Storia dell'immaginazione. Come abbiamo iniziato a pensare quel che non c’è
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Storia dell'immaginazione. Come abbiamo iniziato a pensare quel che non c’è
Un viaggio attraverso l'esplorazione delle origini dell'immaginazione umana, partendo da ipotesi sull'evoluzione cognitiva e analizzando le prime forme artistiche, come le pitture rupestri e le impronte di mani, per poi approfondire il ruolo del corpo, del ritmo, della musica e del linguaggio nello sviluppo della capacità immaginativa, fino ad arrivare alla creazione di storie e narrazioni. Si ipotizza che l'immaginazione sia nata da un'interazione complessa tra fattori biologici, sociali e ambientali, culminando nella straordinaria capacità umana di creare mondi paralleli e immaginari.
Come sarà cominciata? A quelli della mia generazione viene in mente la scena iniziale di 2001 di Sera nello spazio. Le scimmie che si aggirano circospette a tutti i cittadini, che si riempiono in un luogo di spazio, che si riempiono in un luogo di spazio, che si riempiono in un luogo di spazio, che si riempiono in un luogo di spazio, le scimmie che si aggirano circospette attorno al misterioso monolite, poi un'incombenta eronzio e un lampo nelle sinapsi cerebrali degli animali, le prime sinapsi di 100 triglioni. Oh, ma quanto sarà 100 triglioni? E tutto comincia con il femore dello scheletro di una caronia di animale che può essere trasformato in uno strumento, in quel caso uno strumento di morte. Non siamo più bestie, cominciamo a diventare esseri umani, perché abbiamo immaginato qualcosa, un'arma, grazie al monolite nel film. Si interrogano da mezzo secolo su cosa significhi il monolite di Stanley Kubrick. Come che sì alluderebbe a qualcosa o a qualcuno che ci instilla la prima goccia di capacità immaginativa. Da lì a inventarci un computer solo questione di qualche milione di anni. Come certe fantasiosi teorie per le quali sarebbero stati degli extraterrestri, atterrati da noi in un tempo ancestrale, a trasmetterci chissà quali conoscenze che ci avrebbero spinti a fare il primo salto evolutivo. Insomma, senza l'ufo saremo ancora lì appesi agli alberi, a spulciarci l'un l'altro. O ci saremmo estinti? Se la volete mettere più seriamente, il notissimo filosofo e linguista cognitivista Noam Chomsky ha sostenuto che la nostra capacità di parlare con tutto quel che ci è collegato, sarebbe il risultato di una mutazione genetica pressoché improvvisa circa 80 mila anni fa. Una mutazione accidentale in un solo singolo individuo che avrebbe poi trasmesso i propri geni, una sorta di prometeo linguistico. Se ci pensate, non tanto diverso da un certo quala alieno nostro benefattore. Ora, ovvio che io non credo che sia arrivato E.T. col suo dito luminoso, non ricordate, telefono, casa, a trasformare il nostro futuro. E Chomsky, la comunità scientifica, ultimamente se lo fida sempre meno. Maltrettanto ovvio è che, a dirla tutta, non possiamo neanche essere sicuri del contrario, cioè non possiamo sapere come è andata, ma possiamo immaginarlo. Bel gioco di specchia, se ci pensate. Possiamo provare a immaginare come sia successo che abbiamo iniziato a immaginare. Perché, scusate, ma con il passato è così che va, non so se ci avete mai fatto caso, gli storici lo sanno benissimo, anche se a volte fingono il contrario. Non si sa mai esattamente cosa e come è successo nel passato, proprio perché è passato. No? Io non vi vedo bene. Mai capitato di litigare col fidanzato, la fidanzata? No? E se no si capisce bene. Siete mai riusciti a ricostruire come era andata? È vero? Anche dieci minuti dopo, eh? Siete usciti dalla pizzeria, avete litigato. Dice, no, ma sei tu che mi hai guardato e detto, no, ma tu mi hai guardato con quello sguardo. E no, ma io quando ti faccio quegli occhi è perché tu devi capire. Sì, ma però lì ci sono tutti gli amici, no? Gli amici, i tuoi amici, quelli del calcetto. No, ma vabbè quelli del calcetto, si che mi stanno sulle palle. Eh vabbè, però c'è una volta che esci con me col calcetto. No? Non succede. Perché alla fine dice, va be', hai ragione, come hai matti. No? Ora, non ci si trova mai d'accordo. Figuriamoci agli albori della storia umana. Quello che noi storici possiamo fare è azzardare ipotesi, cioè immaginare cosa sia successo. Così Michele e Sara sono artisti, l'immaginazione è loro pane, e per me, che sono uno storico, se sono riuscito a spiegarmi, la cosa non è tanto diversa. Insomma, in qualche modo siamo tutti e tre esperti dell'immaginazione. Diceva Albert Einstein che il vero segno dell'intelligenza non è la conoscenza, ma l'immaginazione. Quindi ecco il punto. Se la domanda non è retorica, ve lo siete mai chiesti? Quando e come avremo cominciato a immaginare? Attenzione, qui non c'è niente di banale, cioè non cadiamo nell'errore facile di guardare il dito, come si dice non vedere la luna, di concentrarci sui puntini e non vedere il disegno assieme, di sparpagliare le tessere senza assemblarle una con l'altro nel fantastico mirabolante mosaico che messe assieme invece compongono. Avete mai provato davvero a figurarvelo come è nata la nostra capacità di pensare quello che non c'è? Per certi versi è la domanda di tutte le domande. Pensateci, da lì nasce tutto. Nasce tutto da lì, sì, perché stiamo parlando di qualcosa che a quanto ne sappiamo, e permetteteci di semplificare un po' il discorso, con le raffinatissime abilità che in noi ciò comporta, solo gli esseri umani sanno fare, almeno nel mondo della zoologia che noi riusciamo a verificare. Immaginare, rifacendosi un po' rossamente all'etimologia, immaginazione, uguale capacità di costruirsi immagini. E, appunto, vi pare banale? Sappiate che questa cosa la risolveva così persino a resi, niente un po' di