L'Europa risponde: dialogo sul futuro dell'Unione europea
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L'Europa risponde: dialogo sul futuro dell'Unione europea
Il talk ha esplorato il ruolo dell'Unione Europea e le sfide attuali, con un focus su come preparare i giovani al futuro, inclusa la digitalizzazione delle scuole. È stata sottolineata l'importanza dell'Europa nel lavoro della Commissione e la necessità di preparare la società alle sfide ambientali e tecnologiche.
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Tradotto? Tradotto, con due grandi virgolette, sono l'ambasciatore della Commissione in Italia. Che tradotto, visto che l'Italia non ha stato dentro dunque non ci può avere un ambasciatore, giustamente, cerco di spiegare Bruxelles all'Italia di spiegare l'Italia a Bruxelles. Due compiti improvvi, ve lo dico subito, difficilissimi. Però, insomma, ci proviamo. Lo faccio con un team di una cinquantina di persone tra Roma e Milano, più tutta una serie di fantastici uffici di informazione che si chiamano EDIC, che sono su tutto il territorio, che fanno un grandissimo lavoro, che sono sicuro che qualcuno di voi ha avuto piacere di conoscere anche nella preparazione, soprattutto i cinque condannati qui alla mia sinistra, nella preparazione di questa giornata. E dunque, fondamentalmente, veramente, quello che noi cerchiamo di fare è un misto per un lavoro che fa un ambasciato normale, veramente fare intelligenza politica, spiegare quello che sta succedendo, cosa probabilmente succederà o non succederà, comunicazione, comunicare l'Europa ai cittadini, perché poi da Bruxelles, quello che Daniele o io quando sono a Bruxelles da altre parti della mia vita professionale facciamo, è fare proposte legislative di lavoro, di aiuto, da cui poi nasce fondamentalmente l'80% della legislazione europea, che tocca a tutti gli aspetti della vostra vita, se non fatelo, ma quando andate a casa, se togliete la vostra maglietta che avete addosso, dentro trovate un marchietto, c'è uno standard, o quando andate a mangiare, quando andate a fare le spese al supermercato, trovate quei prodotti, non sono lì per caso, ci sono arrivato per avere subito dei controlli, che sono i controlli che vengono imposti a livello europeo. Non ci trovate la farina di grillo per darne una, ci trovate però una serie di ingredienti che sono specificati, sono specificati perché sono ingredienti salubri, la Commissione fa tutto questo, noi ci arriviamo qualche volta di spiegarlo, si può dire, compreso i politici, qualche volta, che effettivamente non ci mettiamo la farina di grillo, non vi facciamo mangiare la farina di grillo, ma chi se proprio la volete mangiare sappiate che non vi ammazza, non vi ammazza, al limite ingrassate. Allora, io che faccio la giornalista, invece, devo fare la sintesi, la cosa più interessante che ho capito dal discorso di Antonio, che siccome lui deve spiegare la Commissione europea, se alla fine dell'evento non l'avete capita, è colpa sua. Esattamente. Daniele, che cosa fai tu? Ottima domanda, dunque, io sono un prodotto Commissione, una cosa forse inconcepibile per i più giovani, in Commissione si fa una lunga carriera, sono entrato nel lontano 1993, quindi ho vissuto tante cose interessantissime in Commissione, non vi racconto tutto perché non abbiamo il tempo, probabilmente non è particolarmente interessante, ma diciamo quello che faccio adesso è proprio aiutare gli Stati membri a concepire e mettere in atto riforme, riforme in particolare della pubblica amministrazione, riforme in tanti altri settori, però riforme. Come sapete, come avrete sentito, i piani nazionali, i PNRR, sono composti da investimenti e riforme, non lavoriamo in particolare su questo punto. Perché il nostro Dipartimento è recente, sistiamo solo da pochi anni, perché qualcuno un giorno ha deciso che la Commissione europea dovrebbe occuparsi di riforme negli Stati membri. C'è un pregresso, c'è una storia, la storia proprio per due spunti di riflessione poi possiamo chiaramente approfondire. Alcuni di voi conoscono il semestre europeo, sapete che ci sono alla fine di ogni semestre delle raccomandazioni che vengono effettuate agli Stati membri, dovreste fare questo, dovreste fare quello, sono raccomandazioni importanti, strutturanti, però col tempo ci siamo resi conto che un tasso non particolarmente elevato di queste raccomandazioni viene di fatto messo in atto. Quindi da qualche parte si è ricominciato a identificare un problema. Il problema può essere o di mancanza di volontà di mettere in atto queste riforme, quindi il dialogo si svolge poi a livello politico, oppure mancanza di capacità, di competenza, quindi buona volontà, ma giustamente dice ma se avessimo saputo farlo l'avremmo fatto, se non l'abbiamo fatto perché non sappiamo come farlo. E quindi gli Stati membri possono chiederci, venire presto di noi, e in sala c'è un rappresentante di uno Stato membro con il quale abbiamo sviluppato un progetto molto importante, molto strutturante per l'amministrazione italiana, gli Stati membri vengono da noi, abbiamo questa esigenza, discutiamo insieme come mettere in atto. Un altro punto che ha portato la Commissione a pensare di mettere in atto un dipartimento che si occupa di riforme sono state la crisi in Grecia, e la crisi a Cipro, e la crisi in Portogallo. Forse i meno giovani si ricordano il tragico periodo 2012 e quegli anni lì in cui la Grecia ha rischiato di fare default, Cipro ha rischiato di fare default, dopo Portogallo, e dopo di che ci sarebbero state la Spagna, l'Italia e così via. E a quel punto ci si è resi conto che oltre alle raccomandazioni ai fondi che vengono emanati, che vengono forniti agli Stati membri i fondi europei, quindi i fondi di coesione, i fondi regionali, c'è proprio un problema a volte di mancanza di capacità, di nuovo di competenze. Quindi abbiamo creato questa struttura. Io personalmente sono 10 anni o 10 anni di esperienza di collaborazione con la Grecia concluderò, visto che abbiamo una giornalista di un quotidiano finanziario, l'Economist qualche settimana fa ha pubblicato un articolo intitolato Greece is a success story. Quindi questa nuova dinamica tra Cipro, riuscita ad emergere dal marasma nel quale si trovava, questi due paesi hanno potuto mettere in atto riforme