Verso una comunità educante
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Verso una comunità educante
Durante l’incontro “Verso una comunità educante” sono intervenuti i componenti del gruppo di lavoro della Fondazione Franco Demarchi: Elisa Bortolamedi, collaboratrice, Salvatore Pirozzi, consulente scientifico e Federico Samaden, presidente, in dialogo con Eugenio Bruno, vice caposervizio de Il Sole 24 Ore, raccontando l’esperienza di ricerca svolta fino a quel momento e definendo gli sviluppi futuri, che porteranno alla creazione di una comunità di pratiche messe in campo da una rete di comunità educanti.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sono Marzio Bartoloni del Sole 24 Ore e oggi parliamo di comunità educante. Facciamo questa chiacchierata, vi presento gli ospiti con Federico Samaden, presidente della fondazione Franco De Marchi, Elisa Bortolamedi, educatrice professionale e consulente della fondazione Franco De Marchi, Salvatore Pirozzi, consulente pedagogico, fondazione sempre Franco De Marchi e valutatore. Allora, questo delle comunità educante è un tema che io non conosco benissimo, però penso che sia un tema davvero bello, interessante, soprattutto, mi parlavo prima con Samaden, in questa società un po' disaggregata, con la pandemia che ha accentuato questa spinta disaggregante, da padre e di figli, più o meno dalla vostra età, rifletto spesso sul fatto che le tecnologie che sono diventate così pervasive, telefonini, social media, forse in qualche modo diano spesso l'illusione di una socialità che poi non è così vera e come appunto progetti come quello delle comunità educanti possono aiutare a dare una risposta a queste spinte un po' disaggreganti che creano spesso, a volte, delle nuove solitudini. Ecco, la comunità educante è, diciamo, un bene non tangibile in cui i attori del territorio provano a impegnarsi per la crescita e il benesse degli individui, soprattutto dei ragazzi, dei più giovani. Ecco, a Samaden chiederei di raccontare il ruolo della fondazione e di questo progetto, perché il tentativo è non solo oggi di capire che cos'è una comunità educante, come si crea, ma anche come si valuta la sua capacità educante. Prego. Bene, grazie. Il tema è oltre modo... Ah, giusto, meglio, sì, direi di sì. Eccomi. Bene, grazie mille. Grazie mille. Allora, il tema è antico. L'abbiamo attualizzato adesso perché da qualche anno questo tema, questa parola, comunità educante, riecheggia in molti luoghi, viene trattata in molti convegni, ma il tema è antico. Il tema era chiuso in una frase che molti di noi hanno detto e ascoltato più volte, che è che per crescere un bambino ci vuole un villaggio. Questa cosa è molto vera, lo è anche in presenza di famiglie solide, anche in presenza di percorsi educativi seguiti con attenzione, perché comunque la crescita di un individuo non può avvenire ad opera esclusiva di un soggetto di accompagnamento. E quindi se osserviamo cosa accade a un bambino, una bambina che nascono oggi in questa città, a Trento, cosa accade a questo bambino, a questa bambina? Chi incontrano? Qual è l'aria che respirano rispetto alla fiducia che il mondo ha di loro e qual è il bene che gli viene trasmesso? Quali sono gli esempi che incontrano? Ecco, tutto questo vi dà l'idea di cosa ci sia dentro della parola comunità educante di quanto sia attuale proprio perché quella solidità della famiglia che riesce a seguire con attenzione, con dedizione e con impegno il percorso di crescita dei propri figli è un qualcosa che è venuto sempre meno negli ultimi trent'anni. Noi siamo una società che negli ultimi cinque anni si è permessa di aumentare a dismisura il numero di bambini e bambine in povertà educativa. Siamo una società in cui il 90% dei bambini che nascono in povertà rimangono tali. E' lo stesso vale per la ricchezza, il 90% dei bambini e bambine che nascono ricchi rimangono tali. Questo vi dà un'idea di cosa questa società si è permessa di fare in questi ultimi anni in una distrazione totale rispetto alla principale cosa che una società dovrebbe fare che è proprio seguire la crescita dei propri figli. La parola educazione è diventata quasi un refrain banale, ma addirittura considerato da molti una cosa scontata, pesante, tanto da non essere neanche attrattivo, quando invece nella sostanza noi sappiamo che curare la vita è la principale cosa che una società deve fare. Un individuo è la principale cosa che deve fare curare la vita. E siamo una società che mette molto impegno nel curare il proprio cane, o nel curare una vigna che si mette a terra, o nel curare una pianta, o nel curare l'ambiente, e ci si dimentica di curare la forma di vita a noi più prossima e più vicina, quella che generiamo noi. E questo è un grande problema, che ha delle radici e dei motivi, perché non è che questo accade banalmente, perché se tu metti una vigna in terra e la curi con dedizione, quella vigna non ti dà i problemi di un adolescente che a un certo punto ti viene contro, perché vuole trovare la propria identità e che tu devi gestire. Quindi c'è un problema legato all'impegno e alla capacità di gestire i percorsi educativi, che ha portato quasi questa disaffezione all'educazione. Io dico che siamo in un'epoca in cui c'è un'anestesia globale, una grande anestesia, che poi pervade un po' tutto, però come risultato finale ti dà che questi percorsi, non essendo seguiti dal punto di vista educativo, producono strutture di personalità, persone che hanno sempre più fragilità nel proprio approccio con se stessi e con la vita. E questo è un dato che noi già vediamo come conseguenza. Allora, rispetto a questo, voi capite che non si può continuare a pensare che la famiglia sia il soggetto su cui ricade tutta questa responsabilità. E neppure la scuola, perché poi è iniziata l'epoca delle deleghe. In questa debolezza, quando una persona è debole, tende a delegare e quindi la delega è