meno. Dunque, come avremo cominciato ad allenare la nostra balbettante iniziale capacità di immaginare? Costruendo immagini, cioè in compagnia del disegno. E la prima cosa che ci viene in mente al proposito immagino, di solito, è questa. Le garotte di Lascaux, no? Non è così. Le pitture rupestri, qualcosa come 20.000-15.000 anni fa. A Lascaux ci sono circa 6.000 disegni, animali per lo più. Se vi interessa anche alcuni estinti, come l'Uro, un grande bovino, quindi lo possiamo vedere grazie al suo disegno, ma non c'è più. Qualcuno è dipinto con un'eleganza plastica davvero sorprendente. C'è un bufalo che è ritratto nell'atto di saltare. Picasso diceva che dopo cose così non avevamo inventato più nulla. E perché disegnavamo animali? Cominciamo ad esercitarci a immaginare. Perché quello era il nostro costante, quasi ossessivo, universo di riferimento. Gli animali erano per noi la vita, dipendevamo dalla caccia, e spesso anche la morte. Erano loro a cacciare noi. Ed erano ovunque. Era assai più facile incontrare animali che umani. Cioè eravamo qualche decina di migliaia sull'intero pianeta. Quando mai ti capitava di incontrare un altro umano? Bufali, gazzelle, lupi, uccelli, animali quanti ne vuoi insomma, ma umani? Dai, ominidi, mai. I nostri antenati che disegnano Alaska devono però comunque, non possiamo pensare che siccome vedevamo solo animali era facile disegnare umani, devono fare un'operazione abbastanza complessa. Il bisonte che ho visto ieri è fatto così. Cioè richiamare alla memoria l'immagine di un oggetto e associarla alla proprietà di quell'oggetto. Colori, dimensioni, forma. E questa cosa si allenano a farla con l'oggetto che hanno più presente. Gli animali che cagano. Badate che qualcuno ha sostenuto che diventiamo così bravi a cacciarli proprio perché ci formiamo nella testa un'immagine, guarda caso, psichica della nostra preda. Cioè la pensiamo presente anche se non c'è. Quindi la bracchiamo finché la troviamo e la possiamo uccidere. I grandi predatori in linea di massima non lo fanno per il loro lavoro. Noi non lo facciamo. I grandi predatori in linea di massima non lo fanno. Si disinteressano della preda se non è nel raggio di percezione dei loro sensi. Come che sia quello il punto. L'animale non c'è ma ce l'abbiamo in mente. C'è chi li chiama protoconcetti o appunto immagini psichiche. Oggi noi diremmo displace the reference. Quella cosa lì. Quello che non sono presenti in quel momento. E' una caratteristica badate non solo umana. Fanno sicuramente qualcosa del genere le api operaie, come saprete. Tanto per dire quando comunicano alle compagne la posizione dei fiori con una specie di danza. Ma noi siamo i soli a saperlo raccontare rappresentandolo nella sua forma. Con il disegno cioè sfuggiamo alla gabbia di un dato momento. Usciamo dal tempo. Ci liberiamo dal luogo in cui siamo. Liberi. Liberi di creare immagini. Cioè immaginiamo. Forte. Problema risolto? Certo che no. Appunto proviamo a immaginarci. Le grotte di Lascaux sono lunghe 235 metri. Arrivano a una profondità di 30. Ci abbiamo mai riflettuto? Non era una cosa semplice come nelle vignette sugli uomini primitivi o nei cartoni animati che ci mostrano l'uomo coperto di pellica che ha a che fare con le caverne belle piane, tonde, belle confortevole. Andare in fondo a una caverna era una faccenda scomoda e complicata. Voleva dire esplorarla anche vincendone la paura per scoprirla o addirittura renderla praticabile. Affrontare l'oscurità ai pericoli, la mancanza di luce, di ossigeno, il troppo freddo, il troppo caldo, il troppo umido, il senso di claustrofobia. La possibile alterazione allucinata dei sensi. Eravamo scimmiette fatte per stare sugli alberi, non talpe. Perché e come ci vadano i nostri antenati nelle grotte è di fatto questione ancora aperta. Si dice di solito per qualche pratica religiosa, ma siamo onesti, si ha la sensazione che in questi casi quando non si sa cosa dire ci si piazza qualche rito shamanico, qualche barlume di esoterismo e finita lì. Quindi, chi lo sa? Quasi sicuro comunque, anche qua pensiamoci, che se fosse andata davvero così avremmo comunque a che fare con l'immaginazione. Addirittura rivolta a un al di là. Pensate un po' che roba. Però troppo complicato, per ora disinteressiamocene. Importa di più mettere a fuoco che nelle caverne ci sono due cose che ci aiutano a sviluppare l'immaginazione. Le naturali scabrosità delle pareti avranno offerto aiuto, spunti per le raffigurazioni. Una protuberanza, un incavo, una pendenza. Cose, ce lo possiamo immaginare, che suggerivano un disegno o un altro. E poi la luce. Fuoco. Torce. Ombre. L'unico modo per illuminare spazi altrimenti completamente bui. Lucisi stabili, irregolari, cangianti, in continua vibrazione e movimento. Quanto avranno aiutato a rendere vivi e suggestivi disegni che venivano fatti. Noi crediamo che una torcia facesse lo stesso effetto di un proiettore. I sapiens nelle grotte è come se andassero al cinema. Qualcuno ha parlato di Lascaux paragonandolo alla cappella Sistina, ma forse era più Disney che Michelangelo. Comunque, quel che conta è che è dubitabile che solo a quel punto e in quelle condizioni, che adesso potete provare a immaginarvi, si sia cominciato a capire. Per di più immagini piuttosto complesse. Animali, come abbiamo detto molto raramente, uomini, scene di caccia. In una pittura rupestre brasiliana ci sono degli alberi. Cose complicate, insomma. Dobbiamo aver fatto per forza prima cose più semplici. Inevitabile. E in effetti sappiamo, sappiamo che ci sono delle cose più semplici. Sappiamo che è andata così. Le più antiche illustrazioni ritrovate, infatti, forse lo saprete, sono mani, intinte nel pigmento e impresse sulla roccia. Oppure a stencil, diremmo noi, cioè si soffia colore sulla mano, poi sovra si ritira e rimane il profilo, il disegno. Le piazzano anche in luoghi non visibili. Qualche ominide, cioè, se le è disegnate solo per sé o per pochi altri. In quei casi le hanno definite così, sentite, bellissimo, un soliloquio intimo. Immaginiamocelo, quell' ominide che si infila tutto solo in un budello di roccia, per cosa? Per andare a disegnarsi la propria mano. Così come commuove immaginare quei cuccioli d'uomo che lasciano l'impronta delle loro manine nella grotta di Kosche, ma troppo in alto. Li devono avere presi in braccio per arrivare fin lì. Vedetevi la scena. E le mani disegnate compaiono prima del resto. A Maltraviéso, in Spagna, ce n'è una databile a 64.000 anni fa. C'è qualcuno che è appassionato di queste cose. 64.000 anni fa vi dico che non c'è nessuna cosa che non è una cosa. Non c'è nessuna cosa che non dice niente. 