oltre appunto a tutto quello che conosciamo sulla governance. Avresti potuto citare il sole 24 ore, ti avrei portato un articolo perfetto, però ci organizzeremo per la prossima edizione. Peraltro hai parlato di crisi e di cose nate legate alle crisi, proprio nell'incontro che abbiamo fatto ieri, l'altro ieri, io ho perso il senso del tempo qui a Trento, abbiamo proprio parlato di cosa succede in caso di crisi, quanto poi le crisi possono essere uno strumento di rinascita e di costruzione, se ovviamente si fa tesoro. Poi è interessante anche quello che dicevi sulle norme, sul fatto che magari ci siano, non vengono messe a terra, qua in Italia siamo dei professionisti nel normare poi non fare i decreti attuativi che servono di fatto perché la norma si applici. Io prima di fare una piccola domandina ai relatori vorrei subito coinvolgere i ragazzi perché noi abbiamo qua cinque ragazzi, vi ho contato bene perché anche in questo non sono bravissima, della consulta provinciale degli studenti, Aronne Mattedi che è il presidente, poi Lisa Montelle, Elena Schiberna, Lisa Villaresi e Alice di Domenico. Vi do spazio tra un minuto perché prima volevo chiedere ad Antonio e a Daniele se quando erano ragazzi si sarebbero mai immaginati in commissione europea, in Europa, quanto c'era di italiano all'epoca, quanto c'è di europeo oggi? Allora, premessa, io volevo fare il terminista. Poi a 18 anni, io ero in vacanza a Misano Boris Becker che alla mia età vi inseguì mi vedo nel mio accorso che forse non ce l'avrei fatta. Per cui mi toccarei a lavorare in realtà pensavo di fare altre cose. Pensavo di fare il diplomatico. L'Europa all'epoca era anche per me abbastanza sconosciuta. Poi all'università la conosco un po' più vicino poi il caso della vita ho avuto che abbia passato il concorso in commissione europea prima il concorso diplomatico poi mi è toccato a lavorare per cui il concorso diplomatico non c'è più fatto a farlo. E così ho virato sulla diplomazia europea mi sono fatto una carriera più o meno negli aspetti commerciali e esterni della commissione dunque ho questa fidia. No, non me l'aspettavo di fondo anche se mi era sempre piaciuto viaggiare mi interessavano altre culture mi piaceva imparare le lingue però onestamente no spero ancora di poter vincere Wimbledon una volta. Comunque appariva lontana l'Europa. Tut, Daniele? Molto vicino in realtà perché io sono nato e vissuto all'estero sono vissuto in Italia solo qualche anno della mia vita a Milano per 5-6 anni per il resto sono sempre stato fuori con genitori in carriere internazionali quindi a un certo punto lo voglio ardentemente volevo assolutamente entrare in commissione ra un obiettivo, ho studiato per quello mi sono preparato per quello onestamente è stato uno dei più beggioni della mia vita è stato quando sono finalmente riuscito a entrare in commissione. La domanda è, lo rifaresti? Assolutamente sì, mille volte sì perché è un lavoro assolutamente straordinario. Quindi ragazzi, non limitate i vostri sogni perché l'Europa siamo noi oltre ad essere molto più vicina parlando ovviamente di Bruxelles di quanto non appaia. Allora, partiamo con le domande. Aronne. Intanto, grazie per l'invito e per lo spazio. Ecco, la mia domanda vuole rivolgersi al Dottor Dotto. Infatti, noi sentiamo parlare di continuo di quelli che sono i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del fatto che bisogna investire sui giovani per rendere l'Europa resiliente a misura di giovane. Io però non nascondo di avere un po' di timore. Nel senso che non è che queste politiche siano orientate più ad un futuro che è a breve termine che quindi magari si ritorni un po' a quei vizi di qualche tempo fa in cui dei giovani non si sentiva parlare proprio. E poi un'altra. In che modo il futuro e il lavoro dei giovani sono messi al centro delle politiche europee? Il mio figlio direbbe grandi domande. In realtà dovete voi, giovani, pensare che tutto quello che stiamo facendo lo stiamo facendo per voi. Io ho figli più o meno della vostra età con loro condivido spesso e volentieri perché tutto il lavoro serve a preparare il futuro. Quindi il nostro punto di attenzione se parliamo di ambiente, se parliamo di digitale è come riuscire a preparare al meglio la società di modo che voi possiate approfittarne probabilmente non subire i danni che noi abbiamo fatto forse inconsciamente in materia ambientale molte cose non si sapevano. Da più o meno una ventina di anni che si cominciano ad avere studi approfonditi che purtroppo stanno dimostrando di essere corretti. Questo per dire che la dimensione ambientale ha iniziato a profilarsi una ventina di anni fa al massimo. Quella digitale sta seguendo una progressione che è stata prevista da pochi. E quindi il nostro lavoro è proprio quello di dire al centro del futuro domani non è per me, è per voi in realtà. E quindi sia in termini di politiche sia in termini di messo in atto del PNRR il nostro punto di attenzione è quello di creare le condizioni in modo che nel futuro voi possiate approfittare di quello che stiamo facendo oggi. Il PNRR è una cosa fantastica, unica è praticamente un piano Marshall 2. Anche in tutta la mia vita non ho mai visto una situazione simile purtroppo causata dal Covid, però appunto come si dice da prima è come si dice in inglese, never waste a good crisis quindi ci ha permesso di rimbalzare su questa crisi fare qualcosa di diverso. Ma il PNRR in realtà crea un debito potenzialmente colossale se non gestito bene. Quello che stiamo prendendo a presto oggi lo dovrete rimborsare voi. Quindi il nostro lavoro è quello di fare in modo che le riforme e gli investimenti, che sono i due pilastri del PNRR portino a rilanciare un'economia e renderla sostenibile per il futuro. Quindi voi siete veramente al centro della nostra attenzione voi l'ambiente e le generazioni a venire. Per quanto riguarda, e prendo solo un esempio, il PNRR italiano nel PNRR italiano ci sono missioni in particolare che portano, in particolare, che mirano i giovani. C'è il potenziamento dell'offerta di servizi di istruzione dagli esibiti dalle università, quindi siete al centro delle nostre attenzioni. L'anno scorso è stato l'anno del year of youth. Quest'anno è year of skills, quindi l'anno delle competenze. E le competenze chiaramente sono