Stati di emergenza e il ruolo del terzo settore
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Stati di emergenza e il ruolo del terzo settore
Il talk tra Giampaolo Musumeci e Rossella Miccio ha riguardato gli stati d'emergenza e il ruolo del terzo settore, in particolare dell’ONG Emergency, di cui Miccio è presidente. Tra i vari demi discussi è stata sottolineata l'importanza di sensibilizzare l'opinione pubblica per sostenere gli interventi umanitari.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Buonasera, buonasera a tutti a questo incontro, stati d'emergenza e il ruolo del terzo settore, questa meravigliosa cornice che ci ospita qui nella biblioteca comunale di Trento, abbiamo un interlocutrice d'eccezione, Rossella Miccio, presidente di Emergenze, Rossella Ciao, buonasera. Ciao Gianpaolo, buon pomeriggio a tutti e tutti. Ci diamo del tu perché oltre a che andiamo a fare evaporare qualsiasi liturgia eccetera, ci conosciamo da un po' conosco molto bene il lavoro di Emergenze e quindi sarà credo molto utile dare a esplorare quelle dinamiche di Emergenze e del terzo settore in generale. Per i forzi pochissimi che non sanno esattamente cos'è Emergenze cosa fa Emergenze, avete preparato un piccolo contributo, qualcuno direbbe un'RHVM? Posso fare? Io lo sognavo da una vita di vera. Agilizziamo le RHVM. Forse. In letterativa? No, ero già pronta la posta per terminare. Perchè crediamo che la munizione della guerra sia una ugliene, questo credo sia il lavoro culturale di Emergenze nei prossimi anni. Perchè crediamo che la munizione della guerra sia una ugliene, questo credo sia il lavoro culturale di Emergenze nei prossimi anni. Perchè crediamo che la munizione della guerra sia una ugliene, questo credo sia il lavoro culturale di Emergenze nei prossimi anni. Non possiamo più tenere questi pezzi di umanità soffrenti che vanno a morire per questa malattia stupida e folle. E così sintetizzati in pochi secondi missione, modalità e testamento in qualche modo, anche di Emergenze che normalmente si potrà negli anni. Abbiamo visto alcuni scampi di immagini che erano da luoghi molto molto lontani, ma tra pochissimo ricorderemo che Emergenze, come tante altre energie italiane, lavora anche in Italia. Così iniziamo anche a montare un po' di stereotipi, un po' di luoghi comuni di attacchi un po' francamente svilenti che ultimamente avete dovuto subire. Per fortuna o per sfortuna, non so neanche bene come dirlo, sei fresca di Etiopia e pronta a scaldare i muscoli per il Sudan. Anche le espressioni mi vedo conto che può essere un po' sguocciolevole. Sono due aree in cui state per aumentare il vostro impegno altre in cui andate a ripristinarlo, perché sto pensando al Sudan e non siamo messi benissimo. Due aree che hanno una cosa in comune. Mentre tutti eravamo concentrati sulla crisi in Ucraina, in Etiopia si è consumata una guerra civile pazzesca con i ribelli del TPLF, il Tigrai, l'India si in guerra dell'Eritrea, con un numero di morti pazzesco, molto superiore a quello di Ucraina che ha lasciato un paese in una situazione molto molto vulnerabile, un paese guidato da un premio Nobel per la pace che si faceva ritrarlo in prima linea con i suoi soldati. Possiamo discusire, ma sicuramente un'immagine fortissima questa cosa qua. Lì si è stata qualche mese fa, qualche settimana fa. E poi domani parti per Jeddah e poi, sperando bene, arrivi a Port Sudan e poi a Lille. E in Sudan sapete cos'è accaduto. Qualcosa di, ne discutavamo prima, prevedibile e allo stesso tempo surreale. La caduta di Omar al Bashir, il sollievo di tanti sudanesi, che si cade un dittatore che per trent'anni ha retto mano militare il governo, ci troviamo due generali. Uno, più o meno a tutti gli effetti generali, al Buran, capo di Stato Militario di Difesa e de facto guido del paese, è un generale metiche, definire controverso è un eufemismo, perché, se ricorderete la guerra in Darfur, c'era una parola che veniva l'italianata tante volte, era Janjaweed, cioè i diavoli a cavallo. C'era un'esistenza particolarmente feroce di popolazioni arabe che andava a sterminare anche tanti civili in Darfur. Ebbene, dicevamo, in Africa a volte basta una divisa pulita, due gradi da generare sulle spalle, e cancelli anche i crimini dell'umanità. Ecco queste due persone, al Buran, generali metiche stanno tenendo sottoscacco un intero paese. Nel nostro amico, fresca di Etiopia e calda di Sudan, ti faccio la prima domanda, perché abbiamo due casi di emergenza pazzesca. Anzi, le domande sono due. Primo, come mai noi giornalisti