64.000 anni fa lì non c'erano ancora i Sapiens. Quella mano è di un Neanderthal, che quindi aveva capacità di astrazione simile a noi. Ma ora riflettiamoci. Le pitture rupestri sono le più antiche ad essere arrivate a noi, ma sicuramente non sono le prime. Sono privilegiate proprio dal fatto di essere lì, nascoste, protette, in condizioni quasi magiche per essersi conservate. Però, dai, vi pare possibile. Cioè, tutte le volte che un ominide gli veniva di disegnare qualcosa, doveva cercarsi una grotta, possibilmente profonda, litigare con un orso delle caverne, riuscire a cendersi una torcia, portarsi giù giù nel profondo pigmenti, acqua, torcia, sa Dio che cos'altro, dai, mi sembra possibile. Molto prima dei Sapiens e dei Neanderthal, dobbiamo aver fatto esperimenti in altro modo, non per forza nelle grotte. Prima, prima, avremmo disegnato su molteplici superficie disponibili, legno, sassi, pelli di animali, cortecce, qualunque aree appena appena un po' liscia che consentisse di abbozzare qualcosa. Anche qua, pensiamoci, le superficie lisce, davvero lisce, sono rare in natura, doveva risultare preziosissime. Non c'erano le risme di foglie extra strong, no? Centomila anni fa. C'è da dire che noi veramente viviamo in un mondo di superfici piane, pareti, vetri. Pavimenti. Sì, sì, ci siamo dimenticati. Infatti, vi inviterai quando siete in una foresta a dire, ma se adesso dovessi stampare una cosa su un acquato? No, trovare una cosa in natura che sia liscia e un po' grande non è facilissimo. Per non dire delle linee rette, guarda. Le linee rette pure loro non sono tantissime, quindi ci sembra un po' strano questa cosa. Una volta tutto questo dov'essere estremamente complesso. Il fatto è che se pensiamo delle superfici relativamente lisce, la neve, la neve, la neve, la neve, la sabbia. In ogni caso, i materiali che noi possiamo immaginarne nella foresta che ci diceva Michele sono tutti materiali deperibili, comunque esposti all'azione degli elementi. Non c'è arrivato niente di tutto quello. Ma chissà quante migliaia e migliaia, milioni di prove, abbozzi, tentativi, esperimenti, anche di risultati finalmente perfezionati, magistrali opere d'arte primordiali, tutto perduto. C'è una, non so come dire, disperante emozione a pensarci, milioni di cose del genere. Fino all'estremo, come diceva Michele poco fa, di un supporto talmente effimero da essere scelto proprio per quello. Anche qua vorrei vedervi meglio, ma chi di noi non ha scritto ti amo sulla sabbia una volta. Cosa c'è di più facile da usare per disegnare qualcosa? Ci avrà inizialmente ispirato l'impronta dei nostri piedi, immagino, che ispirava l'idea di lasciare l'impronta delle mani. Chissà che non sia da questo che ci è venuta l'idea di mettere sulle pareti le impronte alle nostre mani che abbiamo ritrovato poco fa. Un barlume di immaginazione in questa associazione tra impronte dei piedi e impronte alle mani, ma c'è di più. Gli studi antropologici rivelano che nelle tribù di uomini incontattati, come li chiamano, cioè che vivono oggi in maniera probabilmente simile o vicina ai nostri antenati più primitivi, esiste l'abitudine a riti sciamanici nei quali si disegna sulla sabbia delle spiagge o sulle rive dei fiumi o appunto sui prati innevati, pensiamo ai neanderthal che vivevano nei climi freddi del nord, partendo proprio dal presupposto che l'acqua e il vento avrebbero poi cancellato l'immagine. Ne troviamo traccia in una bellissima poesia degli indiani americani, nordamericani. Il male d'amore non corrisposto era ritualmente ritenuto guaribile disegnando la figura della persona amata, addirittura cercando di riprodurne il volto con pietre e terra di vari colori. Si attendeva poi che l'acqua portasse via tutta l'immagine insieme al peso sul cuore dell'amante infelice. La mia ragazza è stata un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore di un'amore mi sono disegnato mi sono seduto e l'ho asceccato ho usato il nero per i capelli e rossa sabbia per la tua bocca verrà la pioggia e lo laverà confonderà i tuoi colori avremo disegnato sulla sabbia insomma sicuro ci scommetterei ci scommetterei bellissimo e avremo usato come primo strumento le mani le mani le abbiamo trovate alle origini degli esperimenti di pittura rupestre e ricordate e forse ci suggeriscono un raggio di comprensione bello pensare infatti bello pensare infatti che diventando bipedi abbiamo liberato le mani non per afferrare un'arma e uccidere come dicevamo all'inizio ma per disegnare cambia un bel po' il nostro imprinting non vi pare ma il suggerimento importante è ancora un altro le mani devono essere state il nostro primo e più istintivo e comodo non posso non farla battuta erano sempre a portata di mano strumento e anche lo strumento più adattabile più sensibile michele disegna spesso con le mani cosa ci dice michele delle mani come strumento allora posso ribadere che non sono un