Università e ricerca fabbrica del domani
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Università e ricerca fabbrica del domani
La Ministra dell’università e della ricerca Anna Maria Bernini interviene al panel "Università e ricerca fabbrica del domani". Tra i temi affrontati nel corso dell’evento, moderato dal giornalista e conduttore Radio 24 Simone Spetia, il punto sulle risorse rivolte al mondo universitario dal Pnrr, il problema del caro affitti, l’accesso libero ai corsi di medicina e ancora come porre rimedio alla cosiddetta fuga dei cervelli.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Buon pomeriggio a tutti. Benvenuti a questo appuntamento in questa sala che ogni volta che ci entro sono ormai dieci anni e vengo al Festival dell'Economia. Forse è qualcosa di più, rimango impressionato da quanto è bella, forse è la sala più bella tra quelle in cui si svolgono gli appuntamenti del festival. Siamo soprattutto con la Ministra dell'Università della Ricerca, Anna Maria Bernini, con la quale affronteremo qualche tema di attualità ma cercheremo anche di dare qualche idea di scenario. Per l'attualità ci sono ovviamente le interviste, eventuali punti stampa, eventuali a margine. C'è tutto quello che scorre, che trovate sui giornali, forse visto che questo festival è appunto dedicato al futuro e l'università come recita questo titolo, la fabbrica del futuro, forse conviene anche provare a guardare un pochino in prospettiva. Partirei in realtà da un appuntamento del festival al quale sono stato questa mattina, tra l'altro c'era il capo della sua segreteria tecnica, Rezu, che ha scritto un libro. Un bel panel dedicato al tema della guerra tecnologica che si sta avviando e della quale stiamo vedendo gli effetti tra Cina e Stati Uniti, essenzialmente con l'Europa un po' vaso di coccio all'interno di questo confronto che si sta avviando. E che fa aprire una riflessione sul tema della preparazione tecnologica e di materie che saranno le materie del futuro per gli studenti italiani, per gli studenti universitari italiani. I dati indicano che la media in termini percentuali di persone laureate nelle discipline così dette STEM in Italia, e non stiamo parlando di donne, di solito quando si parla di questi temi si parla solamente del gap che c'è tra le donne e gli uomini. Parliamo del gap che c'è in Italia rispetto agli altri paesi europei, è un gap molto forte. Il nostro è un paese con una vocazione manifatturiera pazzesca, con delle capacità incredibili. Lo stesso Aresu citava questa mattina, scusi se continuo a parlare. Mi ha fatto impressionare. Mi ha fatto impressionare perché è molto bravo. Si è scelta una persona estremamente preparata. Di solito facciamo così, vediamo quelli preparati, gli altri li lasciamo. Benissimo, la scelta è il merito. Una serie di grandi scienziati italiani che protagonisti del mondo delle nuove tecnologie, però è vero che questo gap c'è. E allora in una prospettiva futura, quella di cui stiamo parlando, una prospettiva nella quale una parte delle produzioni di queste produzioni ad alta tecnologia dovrà rientrare in Europa, per l'Italia questo potrebbe rappresentare un problema. Come si interviene, se si interviene, se la politica può fare qualcosa, se c'è una politica universitaria che si può fare su questo fronte. Allora, prima di tutto grazie. Grazie all'amministratore delegato, al direttore che ora non vedo, grazie a lei della disponibilità di intervistarmi e grazie a tutti voi di essere qui. Grazie a solo 24 ore, alla provincia, al presidente della provincia per l'ospitalità e al sindaco in absenza che ho visto oggi. Oggi sono stata a visitare l'Università di Trento ed è stata una bellissima esperienza. È un po', come posso dire, l'ideal tipo di una serie di cose che lei ha lumeggiato in questo incipit. Io temo di deluderla, perché dopo aver sentito Aresu, ho paura di non essere all'altezza, però cercherò di fare la mia parte, nel mio piccolo, di dare una prospettiva di scenario. Magari, se vuole, parleremo anche degli affitti, perché pure quella è una prospettiva