ci disaffezioniamo così tanto a crisi così apparentemente lontane? Cioè, qual è il nostro errore di fondo? E secondo, come fate voi a bilanciare due crisi anche abbastanza vicine volendo? Perché comunque anche l'intervento umanitario ha risorse scarse limitate, quindi ti chiedo come fate a dare una scala di priorità in due interventi così massicci, Rosella? Due domandine. Due domandine, come al solito, dai. Esatto. Beh, la prima forza dovresti rispondere tu, non io, ma nel senso che io me lo chiedo spesso, per quale motivo i giornalisti media italiani, ma anche internazionali, perché poi, diciamo, ce l'ho fuori dai nostri confini, non è che si legga tantissimo della guerra in Etiopia, piuttosto di quello che sta succedendo adesso in Tigrai, salvo e forse in un paio di paesi che per interessi diversi allora approfondiscono, ma il pubblico in generale non viene sollecitato. Io questa cosa non me la so spiegare, perché credo fortemente nel ruolo del giornalismo, nel ruolo, come dire, nel contributo che il giornalismo debba dare alla creazione di una cittadinanza consapevole. E quindi mi aspetterei che i giornalisti e anche gli editori, poi delle testate giornalistiche ovviamente, diranno spazio e voce a queste crisi che riguardano centinaia di migliaia, se no milioni di persone. Tu accennavi prima ai morti del Tigrai, in Tigrai, che è uno degli stati dell'Etiopia, l'Etiopia ha 120 milioni di abitanti, in due anni di guerra si va da un minimo di 600 mila morti a un milione, un milione e cento, più o meno, così. Quante volte ne avete sentito parlare? Forse una, magari, non si sa. Stessa cosa sta succedendo adesso in Sud. Parliamo di Afghanistan, che ormai sembra quasi un paese cancellato dalla mappa geografica. Ed è un problema, però, questo. È davvero un problema perché l'assenza di notizie, di informazione su questi ambiti, come dire, agevola il sonno della ragione della cittadinanza. E questo penso che sia un problema di democrazia che dovremo affrontare un po' tutti. E Rossella, però, impatta sul vostro lavoro perché se la gente è meno consapevole della gravità di una crisi, tu fai più fatica a intervenire. Io faccio molta più fatica di intervenire, soprattutto perché intervenire vuol dire mettere a disposizione risorse economiche, umane, ecc. che nel caso di emergency arrivano in larghissima parte, per fortuna, da centinaia di migliaia di persone che decidono di condividere con noi questo percorso, di partecipare, di fare il loro pezzettino. Ovviamente, se la voce è sempre solo la nostra non c'è un eco che le dia forza, diventa più difficile far capire quanto necessario sia il lavoro che andiamo a fare quindi, quanto importante sia, contribuire. Questo, ovviamente, negli ultimi anni, poi con la crisi dell'Ucraina, è stata una cartina di tornasole di quanto influenzata e influenzabile sia l'opinione pubblica, la politica , di conseguenza, poi anche i media, ma anche il mondo umanitario. Io vi do proprio due numeri così. Per la crisi integrai, l'Unione Europea, cco che il Dipartimento dell'Unione Europea, che si occupa delle crisi umanitarie e della protezione civile, ha messo a disposizione un budget importante per il 2023 82 milioni di euro. Ecco, per l'Ucraina, solo la prima allocazione per quest'anno, quello che l'anno scorso era il doppio, ra di 150 milioni ed era solo la prima allocazione. Ora, sicuramente l'Ucraina e la guerra in Ucraina è un disastro da tanti punti di vista, perché la guerra è sempre un disastro, ma questa sta davvero mescolando talmente tanto le carte in tavola che non so come ne verremo fuori, però che per un Paese come l'Etiopia, sicuramente più povero dell'Ucraina, sicuramente con bisogni superiori rispetto all'Ucraina, la disponibilità sia la metà, ti fa capire anche poi quali siano le difficoltà nell'intervenire. Quindi noi cerchiamo di seguire quelle che consideriamo le priorità rispetto ai bisogni e non rispetto a quanto sia accattivante la crisi del momento, con sempre maggiori difficoltà. Però il bisogno c'è e quindi siamo andati in Etiopia, continuiamo a andare in Sudan, continuiamo a lavorare in Afghanistan, etc. Quindi se ben capisco un primo sforzo di emergenza del terzo settore, di ristabilire, lo dico, è brutto mi rendo conto, ma sono cinico e spietato, lei lo sa, una gerarchia delle crisi, ristabilire una gerarchia delle crisi, perché alcune crisi sono più importanti di altre, non tanto per l'impatto umanitario, guardiamo il numero dei morti, dovremmo dire l'Etiopia da nazione, non c'è paragone, ma siccome nel racconto mediatico