esperto quindi sono titolato a parlare di niente però però una lunga carriera di osservatore delle mani ed effettivamente mi accordo che il primo c'è da qui in poi le guarderete con un occhio diverso ogni ogni problema comunque lo affrontiamo all'inizio con le mani poi se abbiamo bisogno di più forza più precisione allora ci andiamo a inventare uno strumento ma per esempio già qua io ho una mano c'è un dito una superficie piana finalmente e la possibilità di fare delle cose quindi mi sembra abbastanza naturale che anche i nostri antenati l'abbiano fatto perché uno strumento morbido tra l'altro cosa che questa in natura non facilissima si si già già farlo con una pietra mi spiacerebbe un po anche perché non funziona granché però auto lesionistico il poi ci sono bisogno di qualcosa di più preciso allora prendo un bastoncino mi sarebbe venuto più istintivo prendo un bastoncino fare dei segni di diversa natura però il fatto di avere questa di avere a disposizione una superficie uno strumento di scrittura mi sembra già di avere tante cose a disposizione mi sembra in qualche modo di connettermi con una capacità antichissima e che va oltre la mia la mia mente non so boh io faccio queste robe vengono da sole tanta roba si diceva si può fare di meglio questa cosa che ci ha raccontato adesso michele ci porta ancor più vicini a una possibile soluzione del nostro problema iniziale che non dimentichiamolo come abbiamo cominciato a immaginare ma l'avrete notato stiamo facendo un percorso e quello che ci ha detto michele ci porta in quella direzione stiamo andando sempre più lontani nel tempo siamo partiti più vicino stiamo andando sempre più indietro andando indietro la chiave di tutto sarà stata dunque all'origine il nostro corpo possibile strumento e al tempo stesso superficie dove ci sarà venuto naturale spalmare sostanze dei più vari colori per le più diverse motivazioni per difenderci agli insetti classico per proteggerci dal sole per mimetizzarci al momento della caccia io al proposito avanzo sempre un'ipotesi particolare che tra l'altro se vogliamo fare i dotti per chi conosce un po froide avrebbe anche dei risvolti psicanalitici e non scendo in dettagli per decenza ognuno ci pensa da sé i predatori sono usi rotolarsi negli escrementi degli altri animali per coprire il proprio odore e avvicinarsi in avvertiti alla preda di nuovo qua non so chi è che ha un cane così pochi non interrogo nessuno un cane a qualcuno qualcuno ok pochissimi però fantastica questa cosa per centuale va bene non è il caso di approfondire comunque chiunque un cane la sa benissimo questa cosa e ha imparato a proprie spese cosa può succedere immagino poi prova a lavarlo e a toglierli l'odore di dosso quando te lo porti in casa il cane spero che abbiate capito non vorrei poter usare particolari scabrosi noi che eravamo cacciatori eravamo cacciatori pure noi decine di migliaia centinaia di migliaia anni fa prima o poi l'avremo fatto con le mani e se non ci eravamo arrivati prima ci saremmo accorti che spalmandoci addosso quella cosa puzzolente lasciavamo sulla pelle dei segni e quei segni acquisivano significato ho studiato le varietà di colori avranno avuto dei significati differenti per indicare età capacità e ruoli diversi in tal modo il corpo veniva a essere stesso a diventare un simbolo proprio come avveniva indossando determinati ornamenti lo scrivono gli antropologi questo i segni come ornamenti un po truccati ci saremmo scoperti più belli più seducenti più intriganti gli etologi sostengono che tra i primati solo gli wistiti che sono le più piccole scimmie al mondo mostrerebbero il desiderio di piacere agli altri cioè lo facciamo in pratica solo noi e dai e come lo facciamo noi di agguindarci e truccarci per piacere agli altri wow immaginazione allo stato puro ognuno pensi l'esempio che vuole se vi interessa il più antico tatuaggio si usava nero fumo probabilmente forse già nero di seppia è quello di ozzi la famosissima mummia rinvenuta non lontano in fondo quindi ghiacci in atto al prego ne aveva 61 addosso pensate un po ed erano linee tipo questa con una certa regolarità delle croci ed erano messe nei posti erano dove ci sono le articolazioni quindi pensavano che avessero che fare con la cura però anche questo non mi sembra sia stato chiarito comunque era molto molto belli c'è una specie di aggo puntura ante littera o può essere magari hanno avanzato anche questa ipotesi in ogni caso con ozzi che abbiamo tutti un po presente siamo ad appena 5300 anni fa se siete entrati nel gioco che vi stiamo proponendo lo capite molto recente abbiamo iniziato sicuramente molto molto prima insomma qual è il senso all'inizio dell'inizio avremo tracciato segni ora pensiamoci anche un animale può farli dei segni se un orso lascia un'unghata sulla corteccia di un albero lascia un segno e quello è punto ma se il segno lo ripeti magari più volte e beh diventa altro fino agli inizi del novecento non si prestava troppa attenzione alla cosa interessavano solo le rappresentazioni primitive figurative quelle che si potevano pensare come arte poi si comincia a cambiare idea finché negli anni 2000 una giovane archeologa canadese che ha un nome bellissimo pensate gli schiamo genevienne von pezinger sembra un nome da romanzo genevienne von pezinger paolo colombo non funziona uguale genevienne von pezinger fantastica beh costei si mette a schedare a computer i segni geometrici primordiali rileva che ci sono schemi comuni e ricorrenti di fatto per semplificare 32 segni ritornano in tutte le caverne del mondo cioè ovunque tutti facciamo più o meno gli stessi segni silvia ferrara brillante archeologa e filologa ha scritto questi segni sono il patrimonio più antico del nostro sistema di comunicazione forse sono un primo