di scenario. Al netto dell'attualità, il diritto allo studio è il futuro, è il modo attraverso cui si realizza la vera capacità di un'università, di un'istituzione, ma soprattutto di un sistema paese, di garantire l'educazione, l'esperienza della conoscenza. Io credo che la ricerca in Italia, qui passiamo ovviamente, tocchiamo entrambi gli ambiti che riguardano il ministero, che mi onoro di rappresentare, ossia l'università, la formazione universitaria e la ricerca. Entrambe molto più evolute di quanto noi non le si rappresenti. Soprattutto devo dire la ricerca, lei prima ha detto, facciamo rientrare delle produzioni, facciamo in modo che alcune produzioni su cui dobbiamo essere competitivi con il sud-est asiatico, con la Cina, immagino che si riferisca ai microchip, ai microprocessori, tutto il tema su cui peraltro si sta misurando una buona parte della ricerca italiana in joint con l'università, perché le do una notizia, mai come ora, la ricerca fondamentale e la ricerca applicata, intesa anche come ricerca industriale, stanno muovendosi in sintonia di pari-passo. Questa è la rappresentazione di scenario, è il modo attraverso il quale il piano nazionale di riprese e resilienza, di cui tutti parliamo, che tutti evochiamo, ma che tutti vogliamo considerare non già una situazione contingente e di contesto, ma il nostro futuro è come ci vuole, qui riprendiamo il tema del nostro incontro, dobbiamo essere un hub che produce futuro, non mercato, doppato, che dopo il 2026 si trova in crisi di astinenza. Il modo migliore per garantire questa capacità di essere strutturale della nostra ricerca e della nostra università è di fare sistema, fare sistema le università stesse, gli enti di ricerca, che sono tanti efficacissimi, perché la ricerca nel mondo, e questa è un'altra notizia che non le do perché spesso glielo sento dire, parla italiano, ricerca ad altissimo livello, astrofisica, meccatronica, al tema della sostenibilità, della biodiversità, terapie geniche, farmaci, tecnologia RNA, nuove aerospazio, devo dire in questi ambiti noi abbiamo, mentre per certi versi, non messo a sistema, non creato una vera e propria rete strutturale come sistema paese, però seminato moltissimo nel mondo. E adesso stiamo raccogliendo, anche grazie alla grande opportunità economico-finanziaria, ma soprattutto all'acquisizione di fiducia che ci dà il PNRI, stiamo cominciando a raccogliere parte di questi frutti. Le faccio un esempio, sempre ritornando alla sua richiesta di scenario e a come fare in modo che i nostri ricercatori non siano invogliati ad uscire piuttosto che a rimanere, dobbiamo fare infrastrutture strategiche. E' il modo in cui parzialmente si tampona la crisi demografica e la contestuale e conseguente crisi di iscrizione all'università, perché è ovvio che se in 400.000 nascono e in 800.000 muoiono abbiamo un problema. Quindi il netto di questo è tornando al modo in cui la ricerca e l'università possono fare sistema, attraverso gli enti locali, attraverso l'impresa, attraverso gli enti del terzo settore. Si stanno creando delle vere e proprie strutture di ricerca, di cui 5 sono probabilmente le gemme della corona, e sono centri nazionali che si occupano di supercalcolo a Bologna, quindi tecnologie quantistiche e high performing computer, terapie geniche a Padova, si occupano di Agritech ed è proprio oggi all'università di Trento e da Trento alla Federico II di Napoli dove si stava presentando il terzo centro nazionale Agritech, sono 5 centri nazionali in Italia, si è data un'ulteriore rappresentazione di come le università stiano coordinandosi anche tra di loro, perché da Trento alla Federico II di Napoli esisteva un filo rosso di coordinamento proprio sul tema Agritech. E poi ancora biodiversità a Palermo, mobilità sostenibile a Milano e saluto l'aretrice Donatella Asciutto che è una delle anime di questa struttura che più che altro capofila, oltre che una delle anime, capofila di una struttura che vede insieme, e questa è la vera risposta alla sua domanda, università, centri di ricerca, terzo