per gli adulti che devono fare , scusate, utilizzo molti termini inglesi, però è più facile upskilling and reskilling, quindi la riformarsi , diciamo, entrare e acquisire nuove competenze, ma anche per voi, per poterli permettere di disporre di quelle competenze che saranno necessarie per il futuro. Volei, poi possiamo chiaramente continuare la discussione, ma vorrei citare uno studio recente che ha dimostrato, che stima, che 300 milioni di posti di lavoro nel futuro verranno trasformati, non necessariamente persi, trasformati. Ora, per poter, grazie o seguito all'intelligenza artificiale, alla digitalizzazione, chat, GPT e quant'altro, se noi non avessimo voi come obiettivo del nostro lavoro, non faremmo quello che stiamo facendo, sapendo che 300 milioni di persone almeno dovranno cambiare lavoro seguito all'introduzione delle nuove tecnologie di informazione, noi lavoriamo per coloro che sono sul mercato del lavoro, ovviamente, ma anche per preparare voi all'utilizzo di queste nuove tecnologie. Quindi, veramente, sia dal punto di vista personale, ma soprattutto dal punto di vista istituzionale, c'è un interesse enorme per i giorni. Non abbiamo il tempo, però potrò condividere con voi tutti i fondi tutti le decine o i miliardi che l'Unione Europea sta mettendo in atto tramite, appunto, youth grantee, insomma, ci sono un sacco di possibilità per voi che vengono proprio messe in atto per i giorni. Dulcis in fondo, Erasmus, che è una delle grandi success story dell'Unione Europea, al mio, quando io ero all'università, non esisteva, adesso voi, grosso modo, spero che non abbiate approfittato tutti, quindi dimostrate nelle piccole cose come andiamo avanti. Vogliamo tranquillizzare Daniele che non lo multiamo per ogni parola in inglese. Probabilmente, grazie. Allora, non mi ricordo l'ordine dei nomi, aiutatemi. Ok, Lisa. Ok, visto che, appunto, stavamo parlando di riforme in generale, volevo chiedere sempre al Dottor Dottor quale potevano essere considerata il suo ruolo in DG Reform. Siccome voi vi concentrate proprio su riforme strutturali di carattere un po' politico-economico, però quale potrebbe essere una riforma di tipo educativo? Come possiamo, quindi, rendere, modificare delle riforme a livello scolastico così da rendere più accessibile il mondo delle relazioni internazionali anche agli studenti, così da trasformare la nostra generazione in una generazione più competente sui temi di geopolitica, di relazioni politiche? E, inoltre, vedete un gap tra l'Italia e gli altri stati membri in questo senso? Allora, ci sono quelle che chiamiamo le competenze dell'Unione Europea, settori nei quali possiamo intervenire, poi ci sono settori nei quali per trattato, per accordo tra gli stati membri non possiamo intervenire. L'educazione è un settore nazionale ed è, secondo me, giusto che rimanga nazionale perché l'educazione, come altri settori, devono riflettere la diversità culturale dell'Unione Europea. Il sistema educativo finlandese e quello greco, per prendere solo due posti geografici, ma posso andare dal Portogallo fino alla Polonia, sono sistemi chiaramente estremamente diversi. Quindi non c'è nessuna volontà di armonizzare uniformare i sistemi. Ciò sul quale noi lavoriamo in realtà è l'armonizzazione dei diplomi per fare in modo che i ragazzi possano viaggiare e che i diplomi vengano riconosciuti, un po' come la patente Erasmus che citavo. Quindi fare in modo che la mobilità degli studenti sia facilitata. Questo è il ruolo dell'Unione Europea, proprio intervenire laddove c'è queste dimensioni di mobilità delle persone, dei beni, dei servizi di capitale. Quindi direi che il nostro lavoro quando siamo sul terreno con gli stati membri nell'ambito dei nostri processi e progetti di riforma è quello di verificare ciò che lo stato membro, perché una cosa che non ho detto è che lo stato membro, noi interveniamo solo su domanda dello stato membro, quindi riceviamo una chiamata da parte dello stato membro che dice vorremmo effettuare questo progetto io non posso andare ad imporre un progetto da uno stato membro e questo è una cosa che funziona molto bene perché c'è un'appropriazione da parte dello stato membro dei progetti. Per tornare quindi al punto dei progetti in materia di educazione, noi verifichiamo quelle che secondo lo stato membro sono le proprie carenze, poi lavoriamo con enti specializzati, lavoriamo con i nostri colleghi del dipartimento che si occupa di educazione proprio per verificare cosa possiamo fare per chiudere i gap che eventualmente constatiamo, per esempio, un esempio molto concreto, la digitalizzazione delle scuole. Non ha secondo me nessun senso prepararli e preparare i ragazzi oggi al futuro senza un'integrazione del digitale, ma non semplicemente saper utilizzare un tablet o i social media, quella è una competenza marginale, sta diventando una competenza marginale, ma proprio riuscire a capire qualcosa di programmazione, riuscire a capire cosa vuol dire utilizzare quello che è la più grande ricchezza di nostri tempi sono i dati. Quanta gente anche nella pubblica amministrazione è incapace di andare a capire quelli che sono i dati importanti, lavorare con i dati, utilizzare i dati. I dati che abbiamo tutti, il Facebook sa più cose di voi o di me di quanto ne sa mia moglie, quindi è chiaro che a questo punto è lo sfruttamento dei dati che deve essere al centro del nostro attenzione. Quindi, quello che abbiamo fatto in un caso specifico, abbiamo iniziato a digitalizzare le scuole a vedere come finanziare proprio il cablaggio, l'acquisto dei computer che non abbiamo finanziato noi, finanziati altri colleghi, verificare, creare un programma, verificare che i docenti siano capaci di condividere questo, poi c'è stato appunto questo lavoro di messa in rete dei sistemi sporazici. Quindi si parte anche da quella dimensione lì. Sulla parte internazionalizzazione, questo penso che sia proprio una competenza assolutamente a livello nazionale, noi chiaramente diamo suggerimenti anche in quel senso lì, però è lo stato membro, sono stati membri che devono disegnare i propri piani di educazione, di formazione in funzione dell'internazionale. Primo perché tutti coloro che vanno all'università grossomodo potranno accedere a Erasmus, quindi bisogna già essere pronti. E poi perché non