutto complimenti per l'evento, perché devo dire che si respira un'aria in questa manifestazione veramente positiva. Ecco, un coinvolgimento su varie tematiche che riguardano vari aspetti dell'economia del Paese, non solamente libere professioni. La mia risposta nasce da una considerazione non solo come presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, ma come genitore, come padre di due ragazzi, che studiano economia, uno tra l'altro è anche laureato, ed entrambi non vogliono fare i commercialisti. Quindi parto da una, tra virgolette, lasciatemi dire provocatoriamente, un fallimento rispetto a un genitore che, voglio dire, non solo è commercialista, come mi definisco io, fondamentalmente un commercialista radicato nella professione, ma anche un genitore che ha due figli che non vogliono dare una continuità al proprio lavoro. Quindi mi sono interrogato, chiaramente confrontandomi con loro, e cercando di capire il perché. La domanda è, è una crisi d'avocazione o una crisi di funzione? E mi spiego meglio. Non c'è un'attrazione delle professioni perché le professioni non servono più? O perché non c'è un'attrazione in quanto non sono più attrattive, nonostante la loro essenzialità per la funzionalità del Paese? Subito dopo la pandemia, che è un po' il di essa quota a cui partono una serie di valutazioni, ci siamo resi conto che le professioni non solo sono essenziali, sono assolutamente indispensabili, ma questo lo riscontriamo anche nell'ambito della produzione normativa, sia in tema di crisi di impresa, sia in tema fiscale, dove viene rafforzata la centralità del ruolo delle libere professioni, sia nelle loro funzioni di coeditori, di advisor, del giudice, nella crisi di impresa, di attestatori, ma anche nell'ambito della nuova riforma tributaria, dove sono stati introdotti strumenti come la cooperative compliance, come il concordato per eventi obbiennale. Non è una crisi di funzione. Perché non ci sia vicina la professione? Io credo che sia innanzitutto una, e questa è anche colpa, diciamo, nostra, nel senso che non sia applicata la corretta informazione rispetto a un ruolo che è differente rispetto a quello che appare. Perché se io dovessi pensare a un commercialista come meramente a quello il quale fa pagare qualcosa a qualcun altro, cioè a un fiscalista, è evidente e chiaro che in un contesto sociale, quale è quello nazionale, in cui c'è una normativa tributaria particolarmente complessa, particolarmente faraginosa, in cui la marginalità su alcune funzioni professionali è ridotta all'umicino, addirittura alcune sono in perdita, quindi c'è un livellamento verso il basso, anche della funzione sociale percepita di quel ruolo. È chiaro che non è attrattiva la professione rispetto a poter lavorare in altri contenitori. Immagino come prima occupazione all'interno di società che operano nel mondo finanziario, piuttosto che in società di revisione, dove c'è una valorizzazione anche economica del lavoro. E quindi è chiaro che non c'è attrazione. Su questo tema ci siamo interrogati molto all'interno del Consiglio nazionale. Infatti il lavoro che stiamo svolgendo è un lavoro anche di rafforzamento della comprensione del ruolo del commercialista, che non è ovviamente solo fiscalista, che non è solamente un consulente dichiarativo o di adempimenti, ma è ben altro. Quindi c'è lo sforzo di focalizzare la natura della professione o delle professioni su funzioni che non sono meramente di adempimento, ma sono di alta competenza. E questo è un primo passo. E poi vorrei però gettare un po' sul tavolo il tema dell'accesso. Perché sul tema dell'accesso, negli anni 90, negli anni 2000, si sono spreccati i fiumi di inchiostro, cioè le professioni come recinto chiuso, come barriera all'ingresso, eccetera. E' proprio lì probabilmente che però non ha funzionato il sistema di selezione, perché in realtà probabilmente quel dibattito era frutto di un po' di pregiudizi e probabilmente il sistema di selezione non ha funzionato. La domanda la faccio ad una professione che ha un sistema di selezione molto strutturato. Guardiamo un po' il complesso delle professioni. Parlando della nostra professione, perché ovviamente qui parlando di accesso siamo su posizioni molto diverse, proprio perché il nostro è un concorso e il loro è un esame di stato. Quindi sono veramente due mondi e due modalità di accesso molto diverse tra loro. La provocazione era a 360 gradi, quindi selettivo, rigoroso. Io credo che sia mancata una presenza molto più assidua nelle università e forse addirittura nelle scuole superiori. Perché l'attrattività delle professioni oggi va spiegata, perché non ci si arriva per caso, come diceva prima giustamente Elbanio de Nuccio, se si lascia che sia lo spazio delle professioni, che sia in qualche modo invaso da altre attività, che apparentemente sono più attrattive, ma ci tengo molto a dirlo solo apparentemente, perché quando a un giovane, e qui ne abbiamo tanti, si spiega la bellezza di essere fra virgolette, non numeri in un'azienda, ma delle vere eccellenze e qualcosa di essenziale per il Paese, qualcosa attraverso il quale il Paese, quel corpo intermedio che è l'ordine e che sono le professioni rispetto alla popolazione e alle istituzioni, improvvisamente ai giovani si apre un mondo le professioni le ritornano attrattive e l'accesso non è più un problema. Allora, mi sembra che Giulio Vino abbia puntato un po' l'indice anche sulla responsabilità delle professioni, perché negli anni 90, 2019, insomma, insieme a tutto il dibattito sulla riforma delle professioni che poteva essere a un giudizio ex post, considerato, impostato in modo corretto o meno, ma non è questo il punto, cioè l'altra faccia del tema era la riforma dell'università uno dei perni della riforma dell'università era l'autonomia didattica. Con l'autonomia didattica le parti sociali, intendendo per ordini, per tutte le rappresentanze delle competenze, dovevano entrare nell'università. Questo non è successo. Questo non è successo o è successo molto tardi. Allora, qui credo che occorra prendere coscienza del fatto che qualcuno, pur essendo chiamato a svolgere un ruolo, non l'ha fatto. Allora, però in positivo, Raffaella Ferrai, voi, lei come Presidente dell'Ordine dei Commerzialisti di Trento, sta facendo un lavoro di accompagnamento all'interno dell'università per cercare di capire come la professione può iniziare a prepararsi proprio all'interno dell'università. Lei fa parte