settore, professionisti, imprese. È dal match di questi ingredienti, dalla shakerata di questi ingredienti che si crea la definitività delle strutture e soprattutto si crea la possibilità di radicare scuole che già esistono ma che, ripeto, fino ad ora non hanno magari fatto sufficientemente sistema. Quindi non ci mancano i cervelli, non ci mancano le tecnologie, non ci mancano le competenze, non ci mancano gli skills, non ci mancano i ricercatori, dobbiamo strutturare in maniera quanto possibile permanente questi nostri grandi talenti che non è solo il saper fare italiano, è qualcosa di più, è il saper fare bene che fa la differenza. E qua andiamo ad un primo snodo, secondo me che è quasi innanzitutto uno snodo politico e poi lo decliniamo per quanto riguarda il suo ministero, ed è quello che ha citato lei, il piano nazionale di riprese residenza. Perché, quello che mi sembra aver capito dal suo discorso è questo, il PNRR ci dà la tranquillità di investire, un po' come quando si parla di capitali pazienti per le aziende che hanno bisogno di crescere, no, che hanno bisogno di più tempo per crescere. Dall'altra parte, però, l'impressione è che si è intruppato, ministra, gliela dico un po'. Intruppato nel senso bloccato? Bloccato, sì. Ma da che cosa trae questa impressione? Dalla Corte dei Conti, visto che ha detto che non voleva seguire l'attualità, secondo me lei ha già letto i giornali e ha visto che la Corte dei Conti dice che non si riescono a spendere i soldi del PNRR. Mi permettete di fare una piccola notazione su questo, che nulla toglie alle straordinarie competenze all'ambito di applicazione della Corte dei Conti, ma dà solo una definizione di come si spende su questi progetti. Non voglio farla troppo tecnica, però lei avrà letto oggi che su 30 e 8 miliardi se ne è speso solo uno, ma perché la Corte dei Conti, giustamente lo dice la parola stessa, rendi conta. Quindi quelli sono i soldi che sono stati effettivamente spesi e rendicontati e i rettori e gli amministratori delle università sanno bene a che cosa mi riferisco, ma i soldi impegnati, cioè quelli messi a giro, sono tanti tanti di più. Noi abbiamo già allocato quasi il 90% della somma destinata ai ricercatori PNRR, ai contratti trinali per ricercatori PNRR, che però non vengono rendicontati adesso, ma mese per mese. Questa spesa intera la vede nel 2026, non la vede mese per mese, ugualmente per l'acquisto di attrezzature, perché questi centri nazionali di cui parlavo, che sono un po' le nostre gemme, spendono. Se mi permette, è bene che ne ragioniamo così, così entriamo direttamente nei meccanismi di un ministero senza... no, prego, prego. Sì, sì, no, io sto ragionando proprio, faccio come posso dire, la buona madre di famiglia, cioè quella che fa i conti, tira le righe e fa le somme. Ecco, quando si acquistano attrezzature, le attrezzature vengono apprenotate, acquistate e pagate alla fine. Quindi la corte dei conti, queste cose, nei ricercatori, gli ho fatto un esempio che riguarda ovviamente il mio ambito, nei ricercatori, nelle attrezzature per le università e per gli enti di ricerca le vede, se non nel 2026. Quindi sicuramente è una, come posso dire, è una porzione di fotografie interessante, che però non rappresenta la totalità della spesa, perché la spesa è già a giro e le posso assicurare che i centri nazionali, perché io li vedo, i centri nazionali stanno già spendendo. E anche le altre infrastrutture interessantissime, che sono i partenariati estesi, gli ecosistemi dell'innovazione, le infrastrutture strategiche, infrastrutture innovative, stanno tutti spendendo. Però la rendicontazione è un'altra cosa. Quindi rimaniamo solo su questo punto di attualità e quindi sostanzialmente voi siete nei tempi anche nell'eventuale ridefinizione di progetti che non si riescono? No, sono parole grosse. Nei tempi sono parole grosse. Allora, io non so che cosa significhi nei tempi. Sono tempi drammatici e sono sfide titaniche, soprattutto per quanto riguarda alcuni aspetti, come ad esempio l'housing universitario. E qui mi scusi, ma mi ci devo ribucicare, io