esiste praticamente, rimangono pochi mestieri che non abbiano la necessità di essere confrontati con l'estero. Quindi proprio dalla base bisogna effettivamente lavorare in questo senso qui. E qua diciamolo che in Italia c'è molto da fare, perché se è giusto non uniformare i sistemi perché ogni paese ha la propria cultura, è giusto che ci sia una base minima in comune, che adesso purtroppo non c'è, perché forse questa è una mia teoria personale, diciamo la nostra grande cultura, la nostra grande tradizione classica è quasi diventata una prigione per la nostra scuola, che quindi si siede su una tradizione classica ed è molto resistente ad aprirsi a nuove discipline. E questo è terribile perché noi abbiamo una tradizione classica, perché nel passato grandi geni sono stati innovatori. E quindi forse la scuola italiana dovrebbe fare, nel rispetto della sua storia, della sua cultura, della sua tradizione, uno sforzo aggiuntivo per riuscire a spingere i nostri giovani ad esperienze internazionali e supportarli, perché mi rendo conto che se si va in una scuola italiana soprattutto il primo scoglio oltre alla digitalizzazione è quello linguistico. Vai, schiscialbuttum però. Schiscialbuttum. No, io sono un prodotto della scuola pubblica italiana, ho fatto un liceo pubblico eccetera eccetera. Una dei grandi vantaggi che la scuola italiana ha avuto, almeno dalla mia esperienza, è stata quella di permettermi di sviluppare una capacità critica, di non prendere mai nulla per scontato, per poter criticare e analizzare in maniera critica le informazioni. Questo misura molto il minore della università. Non sono in disaccordo con quello che dici tu, Roberta, ma vorrei spezzare una lancia al favore di un mantenimento di questa capacità critica, perché in futuro i lavori che ci saranno, in relazione internazionale o qualunque altro tipo di lavoro che voi farete, saranno lavori che si modificheranno sempre, ma avrete comunque, in ogni lavoro, l'utilizzatore finale di un lavoro è una persona, per cui dovete capire comunque come funzionano queste persone. Questo non ve lo insegna, non c'ha uno skills che si può insegnare per comprendere le persone. Credo che le persone le comprendete leggendo i libri, forse fondamentalmente, stando insieme alle persone. Quello che è estremamente vero è che la scuola italiana, ma questo è un problema per tante altre scuole, non solo quelle italiane, sono troppe focalizzate sui loro paesi e credo che sia molto importante che ci sia molta più connettività e connessione tra le varie scuole. Erasmus poi recentemente ha cercato anche di facilitare tutto questo, per cui effettivamente il fare delle esperienze straniere, esterne, non soltanto italiane, è una di quelle cose che vi suggerisco tutti i giorni di fare nella migliore misura possibile, perché è una frase fatta, ma vi apre la mente. Anche perché, e poi Lisa ti do la parola, più noi cresciamo e l'esperienza, diciamo, fuori ci mette a contatto con realtà diversa, ambienti diversi, più abbiamo un valore quando torniamo e quindi il problema non è perdere le persone ed essere capaci di accoglierle, no? Quindi con la nostra tradizione, la nostra cultura, un'esperienza importante all'estero, avremmo una ricchezza incredibile da offrire. Lisa? Vi ringrazio innanzitutto per la possibilità che ci avete dato. Ieri abbiamo avuto la possibilità di incontrare Romano Prodi allo stand della Commissione Europea, mentre ci trovavamo lì in visita con la nostra consulta provinciale, e lui ci ha detto una cosa interessante, ossia che l'Europa non è unita. Quindi, alla luce di quanto vi ho appena detto e degli ultimi accadimenti, come ad esempio la guerra in Ucraina o la crisi energetica, in che direzione vedete andare l'Europa? Vedete l'Unione uscire rafforzata da questo periodo e appunto più unita o, al contrario, gli interessi locali e nazionali? Pensiamo ad esempio alla necessità di reagire velocemente al problema degli approvvigennamenti di gas e possano portare ad una spaccatura in questo senso? Questa è una bella domanda, Antonio, anche perché siamo andati forse a onde, no? Abbiamo aumentato le differenze, questo è successo, in tutta Europa. Sono nati i populismi, poi è scopiato il Covid, ci siamo uniti per vincere questa battaglia e adesso, con la guerra, l'inflazione, i problemi delle catene di approvvigionamento, i problemi ritornano. Cosa succederà? C'è una bellissima frase di Paul-Henry Spach, il ministro degli esteri belga, 1957, avrete sentito che sta ripetuta in numerose occasioni, che diceva quando io entro al Consiglio Europeo dove si vedono i capi di Stato, io vedo stati piccoli e stati che non si sono ancora resi conto di essere piccoli. 1957, siamo a settantina anni dopo e questa problematica permane. Allora io mi permetto di avere una nota positiva, di essere un po' ottimista, non credo che siamo messi così male in Europa, credo che ci sia una certa unità. Io due giorni fa ero con la presidente a Cesena e arrivati a Cesena abbiamo salutato operatori della protezione civile della Francia, della Slovenia, della Slovacchia, austriaci, se non mi sbaglio, che erano lì a dare una mano alla popolazione locale per risollevarsi. E questo sta succedendo, il PNRR è stato questo. L'Europa è fatta di divisione per due ragioni molto semplici. Abbiamo cicli politici diversi, la Commissione Europea è forse l'unica che ha un ciclo abbastanza tranquillo perché abbiamo cinque, la Commissione del Governo Europeo chiamiamolo così, non è Commissione del Parlamento, sistema democratico europeo. Noi a parte una volta solo andiamo alle urne ogni cinque anni, ma se mettete questo centro dell'Unione Europea bloccato qui, tutt'attorno avete tutta una serie di cicli elettorali nazionali che si concentrano dove esiste, a volte a ragione perché non me la sento di sparare ad alzo zero contro politici che fanno il loro mestiere che è quello di guadagnare voti, che da un lato dicono ma è sempre colpa dell'Europa e qua passa, va in un canale enorme la grandissima mancanza di conoscenza di quello che veramente succede in Europa e dall'altro hanno bisogno anche di trovare un modo di dare la colpa ad altri per poter avere un ritorno elettorale. Comunque esiste questa dinamica, il problema di questa dinamica che non è impossibile da superare è che è una