bagliore di sistema ordinato legato alla comunicazione attraverso simboli alcuni segni cioè vanno in sequenza tecnicamente si dice per iterazione per associazione il suo què vanno insieme insomma si fanno dei segni che vanno insieme in sequenza intendiamoci anche se noi siamo portati a pensare che lo scrivere nasca dal disegno viene chiaro a tutti non non impariamo a farlo scrivere tracciando dei segni astrati forme elementari chi non ha avuto a che fare con i tondini e le stanghette o le righette come chiamate le asticelle quegli antichissimi segni comunque anche se noi siamo portati a pensare questo non sono certo scrittura però qualcosa doveva non significare io trovo affascinante che il fatto che noi non si capisca cosa volessero significare come riguardo a cosa in che contesto è un problema solo nostro oggi oggi che peraltro abbiamo tantissimi esempi del fatto che ancora mettiamo insieme elementi che si ripetono per creare ottenendo i più diversi effetti ad esempio nella musica no non è così sarà. Si nella musica si utilizza molto spesso la ripetizione e ci sono delle correnti musicali che ne hanno fatto proprio il proprio dogma e ad esempio nella musica minimalista vengono utilizzate delle piccole cellule ritmiche armoniche per creare uno stato contemplativo se possiamo dire che possa indurre ad un'immaginazione fluida sulle quali poi appunto si costruivano diversi temi e potevano continuare per moltissimi minuti vi faccio sentire un pezzettino ad esempio di filip glass che è un esponente proprio della musica minimalista per farvi capire cosa intendiamomarks no no34 No no questa è la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce la cellula ritmica sulla quale si costruisce continuamente una specie di lavoro di zoom tra un'area e l'altra, avanti e indietro, parte da input elementari e arriva a quelli sempre maggiormente sofisticati per ottenere una capacità percettiva via via più precisa, più raffinata. È come una macchina che zzzzz, come quando fissate lo zoom anche del vostro telefonino quando non mette subito a fuoco. I ritrovamenti archeologici restituirebbero questa nostra evoluzione biologica. Cioè, a Blombos, in Africa, hanno trovato segni di 70.000 anni fa che sono zigzag di linee, griglie, sequenze di rombi. Non sono, a quel punto, lo capite, semplici riflessi automatici, lunghiata dell'orso, dicevamo prima. Collegano punti, non solo linee verticali, orizzontali, ma giunture, anche se non ancora curviline morbide. E perché non ci sono le linee curve? Come lo sappiamo, ce l'ha spiegato prima Michele. Prova tu a tirare linee curve su una roccia ruvida con uno strumento rigido. No? È stato scritto che quelle linee di giuntura implicano, ha scritto così, implicano jogging mentale, idee. È incredibile che l'archeologia sembri ripercorrere gli step della neuroscienza nella ricostruzione di un'archeologia. E' un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia che è un'archeologia E poi, tutti insieme, mostriamo la necessità più primordiale di cogliere i pattern, gli schemi, le sequenze nell'ambiente intorno a noi. Lì siamo nella primissima infanzia dell'umanità e funzioniamo come nella primissima infanzia di ogni cucciolo d'uomo. Insomma, colleghiamo i puntini del mondo che ci sta attorno e delle nostre idee. e quali saranno stati i puntini che con ogni probabilità ci avranno per primi suggerito l'idea di unirli tra loro? Dai, fin troppo facile la risposta, no? Io me lo chiedo, quando sarà stato quel momento magico, quella notte terza, in cui uno di noi avrà cominciato con tutto quello che ne sarebbe conseguito di narrazioni, di mitologie, di fiabe della buonanotte, di oroscopi, di canzoni, a tirare linee immaginarie tra le stelle. Un solo che l'anima, e un pesce con le armi volato via dal mare per allusare le stelle, difficile non è nuotare contro la corrente, ma salire nel cielo e non trovarci niente. Dal mio piccolo aereo di stelle io ne vede, seguo i loro segnali e mostro le mie insegne e la voglio fare tutta questa strada fino al punto esatto in cui si spegne. e la voglio fare tutta questa strada fino al punto esatto in cui si spegne. Quindi avremo cominciato a immaginare sequenze di segni, a riprodurre pattern, ripetizione, anche trovandoli tra le stelle, a immaginare un ritmo per le nostre creazioni grafiche. Un ritmo, il ritmo, quindi per cominciare. Guardate, mica niente, eh? Sapete che saremmo gli unici esseri viventi a saperci allineare anche e soprattutto collettivamente in gruppo a un ritmo? Sono rarissimi gli esempi di sincronia comportamentale in natura. Rane che gracidano all'unisono, lucciole che lampeggiano assieme, forse qualche cetaceo. Ci sarebbero sotto meccanismi di attrazione e seduzione sessuale. Ma per noi deve aver contato anche un'altra cosa. Il bipedismo, di nuovo, ci avete mai pensato? Per camminare sugli altri arti posteriori ci serve mettere appunto una serie impressionante di dettagli biologici. Abbiamo ad esempio sviluppato glutei proporzionalmente più grandi che ogni altro primate, perché il sedere nostro è fondamentale, muscolo gluteus maximus, lo chiamano non per nulla, nella corsa. E ci dotiamo del tendine di achille, indispensabile per il passo fluido e costante, per le marce e per le corse prolungate. Eden per il labirinto osseo dell'orecchio, modellato in modo da garantire il mantenimento dell'equilibrio, stando in piedi in relazione alla percezione del mondo a 360 gradi attorno a noi. Mai sofferto di labirintite o di vertigini? Anche qua? Qualcuno? Ok. Se vi è successo, non ve lo auguro, ovviamente, ma se vi è successo capite benissimo a cosa mi riferisco. Quindi noi arriviamo a un livello altissimo di coordinamento, mente, corpo, occhi, muscoli, braccia, gambe, polmoni, bacino. Vede perché diciamo