anche, se non me lo chiede lei, perché sulla ricerca anche, anche, e le infrastrutture sono, come posso dire, una sfida condivisa tra tutti noi, cioè tra il ministero del universitario, il singolo universitario, le imprese, gli enti di ricerca. È una grande, come posso dire, è un grande gioco di squadra per vincere il campionato del 2026, dove invece, ecco su altre situazioni, si prospetta diversamente. Housing universitario, anche qui è un gioco di squadra, però lei pensi che in tutti questi anni noi abbiamo messo insieme da destinare alle residenze per studenti 40.000 posti letto. Quello che ci si aspetta da noi per la trattativa, diciamo, per il patto fiduciario che abbiamo fatto con l'Europa, che si chiama PNRR, che prevede ovviamente degli indicatori di performance che si chiamano target, si prevede che da oggi al 2026 se ne facciano altri 60.000. 7.500 barra 8.000 li abbiamo già fatti, però lei capisce che l'impresa è abbastanza titanica, noi stiamo cercando di fare il possibile, abbiamo coinvolto tutti i sindaci metropolitani, totalmente dei ideologizzati, qui il tema è tecnico, dobbiamo risolvere un problema, dobbiamo essere tutti insieme coinvolti nella risoluzione di un problema che riguarda tutti, perché il target è globale, non è solo un indicatore di performance del ministero dell'università. Abbiamo coinvolto la conferenza dei rettori dell'università italiana, abbiamo coinvolto Massimiliano Fedriga come state o regioni, abbiamo coinvolto gli enti per il diritto allo studio, gli studenti, il consiglio nazionale degli studenti universitari e abbiamo detto loro, signori, qui abbiamo non tanti fondi, pochissimo tempo, dobbiamo fare in modo che questo indicatore venga raggiunto, perché prima di tutto c'è bisogno, non è che prima del PNRR non ci fosse l'emergenza, alloggi, residenza degli studenti, l'emergenza c'è sempre stata amplificata dal Covid, dalla crisi economica successiva al Covid, dalla guerra, dall'aumento esponenziale, bla bla bla, è tutto, a parte il trauma, nella vita è tutto multifattoriale, quindi trauma nel senso che vada a sbattere contro il muro e forse è multifattoriale anche quello, però al netto di questo dicevo a noi risolvere la sfida di risolvere il problema, non la possiamo risolvere da soli, abbiamo chiesto aiuto, abbiamo avviato dei gruppi di lavoro, abbiamo avviato una manifestazione di interesse in cui chiediamo per la seconda parte del PNRR che riguarda la gestione, abbiamo chiesto a tutti coloro che hanno immobili, dismessi, inutilizzati e che possono essere riconvertiti a pubblica utilità, quale utilità maggiore di questa, di metterli a disposizione il più velocemente possibile, l'abbiamo chiesto ai comuni, l'abbiamo chiesto alle regioni, l'abbiamo chiesto agli enti del terzo settore, agli enti ecclesiastici, ci stanno aiutando molto, devo dire che il Presidente Eracelli, il Cardinale Zuppi ci ha aiutato moltissimo anche nel raggiungimento del target dei 7.500 posti, quindi è evidente che in questi casi nessuno riesce a raggiungere l'obiettivo da solo, se siamo in ritardo o meno, non lo so, sicuramente stiamo mettendo tutta la forza che abbiamo per riuscire ad arrivare all'obiettivo il 2026, possibilmente mettendoci altri fondi, questa è parte dell'implementazione del PNRR che noi richiederemo la Commissione. C'è la Commissione che fa l'arbitro, il guardaline e la VAR tutti in una volta, quindi ogni cosa che dico poi la Commissione la sente e quindi ho paura, non mi faccia dire nulla. Collegato a questo, è un elemento al quale abbiamo accennato prima e del quale se vogliamo anche questa cosa degli affitti è un pezzo degli alloggi universitari, la questione del rientro dei cervelli o del fare entrare in Italia cervelli esteri per rimanere sul tema, da quel punto di vista come si può lavorare? Stiamo già lavorando perché abbiamo cercato di creare, insieme al professor Pagliari, Stefano Pagliari che ci sta dando una grande mano, e altri colleghi, abbiamo creato, noi l'abbiamo chiamato pacchetto attrattività retention, tutto deve avere un'etichetta, ma