diventata lo spornazionale, per cui tutti pensano che doveva crescere il proprio figlio e ci deve pensare la scuola, l'associazione sportiva, l'oratorio, che sono soggetti importanti, a patto che ci sia una riassunzione di responsabilità dai soggetti principali responsabili di quella vita, cioè chi l'ha messa al mondo. Ecco, diciamo che a causa e motivato da questo sguardo sullo spaccato di società, che ho cercato brevemente di descrivervi, noi ci siamo domandati come Fondazione dei Marchi, una fondazione di ricerca sociale della provincia autonoma di Trento, ci interessiamo di welfare, ci interessiamo di modelli di sviluppo e di benessere delle persone, ci interessiamo di educazione. E quindi, interessandoci di educazione e sentendo parlare la comunità educante, questa parola che girava sempre di più negli ultimi anni, ci siamo domandati, ok, ma cosa possiamo fare noi affinché questa parola si riempia di concrete azioni, cioè diventi veramente un driver di sviluppo dei territori? Allora abbiamo analizzato e abbiamo visto che sulla scuola c'era già una moltitudine di persone che dicevano, cioè intorno alla scuola dicono tutti tutto, tutti parlano della scuola, c'è un gran... benissimo, l'ha detto, allora lasciam'li, la scuola è oggetto di attenzione da parte nostra, ma però abbiamo provato a immaginare di aiutare qualcun altro della comunità educante, che è l'altro soggetto importante che c'è su un territorio, che è il decisore amministrativo e politico di quel territorio, che è il sindaco, quindi ci siamo domandati, ma i sindaci, se io gli dico comunità educante o se gli dico capacità educante del tuo territorio, cosa mi dicono? E abbiamo provato a andare da un po' di sindaci e fare questa domanda e la risposta è sempre stata la stessa, uguale per tutti, piccoli, comuni, grandi, tutti hanno detto la stessa cosa, ma abbiamo un assessore all'istituzione, abbiamo i servizi sociali e ognuno enunciava la struttura istituzionale e amministrativa che secondo la sua visione avrebbe dovuto prescidere a tutti questi processi educativi. Ok, e questo è uno sguardo lecito da rispettare, però lì abbiamo capito che il sindaco non aveva una percezione di cosa realmente accadeva, di qual era la potenza educativa del proprio territorio, che è una biodiversità, perché non è che basta soltanto che ci siano dei bambini che crescono che vuol dire quel territorio educante, assolutamente no. Quindi abbiamo provato a pensare come potremmo noi fare una fotografia partendo da un Trentino che fa narrazione di se stesso secondo focus importanti, Trentino narra se stesso per le bellezze naturali, per le attività sportive, per le tradizioni, per la cosa gastronomica, benissimo, ma la capacità educante chi la narra? E proprio la cosa più importante per la costruzione di un futuro non la narra nessuno o quantomeno viene lasciata una narrazione molto così, molto generica. Bene, allora abbiamo chiesto a un gruppo di ricercatori, siamo una fondazione di ricerca, un gruppo di ricercatori, ho chiesto se erano in grado di costruire una serie di indicatori che messi insieme potessero dare un indice di capacità educante, esattamente come c'è sulla sostenibilità, che ci sono ormai indici affermati e uno attraverso quell'indice migliora le proprie performance, che cerca di essere più attento e può quindi decidere come incidere sul proprio territorio. L'abbiamo immaginato questo indice, composto da questi indicatori che poi Elisa vi esporrà, proprio per essere di stimolo ai sindaci ad avere uno sguardo più attento a costruire, a diventare insieme agli altri attori del territorio gli artefici e gli attori principali della costruzione di questa nuova dimensione educativa. Questo è lo spirito con cui l'abbiamo fatto, Elisa vi illustrerà il percorso che è stato fatto dal gruppo di lavoro e adesso siamo in una fase estremamente interessante perché i risultati sono arrivati, siamo pronti a una sorta di lancio dopo aver fatto una serie di test e immaginiamo che questo possa diventare un nuovo network che aggreghi intorno a quest'idea tutti quei territori che vogliono investire, oltre che sulle proprie bellezze naturali, sul turismo, sull'enogastronomia ma anche su altri punti altrettanto importanti, che voglio rimettere l'attenzione su questo straordinario fatto che fa parte della vita di ciascuno di noi che è quello di essere capace di generare e curare la vita. La frase che noi abbiamo ben chiaro è che la vita cura la vita, è la vita che cura la vita. Se tu vuoi aiutare qualcuno devi creare un ambiente carico di vita, di vita vera, non a caso se tu vai in un bosco e stai in un bosco, respiri un'energia che ti fa star meglio ma perché? Perché quella è una cosa vera che ti arriva dentro e quella cosa vera è una componente che anche l'uomo dovrebbe sapere riprodurre attraverso le emozioni che stanno nelle relazioni vere questo è un fondamento della capacità educante. Grazie, grazie. Tra l'altro mi viene da pensare, quello che diceva lei nel dialogo col sindaco, che spesso chi amministra un territorio, in generale le pubbliche amministrazioni ragionano per silo se no c'è la scuola, l'assessore della scuola, i servizi sociali, non si mette mai al sistema, non c'è una visione di insieme. Ecco, forse questa visione di insieme arriva da questa tentativa di valutazione Quindi chiederei alla dottoressa Elisa Bortoloma, Bortoloma Edi, che collabora con la fondazione dei De Marchi specializzata in welfare territoriale e sviluppo di comunità educanti, come funziona questo progetto, come funzionano questi indicatori? Buongiorno a tutti e tutte. L'hai spento. Io cercherò di entrare un pochino più così nel concreto di quello che abbiamo fatto. I presupposti ve li ha raccontati il presidente Siamo partiti chiedendoci, grazie, fin dall'inizio al sostegno di Salvatore Pirozzi, che cos'è una comunità educante. E ogni volta che mi trovo a presentare questo