dinamica miope, è una dinamica miope perché l'interesse a corto termine è un interesse nazionale, a medio termine è un interesse europeo. Guardate cosa è successo in Libia, Italia e Francia hanno fatto un casino, è un termine tecnico questo, le relazioni internazionali, incredibile e ci troviamo i turchi e i russi. Allora l'interesse di corto era di un certo tipo però a media ce la siamo avvottate sui piedi la zappa, c'è bisogno ma non è facile, è veramente complicatissimo di pensare a certe materie in un'ottica più europea. Io credo che alcuni semi abbiano fatto radici un po' più profondi in questi anni, capisco il pessimismo che può avere Romano Prodi e a volte francamente lo comprendo e lo condivido pure però voglio mantenere un minimo di speranza. Io credo che ci sia un po' più di volontà di andare avanti, di comprensione da parte degli Stati membri che poi gira e rigira se non ci uniamo non è che andiamo molto lontano, si stia facendo un po' strada. L'importante è che non ce lo dimentichiamo e purtroppo in politica la memoria ha la durata di un anno secondo. Posso aggiungere una cosa alla sua domanda, ma è a maggior ragione importante oggi che l'Europa sia più forte, in cui si stanno ridisegnando tutti gli equilibri politici e noi siamo in mezzo a una guerra in Europa che poi è una guerra molto più ampia che viene l'Italia, la Cina, l'Indopacifica, adesso c'è tutto un ridisegno degli equilibri del mondo in cui un'Europa forte può avere un valore? No, è necessaria. Prendiamo una delle cose più assurde che esiste in Europa. Poi in Europa spendiamo ogni anno il 40% di quello che gli americani spendono in materia di difesa. Abbiamo una capacità di difesa che è stimata più o meno attorno al 20-25% di quello americano. Noi spendiamo ogni anno quattro volte quello che spendono i russi in difesa e abbiamo a che fare con un'invasione alle nostre porte. Abbiamo 137 sistemi di arma contro i 30 negli Stati Uniti. Da un punto di vista di logica sono soldi che stiamo buttando allegra all'aria. Ci sono dietro a 137 sistemi di arma almeno 40-50 imprese contro le 4 americane che fanno armamenti. Dunque c'è un problema non piccolissimo di spostare risorse, di trovare posti di lavoro per altre persone. Però immaginatevi la capacità che l'Europa avrebbe se anziché avere 27 bilanci separati in materia di difesa ne avesse uno. Non per fare la guerra ma per impedire ad altri di farla fondamentalmente. Dunque l'Europa deve decidere cosa vuole fare da grande e ha 70 anni ormai. Però ci siete voi e quindi noi confidiamo nella vostra gestione. Elena? Io avrò una domanda per il Dottor Parenti sempre. Credo si riesca a collegare bene con il discorso che ha appena fatto. Lei crede che in futuro l'Unione Europea mirerà a diventare una federazione di Stati magari seguendo quello che è il modello statiunitense? E quali potrebbero essere i vantaggi e gli svantaggi di una simile manovra? Ma io non lo so se lo vedrò nella mia vita e franchemente vi dico la verità. Non so neanche se lo vedrò neanche nella vostra e vi do un'altra verità. Non so neanche se è così importante. Nel senso che noi possiamo fare tante cose in Europa in maniera più o meno federativa o transnazionale se vogliamo e le possiamo fare anche in maniera divisa ma con un unico scopo. Abbiamo tanti esempi via dell'uno che dell'altro. Quello che è a mio avviso importante è che si faccia a brevissimo termine un passaggio verso una capacità di prendere certe decisioni in maniera molto rapida e evitando i veti nazionali. A noi si parla di passaggio dalla unanimità alla maggioranza qualificata che non significa votare perché io ho lavorato su maggioranza qualificata tutta la mia vita e non ho mai visto un voto in vita mia. Però significa dare veramente un limite alla capacità degli stati membri di opporsi. Poi vogliamo arrivare ad una forma di confederazione federale cerchi concentrici diagonali qualunque figura geometrica voi vogliate. L'Europa Unita non significa che abbiamo una nazionale di calcio che giochi mondiali che abbiamo soltanto la coppa dei campioni non ne abbiamo i campionati nazionali. L'Europa Unita significa mettere insieme delle risorse per il bene dei cittadini. Mao Zedong mi diceva che era un personaggio poco raccomandabile. Non mi interessa se il gatto è bianco e nero, l'importante è che prenda i topi, io francamente su questo sono veramente maoista. Innanzitutto volevo ringraziare per l'opportunità di essere qui. Prima è stato detto che faccio parte anche io della consulta ma ciò non è vero perché sono ospite con la mia scuola dall'Abruzzo e la mia domanda infatti tocca il mio territorio da molto vicino. Volevo chiedere il merito al problema delle concessioni balneari, come si svolgeranno le gare d'affalto per le concessioni e come saranno tutelati i vecchi proprietari? Daniele, tutta tua. No? Antonio? Già c'è stato un rimpallo. Non abbiamo ancora fatto riforme. È molto semplice, lui appena prenotato le vacanze in Abruzzo non le voleva cancellare, era per quella. Un paio di cosine che vanno ricordate. Il primo, non è che sta riforma sia nata sotto i cavoli come si diceva una volta, ma è una riforma approvata, c'è il voto dell'Italia su questa riforma. In secondo luogo, è una situazione quella italiana un tantinellino paradossale, nel senso che si tratta di concessioni alcune delle quali nel corso degli anni sono state date per prezzi, franquamente ridicoli per cui c'è un gettito erariale o un evento di tasse che è inesistente o quasi, cosa che franquamente in un paese più o meno disastratto dal punto di vista finanziario come il nostro non sarebbe un male. Il terzo punto, c'è tantissima gente che in buona fede ha lavorato in queste concessioni balenari per tanto tempo. Quello che la commissione vuole è che si rispetti un minimo di principio di concorrenza, cioè che queste concessioni siano concessioni non diritti divini che si trasmettono di generazione in generazione da padre a figlio o figlia, ecc. Ma che a un certo punto vengano messe sul mercato. Ora c'è la necessità di trovare una cesura, un momento di passaggio tra una modo e l'altro. Come questo passaggio viene effettuato è una di quelle decisioni che deve prendere l'Italia. A me, se lo chiedete, mi sembra semplicemente logico che se uno ha fatto degli investimenti di