noi sappiamo che cosa significa e soprattutto non abbiamo la tavolite, non abbiamo la comitatite, noi creiamo gruppi di lavoro a tempo, a termine, come nel caso di medicina, si ricorda che ci siamo dati una scadenza per portare a casa il risultato. E anche in questo caso noi abbiamo creato un gruppo che sia in grado di monitorare la situazione continuativamente per vedere quanti ricercatori stanno arrivando con questi famosi centri nazionali, perché le infrastrutture attirano ovviamente. Noi abbiamo nuove infrastrutture strategiche di filiera che attirano moltissimi ricercatori, anche stranieri. Poi a noi la sfida è di farli restare, così come a noi la sfida è di mandare, posto che lo studente, il dottorando, il ricercatore, deve avere garantito il diritto alla scelta, deve fare quello che vuole, deve rimanere, se vuole rimanere nei luoghi a cui appartiene, deve poter combinare, mecciare, come si dice, ibridare i suoi saperi con i saperi di altri contesti, come diceva Galileo, il tuo sapere non è mai stabilizzato fino a che non entri in contatto con il sapere altrui. Quindi l'idea di poter risciacquare i panni all'estero, per chi lo desidera, è fondamentale, però a noi creare le condizioni per farli tornare, come abbiamo iniziato a farlo, creando degli sgravi fiscali contributivi, un pacchetto anche previdenziale di supporto, possono sembrare piccole cose, ma sono cose importanti, perché sono quelle che fanno la differenza tra portare un grant, cioè una borsa di studio estera, in una nostra università o in un'università straniera. Abbiamo creato le condizioni per lasciare nella disponibilità del ricercatore vincitore di una borsa di studio il 30% della somma, cosa che adesso, cioè prima di ora, non accadeva. Stiamo cercando di dare loro delle ragioni per tornare, contingenti e di sistema. Un'altra ragione per tornare sono sicuramente, lo ripeto, questi grandi centri e un grande, grandissimo progetto che noi abbiamo, che è un nostro grande sogno, e cui il suo preferito Aresu torna in campo, quantomeno per la sarditudine. Noi, allora, abbiamo un grande progetto, grandissimo, che è un'infrastruttura strategica europea, a cui la comunità scientifica mondiale sta lavorando da circa 15 anni, che è un telescopio iper-innovativo, iper-sensibile, di terza generazione, perché sotterraneo, che capta in maniera assolutamente innovativa le onde gravitazionali. Perché è innovativa? Perché ci fa vedere una porzione di universo e ci fa indagare un volume di universo un migliaio di volte maggiore rispetto ai telescopi di seconda generazione. Quindi dicono gli scienziati, dice il presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che mi fa ripetere a pappagallo queste cose, mi imbacca anche il mio compagno di scuola, pensi lei, ci siamo ritrovati, ma lui era quello intelligente. Addirittura stiamo in grado di riprodurre una situazione simile al Big Bang e comunque di sentire la voce dell'universo, la musica dei buchi neri, perché i fisici sanno essere anche molto lirici, molto romantici. Quindi tutto ciò non è solo ricerca fondamentale, non è solo fisica fondamentale, fisica nucleare, astrofisica, cosmologia e anche, e qui ritorna la joint con l'impresa, è anche ricerca applicata, è meccanica di precisione, metallurgia, ottica, fotonica, intelligenza artificiale, tecnologie quantistiche. E noi la vogliamo, siamo in due a volerla, i paesi bassi, sempre i paesi bassi ci sono, i paesi bassi in una zona vicina a Maastricht e noi riteniamo che il luogo ideale per Einstein Telescope sia la miniera di Sosonatos a Lula, provincia di Nuoro, in Barbaggia, in Sardegna, perché è un luogo ovviamente non antropizzato, noi siamo già stati a visitarla, abbiamo visitato la miniera, miniera che è stata chiusa alla fine degli anni 90, ma devo dire è stato meraviglioso vedere anche solo la reazione dei minatori che ci aspettavano, perché loro ancora stanno curando la loro miniera, e il capo dei minatori che diceva che bello, finalmente possiamo fare rivivere la nostra miniera, questa è l'obiettivo, la miniera non è solamente