lavoro, parto proprio da questa definizione, che è una definizione assolutamente aperta Tant'è che il nostro progetto volutamente si chiama Verso, una comunità educante. E il verso per noi rappresenta il movimento, la tendenza. Vogliamo arrivare lì e crediamo anche che sia uno strumento che deve rimanere plastico, che deve autoimplementarsi e che, grazie al confronto con i territori, potrà migliorare sempre di più. Se io vi chiedessi cosa significa per voi comunità e cosa significa per voi educante, probabilmente avrei una moltitudine di significati. Le comunità sono di vario tipo. Una comunità è la nostra classe, la scuola. Una comunità è la nostra famiglia, il nostro gruppo di amici. Talvolta le comunità ci sanno includere, altre volte invece ci escludono, non ci fanno stare bene. Quindi può avere un'accezione positiva, un'accezione negativa. Così come il termine educante. Gli educatori ed le educatrici, come me, ricevono un sacco di definizioni di cosa significa educare. Ma poi credo che sia realmente sul campo, che forse lo si comprende meglio, attribuendo un significato che in parte è anche proprio. Proprio perché l'educazione è una disciplina che ha bisogno del contatto con la realtà. E quindi questa è una delle definizioni che, in qualche modo, insomma, io mi sento di raccontarvi. Cioè che la comunità educante è l'insieme degli attori territoriali che si impegnano a garantire il benessere e la crescita di ragazzi e ragazze. Noi siamo partiti dal presupposto che una comunità in grado di non lasciare indietro gli ultimi è una comunità che ha vinto. Perché se io riesco a coinvolgere gli ultimi, verosimilmente anche i primi sono al passo con me. Ma di che attori parliamo e in che modo si interfacciano tra loro è quello che abbiamo cercato un pochino di capire. E lo facciamo fornendo anche alcuni suggerimenti concreti di come si costruisce una comunità educante. Intanto è necessario perseguire un obiettivo comune. Quindi nel momento in cui si decide, assieme ad un gruppo di persone che è ora di lavorare su questo tema, è necessario chiarirsi gli obiettivi. Curare il clima come in qualsiasi lavoro di gruppo, comprendere le diversità. Noi ci siamo affacciati su un territorio, come diceva il Presidente, che è in parte sconosciuto perché non ci siamo centrati sulle scuole, che notoriamente da bibliografia sono al centro delle riflessioni sulle comunità educanti, ma abbiamo proprio allargato pensando a tutti i soggetti che incontrano un ragazzo o una ragazza nel suo percorso di crescita. E quindi farli sedere al tavolo è chiaro che implica che le diversità vada in qualche modo raccontate, curate, mediate. Ci si possono aspettare delle divergenze. È chiaro che, per esempio, una dirigente scolastica non la vedrà come un'allenatrice sportiva, per esempio. Ognuno ha il proprio punto di vista. E quindi è necessario pensare in funzione al risultato, quindi mediare appunto e a volte saper mettere il proprio punto di vista dietro quello degli altri. L'esperienza, insomma, quelle che si trovano di più raccontate sono quelle che hanno a che fare con le periferie delle grandi città. E lì sono state sviluppate alcune pratiche che Salvatore Pirozzi ha vissute anche in prima persona e magari dopo vi racconterà. Però diciamo che in generale è necessario costruire alleanze sia tra i soggetti del terzo settore e le realtà del privato sociale che l'ante pubblico. Condividere strumenti, modalità organizzative, pratiche di lavoro, quindi avere delle modalità di lavoro che sono in comune, che sono patrimonio comune. E soprattutto individuare le comuni prospettive di senso e di cambiamento alle quali si vuole tendere, quindi quel verso, verso dove stiamo andando. Questo lo dobbiamo saper condividere. Alla luce di questo noi ci siamo chiesti, ma è possibile misurare la capacità educante dei territori? Siamo abituati a un mondo che in qualche modo ci dà una misura delle cose. Le stesse amministrazioni ricevono un marchetto se fanno bene una cosa, no? C'è il comune riciclone di legambiente, in Trentino abbiamo tanti marchi legati anche al mondo della famiglia. Ma la capacità educante si può misurare? Ecco, io non so se vi so dare la risposta a questo quesito, però noi ci abbiamo provato. Ci abbiamo provato in questo modo qui. Questo è l'impianto della nostra ricerca che ha previsto un lavoro preparatorio importante. Quindi siamo partiti dall'analisi della bibliografia e di ciò che stava succedendo in Italia. Abbiamo fatto delle interviste esplorative in quello che è il territorio che abbiamo scelto come territorio privilegiato dove testare le nostre ipotesi, che è il territorio del comune di Peragine Valsugana. Abbiamo quindi lì somministrato dei questionari dall'analisi di quei dati siamo riusciti ad aggiungere alla creazione di una versione ancora perfettibile dell'indice di capacità educante che abbiamo poi allargato ad un gruppo di circa 10 comuni Trentini che per noi hanno provato a compilare questo questionario ci hanno fornito dei feedback fondamentali. Questo in ogni processo di ricerca è necessario, fare una fase di test prima di presentarlo. E quindi adesso siamo al penultimo punto di questo impianto della ricerca ci abbiamo creato una versione beta che è una versione che può essere diffusa, che stiamo cercando di lanciare un pochino il cuore oltre il confine, di provare a capire se può funzionare anche fuori dal Trentino. Quindi facendo un lavoro inverso a quello che abbiamo fatto all'inizio. All'inizio appunto siamo partiti da quelli che sono gli indici della povertà educativa di Save the Children, per esempio, che danno una misura di ciò che in Italia succede o avviene sull'educazione, ma ci siamo accorti anche sperimentandolo sul nostro territorio test che in Trentino forse non erano così rilevanti, perché alcune cose le possiamo dare per scontate. Ce le abbiamo e ce le hanno tutti comuni, ma qual è quel plus? Quella