una certa portata con la prospettiva di avere una spiaggia in concessione per un po' di anni e poi non vince la gara, magari ci sia la necessità di ridare parte di questi investimenti, la parte che deve essere ancora ammortizzata naturalmente alla persona che l'ha fatto. Però credo che debba essere anche seriamente ricordato che io non credo che avremo la calata degli uni a prendere in concessione le nostre spiagge. Ci sono 3.500 chilometri di spiagge in Italia, non se le comprerà tutte Briatore, per la miseria. Ce ne sarà qualche grandissima parte che resterà nelle mani di quelle che lo hanno fatto. Credo che ci sia un terrore dietro questa scelta e uno scaricare la colpa sull'Unione Europea, che francamente lo trovo un po' assurdo. Bisogna prendere delle decisioni, che la decisione è presa in concordanza con tutti gli altri stati membri, applicare e definire le regole. E questo non è che significa mandare a casa delle persone, significa fondamentalmente trovare un modo per coloro che magari certe concessioni barnearie avevano avuto a prezzi irrisori, di iniziare a pagare un po' di più all'erario. Ma se vedessero eventualmente una gara e avranno fatto degli investimenti, chiaro che mi sembra più che logico che questi investimenti vengano ricompensati. La famiglia che aveva un negozio da vent'anni non poteva certo competere con Christian Dioro, con molti nazionali. È evidente però che al di là di una politica di salvaguardia, di qualcosa che oramai fa parte un po' anche della cultura della città, come una bottega veramente antica, c'è un mercato, che è un mercato che serve. Per finanziare i servizi, perché se io do delle concessioni ad un prezzo di mercato, poi come istituzione pubblica riesco a mantenere dei servizi che servono soprattutto alle fasce più deboli della popolazione. Quindi è un modo per redistribuire, che credo sia uno dei problemi di questo mondo globalizzato, che invece è sulla redistribuzione. Daniele? In realtà, se ogni stato membro facesse la stessa cosa, non ci sarebbero opportunità della patispecie per le aziende italiane di andare all'estero. Quindi, ripeto, esco un attimo dalla questione delle concessioni. E quindi tutto il lavoro che si fa, e di cui sentite spesso parlare, la Commissione ha approvato un aiuto di Stato, non ha approvato un aiuto di Stato, proprio per evitare che ci sia una distorsione della concorrenza in seno all'Unione Europea, per cui alla fine della fiera solo alcuni operatori e solo alcuni stati membri potrebbero permettersi di effettuare determinate operazioni, chiudendo il mercato, bloccando tutti gli altri piccoli fuori e senza possibilità. L'esempio al quale volevo fare riferimento è aneddotico. Nel 1993 si sono aperte, per voi è tanta scienza, ma all'epoca i mercati erano completamente segmentati, 12 mercati, in Francia c'erano i fari gialli per l'automobili, in alcuni paesi si poteva vendere la cioccolata solo se era prodotta in quello stato membro, eccetera eccetera. Quando abbiamo aperto, quindi merci, circolazione, beni e servizi, io andavo di paese in paese a prendere un po' e sondare e spiegare, e ho trovato davanti a me un problema epocale, i parrucchieri portoghesi, e non scherzo, c'era un'ossessione da parte di alcuni stati membri, soprattutto quelli che si trovano centro-sud, sul fatto che milioni di parrucchieri portoghesi sarebbero scappati dal Portogallo e le verificavano. E avrebbero invasso e sarebbero iniziati i parrucchieri d'Europa. Non è successo. Quello che abbiamo spiegato è che in realtà, per qualche parrucchiere portoghese che sarebbe uscito, ci sarebbe stata qualche altra azienda che avrebbe fatto business in Portogallo e in altri settori. Abbiamo avuto il problema della neve. Alcuni professori di sci non potevano andare ad insegnare in uno stato membro non lontano da qui, perché non conoscevano la neve di quel paese e quindi avrebbero provocato incidenti. Ecco, sono storie reali, tutto questo per dire che effettivamente bisogna analizzare questa cosa sotto diversi prismi. Anche perché, e poi io vorrei anche aprire il dibattito, perché mi sa che abbiamo ancora un po' di minuti ai ragazzi che sono nel pubblico per chi vuole intervenire. Anche perché, pensando al futuro, preferireste avere tante economie isolate in cui, quando passate il confine, fate il cambio della moneta, ci sono problemi per avere accesso ad alcuni prodotti. Peraltro non sarebbe neanche più possibile perché le catene del valore si sono talmente ampliate e noi compriamo un prodotto che magari è fabbricato, cioè assemblato in Italia, ma un pezzo arriva dalla Cina, un pezzo arriva dalla Sud America. Quindi sarebbe anche forse impossibile tornare indietro. Infatti un altro dei temi di cui si è discusso in questi giorni è che non stiamo vivendo una deglobalizzazione. Siamo ancora in un mondo globale che fa più fatica ad essere globale, ma non stiamo vivendo una deglobalizzazione. Quindi è evidente che trovarsi in un sistema europeo unico in cui ci sono i fondi di coesione e le zone, diciamo, che hanno più problemi, hanno sostegno europeo e si sviluppa una cultura diversa, io credo che sia difficilmente discutibile. Eccolo là, un gerattoli o no? O stava solo sbadigliando? Lei aveva un'altra domanda. Allora, lei aveva un'altra domanda, però io sentirei anche lui, poi ti do subito la parola, sentirei lui così sentiamo anche una voce. Poi arrivo Lisa. Grazie mille, grazie mille per l'occasione. Intanto, io ho una domanda per entrarmi così manteniamola par condicio. La domanda quindi per il Dotto è, quanto il suo intervento in una riforma, ad esempio, della PIA dipende dalle temperature della politica interna del Paese in cui lei andrà a intervenire? La seconda domanda la faccio adesso o aspetto la risposta? E invece, giusto perché abbiamo toccato tutti i temi caldi dell'Unione, io tirerò fuori dal cilindro l'ultimo, come l'Unione Europea dovrebbe vedere il suo allargamento verso i Balcani? Soprattutto in questo momento molto delicato. Grazie mille. Come ti chiami? Edoardo. Grazie Edoardo. Grazie. Dunque i nostri progetti si chiamano progetti di assistenza tecnica perché vogliamo lavorare sulla messa in atto di riforme chiaramente discusse e condivise con gli statimenti. Ma ogni riforma, soprattutto quella della PIA sulla quale lavoro da ormai