di una realtà un po' privilegiata, però ci illustre un po' che cosa sta accadendo. Innanzitutto, grazie. Sì, Trento è una realtà sicuramente privilegiata, lo è anche perché in anni passati, parliamo dell'inizio, anni 2010, 2014, da quelle parti lì, ha usufruito della possibilità di sottoscrivere con l'università locale una convenzione che è stata articolata in maniera diversa rispetto a quella generale, diciamo, prevista a livello negli accordi tra Consiglio nazionale e Ministero dell'Istruzione o dell'università. E in particolare prevede una coprogettazione del percorso di laurea funzionale all'accesso alla professione. Dopodiché è vero però che per anni probabilmente noi stessi, come ordini anche locali, siamo rimasti abbastanza fuori. Abbiamo concorso all'origine, alla progettazione e poi però ci siamo abbastanza astenuti dall'intervenire. C'erano dei colleghi che facevano l'odocienza, ci sono tuttora. Diciamo che all'inizio del mandato abbiamo realizzato anche, per la verità, sulla spinta del colloquio fatto in apertura del mandato col rettore dell'università dell'invito che dal rettore è venuto a farci noi partecipi del disegno dei percorsi di laurea in funzione di quelle che devono essere non solo le professioni ma il mondo economico del futuro. Perché il ragionamento era, noi viviamo l'università dall'interno, non necessariamente cogliamo i segnali che vengono dal sistema economico eccetera. Quindi voi, Ordine, così come Confindustria, l'Associazione Artigiani, tutto il mondo economico, cercate di essere di supporto nel vedere, nel guardare avanti. E così abbiamo fatto, abbiamo installato un dialogo che ha trovato per la verità un terreno molto fermo dall'altro lato abbiamo iniziato a ragionare con la Facoltà di Economia e con i responsabili del percorso di studio funzionale all'accesso alla professione sul che cosa ci possa essere da ritoccare e rivedere in ottica futura sulla percorsa di laurea. E abbiamo riscontrato una realtà di un percorso di laurea estremamente valido. È un percorso di laurea che qui a Trento è sempre stato molto attrattivo anche per ragazzi provenienti da tante altre parti d'Italia, nord o sud che sia. Quindi è sempre stato giudicato un ottimo percorso di laurea. L'abbiamo un po' messo in discussione e stiamo lavorando già, da quest'autunno, parte una parziale rivisitazione che tende a introdurre all'interno del percorso di laurea lementi maggiormente idonei a formare professionisti che siano aziendalisti, quindi persone in grado di sostenere e supportare le aziende nelle scelte funzionali alla loro crescita perché io credo profondamente che il nostro ruolo sia stato, diciamo, depresso in qualche modo, il nostro come commercialisti dal proliferare degli addempimenti fiscali. Io ricordo quella che era la professione quando ho iniziato io. Si facciano dichiarazioni IVA, bilanci e dichiarazioni fiscali ma a luglio si chiudeva l'autunno era tutto dedicato alla consulenza. Era una consulenza non troppo forse proattiva in termini di supporto alle strategie aziendali intese come strategie economiche di business, era comunque un supporto, diciamo, più alle operazioni straordinarie. Io credo che oggi dobbiamo entrare di più nel supporto al business, quindi tutto quello che è... Quindi si è avviata questa collaborazione su invito dell'università e quindi anche su sprone dell'università a portare gli elementi che possono servire a rendere i curriculum meglio adeguati ad una professione che sta cambiando e che deve cambiare. Vedremo un po' come questo produrrà frutti. Già avete iniziato e state già implementando questo nuovo corso? Sì, l'università è partita, io ho partecipato alla presentazione del corso di laurea che parte adesso in autunno e già all'interno di quello sono stati fatti dei ritocchi tenuto conto del fatto che gli ordinamenti professionali sono parecchio vincolati, quindi l'intervento richiede per essere strutturale un certo tempo. Però trovo che sia importante anche semplicemente la comprensione da parte del mondo universitario del fatto che la missione che hanno è ovviamente quella di formare persone che poi siano competenti quanto più possibile e quindi l'approccio è stato decisamente molto positivo da questo punto di vista, perché stiamo lavorando su altro, ma insomma il nucleo lo vedo lì. Ma c'è anche il coinvolgimento organico degli studi professionali negli insegnamenti. Lei ha ricordato all'inizio del suo intervento che molti dei colleghi sono professori all'università, ma questo coinvolgimento della professione è più organico e più scoperto. Se ci sono dei tirocini all'interno dei laboratori, il termine esatto potrebbe essere laboratori. C'è un coinvolgimento massiccio di colleghi nell'ambito di alcuni corsi e di laboratori specialistici come quello sulla valutazione dell'azienda mi viene in mente. C'è anche un coinvolgimento che sta crescendo, che sta nascendo, che è molto delicato da strutturare lo stiamo cercando di strutturare in termini di apporto di testimonianze all'interno del percorso di studi, per cui l'accesso dell'ordine che si presenta e che presenta insieme all'università il percorso di laurea, degli studi che intervengono nell'ambito di alcune elezioni. Questo impone anche all'ordine di studiare. Assolutamente. La cosa più bella per me almeno del ruolo è rappresentato dalla crescita personale e in generale di competenze che comporta. Presidente Denuccio, che cosa sta facendo a livello nazionale il Consiglio nazionale su questo? Naturalmente il raccordo tra professioni e università non si è esplicato in tutti i risvolti che poteva avere e anche in tutte le potenzialità. Faccio un passo indietro e mi lascio a quello che diceva la collega Raffaele Ferrai. Forse sono l'esempio meno adatto per dare una risposta a questa domanda, ma spiego perché è provocatore la mia risposta, perché colgo le provocazioni da parte di mi intervista, ma mi piace anche essere provocatore. Io sono anche un professore universitario di economia aziendale. La mia università è in cui c'è un percorso di laurea strutturato per formare studenti che poi accedano all'attività di libro professionista in ambito aziendale, quindi un concorso di dottori commercialisti. Questo è un lapsus terribile. Poi vediamo dove vuoi arrivare. Poi pensiamo a fare anche un concorso. Io sono sempre dell'avviso che invece la selezione serva, e non bisogna aprire le maglie, per garantire la qualità di chi offrirà un