cosa che in qualche modo dà anche valore allo spirito solidale e cooperativistico che è proprio della nostra terra. Questo ve l'ho già raccontato. E quindi siamo giunti ad elaborare dodici dimensioni di analisi. Come vedete la scuola c'è, è la prima ed è anche una dimensione molto corposa all'interno del nostro indice. Però non è sola. Sieme abbiamo la famiglia, le attività culturali e sportive, tutta la dimensione dell'abitare che tra l'altro sempre più negli ultimi anni è al centro delle cronache sociali, nel senso che è una vera emergenza e l'avete visto probabilmente tutti ultimamente anche grazie agli studenti che hanno fatto quella protesta con le tende dando luce a quella che è la punta di un iceberg. Però l'abitare è un tema su cui c'è molto da lavorare. La sostenibilità ambientale, il volontariato, lo sviluppo digitale, il mondo del lavoro, la salute, le reti e l'inclusione sociale. Queste sono un po' le dimensioni che noi abbiamo reputato componenti la dimensione educante delle comunità. Per alcune di queste abbiamo lavorato insieme agli uffici preposti della Provincia Autonoma di Trento che ci hanno aiutati a centrare il nostro obiettivo anche rispetto a quello che è un disegno di politiche sociali più ampio, più generale. Lo strumento di rilevazione è uno strumento molto semplice perché di fatto è un questionario, quindi gli amministratori e le amministratrici si trovano a compilarlo in maniera anche agile, diciamo. Questo è un esempio di un feedback che può arrivare per ognuna delle dodici categorie. La nostra intenzione è quella di dare un pochino un'idea di come sono andati nella compilazione di questo questionario, come sta andando il loro territorio. Quindi questo è un esempio di come per esempio il mondo della scuola può essere andato molto bene. Maltrettanto può succedere che invece vengano, anzi noi ospichiamo che i punteggi non siano così alti perché il gruppo test in realtà ne abbiamo avuto conferma perché vuol dire che lì c'è da lavorare, che lì si può crescere, si può migliorare, si può fare. Qui il gruppo test in numeri brevemente, noi abbiamo testato questi 81 indicatori con 8 amministrazioni locali che rappresentano circa 41.000 cittadini e cittadine trentine, 38 scuole e 333 associazioni. Questo è solo per darvi un pochino una misura di quello che abbiamo provato a testare. Queste sono alcune evidenze che sono emerse, io non entrerò nel merito dei dati per singolo comune anche perché sennò vi annoio, però vi racconto per macro temi un pochino le evidenze. Abbiamo visto che i territori più piccoli, comuni più piccoli, calcolate che noi avevamo come range un comune piccolino, il più piccolo ha 700 abitanti, il più grande 22.000. I territori più piccoli ottengono punteggi inferiori e quindi abbiamo lavorato per trovare indicatori trasversali validi a prescindere dall'ampiezza territoriale o dal numero di abitanti. Abbiamo confermato l'ipotesi per la quale, per trovare questi indicatori che siano validi in un comune di 700 come in un comune di 20.000, è necessario confrontarsi con gli stakeholder, quindi con i portatori di interesse. Ed ecco che di nuovo torna l'idea che questo lavoro sia un lavoro di comunità, un lavoro fatto assieme agli amministratori e agli amministratrici oltre che per loro. E poi la motivazione dei compilatori, nonostante in una fase di presentazione tutti gli amministratori coinvolti ci abbiano detto sì, che ci interessa moltissimo, parimenti è stato difficile ottenere la compilazione, semplicemente perché moltissimi amministratori e amministratrici, soprattutto dei comuni più piccoli, ma in realtà di tutti i comuni che noi abbiamo testato, oltre a svolgere il loro ruolo, lavorano, perché anche questa è una realtà. Pertanto il tempo che riescono a dedicare all'attività amministrativa non è tutto il loro tempo e le inconvenze sono moltissime. Perciò trovare anche il tempo, l'energia per dire lavoro su questo ha necessitato di un po' di spinta da parte nostra. Ed alcuni hanno poi delegato ai funzionari o alle funzionarie preposte. Questo ci ha dato risultati un pochino diversi in realtà, perché probabilmente i funzionari verosimilmente lavorano lì, ma magari non vivono in quel comune. Quindi quello che va al di là del loro impegno lavorativo, del loro settore lavorativo, difficilmente emerge dalla compilazione. Ecco qui, ho scritto appunto che in generale hanno dimostrato grande interesse per il tema. Poi da capire se questo si traduce realmente in un impegno, perché noi chiediamo un impegno comunque. All'indagine che è condotta attraverso gli amministratori e l'amministratrice va affiancata sicuramente un'analisi qualitativa, così come abbiamo fatto a Pergine, somministrata all'intera cittadinanza. È un lavoro su due livelli, noi questo lo prevediamo dall'inizio. Cioè il lavoro con l'amministrazione è un lavoro di aggancio, è il nostro modo per entrare all'interno di quel comune, ma poi è necessario condividere, rendere patrimonio comune con tutta la cittadinanza. E quindi questi sono i possibili scenari che noi ci siamo immaginati. Quindi appunto un'analisi qualitativa tarata sul territorio per fare emergere tutte quelle che sono le competenze presenti all'interno del territorio. Le amministrazioni potranno poi scegliere se migliorare uno o più aspetti, come vi ho mostrato prima. Queste dodici dimensioni di analisi possono essere analizzate sia assieme sia in maniera separata. La fondazione si offre di aiutare le amministrazioni nella declinazione di queste azioni migliorative anche nel fornire strumenti di miglioramento che sono propri della fondazione. E poi il grande desiderio che è quello di creare un network delle comunità educanti, una rete che sappia mettere in condivisione quelli che sono i saperi, le competenze, ciò che in questo percorso possono avere anche imparato. Tendenzialmente quello che per un gruppo in generale è un