dieci anni e non solo in Italia chiaramente, sono riforme politiche, sono riforme strutturanti, sono riforme che hanno una portata di lungo termine. Quindi è chiaro che c'è una dimensione politica se vogliamo. Questo è chiaro. E poi come dicevo prima, le riforme vengono iniziate su domanda degli stati membri. Quindi se uno stato membro non vuole riformare, non saremo noi a dire di rifarlo. Abbiamo altri colleghi che sono molto bravi ad effettuare queste analisi, si parlava del semestre o altro. Quindi in realtà quando noi siamo sul terreno cerchiamo di capire chiaramente con lo stato membro quelli che sono gli elementi che possono portare ad un cambiamento. Quello che succede e che è successo è che a volte a seguito di un cambiamento a livello politico la riforma viene rallentata. Alcune riforme sono state completamente bloccate. Ma lì chiaramente diventa un altro tipo di discorso perché noi discutiamo con lo stato membro e diciamo sì però abbiamo iniziato un discorso di lungo periodo, abbiamo investito dei fondi europei, avete creato delle attese nei confronti dei vostri cittadini. Quindi quello che cerchiamo di spiegare allo stato membro è che in realtà le nostre riforme si scrivono sul lungo termine, hanno una prospettiva di lungo termine. Quindi questo è il lavoro che facciamo. Ci sono riforme che pongono problemi, per esempio, senza stare a fare nomi in particolare, ci sono riforme della giustizia in alcuni stati membri che sono un po' più complesse da gestire rispetto ad altre e quindi credo che sappiate tutti di cosa parte. E quindi lì abbiamo un altro tipo di discorso proprio per non essere strumentalizzati in questo campo. Diciamo che 68 governi non aiutano le riforme. Grazie Rosalba. Domanda in realtà semplicissima. L'Europa deve scegliere se avere un ruolo in quella parte del mondo. Questo significa Balcani ma non soltanto Balcani, significa Moldavia, significa Ucraina teoricamente. Oggi si parla addirittura di Georgia. Oppure lasciare questo ruolo ad altri. Terzium non daturum, usare questa bella frase in latino che è una volta che finalmente la potete usare. Non ci sono altre possibilità. La sola cosa, la vera domanda, sono due le vere domande. Uno è come lo finanziamo? Perché soprattutto quando avverrà, a mio avviso, si inizierà l'integrazione dell'Ucraina. E bisognerà farlo in una prospettiva di ricostruzione. Ricostruzione moderna sui canoni del grindile ecc. Ma comunque ricostruzione completa del tessuto economico di quel paese. Ci sarà bisogno di tantissimi soldi, di tantissimi soldi ce ne sarà bisogno anche per integrarli con le altre economie dei Balcani. E il secondo punto, l'altra questione fondamentale, è che non le possiamo integrare, da un'opinione personale, con questo sistema istituzionale. Perché se lo facciamo e se continuiamo ad avere la grandissima parte delle politiche decisione, una limità, passare da 27 a 33, 35, significerà fondamentalmente, o poi miracoli succedono, però fondamentalmente significerà quasi sempre una mezza paralisi. Per cui effettivamente il sistema istituzionale europeo, a mio avviso, sta arrivando al suo limite. Qui abbiamo eventualmente, speriamo, no non lo posso dire, vediamo cosa succede questo weekend in Turchia, però teoricamente se succede un cambio di presidente in Turchia si riapre anche la questione del futuro della Turchia. Il non aver saputo pensare a come integrare quel paese, per esempio, quando c'era un'occasione in Europa, ha significato che per vent'anni la Turchia è stata un problema per l'Europa. Per cui occorre seriamente pensare cosa fare, anche se magari a breve termine, se la Turchia domani mattina cambiasse presidente, si riaprisse un discorso di integrazione, i mal di testa dei miei colleghi che si occupano di allargamento sarebbero epici, però a termine è una perdita in non fare questo tipo di integrazione. Poi naturalmente possiamo discutere fino a dove ci possiamo allargare, a un certo punto magari bisognerà che chiudiamo il cerchio, però i Balcani non integrati, l'abbiamo visto in questi anni, significano investimenti russi, significano cinesi, significano difficoltà tra di loro, difficoltà che noi abbiamo tutti quanti superato. E fino ad oggi ciascun allargamento ha portato dei grossi vantaggi economici a tutti quanti. Stiamo arrivando ad un punto dove oggettivamente però siamo tanti e abbiamo bisogno di darci qualche regola un po' più efficiente, quello credo che sia ineluttabile. Per concludere volevo fare una domanda un po' più generale. Diciamo sempre che siamo noi giovani al futuro e questo è un dato rifatto, però come può la classe politica di oggi, la vostra classe politica, aiutare noi nuova generazione ad avvicinarci al mondo della politica europea? Quindi come possiamo rendere il passaggio tra queste due generazioni di funzionari un po' più fluido? E che speranze ci sono per noi di avere un ruolo concreto in Commissione Europea? Vi faccio rispondere e mi raccontate che tipo di relazione c'è tra questo governo e l'Europa? Perché c'è una domanda che sicuramente tutti avrebbero voluto fare. Sulle relazioni risponde l'ambasciatore. Noi lavoriamo a livello tecnico, io lavoro con Funzione Pubblica, lavoriamo con il Ministro della Giustizia, lavoriamo con il Ministro dell'Educazione, lavoriamo con il Ministro della Salute, quindi le relazioni dal punto di vista operativo ci sono, sono ottime e funzionano. Per rispondere alla sua domanda penso che sia molto importante per voi giovani universitari avere quello di cui parlavamo prima, c'è lo spirito aperto e la curiosità di non fermarvi all'università italiana, per quanto ottima, ma in realtà sapete benissimo che il mondo è diverso. Quindi c'è qualcosa di più, un esempio molto pratico, senza entrare nel dettaglio dei concorsi, ma i concorsi sono organizzati nell'Istituzione Europea e non solo alla Commissione, ma anche al Parlamento, al Consiglio, a Corte dei Coti, ecc. Sono organizzati su base di due pilastri fondamentali, uno è quello chiaramente della conoscenza, quindi si studia, ci si ricorda il nome dei Presidenti della Commissione Europea, sperando gli ho dimenticati, poi è una parte minima del concorso. Quello che è molto importante è proprio quella che si chiama soft skills, le competenze per avversari, quindi come ci sia in relazione