estrattiva, la miniera è futura, portando Sosonatos in una zona non antropizzata, bassissimo rischio sismico, cieli pulitissimi, ecco, noi potremmo attirare tanti ricercatori, tanta ricerca, tanta comunità internazionale in Sardegna e quindi in Italia. Allora, grandi centri di ricerca, ragioni di sistema, tra queste ragioni di sistema che portano alla fuga di una parte dei ricercatori italiani, dei cosiddetti cervelli, ci sono anche quelle sacche di sistema universitario che come sa perfettamente sono rese anche protagoniste di episodi non particolarmente brillanti, alcuni dal punto di vista giudiziario, non devo dire io, ho un esponente di Forza Italia che alcuni si sono conclusi ovviamente nel nulla e altri invece hanno portato a delle condanne, di certo c'è una percezione da parte di un pezzo del mondo della ricerca che in questo paese, diciamo, il cosiddetto baronato, vogliamo chiamarlo così con una parola un po' brutale, è un ostacolo fondamentale al potere di una parte dei ricercatori italiani. Allora, io vengo da generazioni di baroni, quindi con me porta base a Samo, nonni, bisnonni, mariti, non è esattamente così. C'è una differenza tra la fisiologia e la patologia. Se il barone è una scuola che garantisce la qualità, e qui torniamo anche alla parola merito che fa tanta paura, cioè il merito è apparentemente urticante ma in realtà il merito è la scuola, questo deve essere garantito ovviamente da una scuola che faccia l'interesse del merito. Se la scuola non fa l'interesse del merito, che siano baroni, che siano agricoltori, che siano imprenditori, che siano qualsiasi cosa, siamo nella patologia, e la patologia è sempre disdicevole, quindi per quanto mi riguarda è ovvio che l'università debba funzionare al meglio e che noi dobbiamo creare le condizioni per farla funzionare al meglio, sul presupposto che anche il diritto allo studio in questo aiuti molto, meriti e bisogni, non voglio fare la socialista però meriti e bisogni. Se mi posso permettere, io non considererei uno strumento, anche l'università è uno strumento, è un hub che produce futuro, dalla sua dimensione patologica, è come dire che il computer è buono o cattivo, non è buono o cattivo in se stesso, dipende da come lo si usa, lei ci può fare alta medicina o pedopornografia, non è colpa del computer, dipende da come lo usa, a maggior ragione adesso, le dico la mia impressione, qui è un fatto assolutamente super personale, super soggettivo, 10 anni fa io ho interrotto i rapporti con l'università perché sono entrata in politica, quindi sono andata in aspettativa e ho, come posso dire, lasciato il dossier, l'università che ho ritrovato, questo l'ho detto tante volte anche a Ferruccio quando ci siamo visti, è molto diversa dall'università che ho lasciato, loro i rettori sono più giovani, più dinamici, più abituati a interfacciarsi con il mondo, con la realtà, con il principio di realtà, con la concretezza, l'università non è più la turris e burnea di mio nonno Baronea, sono un vorrei poveretto scomodale, però che diceva l'università deve essere il luogo della ricerca fondamentale, della ricerca pura dove invece la ricerca applicata, la ricerca industriale sta fuori, come se fosse una cosa un po' da trattare altrove, non dico volgare ma però da trattare altrove, adesso non è più così, si è compreso che l'università è un ecosistema che funziona se fa girare tutto, questo non c'entra niente coi Baronei, ripeto pensi al computer, funziona o non funziona a seconda di chi gli sta o la didattica a distanza, se ci mette dietro un disgraziato e davanti qualcuno che spegne il computer e fa la lavatrice non funziona, se ci mette dietro Giorgio Parisi che intratiene Nobel per la Fisica sui sistemi complessi, che intratiene in maniera dinamica gli studenti è tutta un'altra storia, è una questione di donne e di uomini che ci lavorano dietro l'unque, a proposito di connessione tra mondo dell'impresa e mondo universitario, la questione dei dottorati innovativi, si manifesta anche un po' la necessità di implementazione del PNRR, il PNRR è una cosa sana, buona