problema, un altro gruppo l'ha già affrontato. E questo vale anche per le città. Quindi fare tesoro dell'esperienza di altre città che hanno caratteristiche simili alle nostre può sicuramente essere un valore aggiunto, che ha risorse zero, ci può aiutare a risolvere dei problemi. Quindi immaginiamo un network, una rete che parte dal Trentino, ma che ha l'ambizione di poter diventare in qualche modo più allargata. Grazie, mi viene giusto un paio di curiosità. Non so se, se ho capito bene, avete fatto, c'è stata anche una fase di distribuzione dei questionari ai cittadini. Mi chiedo, quale è stata l'adesione, la reazione dei cittadini? E poi questa curiosità giornalistica, ovviamente, ma io non me lo dirà mai. Ho visto l'indice della scuola del 92%, ce n'è qualcuno che invece va un po' meno bene dei dodici, che magari ci può dire quali sono i più deboli. Non le dirò mai quali sono, però sì, tendenzialmente tutti hanno ottenuto punteggi molto più bassi in realtà. Tranne, questo era un risultato del territorio che abbiamo scelto come prima sperimentazione, ma ci siamo accorti adesso, avendo in mano tutti i dati, che avendo tarato lo strumento partendo da lì, quel territorio raggiunge un punteggio ottimale, ma in realtà probabilmente non è così. Il fatto di avere, per esempio, su Pergine Valsugana anche il contraltare del feedback del questionario dei cittadini ci permette di capire che, per esempio, ciò che gli amministratori dicono sì, noi questo ce l'abbiamo, perché di fatto gli amministratori noi chiediamo di ragionare in una dimensione di cosa c'è, cosa offro alla mia città, mentre i cittadini chiediamo in che modo e se ne fruiscono, e qui si vede una differenza. Comunque abbiamo avuto un'ottima adesione e l'abbiamo, siamo andati a somministrarla attraverso, diciamo, dei testimoni privilegiati del territorio che ci hanno fatto sicuramente da sponda e una, insomma, delle più importanti è stato l'Istituto Superiore che comunque ha veicolato sia tra gli studenti sia tra le famiglie. Va bene, va bene, grazie, tutto veramente interessante. Salvatore Pirozzi, il suo punto di vista è molto interessante perché qui siamo a Trento, la realtà io la conoscevo già abbastanza bene e con il festival è un'occasione per vivere tutto il giorno, è una realtà comunque veramente a portata di, insomma, che ti consente di fluire bene la città, tutti i servizi, rispetto ad altre realtà, realtà come la mia, io vengo dalla capitale che è molto distante non solo per chilometri. Salvatore Pirozzi che ha avuto un'esperienza, l'ho capito bene, con la scuola di Rossidoria, il progetto che è a Napoli ha fatto scuola proprio per provare a cercare di creare una comunità educante in realtà dove ci stanno quartieri a basso reddito e povertà educativa, c'erano i dodici indicatori, ho visto il mondo del lavoro, la salute, l'inclusione sociale, insomma, diciamo sicuramente su questo Trento e molto avanti. Quanto può essere utile per altre esperienze sicuramente un po' distanti da Trento, un modello come questo, quanto si può mettere a terra? Allora prima di tutto c'è ormai una lunga tradizione di continuità tra Napoli e Trento, già prima di me e che l'ha inaugurata, non a caso credo, Marco Rossidoria. Io ho fatto il maestro di strada che è un messiere molto affascinante e se posso dire però qual è la cosa più importante che ho appreso facendo il maestro di strada, che ho capito che dovevo capire, dovevo partire dalla mia sorpresa di non saper fare delle cose che avevo fatto fino a pochi giorni prima e imparare, non spaventandomi di quello che mi accadeva, imparare da quello che mi dicevano soprattutto i ragazzi, non è che parlavano di queste cose, mi dicevano, diciamo, attraverso tutte le loro forme di comunicazione stamattina praticamente rivivo in un certo senso la stessa sensazione, mi ero preparato almeno la scaletta dell'intervento, qualche citazione, qualche schema, eccetera, poi vedo che qui adesso c'è una bellissima gioventù e francamente voglio buttare a mare tutto quello che ho immaginato e provare se ci riesco a comunicare con questa bellissima gioventù. Mi faccio una proposta... Che è quello che deve fare la comunità educante. Non ci stavo giusto arrivando grazie del cross, io di testa ero abbastanza forte quindi provo a raccogliere... Dunque, io provo a invitarvi a fare silenziosamente tra di voi, magari se vi piace, ve lo fate dopo per i fatti vostri, una riflessione su voi stessi, su due categorie importanti, la povertà educativa e la comunità educante. Adesso vi invito, faccio una serie, faccio una lista di... L'invito è questo, voi già fate parte di una comunità educante, magari non l'abbiamo mai chiamata così, non ci abbiamo mai fatto caso, vi voglio elencare una serie di campi che qui mi sono segnato. Per esempio, da bambini avete mai letto in compagnia? Cioè, qualche adulto ha mai letto un libro assieme a voi o è stato assieme a voi a vedere anche un cartone? Scusate, i miei riferimenti sono talmente antichi che non so se sono ancora riproponiti. Parto proprio da questo indicatore di povertà educativa che è la lettura, sembra una stupidaggine, ma pensate a questo, la scienza ormai ci dice, da danni ci ha rivelato, che noi non nasciamo con neuroni adatti a leggere, noi nasciamo con neuroni che sono capaci già predisposti a farci vedere, ma non abbiamo alla nascita i neuroni per la lettura. I neuroni per la lettura e quindi la capacità di leggere si formano attraverso l'esperienza, si formano se c'è soprattutto, ma indispensabilmente, un adulto. Pensate alle immagini anche un po' stereotipate, ma che erano vere in una certa parte della società, della mamma o del papà. Mio padre mi leggeva il Corriere dei Piccoli, per me è un ricordo indelebile e parliamo degli anni 50, ma del 1950, non 1850, per me è stata un'esperienza grandiosa, perché che cosa succede? Succede che in quella esperienza di accompagnamento un adulto, nel