tutto questo? Perché la cosa affascinante è che noi mettiamo insieme ben più delle condizioni per camminare, anche per correre, ma anche per pirorettare, saltellare, roteare, cioè i presupposti per danzare. Già molto prima della comparsa dell'homo sapiens. Come sarà cominciato? Ondeggiando a ritmo? Da soli? O all'unisono? Con altri simili? A ritmo di che? Prima di tutto se ci siamo capiti su quanto appena detto, al ritmo del nostro corpo. Colpi sul petto o sulla coscia, battiti di mani per stare di piedi. Gli schiavi neri deportati in America, tanto vicini alle musiche primitive e privati di tutto a maggior ragione dei loro strumenti, organizzavano così le loro danze. Oh, quando si canta, si riempie. Oh, quando si canta, si riempie. Oh, quando si canta, si riempie. Oh, quando si canta, si riempie. Oh, quando si canta, si riempie. Non ci riesco mai di solito. Non avrei fatto tanta strada così in una situazione evolutiva più difficile. Il corpo. Lo vedete, l'effetto valanga del bipedismo. Il ritmo utile per camminare si mostra di enorme aiuto per attività fisiche che a loro volta richiedevano ritmo per essere efficienti, in particolare i lavori con le mani che abbiamo liberato proprio alzandoci sulle gambe. Sempre, proprio come nei canti di lavoro degli schiavi neri nelle piantagioni, centinaia di migliaia di anni fa si cantava per accompagnare un'attività fisica ripetuta. Ad esempio, scheggiare una selce per farne uno strumento. Trarre da una semplice pietra un'ascia, cioè qualcosa di tagliente, appuntito, funzionale alla macellazione, per fare l'esempio più ovvio, ce lo possiamo immaginare, era cosa che richiedeva applicazione, allenamento, trasmissione di tecniche, capacità di osservare e copiare i gesti di chi era più esperto. Quindi una sfida evolutiva e immaginativa, titanica e decisiva, che vinciamo noi esseri umani anche grazie al ritmo. E non solo, qualcuno ha scritto che l'ascia a mano era sexy, cioè disporre di simili attrezzi e saperli produrre evidenziava le tue capacità, ti rendeva attrattivo, fascinoso, evolutivamente seduttivo. Meglio accoppiarsi con uno con un'ascia che con uno senza. Come era la cosa del uomo con pistola che incontra uomo con fucile, se avete presente la battuta del western famoso. È abbastanza sexy questa ascia, ma... Lo so, francamente. Uomo che disegna ascia è molto... È sexy come uomo che maneggia ascia? Lo so, possiamo fare un sondaggio tra il pubblico interessato alla cosa. Meglio avere un'ascia, se cerchi di accoppiarti, insomma. Più probabilità di sopravvivere e di proiettare i tuoi geni nel futuro. Naturalmente, bivalente è la cosa. Selce e scheggiata, segno che c'era intelligenza a disposizione, intelligenza ancora oggi, bene raro e preziosissimo. E infatti ci voleva una certa dose di intelligenza e di immaginazione per pensare una forma ideale da ottenere a conclusione del lavoro. Non so come dire, doveva avere in mente il foglio delle istruzioni per l'uso con il disegno del risultato finale da ottenere, il che ha molto prima del tempo. Michele, tu hai... Scusa, posso interromperti? No. No, basta, allora stiamo qua, aspettiamo che finisci. Tu hai un chopper. Io ho un chopper. Io l'ho mai vedere. Ah, sono molto fiero. È questo, tacchete. Questo qui è vero? Questo è una pietra... Abbassa un po' che sei un po' in alto. Sei un po' fuori quadro. Ok, ottimo. Allora, questa pietra viene dal Chad, me l'ha portata una mia amica. Ed è un momento di straordinaria immaginazione. Potrebbe avere 80 mila anni, 100 mila, forse anche 300 mila. È il momento in cui si è passati come animali a usare un sasso, prenderlo e batterlo, a creare uno strumento da taglio che in natura non c'era, o magari era stato trovato in maniera casuale, ma si è capito che si poteva riprodurre. E devo dire che io trovo molto emozionante rimettere le dita, non so se era un mancino o un destro, ma non importa, dove chissà quanta gente ce l'ha messo, perché ecco, immagino che questo oggetto sia stato utilizzato, perso, trovato, sepolto, riscoperto. E in più questa roba qua mi dice anche che, siccome credo, che si guardava in giro per cercare cibo, si guardava per terra, si guardavano anche oggetti curiosi e in questi oggetti si vedevano cose curiose. E qui potrebbe essere un esempio di come probabilmente il disegno danzasse con la tridimensionalità, perché se magari per caso una goccina di qualcosa accadeva qua, ecco che veniva a fare un viso. O forse c'era già un viso. E allora questo vedere nella natura delle forme, poi decorarle, è stata una cosa che ci ha sempre accompagnato. Il disegno penso che non sia cascato dal niente. Oltretutto è anche bello perché si vedono vari volti qua dentro. E comunque questo potrebbe essere l'extraterrestre di cui parlavamo prima. Quindi abbiamo la prova scientifica che gli extraterrestri sono passati con le loro antenne. Tic, tic, tic. Ecco. Questo è il mio chopper. Bello, bello. Scusate, spero che vi emozionerà, così come ha emozionato noi, scoprire che è stato dimostrato che scheggiare una selce attiva le stesse aree cerebrali che si mettono in funzione quando si suona il pianoforte. Ma questa la dice lunga, questa faccenda. Quindi, se non l'aveste capito, stiamo arrivando nei vintorni di una cosa importantissima, che è la nostra capacità di fare musica. Niente, dai, non è una roba, però di noi mi serve un supporto e femero. Spero non così e femero. Supporto e femero mi serve qua. Capacità di fare musica, dicevamo. Però attenzione, il primo strumento musicale di cui abbiamo traccia ha un flauto dosso di circa 36.000 anni fa, quindi piuttosto recente. Perciò, se vogliamo ragionare su quando e come avremo cominciato a immaginare musica, non dobbiamo pensare agli strumenti, ma dobbiamo ancora una volta tornare al nostro corpo, al