nella decisione politica subentrano altri fattori, l'Ucraina è uno stato dal punto di vista geopolitico cruciale, videntemente l'attenzione mediatica, politica, etc. in qualche modo va a offuscare l'attenzione umanitaria. Qualcuno più cinico di me potrebbe dire, bella forza, ma lei fa il terzo settore, tu fai il giornalista, la politica fa la politica, non necessariamente e non tutta la politica è umanitaria o deve essere umanitaria, sta a noi credo i lettori decidere se vogliamo una politica umanitaria o meno. Io vorrei una politica umana magari, anche se non umanitaria, nel senso che credo che questa sarebbe una riflessione importante da fare con la politica, cioè capire davvero di che cosa si deve occupare questa politica quindi se è davvero lo strumento che abbiamo per capire come condividere questo globo su cui siamo tutti. Stai dicendo globo a terraque? Quindi se è davvero trovare delle modalità, un minimo comune denominatore che ci metta tutti d'accordo perché davvero non possiamo continuare ad avere prima io, poi forse tutti gli altri in un mondo globalizzato come il nostro, non ha nessun senso, o se forse siamo ancora al 1800 con la politica di egemonia, di potenza e quindi più mostro i muscoli più non so cosa, perché poi gli effetti li vediamo tutti non solo noi. No, un po' una fotografia, un'analisi, un po' un allarme, un po' un appello quello di Rossella, però siccome prima chiacchieravamo di quello che sarà un viaggio non facilissimo che dovrei compiere, ti vorrei solaticare su questo perché forse non tutti sanno almeno chi non ha mai lavorato in zone di crisi, chi non ha mai lavorato nel terzo settore e dice vabbè adesso andiamo in Sudan vediamo cosa possiamo fare. No, intanto non vai in Sudan, fermi tutti. Cioè noi turisti andiamo in agenzia di viaggio, facciamo il visto, andiamo Cioè noi turisti no, ma è stato Sherman Shake, però il turista meglio, mettiamola così. No, tu mi dici dove andare a Jeddah? E dice, bah carina Jeddah. No, oltre che carina è importante perché sono i colloqui di pace in corso. Voi sapete, Ejida Saudita, americana, gli americani, la loro Ejida diciamo i rappresentanti di Al Buran e di Emeti che si erano messi d'accordo per una tregua di sette giorni che è vacillata, cioè hanno iniziato a spararsi dopo sette ore, forse sono confusi, hanno scritto mal in arabo, non lo so, sette giorni sette ore. Quindi passi da Jeddah, da lì prendi un volo non con una compagnia, come si chiama la compagnia? Tarko Airlines. Voi non vorreste mai volare con Tarko Airlines? Io no perché era la blacklist europea. Cosa vuol dire essere nella blacklist europea? Che non rispetti esattamente le standard e le forme di procedura dell'Unione Europea. È stato un piacere vederti Rossella, quindi tocchiamo le linee, queste sono le prime due difficoltà. La terza difficoltà è che in Sudan è uno stato federale in buona sostanza. Quindi cosa vuol dire? Che tu arrivi a Port Sudan che è uno stato. Red Sea. Tu c'hai il tuo bel visto? Io ho il visto per entrare in Sudan fino a Port Sudan. E poi? Poi per muovermi da Port Sudan il percorso solito, vabbè l'aereo non esiste perché l'aeroporto di Khartoum è cancellato. Quindi il percorso solito da nord è bloccato per questione di sicurezza. L'unico percorso che si può fare per arrivare a Khartoum è da sud passando per altri tre stati prima di arrivare nel quarto stato che è lo stato di Khartoum. Per fare questo giro che in condizioni normali forse in un giorno più o meno ce la fai, qui nella migliore delle ipotesi se tutto va liscio ce ne vogliono tre, perché in ogni stato ti devi fermare perché lo stato Red Sea ti dà il travel permit per arrivare allo stato successivo che è Kassala. A Kassala devi fare tutta la procedura per avere quello per Ghedareff. Da Ghedareff a Jazeera e poi da Jazeera si tenta la sorte per andare a Khartoum perché in quel tratto di strada è ancora abbastanza conteso tra le forze LRSF e dell'esercito e quindi ci sono un po' più di complicazioni. Questo per dirvi che molto spesso noi del terzo settore percepiamo la vittoria sul progetto, magari esce un video, un documentario, la foto, abbiamo questo ospedale, abbiamo guarito tot pazienti però c'è tutto un lavoro dietro che è particolarmente impegnativo e molto spesso ci troviamo perché anche noi reporte sul campo viviamo esattamente la stessa dinamica in termini di logistica, mobilità, sicurezza che vive un ruolo del terzo settore. Volevo dire una cosa rispetto a questo e rispetto al ruolo del terzo settore in queste crisi. Molto spesso noi ci