servizio. Quindi non è un problema di esame di stato o di accesso alla professione. Non è questo il tema che deprime l'ascrizione degli iscritti agli ordini professionali. Anzi, io sono sempre stato uno di quelli che ritiene che la selezione va fatta e va fatta in maniera adeguata, perché poi chi copre un ruolo, soprattutto in ambito delle professioni liberali, deve garantire un servizio di elevatissima qualità. Lo devono fare i notari, lo devono fare i commercialisti, lo devono fare anche i medici e tutte le professioni liberali. Ma ritornando un attimo al punto di connessione con l'università, è assolutamente vero il fatto che attualmente ci sono strumenti che consentano la maggiore focalizzazione dei percorsi di laurea in funzione di una formazione diretta alla realizzazione della creazione, tra virgolette, di un laureato idoneo, a seguire un percorso di libera professione in ambito aziendale, in ambito di dottore commercialista. Però è altrettanto vero che questo tipo di modello non è stato applicato in maniera omogenea a livello nazionale. Molte università, infatti, non hanno questi percorsi di laurea. C'è un altro aspetto importante. Una delle iniziative immediatamente portate avanti da questo Consiglio nazionale, quando dico immediatamente, eravamo nel mese di giugno, noi ci siamo iniziati a giugno dello scorso anno, è stata quella di costruire un protocollo che poi purtroppo non è stato sottoscritto perché l'allora governo è ovviamente decaduto quindi siamo andati nuovamente in campagna elettorale, nuovamente è stato nominato un nuovo governo, ma l'impegno di questo Consiglio nazionale è quello di riprendere quanto prima questo percorso. Il protocollo già c'è, già scritto, che prevede sostanzialmente una convenzione tra Consiglio nazionale e MUR per la realizzazione di percorsi di formazione specialistica con valenza legale. Io più volte ho censurato il fatto che nella passata stagione, nelle passate stagioni del Consiglio nazionale si è spinta ad un'attività di formazione specialistica nei confronti dei colleghi, le cosiddette SAFRE, scuole di alta formazione, senza che però al termine di questo percorso formativo ci fosse un riconoscimento di un titolo legale perché era una formazione comunque di qualità, ma senza riconoscimento legale. La convenzione, o meglio il modello di convenzione che noi abbiamo concertato col MUR, oggi si chiama MUR perché non è più MIUR, quindi non è un errore di espressione, derivava dal fatto di dover riconoscere un'equipollenza tra un master e il percorso formativo specialistico. C'è un altro aspetto importante. Quindi i vostri percorsi specialistici saranno equiparati... A tutti gli effetti è un master, di primo o di secondo livello è uno short master. Questo perché bisogna dare valenza, io ho sempre detto, ho sempre sostenuto che l'unico soggetto preposto a somministrare, tra virgolette, formazione legalmente riconosciuta è unicamente l'università o il sistema, ovviamente il sistema scolastico nazionale, non esistono altri strumenti, non c'è la possibilità di farsi autocorsi che siano validi e illegali senza questo riconoscimento in questo imprimato da parte dell'università. Quindi la convenzione con le università pubbliche, private e telematiche è essenziale affinché al termine di questo percorso formativo il commercialista, genericamente sia esso esperto contabile, sia esso dottore commercialista, ottenga sostanzialmente il riconoscimento. Questo passerà attraverso le SAF? Questo passerà assolutamente attraverso le SAF. Speriamo che cosa sono le SAF. Le SAF sono le scuole di alta formazione che sono, tra l'altro, un acronimo che è stato cognato nella scorsa consigliatura sono sistemi di formazione altamente specialistici, quindi sono rivolte a già iscritti all'alba di dottori commerciali. Quindi sono le scuole di specializzazione organizzate dagli ordini? Organizzate dal Consiglio nazionale attraverso le reti degli ordini territoriali. La governanza delle SAF è l'interno del Consiglio nazionale. Quindi c'è una gerarchia molto... C'è una struttura formativa gerarchica in cui c'è un coordinamento nazionale poi c'è una, diciamo, distribuzione sull'interno dell'ordine territoriale attraverso gli ordini territoriali. Ma vorrei però agganciarmi un punto che secondo me dà una risposta chiara alla domanda che mi è stata posta. Che cosa sta facendo oggi il Consiglio nazionale? La scorsa settimana, anzi questa settimana, ormai il concetto spazio-temporale a me è un po' confuso, troppi spostamenti. Qualche giorno fa ci siamo incontrati in Consiglio nazionale insieme alla Cassa nazionale dottori commercialisti con l'amico e collega Stefano Distilli uno dei punti che abbiamo affrontato in una progettualità di collaborazione istituzionale è stato proprio quello che cosa possiamo fare per incrementare l'attrattività della nostra professione. L'idea che è stata in quella sede partorite, che partirà sicuramente a brevissimo, è avviare all'interno delle università italiane un percorso di informazione chiara e specifica all'interno delle aule per far capire agli studenti chi è e cosa fa il commercialista. E lo faremo attraverso una serie, come faceva giustamente il riferimento prima a Raffaella, di esperienze di casi aziendali, ma lo faremo anche attraverso una disponibilità che dovrà essere data da parte degli studi professionali di accogliere gli studenti, in una fase di conoscenza anche della professione. Guardate l'errore che è stato commesso negli ultimi anni è stato quello di mantenere, io definisco l'ico inglese, non voglio essere accusato di utilizzare inglesismi, un approccio stand alone, cioè io faccio il commercialista, ormai sono libero professionista, non mi interessa quello che sta alla base. Noi dobbiamo invece focalizzarsi su quelle sono le cause di questa situazione, le cause è aver interrotto quel legame con l'università. Il vivaio delle professioni sono le università. Se noi non siamo presenti in maniera forte, in maniera visibile, in maniera comprensibile, nell'ambito delle aule universitarie, noi non avremo più persone che arrivano all'interno degli studi professionali. Allora, questo mi sembra che sia una consapevolezza che la professione abbia ormai maturato, l'ultimo rapporto statistico presenta in modo evidente il fatto che i giovani arrivano con molta fatica alla professione, probabilmente uno dei meriti è il fatto di non averlo nascosto, perché probabilmente il nascondere i