agli altri, come si lavora in un team, come si lavora in gruppo, questo è un elemento molto importante che spesso non viene valorizzato. E l'altro elemento molto importante, per questo consiglio a tutti di andare a fare un periodo di tirocinio all'estero, di formazione all'estero, per esempio nei Paesi Nordici, i miei figli hanno studiato tutti e due in Paesi Nordici, si adotta l'approccio del problem-based learning, cioè invece studiare e ripetere, si studia a casa e in università si applicano le conoscenze acquisite, quindi ti danno un problema e tu devi risolvere il problema. E quello che noi abbiamo ogni giorno, tutti nel mondo del lavoro, in realtà noi risolviamo i problemi. E quindi se uno non ha mai lavorato in questo modo, quando uno si va a preparare per il mondo del lavoro, diventa difficile, poi diventa difficile passare ai concorsi. Le lingue ovviamente, competenze linguistiche non sono le lingue da spiaggia direi, ma proprio riuscire a lavorare in un'altra lingua, noi lavoriamo tutti in due o tre lingue oltre la nostra, poi credere nel sogno è totalmente fattibile, però bisogna prepararsi molto. E soprattutto ultimo consiglio, non avere quello solo come unico obiettivo, ma avere un obiettivo di vita è intanto preparare il concorso, perché se è vero che tutti coloro come al lottano, come alla lotteria, tutti coloro che hanno vinto hanno giocato, ma non tutti quelli che giocano vincono, quindi dovete veramente crederci, provare, però avere quello che i francesi chiamano le plombe, per non rimanere sempre inglese, the B plan, per avere qualcosa a latere se questo non dovesse funzionare. Chiudiamo sulle relazioni Italia-Europa, Commissione Europea, perché abbiamo un governo che è stato fortemente anti-europaista? Rosabia, credo che abbiamo avuto una campagna elettorale fatta da partiti che hanno professato spesso una fede anti-europaista, ma che arrivati al governo si sono poi resi conto che senza l'Europa, come si dice in Milano, l'è dura. Ci stiamo scatenando dal mio schiscio al bouton a l'è dura. Non sono milanese io fra l'altro, sono bolognese, però non ve lo posso dire in bolognese perché è un po' più complicato. No, in che senso? Nel senso che in tutta onestà, sincerità e chiarezza, non c'è nessuna preclusione politica da parte della Commissione Europea nei confronti di qualunque governo democraticamente eletto figurato in Europa. E questo è chiarissimo ed evidente. Poi, una volta che un governo entra in carica, gli tocca passare da quello che dico che è la poesia delle campagne elettorali alla prosa del governo. E la prosa del governo è oggettivamente una prosa dove si deve lavorare con l'Unione Europea. Ci sono alcuni elementi che sono un tanto e nello più complicati perché vogliono cambiare determinati aspetti della governance, soprattutto in materia di gestione del fondo del PNRR, che stanno creando alcune difficoltà di ordine tecnico-amministrativo. Però noi stiamo collaborando, collaboriamo tutti i giorni e continueremo a collaborare. Poi, se ci sono delle deviazioni, perché ci devono necessariamente essere, rispetto a quelli che sono i trattati europei, la Commissione ha scritto nel suo DNA che il suo compito principale è quello di far rispettare i trattati. Per cui, se succedono delle deviazioni, la Commissione, il suo lavoro, lo farà senza ombra di dubbio. Ma non sarà un approccio di tipo ideologico, puntare il dito contro o comunque una cosa. Si, tratterà semplicemente di ricordare, guardate che questo lo ha firmato l'Italia, fa parte della Costituzione vigente e insolato del nostro Paese e dell'Italia, dunque va rispettato. Per cui le relazioni con questo governo hanno alcune difficoltà di ambito tecnico in alcune aree, hanno una convergenza perfetta in tutto quello che è politica estera. Per esempio sull'Ucraina c'è una convergenza totale con questo governo, magari qualche disponente ogni tanto ha un'opinione un po' diversa, però il governo lo sta ponendo in una determinata direzione. Non vedo necessariamente delle difficoltà insormontabili. Poi naturalmente tutto quanto può cambiare. Certo ci sono dei problemi, non escludo, ma sono dei problemi di ordine tecnico-amministrativo non politico. Diciamo che il dialogo resta per... no, non è perfetto. Diciamo che forse ci ha aiutato molto visto che la politica antieuroquista girava molto intorno al contributori netti a diventare percettori netti, perché con il PNRR noi avremo un tesoro. Non è solo questo, dici? No, quello è una mode un po' assurdo, perché è un discorso molto difficile da fare. C'è un discorso attuariale, nel senso di quante risorse vanno in Europa e quanto ci tornano indietro. A parte il fatto che se noi ci tornano indietro le risorse ci facciamo fare i corsi per i parrucchieri, non portoghesi, ma gli italiani poi non ci lamentiamo se non abbiamo le professionalità per far fronte al futuro. La questione è quanto ci guadagni dallo stare in Europa, un po' il discorso che facevi tu, Pocanzi. Non è che se io mi esco dall'Europa domani mattina sono più ricco, se volete ve lo traduco in inglese questo, però credo che non ce ne sia francamente bisogno. A Londra e in Inghilterra dopo il take back sovereignty hanno anche il take back a lot of problems, francamente. Per cui credo che il discorso attuariale non sia un discorso contabile, non sia un discorso che vada molto lungo, francamente. Allora io credo che il tempo a nostra disposizione sia finito, però vi vorrei fare una chiusura stile social, quindi con una bella frase da lasciare magari appunto a chi twitterà qualcosa su questo evento. Daniele? Io vorrei concludere su una nota di ottimismo, contrariamente a quello che è stato detto rispetto all'incontro di ieri. Bisogna ricordarsi semplicemente che lo slogan dell'Unione Europea è uniti nella diversità, quindi siamo diversi ma siamo uniti, siamo riusciti a creare grandi cose appunto come Schengen, come l'Euro, cose che per voi sono scontrate e che per noi non esistevano. Quindi veramente una nota di ottimismo e ce la possiamo fare e ce la faremo. E come next generation io? Io credo che avrei un classico viva l'Europa, viva l'Italia, però francamente vi dico abbiate fiducia. Work in progress for a better world. Grazie a tutti. Grazie a tutti.
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