e giusta che è stata negoziata in tempi brevissimi da un governo che non era il nostro ma io mi riconosco e mi assumo la responsabilità di quello che è stato fatto, non critico nessuno e nulla, semplicemente la modalità del negoziato è stata complicata perché è stata una modalità top down dall'alto, calata dall'alto, quindi loro i rettori, loro sono proprio testimoni oculari di questa realtà, sono stati costretti a calare le dinamiche universitarie della ricerca nel casellario non particolarmente elastico della commissione europea, quindi ora ci troviamo a fare i conti con il principio di realtà, a capire come effettivamente le fattispecie che sono state negoziate si conciliano con la realtà, uno di questi è il dottorato innovativo che è un'idea fantastica perché è un'idea platonica, fantastica sulla carta perché concilia il ricercatore universitario con il mondo dell'impresa portando la ricerca nell'impresa naturalmente consentendo all'impresa di giovarsi di questa attitudine attività di ricerca e di stabilizzare se funziona, se il rapporto funziona, il ricercatore facendolo assumere all'interno dell'impresa, quindi fantastica come idea, perché non ha funzionato come avrebbe potuto? Perché noi abbiamo visto i numeri e ci siamo resi conto che i dottorati innovativi non hanno girato come ci saremmo aspettati, perché l'ambito di applicazione del dottorato era una casella ma non teneva conto del principio di realtà, le faccio un esempio, lei ha detto l'Italia è un paese manifatturiero e infatti riguardava solo l'impresa manifatturiera ma non esiste solo l'impresa manifatturiera, sistono i servizi, esistono soprattutto le reti di impresa o le associazioni di impresa che in particolare per tutelare le imprese piccole, che non sono in grado di cofinanziare un dottorato da sole, perché l'idea del dottorato innovativo è un 50% di cofinanziamento del ministero e un 50% di cofinanziamento dell'impresa, ma non tutte le imprese hanno questa possibilità, però magari tramite Confindustria sì, ma il dottorato innovativo negoziato prima non consentiva a Confindustria di fare questo passaggio, perché non era un'impresa manifatturiera ma una rete, un'associazione di imprese. Noi abbiamo allargato l'ambito di operatività, abbiamo inserito quella, abbiamo inserito le autorità amministrative indipendenti, abbiamo cercato di proiettarle anche sulle sedi straniere delle nostre imprese, mandare un ricercatore in un'impresa italiana che lavora in Giappone per noi è un più, è un successo, ed è un successo anche per i ricercatori, soprattutto abbiamo cercato di creare un matrimonio compatibile, perché prima c'erano dei ricercatori, nella interpretazione primigenia, che venivano deportati in impresa, non necessariamente, come posso dire, sarebbe come se la sua signora le fosse stata messa in casa, insomma al grado, quindi magari andava bene, magari andava, ma più delle volte, insomma, fa fatica ad andare bene. Quindi l'idea è quella, e lo abbiamo fatto, di aprire una piattaforma al mur in cui si meccano domande e risposte in modo da creare una compatibilità iniziale, anzi, di farsi dare dalle imprese delle idee per consentire a dei ricercatori, in settori merceologici magari molto specifici, di potersi dedicare a loro. Questo crea un link anche molto più stretto, e difficilmente un imprenditore si libera di una persona di cui ha veramente bisogno. Non vorrei dire, citato per la terza volta, il Prode Aresu, che è il grande protagonista di questa giornata, è parte di questa iniziativa perché lui coordina non solamente la piattaforma, il sito, ma anche il roadshow che noi stiamo facendo in giro per l'Italia, perché abbiamo messo insieme, non è che ce lo siamo inventato, abbiamo fatto un gruppo di lavoro mettendo insieme Confindustria, la Crui, chiedendo loro quali fossero i settori meno presidiati, insomma, cercando di creare un ambiente favorevole, non ostile, amichevole, non respingente. Aresu, un po' da vivo, un po' da remoto, rappresenta questa realtà e la presenta ai nostri stakeholders, che sono le università, i centri