nostro stereotipo in particolare la mamma con le guance paffute, i capelli biondi e così via, che opera un passaggio fondamentale nella capacità di poter leggere dal fonema, cioè dal suono al grafema, cioè come quel suono viene rappresentato. E' una cosa importante, ma scatta soprattutto un'altra esperienza fondamentale che i psicologi evolutivi hanno messo a punto, che a un certo momento della lettura il bambino guarda la mamma negli occhi. A me mi ha colpito questa storia. Scatta quindi la relazione di fiducia. Il bambino chiede con ferma, con quello sguardo, con quella postura alla mamma, prima di tutto di alcune emozioni che sta provando, ma poi anche della comprensione del testo. Adesso questa sembra una banalità. Io sono rimasto veramente molto colpito. Qualcuno di voi che si dovessi interessare, mi permetto di suggerire, perché si devono suggerire i libri o delle cose del genere anche ai ragazzi, non pensando che i libri siano automaticamente difficili, c'è un libro del più grosso studioso, che tra l'altro era consigliere del Ministero della pubblica istruzioni in Francia, che si chiama proprio Imparare, è la summa di questa riflessione. Che cosa succede? L'accapacità di lettura, poi l'allenta, l'accapacità di apprendimento della lettura, l'allenta con la perdita di elasticità di produzione neurale, la perdita di plasticità del cervello. Quindi pensare di poter imparare a 15 anni quello che non si è fatto a 5 anni diventa molto complicato, però delle strategie ci stanno. Che differenza c'è tra un ragazzino che ha fatto questa esperienza fondamentale e i ragazzini che non l'hanno fatta? Questo è per esempio uno dei motivi di fondo per cui la gente si meraviglia, ma se si interrogasse si meraviglierebbe un po' meno, un ragazzino che è l'ultimo indagio della Caripro, con la L alla sinistra e non Caripro, che ha fatto, che ha rivelato, ha interpretato dei dati e ha detto questo, i ragazzini che si sono risultati in una fascia di grande povertà educativa, in seconda elementare, restano quasi tutti nella stessa fascia di povertà educativa a 13 anni, all'uscita dell'ascuramento. Questa è per esempio una grandissima differenza che c'è tra ragazzi ed è un gravissimo problema di intervento. Io, che ho avuto la fortuna di mandare i miei figli in una scuola molto positiva a Napoli, benedico veramente quella scuola quando andavo a prendere i figli e li vedevo sgaiati a terra, immersi nei libri, con le maestre o qualche ragazzo più grande che leggeva, senza pensare al programma, ai contenuti, proprio all'esperienza della lettura e al piacere della lettura di per sé. Questo resta l'esempio. Voi, da questo punto di vista non mi rispondete, ma vi collocate nella fascia ricca o nella fascia povera educativa quando vi rispondete a questa domanda pensate a quelli che non ci sanno, ammesso che qualcuno di voi non ci sia. Poi dopo riprenderò questo aspetto. Per esempio, altre esperienze, viaggiare, parlare, amicizia. L'amicizia sembra una banalità, ma è una cosa fondamentale. Il rapporto, quello che adesso il linguaggio della pedagogia un po' noiosa chiama peer-to-peer education, cioè il fatto di rapporti tra i pari. Se c'è una dimensione di amicizia, quella dimensione caratterizza la differenza e non c'è la solitudine. Noi e un ragazzino che sta in povertà educativa, giocare, andare al cinema, la lista potrebbe essere infinita. Ma faccio delle categorie un po' più pesanti. Voi avete rapporti di fiducia con i pari o con gli adulti? Avete avuto o avete ancora, perché siete ragazzi ancora giovanissimi, avete dei legami di fiducia? Sapete che significa potersi affidare a un'altra persona e confidare a un'altra persona? Questa è una ricchezza immensa. Sapete perché è una ricchezza immensa? Perché se un legame di fiducia ti consente di poter procrastinare un bene nell'attesa di avere una ricompensa più nel tempo. C'è un legame di fiducia a che fare con una competenza fondamentale che ultimamente viene studiata moltissimo, se io ho o non ho una speranza di futuro. Adesso sul futuro voglio essere chiaro, netto, anche un poco brutale su cui stavo accetto. Lasciate stare per piacere tutti quelli che parlano di un futuro già disegnato. Il futuro già disegnato non è un futuro, è un presente. Il futuro è quello che possiamo produrre noi a partire da noi stessi, a partire da quella che un famosissimo antropologo e filosofo americano indiano ha chiamato la capacità di aspirare. Adesso, voi a quale categoria di gioventù appartenete? A quelli che immaginano un futuro in delle forme diverse, variegate, un futuro come possibilità? Io potrei fare questo e potrei fare quello. O appartenete alla gioventù per cui il futuro già è disegnato. C'è uno script, un copione esistenziale per cui già sai quello che farai da grande. In realtà, le persone che capiscono questo sono magari figli di grandissime professionisti, sono soprattutto e tantissimi i figli delle persone povere o addirittura legate a forme di illegalità o qualcosa del genere che pensano che il loro futuro sarà inevitabilmente quello. Queste due categorie della fiducia e del futuro vi appartengono o non vi appartengono, però conoscete benissimo delle persone a cui il futuro, questa rivenzione del futuro come possibilità non appartiene. Un'altra cosa importante. Avete mai fatto esperienza, continuate a fare esperienza, che io ho vissuto negativamente, di qualcuno che vi dà valore? Caspita, ma come sei bravo a fare questo? Come sei bello quando fai questo? Ma farmi vedere che cosa sai fare, sembra una banalità, ma questo è un principio fondamentale dell'educazione partire dal fatto, e la valutazione significa dare valore, partire dal fatto che io riconosco una persona che ha valore, non una persona che è incapace, ma è apposto cretino, sei uno stupido, sei un incapace e così via. Cioè, che speranza c'è di accendere la speranza di una persona che viene bollata per quello