canto. Ora, proviamo a ricompare tutti i pezzi, così riusciamo a scoprire quello che ancora ci manca. Il linguaggio vero e proprio, strutturato con parole singole, identificabili e seppur minimi nessi, non so come chiamarli, protogrammaticali, un inizio di grammatica, è cosa recente, tra 200.000 e 100.000 anni fa, con sapiens. Ciò non significa che prima non comunicassimo. Lo facevamo, spiegano i paleo-anthropologi, con un linguaggio, tra tanti termini che sono stati usati, noi usiamo questo, holistico. Qualcuno ha anche parlato, e non è senza significato, di musilingua, cioè di musica e lingua, lingua musicale. Quindi un linguaggio fatto di suoni, anche ripetuti, anche a ritmo, uniti a gesti, espressioni mimiche, movimenti corporei, fonemi di ogni tipo. Spesso con espressioni che indicavano una rete complessa di informazioni, emozioni, avvenimenti. Cosa per capirci come i nostri... come faccio a dirvi? Non so, i nostri... Solo un suono davanti a qualcosa di ributtante, ma voi avete pensato a una cosa piuttosto complessa. O ancora meglio, a me gli occhi, come dicevano quelli là, poi continuate a guardare Michele, se io faccio abracadabra, e voi potete esservi immaginati decine di situazioni diverse, una realtà molto complessa, un coniglio che esce dal cappello, una magia, un prestigiatore, un mago. Quante cose ci potevate leggere in quel gesto, abracadabra? Doveva funzionare più o meno così, nel linguaggio elistico, mezzo milione di anni fa, con Homer Gaster, un predecessore del sapiens. Quindi, facciamo il caso più probabile e più naturale, l'approccio di seduzione. Immaginiamocelo, il maschio di Homer Gaster che avvicina una femmina e mette in sequenza tutti gli elementi che abbiamo visto finora. Non chiedetemi di rovinare quel poco di reputazione che ho ancora come professor universitario, ma si batte il petto, dannosi un ritmo, azzarda qualcosa di molto simile a una danza e rivela con questo il suo livello raffinato di controllo corporeo mentale. Pensate sempre a quanto è seduttivo mostrare le capacità. Mima nel ballo i movimenti dello scultore di Selce, modula i suoni in simetria armonica, con un ritmo che anticipa in qualche modo il canto. Ok, sto superando il livello di decenza, lo vedo alle prime file. Immaginatevi voi, siamo qua immaginare. Sta facendo qualcosa che millenia e millenia dopo suonerà più o meno... Senti? Suonano la nostra canzone. Vuoi ballare? Però, scherzi a parte, qual è il pezzo che manca? Il pezzo che manca, eravamo partiti da lì, e non abbiamo ancora considerato. Il maschio guarderà la femmina, ne scruterà le reazioni, cercherà di decifrare al volo ogni dettaglio per capire se e come deve cambiare strategia, dove ottiene successo e dove quello che sta facendo ha un buco nell'acqua. Dai, ci siamo passati tutti e tutte. No, c'è solo io, non ci credo. Di conseguenza, insomma, improvvisa. Qualunque buon seduttore lo sa che il 50% del successo è nella capacità di seguire quella componente geniale dell'immaginazione che è la nostra capacità di improvvisare. E peraltro, qualunque buon improvvisatore in qualunque campo riconosce un'importanza vitale ai cosiddetti cliché affidabili, un arsenale di opzioni pronte, sviluppate con esperienza precedente, da introdurre in un'attività improvvisata. Oggi eravamo qui ad ascoltare un musicista e diceva io quando suonavo l'inizio di Desperado, tac, poi dovei lavorarci su un po'. In sostanza, improvvisiamo un'infinità di forme diverse usando pezzi già pronti, molto semplici, che di per sé sarebbero molto limitati. Ancora una volta è qualcosa che si capisce, è un po' come con il Lego, abbiamo dei pezzettini che di per sé dicono poco, ma poi li assembliamo in forme fantastiche ed è qualcosa che si capisce forse più facilmente, non per nulla, ancora una volta attraverso la musica. Vedi tu? Questo è il problema di voi supporti e femmeri, che poi ve ne andate e poi magari vi lavate pure. Tanto lavoro per nulla. Dicevamo. Dicevamo dei pezzi di Lego. In generale nella musica l'improvvisazione funziona proprio in questo modo, esistono delle scale sulle quali poi ci si accorda e si lavora. Vi faccio un piccolo esempio, ve l'ho detto proprio stringatissima, di Drupad Indianum, invece che è un canto dell'India del Nord, che utilizza proprio i raga, i raga sono delle scale sulle quali poi loro costruiscono, ci sono i raga del mattino, i raga del pomeriggio, c'è un testo poetico normalmente che anche in questo caso va avanti tantissimo e va avanti a seconda della volontà e dell'emotività, della spiritualità di chi la pratica. Vi faccio un piccolo esempio. Di fatto Sara adesso farà qualcosa che è come usare note come noi usiamo i pezzi di Lego, cioè usare delle note singole che sono piccole componenti ma assemblate costruiscono una realtà più complessa, diversa, più affascinante che non il singolo cubetto di Lego o il rettangolino di Lego. La rimango in tema con la mano che mi ha dipinto Michele. Questi sono i miei pezzettini di Lego. In andata e in ritorno. Questi sono i miei pezzetti di Lego. A me sembrava chiaro. L'improvvisazione è il motore dell'apprendimento per tentativi ed errori. Nella logica darwiniana di Darwin, non per nulla l'improvvisazione spesso propone una soluzione e poi l'ambiente la seleziona decidendo per il suo successo e il suo fallimento. E quindi, se l'improvvisazione è una soluzione, e poi l'ambiente la seleziona decidendo per il suo successo e il suo fallimento. L'improvvisazione, d'altra parte, richiede tutta una serie di componenti in grado di strutturare la capacità di immaginare. Pensateci, spontaneità, intuito, adattamento dei mezzi ai fini, ad esempio, riutilizzare materiali per scopi diversi da quelli originari. Capacità di risposta a condizioni di scarsità di risorse, o di