troviamo a lavorare in contesti e in situazioni dove le istituzioni non ci sono. Il Sudan in questo momento è un caso, l'Afghanistan è un altro, lo Yemen, lo stesso. Molto spesso le ONG, le tanto vituperate ONG rimangono l'unica presenza davvero minimamente utile non solo per la risposta ai bisogni ma anche per restituire un minimo di speranza alle persone che sono lì di non essere abbandonate quando le ambasciate, i governi vanno via. È successo in Afghanistan nel 2021, è successo adesso in Sudan dove tutte le ambasciate perché è stato attaccato proprio il centro della città sono volate via a fine aprile e siamo rimasti noi. Ho sentito Franco Masini, il vostro coordinatore medico coraggioso e audace chirurgo che da Cartoon dal vostro ospedale, cardiologo dal Salam ci ha raccontato Noi siamo qua, dormiamo qua come se fosse la cosa più normale del mondo. Quindi sì, da un lato c'è una presenza che è effattiva e dall'altro c'è anche forse una presenza simbolica, direi quasi di diplomazia. In tanti contesti sì, nel senso che poi rimaniamo gli unici interlocutori e anche quelli che spesso poi riportano qui alle istituzioni la realtà sul terreno perché altrimenti vengono riportati di terza mano. E qua tocciamo un punto interessantissimo perché noi abbiamo titolato il panel Stati di emergenza e il ruolo del terzo settore, c'è questo incredibile paradosso per cui molto spesso per noi giornalisti, loro sono fonti di informazioni incredibili perché rimangono lì, perché quando io la diretta sulla D24 nel suo logo lontano di una settimana fa ho sentito la voce di Franco Masini, lui mi ha detto delle cose, mi ha riportato delle notizie, sparano qui, non sento più colpi lì, abbiamo tot pazienti e sono fonti di informazioni che se io dovessi acquisire dovrei fare esattamente quello di sé, che andrei a fare tu adesso. Quindi forse c'è anche un'errata percezione del vostro ruolo su tanti aspetti. Ti porto su quello che è un motivo di attacco una vulgata, però spesso venite attaccati da questo punto di vista. Ah, lavori in Sudan, pensi ai poveri cardiopatici, poi torniamo sul modello, cioè quello ospedale in realtà il modello di eccellenza, poi ci arriviamo. E poi c'è la Luvione nel Mila-Romagna e dove siete? A Faenza. Appunto, stavo vedendo questa cosa. E chiaramente era una piccola provocazione, però tantissimo NG con vocazione internazionale come mergency, lavorano anche in Italia. Perché? Perché fra l'altro voi vi chiamate emergency e quindi se l'emergency come dire... No, noi ci chiamiamo emergency non planning, io lo dico sempre quando succedono queste cose, io dico ragazzi, ci chiamo emergency non planning, rimbocchiamoci le mani. Il caso di Faenza è interessante, perché li fate una funzione proprio molto specifica? Sì, perché noi che ci occupiamo, diciamo, di salute, di sanità, invece in questo caso ci è stato chiesto da il consorzio dei comuni Faentini di occuparci di logistica e cioè mentre la protezione civile sta facendo il lavoro grosso di pulizia, eccetera, ccetera, di defimozione del fango, la zona per fortuna direi è stata inondata di donazioni, di piccole idropulitrici, generali alimentari, prodotti bestiari, prodotti per l'igiene della casa che è fondamentale in questo momento soprattutto per evitare la propagazione di possibili epidemie e quindi i comuni ci hanno detto noi non abbiamo la struttura capace di gestire questa mole di donazioni che stanno arrivando e che sono necessarie per tutti gli sfollati, ccetera, eccetera, quindi ci ha dato degli spazi in fiera che noi abbiamo allestito con un magazzino, una gestione, abbiamo i nostri furgoncini che sulla base delle indicazioni comuni vanno a distribuire e in più ci hanno chiesto anche di gestire la disponibilità dei volontari, perché sono tantissime per fortuna anche qui le persone giovani meno giovani che si stanno mettendo a disposizione per poter dare una mano e ovviamente fermo restando alle attività specifiche della protezione civile, eccetera, eccetera, c'è tanto che si può fare però va fatto in maniera coordinata perché sia utile, è utile alle persone alluvionate e non soltanto alla propria coscienza e quindi da una settimana siamo a Faenza con i nostri volontari più tantissimi nuovi volontari e tante persone che stanno dando un contributo molto importante, credo. Quindi le aiutate a casa loro e ci aiutate noi a casa nostra? Aiutiamoci tutti diciamo, si vivrebbe meglio se ci aiutassimo tutti. Nel caso di Faenza quello che fate è una sorta di integrazione e accelerazione di uno dei processi della protezione