che non è, per quello che non sa fare? Guardate che il lavoro, anche sulla dispersione scolastica, parte spesso da questo tragico errore di rapportarti a te perché sei incompleto, inefficace, asociale, ignorante. Fateci caso, tutte parole che nascono con un prefisso che ti definiscono quello che non sei, è un assurdo. E voi, se avete fatto esperienza di valorizzazione di qualcuno che vi ha valorizzato, nello stesso tempo, conoscete persone che sperimentano continuamente una loro svalorizzazione? Voi dovete fare l'esamen di italiano di maturità. Allora, andate a guardare, non vi dico andate a leggere, cosa sarebbe più bello se lo leggisse. La patente di Pirandello, ci sono delle cose meravigliose fatte. La patente di Pirandello è bellissima, dovrebbero leggere tutti gli educatori, docenti e non solo docenti, per capire qual è l'effetto che produce il processo di stigmatizzazione. La patente di Pirandello, la sapete la storia, la ripeto, perché io non la so molto, ma allora non la ripeto. Voglio la patente che sono un enagramo, perché praticamente tu stai riducendo una persona, lo stai ricattando, a un processo per cui l'unico elemento di identità a cui quella persona può ricorrere è il suo stigma, l'etichetta che gli hanno messo, e questo è l'ultimo, poi penso che devo quasi interrompere, questo è l'ultima cosa che vi voglio dire. I processi educativi devono inevitabilmente nascere da processi di stigmatizzazione. Cioè, se il giudice avesse detto al personaggio della patente, no, ma lei è veramente un enagramo, avessi detto, ma Caspido, ma lei sa giocare con scopone così bene? Per dirindino. Ma lei è andato alle Isole Oli, lei è stata a mangiare in questo posto dove io volevo andare? Cioè, quella non avrebbe chiesto più la patente, probabilmente avrebbe fatto un'amicizia con cui fare delle cose. Allora, ripensando a tutte le cose che vi ho detto, su cui potremmo anche attenerci, qual è la comunità educante di cui avete fatto parte? Chi sono tutti gli attori della vostra vita espliciti o impliciti, dei quali avete percepito immediatamente che erano attori educanti? O che adesso vi potete sorprendere a pensare che hanno fatto parte del vostro processo educativo su questa faccenda? Qual è la comunità educante di cui avete fatto parte? Adesso possiamo riprendere il proverbio famosissimo da cui è partito Samaden, per crescere un bambino ci vuole un villaggio. Qual è stato allora il vostro villaggio che vi ha fatti crescere? La comunità educante deve partire da questa scommessa. Non viviamo più nel mondo in cui, a parte la crisi degli adulti, che non ve la racconto, ma se mi guardate capite di cosa sto parlando, però la scommessa dei processi educativi è proprio di questo tipo. La scuola da sola non ce la può fare. La scuola ha bisogno, ma non solo la scuola, il mondo, i ragazzi prima di tutto, ovviamente, e devono poter partecipare al discorso. Non sono oggetti inerti. La comunità educante parte da voi dal fatto che c'è un processo di valorizzazione della vostra capacità di poter esprimere, con molta fatica, perché non è facile esprimere certe cose, i vostri bisogni, i vostri desideri, i vostri bisogni proprio di crescita, di sviluppo. Allora questo bisogna crearlo. E sia ben chiaro, non esiste uno schema di comunità educante, quello che voleva dire Lisa, che è uguale per tutti, perché la comunità educante, immaginate, lasciate stare anche quello che vi hanno insegnato sull'evoluzione, probabilmente, è una cosa fatta di macchie, di differenze, è una pluralità biologica, ecologica. E questa è la comunità educante. Quindi, vabbè, ragazzi, forse ci avremo ancora un po' di tempo. Comunque buon viaggio. L'ultima cosa che voglio dire è che dovete essere attivi. Che cosa potete fare voi di attivo in una comunità educante? La vita cura la vita, è verissimo. Che cosa potete fare voi, non di compassionevole, ma di cooperativo con i vostri amici che non hanno una comunità educante alle spalle? Qual è il ruolo attivo che voi potete svolgere in questa faccenda? Secondo me, molti di voi già lo fanno. Forse non sanno neanche che lo fanno. Ed è il caso di rinforzare questa vostra presenza positiva. Grazie davvero, bellissimo intervento, Pirozzi. Anche perché, diciamo, fa capire come la comunità educante non è una cosa che si disegna a tavolino, ma è una materia viva che cambia, che c'è, che c'è e che muta. Allora, abbiamo ancora poco più di dieci minuti. A stamada mi chiederei una sorta di conclusione di sviluppo di questo progetto. Poi se rimane qualche minuto, anche i ragazzi se hanno voglia, volentieri di fare una domanda o qualcun altro dalla sala di fare una domanda, ci proviamo a stare nei tempi. Sono molto contento, ringrazio Salvatore, perché era opportuno che ci fosse uno sguardo adatto al tema per non confondere gli indicatori con una griglia rigida che pretenda di far diventare l'educazione un processo certo. Quindi siamo in un mondo in cui le insicurezze crescenti in tanti spingono questi tanti a cercare di rassicurarsi attraverso delle rigidità, delle griglie. E questo accade spesso ad esempio a scuola. La scuola è un esempio di come i ragazzi vengono valutati secondo griglie rigide. Sei bravo o sei cattivo? Suficiente o insufficiente, punto. E questo va superato e quindi guai a noi pensare a un indice di capacità educante di un territorio che abbia a che fare con una rigidità di una griglia. Sarebbe la negazione stessa dell'educazione. Quindi quello che ha detto Salvatore è molto importante perché va al cuore del nostro pensiero, che è quello proprio di accompagnare un processo, un processo di miglioramento educativo. Nessuno ti dice come si fa, nessuno ti dà il libro da leggere e poi tu diventi bravo. È veramente un processo di evoluzione. Ci sono diverse ipotesi di evoluzione del nostro sistema, del nostro mondo. Ognuno deve fare i conti con la propria, ognuno deve decidere come vuole evolvere, qual