di ricerca e le imprese. Per rimanere alla metafora di prima, il Tinder di dott. Antti e imprese, praticamente, sul sito del Ministro. Anzi, in realtà abbiamo finito il tempo, però un'ultima domanda gliela voglio fare, perché in realtà... Il Tinder è molto carino, però gliela posso rubare? Sì, certo. Alessandro, scrivi! Il Tinder! L'ultima domanda gliela voglio fare, che è apparentemente su un argomento anche qua, di attualità, ma in realtà è un argomento molto più largo. È inutile che ci raccontiamo quanto il Covid ci abbia insegnato sulla sanità, sulla necessità di preservare il nostro sistema sanitario e veniamo, ovviamente, alla questione di medicina. Numero chiuso o non numero chiuso? C'è una riflessione aperta, tra vari mondi, se mantenere il numero chiuso oppure no. Voi state lavorando, avete lavorato per un allargamento dei posti di medicina, l'avete già fatto. Quali sono le prospettive che vede, quantomeno a medio termine? Allora, anche qui cercherò di essere sintetica come lei. Prima di tutto, nel momento in cui sono entrate in servizio, mi sono trovata due problemi rilevantissimi, uno l'housing universitario e l'altro la scelta sulla Facoltà di Medicina, perché la politica aveva fatto delle promesse, aveva detto anche qui alcuni chiuso o chiuso, altri aperto o aperto, però il tema è delicatissimo e mette insieme, ancora una volta, il diritto allo studio ma anche la qualità dell'offerta formativa. Perché l'apertura indiscriminata del corso di laurea in medicina e chirurgia, mi viene ancora da dire facoltà, ma la facoltà non esiste più, del corso di laurea in medicina e chirurgia porta inevitabilmente ad una riduzione degli standard quali quantitativi dell'offerta didattica. Quindi, non potendoci affidare alle opposte tifoserie, abbiamo fatto, anche qui non abbiamo la tavolite, ma abbiamo fatto un gruppo di lavoro a termine, quello di cui abbiamo parlato anche lei ed io, in cui abbiamo messo la conferenza dei rettori delle Università italiane, Fedriga, che ormai è uno di noi, la conferenza unificata delle Regioni, abbiamo ovviamente il Ministero della Salute, abbiamo cercato di capire, visto che comunque esiste un'esigenza, un'esigenza che però non è, lei faccia conto che l'esigenza è una sorta di, come posso dire, di andamento sinusoidale. Faccio un esempio, io ho un cugino, lei dirà cosa c'entra il suo cugino, ho un cugino che fa il virologo, fino a qualche tempo fa, sconosciuto ai più, dopo il Covid, una star televisiva. Quindi voi capite che anche, come posso dire, è la contingenza che fa la differenza, è l'esigenza della tipologia del medico che sposta i fabbisogni. Quindi quello che noi abbiamo fatto è stato di elaborare, soprattutto anche in vecchia, infatti questo era il punto successivo a cui voleva arrivare. Noi abbiamo una popolazione che tende ad invecchiare e soprattutto abbiamo un'esigenza di medicina territoriale e di prossimità. Quindi quello che noi abbiamo fatto è stato elaborare un meccanismo che ci dica, ripeto, lo abbiamo fatto in maniera molto tecnica, non da tifoserie, quanto possiamo aprire ora dal 25 al 30%, che sono tra 3.000 erotti e 4.000 erotti, non mi chieda i decimali, di nuove immatricolazioni al corso di laurea in medicina e chirurgia, che però noi continueremo a monitorare sulla base non solamente dei fabbisogni, ma anche degli ambiti di operatività che devono essere coperti. Questo induce un ulteriore necessità che tiene aperto il gruppo, che è quello di lavorare sulle specializzazioni. Perché se noi togliamo l'imbuto formativo all'accesso al corso di laurea e lo lasciamo alle specialità, abbiamo solo spostato il margine del problema, cosa che non vogliamo fare. Con il ministro Schillaci, ovviamente, perché ha quelle competenze interministeriali, vogliamo ottimizzare e sburocratizzare anche l'accesso alle specializzazioni. Grazie. Grazie a lei. Grazie a Maria Bernini, ministra dell'Università della Ricerca, e grazie a tutti voi per averci seguito. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie.
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