problemi non facilita la loro soluzione. Quindi, se ho ben capito, provo a riassumere un'azione di orientamento molto forte che probabilmente verrà anche strutturata. Quindi ci saranno forse delle best practices che il Consiglio nazionale, la CA, soffriranno sul territorio poi vedremo com'è. E poi l'altro fronte sono le specializzazioni che avranno un valore, che saranno titoli... Non autoformazione, la formazione la facciamo già con gli ordini professionali. A noi interessa attribuire un titolo giudicamente riconosciuto. Non mi sembra che la formazione abbia poi procurato tutta questa... La formazione non mi sembra sia stata un'esperienza totalmente felice. Ma no, su questo non sono totalmente d'accordo. La formazione di qualità serve, serve soprattutto in un contesto particolarmente dinamico qual è il mercato oggi delle professioni. Oggi non si fa più il commercialista vivendo di rendita con la propria conoscenza. Il bagaglio conoscitivo va aggiornato e va aggiornato, non dico quotidianamente, ma addirittura più volte anche nello stesso giorno. È diverso il ruolo dei commercialisti rispetto a quello dei notari, completamente diverso. Noi oggi parliamo di sostenibilità, parliamo di internazionalizzazione, parliamo di problematiche fiscali che vanno al di là dei confini nazionali. Io devo, in qualità ovviamente di Presidente del Consiglio nazionale, con il mio consiglio garantire agli iscritti di essere aggiornati di essere competitive all'interno di un mercato professionale che non è solo nazionale, ma anzi assolutamente sempre più internazionale. Nel corso dell'ultima assembrale del Presidente ho avuto modo di significare un concetto molto importante. La presenza dei professionisti, dei commercialisti italiani nei tavoli tecnici internazionali, perché lì si scrivono le regole e noi subiamo sempre di più l'effetto di norme e di regole contabili che sono scritte non a livello nazionale ma a livello internazionale. Quindi l'aggiornamento è essenziale. La specializzazione è un fattore critico di sopravvivenza, non è un fattore critico di successo. Senza formazione, senza specializzazione, oggi si è fuori dal mercato. La conoscenza ha una durazione molto molto breve, attenzione. Su questo vorrei essere molto chiaro e siamo molto focalizzati su questo aspetto come Consiglio nazionale perché la consapevolezza nasce proprio dal vivere quotidiano della professione. Oggi forgiare una categoria, le faccio un esempio e poi lascio spazio ai colleghi, leggendo legge del rega fiscale e parlando di cooperative compliance, il tax control framework per intenderci, lì bisogna acquisire competenze tecniche specifiche assolutamente specialistiche quel tipo di lavoro non lo può fare il fiscalista generico, ma lo deve fare un fiscalista che acquisisce competenze trasversali tra controllo di gestione, normativa fiscale e conoscenza aziendale. E per ottenere questo tipo di competenze il Consiglio nazionale deve, non può, deve dare la possibilità a tutti i commercialisti di poter acquisire queste competenze attraverso corso di formazione altamente specialistica. Continuo a dire, la specializzazione è un fattore critico di sopravvivenza, dobbiamo adeguarci al mercato. La legge darwiniana dice, chi non è in grado di adattarsi, la specie che non riesce ad adattarsi al mutato contesto è destinata a perire. Noi dobbiamo in questo momento applicare un approccio che consenta alla professione ai commercialisti di adattarsi rapidamente, e questo è anche un altro fattore di critico, il tempo, al contesto mutato a livello di mercato professionale, che non è più solo locale, non è solo nazionale, ma è internazionale. Presidente Bino, il denuncio ha smarcato un termine che fino a qualche tempo fa avremmo pronunciato con corrossore, oppure ci avrebbero tutti detto che state dicendo, il termine selezione, perché ha iniziato l'intervento dicendo selezione. E' giusto fare selezione, prima cosa, e poi di che cosa ci dobbiamo preoccupare, perché questa selezione sia una selezione equa, nel senso che non agevoli coloro che sono già dei privilegiati, una selezione che invece cerchi di agevolare i migliori anche se non hanno gli strumenti economici, che cosa possono fare le professioni su queste? E poi mi scusi, perché è una selezione di competenze, ma io vorrei gettare su questo tavolo anche il problema della preparazione deontologica. Devo dire che ha messo sul piatto veramente due macigni, sia l'uno che l'altro, perché se c'è qualche cosa che è garantito col sistema d'accesso annotariato, è davvero la selezione dei migliori. Da noi i talenti sicuramente emergono proprio attraverso il nostro meccanismo di selezione, perché quel concorso tanto discusso e spesso addirittura messo in discussione al punto di valutarne la necessità è veramente la garanzia di selezione dei migliori e dei talenti. Che cosa sta facendo il Consiglio nazionale annotariato in quest'ottica? Noi vogliamo che arrivino alla professione dei notai. Superato il concorso, noi vogliamo avere dei giovani che entrano nella professione da professionisti. Che cosa si intende per professionista? Il professionista non è solo uno che sa un sacco di cose, no? Assolutamente no. Anzi, è veramente un soggetto multitasking. Io sono il primo che qualche volta entrando in studio cominci a fare il notaio magari alle 11.30 della mattina perché dalle 8.30 alle 11.30 ho risolto altri problemi che sono quelli del personale, che sono quelli dei sistemi informatici, perché spesso ci sono tutta questa serie di difficoltà da risolvere. Ma quando parlo di giovani che arrivano alla professione e sono professionisti, intendo giovani che non hanno soltanto trovato un meccanismo per superare il nostro concorso. Perché superare il concorso non è una garanzia di saper svolgere la professione. Allora noi stiamo lavorando come Consiglio nazionale alla creazione di una scuola nazionale dell'annotariato che porti i giovani attraverso un roadshow nelle università, come accennava prima il bano de Nuccio, che spieghi che cosa fanno i notaie, come lo fanno e soprattutto spieghi una cosa, perché quando prima si parlava di calo di attrattività, che fare il notaio è bello, dopo ci sono tutta una serie di altre considerazioni, ma è bello, è una professione affascinante tra l'altro anche multiforme, non è quella professione statica che spesso passa nell'immaginario collettivo. E' superato questo aspetto se noi abbiamo una scuola nazionale che garantisca quel tipo di preparazione quel tipo di selezione che passa anche attraverso la formazione deontologica, perché purtroppo non esiste professione senza deontologia, senza una capacità di coniugare l'etica, che è quella quotidiana che tutti dovremmo in qualche modo sviluppare, all'etica formata dentro alla professione, che è qualcosa in più, perché la deontologia è un'etica di ruolo, è diversa da professione alla professione, ma è indispensabile per la sopravvivenza della professione, soprattutto quando parlo di quello notarile, perché nell'immaginario collettivo il notaio è etico per definizione. Ma sembra semplice mantenere un livello etico preceptabile? Non è semplice, è tutt'altro che semplice, soprattutto in un mondo che sotto questo profilo va un po' alla deriva, ma io credo che questo sia un ruolo fondamentale dei consigli nazionali e poi dei consigli individuali. Potrebbe essere semplice perché voi siete pochi, siete 5000, quanti siete? 