civile, no? Cioè vi occupate di un pezzetto di quello che fanno loro, vi mettete d'accordo e cercate di accelerare quel processo, logistica, eccetera. In alcuni casi però, e qua veniamo alla patata bollente, quando voi andate a costruire l'ospedale fichissimo a Cartum, ne abbiamo parlato altre volte, è inutile che ce lo neghiamo perché è un motivo di scontro, tra virgolette molto bonario tra me e lei, no? Costruite questo centro di cardiocirurgia che è una cosa galattica, cioè non soltanto, cioè l'eccellenza medica ma anche bello, è un bello spedale, no? Prima o poi dovrà venirlo a vedere. Prima o poi, sperando da posto, vengo a vederlo e basta, eccolo. Allora, nei momenti in cui fate questa cosa, che il governo sudanese mai avrebbe potuto concepire, mettere a terra, trovare finanziamenti, sostenere, eccetera, ccetera, voi non state in qualche modo facendo abdicare il ministero della salute sudanese, non c'è una sottrazione di responsabilità, di consapevolezza, io sono il ministro della salute di questo paese, devo farlo io l'ospedale dell'eccellenza, non posso aspettare il bianco che mi dà una pacca sulla spalla con tanto paternalismo e viene a salvare l'Africa, è inaccettabile se io fosse il ministro della salute. Avanti, sconfessami. Ti sconfesso perché infatti è il ministro della salute che lo fa insieme a noi, nel senso che quello che noi abbiamo sempre detto ai sudanesi, così come gli ugandesi dove abbiamo costruito il secondo ospedale, è che quello che noi potevamo fare era metterci al loro fianco, contribuire sicuramente anche con risorse economiche, con risorse umane, ma se e solo se c'era una controparte locale impegnata allo stesso modo. Ed è quello che è successo, l'ospedale in sudan è stato costruito da noi, il ministro della sanità aveva consapevolezza del bisogno che c'era, non aveva gli strumenti però per riuscire a realizzare questa risposta al bisogno quindi ci ha detto bene, noi ci fidiamo di voi, fateci vedere se davvero riuscite a farlo, l'abbiamo costruito e da quel momento in poi tutti gli anni, cioè dal 2007 a marzo di quest'anno, che poi era aprile è successo il disastro, il governo sudanese, il ministero della sanità ha contribuito a coprire il 50% dei costi di gestione di questo ospedale, mettendo questi fondi nel bilancio dello Stato, quindi non fondi straordinari, ma fondi ordinari del ministero della sanità sudanese che andavano a coprire praticamente la quasi totalità dei costi nel Paese, quindi tutti gli stipendi del personale nazionale, il cibo per i pazienti, la benzina per i generatori, eccetera eccetera questo vuol dire che quando si parla anche di sostenibilità, eccetera ccetera, nel coinvolgerli da subito anche economicamente non solo perché li abbiamo coinvolti nella fase di gestione, abbiamo concordato con loro i programmi di formazione per garantire che lo staff poi fosse consapevole e capace di gestirlo anche senza di noi, nel momento in cui noi dovessimo per qualsiasi motivo andar via e loro hanno già tutto il sistema impostato e il fatto che si è cambiato, siamo cambiati, non so, 7-8 ministri della sanità da quando ci siamo, sia caduto il governo Bacchire, sia arrivati altri, eccetera ccetera. E' stata una costante il supporto al centro Salam, vuol dire che non abbiamo fatto abdicare ad una responsabilità, ma abbiamo fatti diventare protagonisti, abbiamo fatto diventare consapevoli di una responsabilità e in questi 15 anni di lavoro del Salam, quasi 16-16 ormai, mai sola volta c'è stata un'interferenza rispetto a questo paziente lo curi, quell'altro no, mi assumi mio nipote ma non assumi quell'altro, mai. E abbiamo curato pazienti che arrivano da 30 paesi, anche paesi con cui il Sudan non aveva rapporti diplomatici, era in guerra, era piuttosto che mai negato un visto, sempre visti gratuiti a tutti i pazienti, mai negata la possibilità di curare chi ne avesse bisogno. In parte mi ha risposto, tra poco ti dico, e mi hai quasi convinto, tra poco ti vorrei salutare invece su quello che è la formazione, perché credo che sia un altro aspetto importantissimo. Voi sapete che il terzo settore è passato da una logica, corregimi, anni 80-90 molto la faccio brutta, ti porto la mela, il pezzo di pane a sementi, cioè non ti do il prodotto finale, non ti do l'aiutino, ma aiuto allo sviluppo. C'è poi una letteratura superfiorente e consolidata che ha dimostrato che si possono fare cose insieme, la logica del partenariato, non più quella predatoria paternalistica ccetera. Però siccome manca circa un quarto d'ora, io vi proporrei, se avete