è la parte di futuro che vuole costruire qual è il cibo che vuol dare alla propria anima rispetto alla propria evoluzione. Questo è una faccenda estremamente personale. Arrivare a questo è tanto più facile quanto più tu hai avuto qualcuno che da quando sei venuto al mondo con maniere diverse ma ti ha trasmesso quella possibilità. Arrivare a un momento della tua vita in cui tu senti che hai la possibilità di stabilire, di decidere che cibo dare alla tua anima. Come fare a rendere te stessa unico? Questa cosa qui è un qualcosa che è infinito, ma non ci si perde in quell'infinito se si sta centrati sulla propria voglia di vivere, sul proprio desiderio di riempire la propria vita di qualcosa che abbia senso e per cui valga la pena. Questa è la grande sfida. Diciamo che noi come fondazione e con questo indice di capacità educante vogliamo provocare il sistema. Tendenzialmente è questo quello che è l'obiettivo. Non certo pretendere, ripeto, di avere una risposta assoluta ma provocare il sistema vuol dire dare uno scossone a chi può fare e poi proporre insieme delle possibili soluzioni molto sartoriali sui singoli territori però aggiungere un pezzo che troppo spesso non viene utilizzato che è quello del mettere in condivisione, di fare in modo che per migliorare un certo indicatore, uno di quei dodici indicatori, per migliorare quelli indicatori tu devi mettere in campo dei progetti, delle azioni concrete. Alcune sono quelle che magari sul tuo territorio hai già, fai già, ma però alcune possono provenire dalla conoscenza che tu fai di qualcosa che sta facendo qualcun altro, più o meno vicino a te. Ecco che in questo sogno di una grande capacità di crescere insieme la vita c'è il tema del mettere insieme gli strumenti, dell'unire le forze. Tante volte si dice poi nella pratica in realtà spesso ognuno di noi è preso da una sorta di chiusura che peggiora quando poi dopo c'è un ego potente allora automaticamente tutto diventassero egocentrico. Però queste cose sono i nemici delle cose che noi stiamo cercando di spingere e provocare. Siamo abbastanza lucidi nel sapere che non è che arriviamo noi belli belli che abbiamo scoperto il mondo, siamo dotati di una sufficiente dose di umiltà per sapere che nessuno è maestro su queste cose, ma si diventa attori partecipando, vivendo e soprattutto costruendo nello spirito che diceva Salvatore una sana sperimentazione quotidiana, una sana sperimentazione quotidiana di strumenti, di relazioni all'insegna della, di quello che io dico, la vita vera, le cose vere. Per capire se una cosa è vera non devi sforzarti col cervello, devi sentire. Quindi devi essere capace di aprire quel canale lì e quel canale lì ha a che fare con le paure per cui il nostro stare insieme, il nostro viverci e ascoltarci per capirci e per non giudicarci è lo strumento con cui in qualche maniera ci possiamo aiutare ad abbattere le paure che ci affliggono che bloccano quel canale di sensazione e di emozione che poi ti dà senso profondo al tuo vivere, è il cibo dell'anima. Quella cosa lì si blocca in una società che tanto più quella società è orientata a guardare l'avere, a guardare una sorta di alimentazione del proprio ego a scapito di quello che sia intorno, quei canali si bloccano. E quei canali quando sono bloccati portano come conseguenza la solitudine e la difficoltà a immaginare se stessi nel futuro. Ecco, queste sono le cose rispetto alle quali noi vorremmo riuscire a fare qualcosa. Con grande umiltà ma con grande determinazione vorremmo essere un pochettino utili. Non fosse altro perché viviamo di soldi pubblici, quindi siamo di tutti. Io non smetterò mai di dire che la fondazione dei Marchi è una fondazione di tutti e tutti hanno diritto a sentirla propria proprio perché viviamo di danari provenienti dal lavoro, dalla fatica di tutti i cittadini Trentini. Ecco, questa è la prospettiva, questo è il desiderio di costruire su una scala nazionale delle alleanze. La attenzione che dovremmo saper mettere non sarà soltanto del perfezionario di indice, l'indicatore, questa roba da ricercatori, la pensiero sicuramente competente che abbiamo, ma l'attenzione più grande la dovremmo mettere a noi stessi. Ce la dovremmo mettere nel mantenerci umili, nel ricordarci che non si può stare in un processo educativo di valore se non attraverso una grande azione di messa in discussione di se stesso continua. E questa sarà la cosa a cui dovremo dare più attenzione, nel costruire un'alleanza che non potrà essere formale, non potrà essere pezzi di carta scritti sottoscritti, dovrà essere un'alleanza di relazione e quindi noi immaginiamo questa storia qua. Può essere anche che magari siamo un po' sognatori, però comunque ci crediamo. Io sono fermamente convinto che in questo panorama che abbiamo davanti così pieno di criticità ci sia sempre comunque una fiammella che ci scalda e che ci emoziona. E quando noi riusciamo a individuare che quella persona che abbiamo incontrato, quel pensiero che abbiamo incontrato, quel libro che abbiamo letto ci ha alimentato con la fiammella, quella è la strada giusta. E su quella strada noi possiamo costruire tantissimo, tantissimo, ognuno per sé, ma nello stesso momento insieme a tantissime altre persone. Questo è un pochettino lo sguardo e la benzina che ci conduce. E poi insomma, chi verrà vedrà. Bene, grazie. Direi che purtroppo il tempo è quasi scaduto. Mi hanno detto che dobbiamo rispettare i tempi, dobbiamo essere veramente rigidi su questo. Io volevo ringraziare quindi chi intervenono, Salvatore Pirozzi, Elisa Bortolamedi e Federico Samadani per questo incontro. È stato davvero interessante, molto interessante anche per me che conoscevo benissimo queste materie. Grazie di aver partecipato ad essere intervenuti e al prossimo appuntamento. Arrivederci. Grazie. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org
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