6000? Sì siamo 5200, ma in realtà il fatto di quasi conoscersi, perché in realtà è facile considerare il notarile una grande famiglia, perché 5200 persone si possono considerare una famiglia allargata. Ma proprio perché c'è questo tipo di rapporto interpersonale è un dovere essenziale del Consiglio nazionale che passa attraverso i consigli notarili distruttuali perché l'azione disciplinare passa attraverso i consigli notarili quindi la garanzia del rispetto delle notologia passa attraverso delle regole che vengono costruite dal Consiglio nazionale che vengono poi calate nelle realtà distruttuali attraverso i consigli notarili. E io credo che di lì passi innanzitutto al riconoscimento della validità delle professioni, perché nel momento in cui le professioni non dimostrassero più all'esterno di essere in grado di garantire deontologia, deontologia poi è un contenitore importante rispetto della legge. Ecco mi scusi perché deontologia, anche qui guardando l'esperienza un po' del dibattito passato, potremmo rischiare di dire che la deontologia esercitata all'interno degli ordini sia un po' il freno, lo dico in termini un po' banali, sia un freno alla concorrenza all'interno della professione, sia un cercare di regolamentare un mercato in modo che o magari a vantaggio di qualcuno o perché tutti in qualche modo sopravvivano. Quanto è difficile far passare questo messaggio che la deontologia non è un freno alla concorrenza d è un dibattito e in qualche modo una battaglia che combattiamo tutti i giorni, proprio perché rispettare le regole non vuol dire frenare la concorrenza. La concorrenza c'è, ci deve essere, è corretto che ci sia, ma la concorrenza passa a sua volta attraverso il rispetto delle regole. Qui ci sono tutta una serie di concetti, purtroppo avremo bisogno di tre giorni e non di un'ora per dibattere perché in questo tema entra anche il concetto di semplificazione, perché semplificare spesso vuol dire delegittimare, vuol dire allentare i controlli, vuol dire diminuire il rispetto delle legalità, perché i problemi complessi si risolvono con soluzioni complesse. È scorretto pensare che per i problemi complessi ci vogliono soluzioni semplici, perché non è così. Per i problemi complessi ci vogliono soluzioni complessi, comprensibili ma complesse. Per i problemi semplici si trovano soluzioni semplici. Allora questo è il lavoro essenziale che devono essere in grado di svolgere i consigli nazionali che devono trasmettere non soltanto i loro scritti, ma all'esterno, perché quando la collettività percepisce che all'interno delle professioni, parlo del notariato, ma vale per tutte, c'è questo straordinario rispetto della legalità, io credo che diventeranno di nuovo tutte attrattive, perché questo comporta riconoscimento. Presidente Ferrai, su questo tema il rispetto delle regole, della legalità, della trasparenza, il ruolo di un ordine, lei come lo interpreta? Intanto non posso che convenire sul fatto che è essenziale. Io dell'ordine, ma anche della professione, vedo in prima battuta la funzione, chiamiamola sociale, nel senso che il professionista è colui che, nell'ambito di uno schema normativo disegnato, lavora con il privato, ma nell'interesse prevalente della legalità del corretto funzionamento del sistema economico. E' quello l'obiettivo a cui si tende. Il professionista, dal mio punto di vista, si deve tirare indietro quando uno dei due valori non viene rispettato in quello che il cliente intende fare. Lato ordine, quello che può fare l'ordine non è tantissimo, se non cercare di passare messaggi. E, diciamo, chi vive il nostro ordine sa che i messaggi in tutti i modi cerchiamo di farli transitare cercare di dare un supporto per quanto è possibile a quello che è l'organo che ormai è il titolare della funzione disciplinare, che non è l'ordine ma è il consiglio di disciplina, che è separato e quindi in quanto tale autonomo e sul quale l'ordine, nel bene e nel male, non ha potere di intervento né di selezione, tutto sommato. È essenziale, indubbiamente. Bene, allora, proviamo a ricapitolare quello che ci siamo detti finora. Voi mi correggerete o integrerete quello che mi sembra che si possa in qualche modo dire fino a adesso? Il professionista deve emergere da un processo formativo molto strutturato, deve essere anche frutto di una selezione che non è solo frutto di una selezione di competenze, ma anche frutto di una preparazione etica, anche perché altrimenti il professionista in un lavoro molto complesso, in un lavoro anche un po' senza rete, rischia di bruciarsi e questo probabilmente è un problema anche di riuscire a giustrarsi nella professione in maniera corretta, senza incappare anche in episodi, in questioni che possono diventare davvero molto spiacevoli. Il problema, appunto, delle professioni è attrarre i migliori. Il problema è che secondo me finora all'interno degli studi professionali il ruolo dei giovani è stato un po' compresso. Cioè noi vediamo le statistiche per esempio dei redditi dove naturalmente è naturale che sia così perché chi inizia ha redditi naturalmente di ingresso. Ma comprimere troppo il fattore reddituale può essere in qualche modo controproducente. Presidente Denuccio, intanto c'è un problema dei tirocini, di un sistema trasparente dei tirocini, eccetera, di rendere questa disponibilità all'interno degli studi più trasparente e anche più disponibile. E poi c'è un problema appunto di cercare di dare ai giovani l'idea che c'è una carriera davanti, non