domande, domande non commenti possibilmente, perché so come va a finire, io verrerò domande e invece fa una tesi di dottorato. Per cui, più domande che commenti, già iniziate a pensarci, magari vi alzate la mano, segnalate, arriverà qualcuno con un microfono e quindi saremo pronti a raccogliere le vostre istanze, soprattutto Rossella, ecco naturalmente. Andiamo alla formazione. Perché è evidente che un medico formato da voi, un infermiere formato da voi mi dà un'estrema fiducia rispetto a... Grazie. Racconto un brevissimo episodio, ma personale, ma per darvi la cifra di questa cosa. Ero in Congo, nella zona di Bandaka, ed era zona ebola, stavo facendo video, facendo foto eccetera, e ero un momento un po' particolarmente teso, stavo finendo l'epidemia, però come sai, bola, non c'è da scherzare. No. Per cui ho stato di tensione. Un mattino mi sveglio con un po' di febbre e dico, damnazione, e mi misurò la febbre, 37 e mezzo, 38, e quindi ad un certo punto ero in questo campo tentato dell'OMS, ma con tutti i infermieri congolesi, non si capiva se fossero o MS o... insomma è tutto molto caos, io alla congolese, un caos totale. Per cui a questo punto vado e dico, ho la febbre, e questo dice, ah ok, che altri sento meno febbre, mi sento un paio di testa, e inizio a prendere un sacchetto di plastica, e inizio a mettere dentro pastiglie bianche, di diverso tipo, e mi fa un sacchetto così, pieno di pastigliete, altro che il film, quello di pastiglia blu, pastiglia rossa, e io avevo delle smarties, e un coso così, scusa che cosa mi sta dando? Allora c'è l'antibiotico, l'antinfiammatorio, e ha citato una serie di cose pazzesche, e io guardo e dico, scusi ma è un medico, non sono un infermiere, e io ho detto ragazzi, fatemi uscire da qui, quindi poi sono riuscito a trovare un presidio medico di una nota NG, dicono non fare il nome, sono un vostro amico, vabbè, non lo dico, che mi hanno un attimino rassicurato, non avevo volevole, per fortuna ero semplicemente leggermente stanco, e detto ciò, la formazione importante, mi sono trovato di fronte un infermiere che in remote zone rurali del Congo fa tutto, per cui ti fa questa anamnesi, ti guarda e dici, ma no, secondo me non c'ha, io ero a posto, mi fido, no? Ecco, tema della formazione, quanto vi costa, ma in senso buono, non in senso in senso lato, quanto vi costa formare adeguatamente personale locale? Quanto facilmente è permeabile alle vostre, ai vostri input formativi? Dipende molto dal contesto e non è facile, non è facile perché spesso in alcuni paesi, più che in altri, esistono già tutta una serie, diciamo i baroni della amica, ce l'abbiamo noi, ma diciamo sono un po' ovunque, e quindi quando arriva il bianco, lo straniero che ti propone magari dei metodi diversi, alternativi e soprattutto con l'obiettivo di tirare sulle giovani generazioni, è in paesi dove la sanità è un business, cominci a rompere un po' le scatole, dai un po' fastidio e quindi riuscire poi a convincere chi può prendere le decisioni, che invece vale la pena fare questo investimento sulle giovani generazioni, valutare insieme poi l'andamento della formazione, eccetera, non è sempre facilissimo, però devo dire la verità che imposti come il Sudan, l'Afghanistan, ci siamo riusciti anche abbastanza bene, Luganda anche adesso, altri paesi come la Sierra Leone, per esempio, invece, è estremamente difficile, è stato, è ancora tutt'oggi uno dei nostri cruci maggiori, quello di non riuscire a formalizzare davvero tutto il lavoro di formazione che si fa con il personale locale perché è proprio il paese, il sistema, la struttura. Ci sono anche aspetti etnoculturali, perché mi stanno in mente soprattutto africo-orientale, occidentale, perdonatemi, certe credenze, un esoterismo diffuso, pensate che in Congo mi diciono due cose, ebola la portate voi bianchi, bola la portate le varie negite italiane, oppure ebola è colpa dello spirito dell'uomo cocodrillo, e diciamo cos'è l'uomo cocodrillo, è uno spirito che sia uomo che cocodrillo, naviga nel fiume Congo, poi di notte esce, assume sembianze umane, sparge l'ebola e poi torna. Quindi mi rendo conto che se un leader di un piccolo villaggio è convinto di questa cosa, tu gli dici no ma guarda facciamo una roba, facciamo una no touch mission, perché ebola si diffonde con liquidi corporali e contatto e lui dice no. Sì ma guarda questa cosa noi l'abbiamo vissuta su ebola in Sierra Leone nel 2014 in quell'occasione quando purtroppo ebola è arrivata nella capitale a Freetown, il governo ha cercato in tutti i modi di aprire un centro