semplicemente una prospettiva. Il tema, diciamo, giusto per tirare le somme anche delle considerazioni fatte che sono tutte quante assolutamente condivisibili, il primo aspetto, la scelta di un giovane oggi, di un laureato oggi, è quella di vedersi davanti a sé, come giustamente dice lei, una prospettiva, una visione, una crescita, perché altrimenti non intraprende un percorso. Sul tirocino, io credo che il tirocino sia trasparente, non sia un problema di trasparenza. Io dico che sia un problema, invece, su questo anche, questo è un tema che secondo me deve essere oggetto in riflessione, bisogna renderlo compatibile con una sorta di saturazione temporale tra il momento della laurea e il momento dell'effettiva emissione nell'attività professionale. Se il tirocino viene correttamente, questo è il punto, esercitato, essenziale perché, come giustamente diceva il collega Giulio Bino, il neoprofessionista abbia quelle competenze tecniche applicative, non teoriche, che sono essenziali per essere un professionista a tutto tondo, perché si esce dall'università con una conoscenza e una competenza prevalentemente teorica e quindi è necessario avere un periodo in cui quella competenza teorica potrebbe essere, invece, competenza applicata e quindi dia a laureato lo status di professionista. Tra l'altro, mi scusi, ci sono stati molti inviti anche ad anticipare il momento del tirocino. Noi abbiamo fatto, come Consiglio nazionale, una convenzione Golmur, all'epoca Miur, per procedere ad una riduzione o meglio compresenza del periodo di tirocino durante il percorso di laurea magistrale, quindi dopo il latriennale. E questo è chiaramente agevola perché c'è un percorso concomitante parallelo tra il percorso di studio e il percorso di formazione. Ma c'è un altro tema, le prospettive, e questo è il punto nebragico, quali sono le prospettive di un laureato che intende iniziare l'attività del commercialista? Parlo ovviamente della mia professione. È diverso, ogni professione ha la sua, come dire, la sua unicità, la sua specificità, chiaramente per innotare diverso rispetto ai commercialisti. Oggi noi abbiamo di fronte questo impegno di questo Consiglio nazionale, una prateria di opportunità. Dobbiamo però saperle far conoscere e dobbiamo saper anche, dobbiamo acquisire quelle competenze specialistiche necessarie e sono tutte attività d'altissima marginalità. Noi abbiamo, se lo ricordi da sicuramente, fatto un convegno nazionale dedicato, esclusivamente il primo convegno nazionale, alla sostenibilità. La sostenibilità è un'attività professionale che presenta marginalità enormi e richiede competenze di carattere trasversale, di carattere aziendalistico, di carattere fiscale, di carattere finanziario. Adesso abbiamo tutto il tema della internazionalizzazione e un percorso sia in termini di accompagnamento delle imprese verso processi di internazionalizzazione, ma anche rispetto a un mercato in cui c'è sempre una maggiore interscambio tra aziende italiane e aziende estere, o comunque molte aziende italiane sono sempre più esportorienti perché trovano mercati esteri come mercati di sbocco dei propri prodotti o mercati di approvvigionamento per le loro attività e hanno bisogno di un professionista che le segue in tutto il tema della fiscalità internazionale. Abbiamo tutto il tema della finanza sostenibile. Oggi fare finanza non è come farlo come si faceva non vent'anni fa, come si faceva cinque anni fa o tre anni fa, perché oggi il concetto di finanza, il rapporto con il sistema finanziario, l'approvvigionamento delle fonti finanziarie per l'azienda passa attraverso un percorso di ESG compliance, l'azienda sostenibile è un'azienda che più facilmente accede alla credibilità finanziaria, l'azienda sostenibile è un'azienda che ha davanti a sé anche in questo caso una prateria di opportunità per essere finanziata, l'azienda sostenibile è un'azienda che ottiene anche oneri di finanziamento più bassi rispetto ad un'azienda ordinaria e per far questo ci vuole un professionista, un commercialista che abbia conoscenza da normative in ambito di sostenibilità. Potremmo continuare a parlare anche di quello che ruolo nell'ambito di una fiscalità che sta cambiando, quindi di opportunità, di crescita e di prospettiva nella professione ce ne sono tante. L'unico, e concludo, neo, ma è colpa del passato è non aver correttamente comunicato e reso noto quali sono le opportunità della professione, è quello che noi stiamo facendo. Al congresso dei giovani di Palermo, a me ha suppito molto l'intervento del consigliere nazionale delegato alla fiscalità, Salvatore Regalbuto, che ad un certo punto, dicendo o affrontando un po' questi temi, ha detto fuori di metafora, quindi insomma l'ha detto con anche una certa passione, dice che bisogna che noi prendiamo coscienza che i giovani nei nostri studi devono essere pagati. C'è stata una gestione dei giovani all'interno degli studi che probabilmente ha in qualche modo disaffezionato la professione. E non è solamente un problema di disaffezione che uno dice va da un'altra parte, il problema è che uno ha una percezione non corretta della professione. È giusto condividere l'affermazione del collega Regalbuto, tra l'altro anche questo è stato un tema di riflessione intorno al tavolo di consiglio, ecco perché è stato reso pubblico da parte del collega Regalbuto. È giusto che chi lavora e chi contribuisce alla formazione e attività professionale intorno allo studio debba essere pagato, perché altrimenti quel qualcuno non è solamente un problema di corrispettivo, vengo da te perché mi paghi, è un problema di riconoscimento e di dignità. E' giusto che venga riconosciuto anche l'eco corrispettivo al giovane che lavora dentro allo studio, sarebbe inquarente da parte nostra. Va bene, mi astengo sull'eco compenso. Apriamo una seconda ora di dibattito e poi probabilmente magari ci accapilliamo anche su questo. No, siamo là e ci siamo professionisti. Presidente Viglino, adesso poi lasciamo anche un po' di spazio alle domande se ce ne saranno. Il sistema notarile e gli strumenti che possono essere messi in campo per aiutare i giovani a diventare notari. Naturalmente voi avete un sistema con la cassa, avete un sistema davvero di welfare che non è iniziato l'altro ieri. La cassa deve aver cambiato, è veramente stata imperniata alla solidarietà. Allora, il sistema è quello che abbiamo accennato prima, la creazione di una formazione nazionale che