per il trattamento dell'ebola non riuscendoci, a quel punto ha chiamato noi perché ravamo considerati, diciamo quelli, l'organizzazione sanitaria nella zona della capitale un po' più credibile che aveva dei rapporti con la comunità e non è stato facile, non è stato facile per nulla però alla fine poi qualcosa si è riuscito a fare. Queste le mie difficoltà che si incontrano, non so se avremo difficoltà, raccoglio le domande nel senso che curiosità negli occhi, attenzione però magari si sostanza in qualcosa di domandoso. Buonasera. Volontariato spot, quindi il volontariato che arriva, il volontario che arriva nell'ONG veicolato sulla singola emergenza, diceva l'organizzazione affenza che si vuole mettere a disposizione. Questi volontari qual è la capacità di convertirli poi in volontariato stabile e non legato al singolo? Domandarò un milione di dollari, nel senso che questa è la sfida vera credo. Noi nel nostro caso abbiamo avuto un'esperienza precedente durante la pandemia di Covid, a Milano in particolare ma non solo anche a Roma e a Napoli, quando oltre alle attività sanitarie di risposta all'emergenza abbiamo iniziato anche un programma di attività sociali partendo dalla distribuzione del cibo fino al supporto un po' più ampio all'accesso al welfare di chi era escluso. È nato questo programma, si chiama nessuno escluso e lì abbiamo conosciuto tantissimi nuovi volontari quindi persone che si sono messe a disposizione adeguatamente formate, protette, eccetera, eccetera, partendo anche da ragazzi molto volenterosi ma poco organizzati. Ecco in quell'occasione poi una buona parte di quell'entusiasmo che gli ha accompagnati in quel momento di quella voglia di sentirsi utile è rimasta abbastanza. Dipende molto credo poi dalla capacità di ingaggio che si ha rispetto alle attività. Ecco noi come mergency in realtà facendo prevalentemente un altro tipo di lavoro abbiamo tanti volontari in Italia, alcuni sono anche qui, c'è un gruppo di volontari anche a Trento che tendenzialmente però fanno altro, diciamo, dall'aiuto immediato diretto. Quindi si occupano di fare programmi educativi nelle scuole perché appunto uno dei nostri mandati, l'avete visto, è la promozione della cultura di pace, iniziative, eventi, eccetera, quindi riuscire a trovare poi il giusto quilibrio per tenere soprattutto i ragazzi, soprattutto i ragazzi che hanno bisogno poi di sentirsi praticamente utili, non è facilissimo almeno per noi, per il tipo di lavoro che facciamo, però quando si riesce alla fine poi le persone restano, restano volentieri e cominciano poi a sentirsi anche parte di un progetto, sentono di contribuire un po' a un progetto perché in missione invece non mandiamo volontari, tutto personale, strutturato, con contratti, eccetera, eccetera. Grazie mille per la domanda, per la risposta, insomma sono percorsi diversi poi sul terreno, come avete sentito l'esempio Jedi, da prossimo anno eccetera, è chiaro che ci vogliono competenze e un'esperienza di un certo tipo. Se ci sono altre domande e commenti, se no io apro un capitolo velocemente, che no, non lo apro. Sì, buonasera, ieri stavo con Carmal, il premier Nobel 2011 qui a Trento, ha fatto un'asservazione un po' così, dice che secondo il suo punto di vista l'incontro era sulle democrazie eccetera, eccetera. Quello che sta succedendo in Europa da un po' di anni e nelle democrazie in genere, ccetera, eccetera, rispetto alla recollescenza delle destre, delle super destre, delle destre destre, e così, è diretta conseguenza delle invasioni che l'Occidente ha realizzato in questi ultimi 20-30 anni. Volevo sentire un suo commento, cosa ne pensi? Madonna! Spero che non sia a colitella. Che domanda! Io questo non lo so, sinceramente, credo che ci sia stata proprio un'involuzione nel pensiero occidentale che aveva toccato vette personalmente emozionanti dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando sono state costituite le Nazioni Unite, quando è stata scritta la ricarazione universale dei diritti dell'uomo che dice non solo che nasciamo tutti uguali in dignità e diritti, ma che è proprio il riconoscimento di questa uguaglianza che è il fondamento della pace, della giustizia e della libertà nel mondo. E quindi venendo a mancare questo riconoscimento, io credo che questo sia successo negli ultimi anni, ci siamo sempre più chiusi noi stessi e quindi abbiamo sempre considerato di più l'altro, proprio tanto altro da noi, senza capire invece quanto fossimo interconnessi che alla fine ci ci ritroviamo chiusi nel nostro orticello sentendoci