avvicini i giovani alla professione con un'aggiunta. Prima lei ha usato un'espressione che mi è piaciuta tantissimo, ha parlato di carriera. Quello che i giovani devono capire è che diventare commercialisti, diventare notari è l'inizio di una carriera. Superare il concorso non è un punto d'arrivo, è un punto di partenza. Da lì si comincia la propria carriera ed è una carriera perché se manteniamo la vecchia concezione di carriera per cui entro in un'azienda e da impiegato poi divento quadro, poi dirigente e direttore generale. Quella è la carriera aziendale. La carriera professionale è la crescita quotidiana nella formazione, nell'aggiornamento che porta a sentirsi cresciuti nella propria attività. Quello è sentire che stai facendo una carriera professionale. Ed è giustissimo il dire parto da praticante, parto da giovane apprendista che viene attribuito perché sente che quel suo lavoro gli dà la dignità che poi trasmetterà ai suoi futuri epigoni. Io spero che qui ci siano tanti futuri professionisti che poi diventino commercialisti, notari, medici, non lo so, che si sentano talenti però perché io credo che questo debbano capire i giovani, che loro si devono sentire talenti. Poi c'è anche il fatto di essere creativi, di poter essere un po' artefici della propria vita ma anche del proprio destino, ma anche di esercitare la creatività in quello che si fa ogni giorno. Ma si entra in studio e non si è sotto un peso di addempimenti e di cose da fare. Ma si usa il cervello per pensare e tradurlo in operazioni utili. E di questo tutti noi ne abbiamo bisogno, la società ne ha bisogno. Abbiamo qualche minuto per delle domande, se c'è qualche curiosità. Prego. Buongiorno, sono Simona D'Alessio dell'Anza. Ciao a tutti i partecipanti. Volevo soltanto chiedere molto rapidamente ad Elbano se poteva precisare una cosa riguardo al progetto con la cassa. Partirà breve, abbiamo detto. La cassa lo finanzia. Allora, ti ringrazio per la domanda, così facciamo velocemente la notizianza. Allora, l'operazione si sviluppa su due livelli. Da un lato avremo un'attività di informazione, road show, come ha definito l'inglese per fortuna Nottorabino, o se non dico che parlo sempre io in inglese. Il road show è all'interno delle università, attraverso i quali andremo sostanzialmente a trasferire una conoscenza su quel ruolo della funzione commercialista, non solo a livello tecnico, ma anche a livello sociale, che è un aspetto su cui ho punto tantissimo. Inoltre, in contemporanea con i percorsi specialistici di cui parlavo prima, cioè il fatto di creare, di formalizzare questa convenzione col MUR, è evidente e chiaro che la cassa di previdenza si impegnerà a finanziare attraverso delle borste di studio quelli che sono i futuri, tra virgolette, specializzandi dell'interno della professione. Quindi i colleghi che vorranno seguire il percorso di formazione specialistica. L'intervento della cassa, ovviamente rivolto a chi è già all'interno del circuito ordinistico, evidente, non può essere rivolto allo studente in economia, ma all'inscritto ovviamente o come praticante o come professionista al labo dei dottori commercialisti ed esperti contabili. Quindi la cassa diventa perno essenziale in questa collaborazione col Consiglio nazionale. Quindi con l'attività di orientamento e con l'attività delle borse di studio. Grazie per l'intervento giornalistico che chiarisce il concetto in due parole. Orientamento e borse di studio. L'obiettivo non è di introdurre un elemento polemico, ma abbiamo parlato della cassa dottori commerciali. C'è un intervento polemico. Il Consiglio nazionale è aperto a qualsiasi cassa, tranne quelle che servono per passare a miglior vita, quelle lasciamo restare. Però, ripeto, con riferimento alla cassa ragionieri, l'operazione con la cassa dottori è un'operazione pilota che parte subito, tra l'altro, rivolta ai laureati. Quindi comunque stiamo parlando di laureati che sono potenziali dottori commercialisti. Specialistici magistrale e non quindi alletrienali. Quindi ci rivolgiamo a chi è scritto le magistrali e chi entra all'interno della sezione A dell'Albonico come dottore commercialista. Però voglio dire, se la cassa ragionieri ha la stessa sensibilità della cassa dottori, Piazza della Repubblica 59 è la sede del Consiglio nazionale. Perfetto. Senza aver un po' amico, ovviamente. Ci sono domande. Prego. Pronto. Sì, buongiorno. Intanto, grazie della relazione. Volevo porre un altro tema che, ovviamente, aprirebbe, dibattiti. Le visioni dei tre relatori che, perl'altro, da vertice delle categorie, sicuramente, hanno una visione più nazionale, sul concetto di studio associato. Cioè, non più professioni assestanti, ma supporto all'utente in termini di collaborazione. Multidisciplinari, intende lei? Multidisciplinari o multidisciplinari? Multidisciplinari e interdisciplinari, in rete come il mondo moderno poi richiede. Io rispondo con due parole, così non rubiamo tempo. Interdisciplinari essenziali per il futuro della professione. Multidisciplinari riferito al notariato richiedono tutto un lavoro estremamente complesso che riguarda la funzione del notariato, che non è soltanto quella di professionista, ma di pubblico ufficiale, l'unica tra le professioni che ha questa caratteristica. Ma sotto profilo dell'interdisciplinarietà è una base del futuro. Non ripeto le cose che ha detto lui, introdurre elementi innovativi. Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha proposto un emendamento di legge che prevede, favorisce le aggregazioni all'interno della struttura organizzativa degli studi, perché un effetto distrossivo che si è avuto con l'introduzione esistevi del regime forfettale è stato quello di disincentivare l'aggregazione tra gli studi. Disincentivare perché, ovviamente, non spiega una strategia commercialistica o un'agevolazione di carattere fiscale con l'imposto sostitutiva nel momento in cui si è al 18 determinati livelli di ricavio e di reddito. Noi abbiamo proposto la possibilità di ampliare il modello del forfettario anche agli studi associati addirittura abbiamo, ed è stata già inserita questa legge delle regole fiscali, quindi è già stata ricevita a parte del Governo, abbiamo introdotto la neutralità fiscale dell'operazione di trasformazione progressiva da studi associato a società tra professionisti. Sul concetto della interdisciplinarità, io credo che non sia una scelta, ma sia una strada obbligata, obbligata da sistemi, come dicono gli inglesi, low-driven. C'è delle leggi che ti impongono la interdisciplinarità, vedessi la normativa sul superbonus, una frattante, altre, che ovviamente ce ne sono, che spingono sempre di più l'aggregazione, per poter essere consumente una sostenibilità tutto tondo bisogna essere ingegneri, bisogna essere commercialisti, bisogna essere notari, bisogna essere avvocati, bisogna essere tutte le attività professionali, anche medici, anche medici per quanto riguarda i concetti di sicurezza sanitaria intorno alle imprese. Quindi il concetto di interdisciplinarità è la naturale evoluzione del mercato. Un'altra domanda, l'ultima magari, vediamo. Buongiorno, mi rivolgo a lei, che è il mio presidente, quindi sono commercialista, e mi trovo nella sua stessa situazione, nel senso che ho due figli maschi, sotto i trent'anni, che non ne vogliono sapere di fare la mia professione. E mi permettono anche di dire che ho qualche dubbio... Su come gliela far fare? No, che raggiungeranno una reddittività che ho io, mi auguro di sì, ma no, da concreta che sono, quindi non è un aspetto di reddittività il loro rifiuto nel fare... Qual è? Eh, brava! Regatrice, avveniamo al dunque. Ovviamente io lavoro in periferia, in una città di 20.000 abitanti o terzo, molto strutturata in termini di PMI, redditi molto alti, clienti ce ne sono, e clienti ovviamente con reddittività. Ma fatta questa premessa, i miei figli mi dicono, dall'alto dei loro studi universitari, iperselezionati, mi dicono ma scusa, mamma, io vengo visto dalla collettività come il commercialista è uno che segue un'azienda, nessuno si chiede che percorso ho fatto io, nessuno ha aspettative in termini di costruzione della carriera. L'essenziale è che il servizio che viene fatto al cliente sia soddisfacente. Allora, io mi dico, non c'è anche la necessità, oltre a tutto quello che avete detto voi, ovviamente è un'attività che si sviluppa nel lungo periodo, non è nel breve periodo, mentre io forse sto chiedendo un'attività che si rende necessaria nel breve periodo. Cioè trasferire al cliente, anche all'ipotetico cliente, anche una distinzione fra tutti coloro che svolgono la nostra attività con competenze che emergono quando c'è l'errore. Leppone è un problema di percezione. Posso rassicurare uno dei punti strategici su cui noi abbiamo lavorato penso sia evidente in questi primi dodici mesi di mandato, la necessità di ricollocare all'interno di una scala gerarchica sociale qual è la percezione del commercialista. Io ho portato un esempio ai miei colleghi consiglieri nazionali, un mio laureato in economia, figlio di un noto imprenditore barese, mi chiamò dopo la laurea, ragazzo talentuosissimo, bravissimo, si è laureato con il massimo dei voti e col plauso della Commissione, mi chiamo disse, professore, volevo chiedere una gentilezza, papà mi ha chiesto di chiederle, secondo lei qual è il migliore programma di contabilità che possiamo adottare in azienda? Io naturalmente le ho detto, ma come mai questa domanda? Dice, no, perché ormai io sono laureato in economia quindi la contabilità in azienda la posso portare tranquillamente io. Papà ha detto a ragioniere che non c'è più bisogno del ragioniere. Allora, lì hai l'esemplificazione evidente di quale sia la percezione dell'utilità della tua prestazione per l'imprenditore. Qua va al di là dell'aspetto di percezione tecnica e un aspetto sociale. Un paziente, un cittadino non va a farsi curare da un santone, va dal medico, io l'atto non lo posso fare se non vado dal notario, dal pubblico ufficiale. Se ho una causa con la giornalista de Cesar, io devo rivolgere il mio avvocato per tutelarsi. No, è casuale, è casuale, ovviamente è casuale. Poi vi racconterò off-records come ci siamo conosciuti, chiaramente ho grande stima e simpatia per Maria Carade Cesar, assolutamente. Non posso dirlo, va bene, è riservatissimo. Però vado da un avvocato, ok? Vado da un avvocato, per forza vado da un avvocato. Invece la contabilità, che è uno delle aspetti principi della nostra professione, la può fare la qualunque e questo è il punto. Allora, noi stiamo lavorando sul far capire che noi siamo qualcosa di diverso, diverso da chi? Dalle abusivi, da quelli dopo lavoristi abusivi, da quelli non iscritti agli ordini professionali da quelli che si propongono, per una cosa ti posso dire, i numeri, questo ti chiedo di dirlo ai tuoi figli, i numeri confermano la nostra essenzialità perché l'80%, quasi il 90% delle aziende italiane si rivolgono per i servizi di consulenza fiscale e contabile ai commercialisti l'80% degli organi di controllo delle società di capitale in Italia vedono al loro interno i commercialisti, il nostro lavoro comunque essenziale l'immagine e la percezione che va rafforzata. Eh sì, è un problema di percezione, mi scusi se faccio questa notazione, ma credo che lo faccio con uno spirito di collaborazione, non mi viene un altro termine. E non polemico. E non polemico, quindi non c'è bisogno che lei vada dall'avvocato. Ho fatto questa notazione perché è una cosa impossibile a capirassi, altrimenti avrei citato qualcun altro. Secondo me il problema... Non qualcun'altra, qualcun'altro, ogni allusione puramente casuale. Secondo me il problema è quello di iniziare a lavorare sulle cose talentuose che fanno i commercialisti. Non è tanto un problema di dire quegli altri possono fare solo fino a lì, ma è un problema di dire noi possiamo anche fare la contabilità, ma facciamo ben altro nell'impresa. Noi facciamo la contabilità e la teniamo bene, perché questo è essenziale, però con una contabilità ben tenuta noi all'impresa permettiamo di andare all'estero, di vincere i fondi europei, di fare innovazione, di inserirsi nel percorso di collaborazione con le università. Allora è un problema di trovare tutti quegli esempi in cui la professione fa cose di eccellenza, perché altrimenti se noi continuiamo a dire, e ma gli abusivi... Insomma non è un problema di abusivi, è un problema di dire noi facciamo cose per cui le nostre imprese riescono a vincere. Vogliamo concludere con uno slogan che serve per lanza? Per fare i professionisti non serve solo professionalità, serve talento. Bravo, un applauso. Solo un motaio talentuoso può dirlo, non poteva dirlo. Grazie mille a tutti, grazie a Delbano Denuccio, a Raffaella Ferrai a Giulio Bino. Grazie a tutti. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org
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