assediati e quindi forse rifuggendo in slogan politici che ci danno l'impressione di una falsa sicurezza. Però su cosa sia sicurezza forse ci darebbe tanto da discutere per me personalmente, per l'esperienza che ho avuto, per le guerre che ho visto in giro per il mondo, sicurezza non è spendere 2.221 miliardi in un anno di spese militari, questo è quello che è stato speso nel 2021, nel 2022 li abbiamo ancora superati, perché non mi sento più sicura, le guerre continuano a aumentare, quindi cos'è la sicurezza. E questo credo dovrebbe essere un tema di riflessione profonda, non mi sembra che sia una priorità per la politica sicuramente non quella europea in questo momento, confidiamo nell'imprevedibilità della storia, come mi disse un grande maestro a Watson anni fa, io proprio disperata quando non se ne può più, la scella confida nell'imprevedibilità della storia, confidiamo. La volta l'imprevedibilità della storia ci consegna dei dossier che diventano un po' caldini da gestire, abbiamo 4 minuti circa se ci sono altre sollecitazioni, purtroppo non è tantissimo, anche perché serve un mare magnum da esplorare, non lo dico a caso, perché da poco avete deciso di ingaggiare forse una delle operazioni più complesse, lo so perché le ho vissute come reporter, che è il salvataggio in mare, quindi rote migratorie, quindi lavorare davanti a Libia, dico complesse perché richiede una serie di competenze pazzesche, cioè mettere in mare una barca, andare a cercare i migranti in difficoltà, andarle a salvare, è una cosa iper complessa. Chi lo ha fatto fare? Anche lì, perché c'è bisogno, perché la gente continua a morire in mare nell'indifferenza, anche qui in totale, anzi nell'ostilità, direi. Noi in realtà eravamo coinvolti da terra prima, perché lavoravamo nei porti di sbarco anni fa, poi ci è stato detto di uscire dai porti, nel 2017, 2018, allora era ministro degli interni in ITI, da allora abbiamo collaborato saltuariamente con altre organizzazioni che avevano attività in mare perché sapevamo da dove scappavano queste persone, noi di Libia ci abbiamo lavorato per due volte, sapevamo da dove venivano, perché ne abbiamo parlato fino ad ora, ritenevamo un dovere morale prima che legale quello di garantire il diritto alla vita di queste persone. Dopo queste esperienze con altre organizzazioni, visto che la situazione non accennava a migliorare, abbiamo deciso che era arrivato il momento di metterci la faccia quindi di impegnarci a 360 gradi su questo progetto. C'è ancora Gino, ne discutevamo ancora con lui, infatti mi spiace molto che questa nave bellissima e accogliente non l'abbia vista, però la necessità era quella, quindi da dicembre abbiamo la Life Support che fa su e giù, purtroppo molto su, perché ci mandano sempre più a nord con i porti, però in queste ore è proprio lì, di fronte alla Libia, ravamo alla ricerca di una nave, di una barca, con 500 persone a bordo, tra cui tante donne e una ci hanno detto pare abbia addirittura partorito a bordo, immaginate che cosa voglia dire, questa nave è scomparsa, questa barca è scomparsa, noi eravamo distanti 30 ore, quando siamo arrivati più o meno nella zona la barca non c'era più, non si pensa nulla, Malta non ci risponde nemmeno, anzi nega di saperne qualcosa, noi da mare, gli aerei che volano da cielo non vedono nulla che possa far pensare a un mafragio, da stamattina comincia a farsi avanti l'idea che Malta abbia dato indicazioni ad una barca privata, abbia pagato qualcuno per prendere queste persone riportarle in Libia, che non si può fare, si chiama respingimento il diritto internazionale lo vieta, lo dovrebbe vietare anche la coscienza perché queste persone scappano da violenze, abusi, torture, minacce in Libia quindi dovrebbe essere nostro dovere, Europa, patria dei diritti, garantire a queste persone il diritto ad una vita dignitosa, quantomeno all'asilo a poter avere un futuro, così purtroppo non è, ma noi continueremo a andare in direzione ostinate e contrario finché ce lo lasceranno fare. Qualcuno dice svuotare l'oceano con un cucchiaino, però un cucchiaino alla volta, noi fino ad ora abbiamo salvato 654 vite, avremmo potuto salvarne di più se non avessimo passato metà di questo tempo per andare a venire da porti distantissimi, però non ne vale assolutamente la pena, credo. Grazie mille. Rossella Miccio, Presidente de' Emergenzi. Grazie a voi tutti per essere intervenuti. Vi auguro Open Festival. Alla prossima. Grazie. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org
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