emergenza, o di alto rischio. E adesso, scusate, ma non è questo quello che dovremmo reimparare a fare oggi? Rispondere a situazioni di estremo difficoltà, rischio, o scarsità di risorse, riutilizzare materiali con uno scopo diverso a quelli cui erano destinati? Quanta attualità c'è dentro questa faccenda? Perché siamo qui, a Trento, a raccontarla questa cosa? Di fatto, ogni volta che risolviamo un problema, anche solo parzialmente inedito, stiamo improvvisando e stiamo attivando a mille la nostra immaginazione. Una volta innescata questa capacità, dobbiamo essere diventati bravissimi a usarla in tempi relativamente rapidi. Vien da pensare che il successo travolgente di Sapiens sia difeso di peso in buona misura da questo. Dalla capacità di improvvisare risposte innovative a problemi imprevisti e imprevedibili. E dove l'avremo mai allenata, questa capacità? Nella musica. Pensateci, nella musica, così come nelle conversazioni, è certo, di tutti i giorni, ma la musica arriva molto prima del linguaggio, noi raggiungiamo una velocità di improvvisazione sorprendente. Per dire, avete presente il jazz? Che siamo degli adepti, delle appassionate oppure no, abbiamo presente che è quella roba lì. Però pensateci attenti, nel disegno, tutti fanno sempre notare quanto sia eccezionale la capacità di Michele di disegnare in modo straordinariamente veloce. Ma la cosa forse non è così anomala e così nuova, come ci potrebbe venire da credere. Forse è molto più normale, antica, diceva Michele per esempio, mi ricolleto a sapere antico, ancestrale. Lo potremmo chiamare l'elogio dello scarabocchio, Michele, è una cosa del genere. Intanto per scarabocchiare ci vuole la bich, che secondo me non si rivede. Quello era un problema, capisco. Lo scarabocchio così è meraviglioso lo stesso. Al telefono. Però lo scarabocchio, secondo me, il papà del papà, del nonno, del bisnonno, del tesonato, del scarabocchio era il... Ah, io ho sbagliato il pennello, mannaggia! Porca miseria, va be'. Era il pallino puntino o comunque, cioè questo, no? Questo giocare con un ritmo, fare una cosa. Per esempio, io farei l'elogio del pallino, perché il pallino non è niente ma è anche tutto. È talmente facile, non si può sbagliare, che secondo me non lo sbaglia neanche un professore. Sei carino. Non ti fidi, va be'. Andiamo avanti. Prova. Pallino di sinistro. Pallino di sinistro in serie? Sì, vai. Non viene benissimo, già vedete. Vedi che ha presunto il ritmo, bravo. Vai, detta il ritmo. Ecco, perfetto. Superbio, bravo. No, cioè, al di là delle idiozie. C'è un senso, comunque, di fare le cose e di vincere, cioè è una cosa che io utilizzo anche nel mio lavoro di disegnatore, cioè vincere con la paura di fare la roba sbagliata. In questo modo qua è veramente difficile riuscire a sbagliare, perché comunque stai costruendo qualcosa. La cosa fondamentale è fare, andare avanti, continuare a tenere un ritmo. C'è una cosa anche bella, perché è un'idea di fare, di andare avanti, continuare a tenere un ritmo. C'è una cosa anche bella che si dice su questa paura di sbagliare, che bisogna avere questo coraggio di lanciarsi e provare a vedere cosa succede. E c'è questa frase di questo critico americano che dice, ve la leggo perché è molto bella, il coraggio è una mossa disperata che ti porterà dritto in braccio agli angeli della creazione. E quindi io vi auguro di averlo, questo coraggio, che qualsiasi cosa abbiamo imparato, abbiamo dovuto averlo, questo coraggio. E quindi io amo questa idea di continuare a stare qua tutto il giorno a fare pallini. Corighette. Spetta te, spetta te, spetta te, che trovo il mio pennello magico. Non vedo più lo schermo. Vieni qua, sono uscito. Tu seguimi adesso, caro mio. Oh, apr 1400 anni e virare Hessian. insomma, musica e disegno, lì abbiamo improvvisato, lì abbiamo sperimentato le nostre gem session di immaginazione. E dopo quel che hanno appena fatto Sara e Michele dovrebbe essere chiaro perché le gem session, come nel jazz, sono appunto gem, cioè salvo casi per lo più eccezionali, non sono solitarie. L'improvvisazione musicale si fa in gruppo, collettiva e badate, questo detto per inciso, se guardiamo a quel che possiamo della musica più antica, quella dei greci, dei romani, per dire ma anche il nostro, il canto gregoriano che è più o meno la forma di musica occidentale più datata che possiamo ricostruire in maniera fidabile, troviamo cose non dissimili da una gem session, un canone di base con una o più voci che improvvisano varianti. Questo per dire cosa? Che avremmo iniziato a immaginare musica evoluta soprattutto in gruppo, e perché? Perché il gruppo, la comunità, il nostro essere animali sociali è la nostra forza evolutiva e far musica e danzare tutti insieme, lo spiegano sociologi, antropologi, è un modo estremamente efficiente e poco costoso di verificare la disponibilità alla cooperazione, con beneficio generale. Ora, l'abbiamo presente tutti come funziona, una festa di compleanno, un villaggio vacanze, quando si sollecitano i presenti a partecipare a un ballo di gruppo, o anche solo a scendere in pista perché parte la disco music, no? Sapete come funziona? Se c'è una reazione di adesione immediata e comune poi sta certo che la festa riuscirà, che quella sarà bene o male un gruppo disposto a mettersi in gioco in armonia e concordanza, pronto a dividere le stesse emozioni. Se hai davanti una compagnia di musoni, introversi, timidi e snobli, diciamo sempre io e Michele, non c'è poco da fare, cioè la serata andrà storta, non balliamo neanche se ci torturano. E badate, è stato dimostrato che la musica, il movimento sincronico di gruppo, scatenano endorfine, lo raccontano, pensate, persino le reclute costrette a marciare insieme per ore. Finiva, ha detto qualcuno, che la cosa ci faceva sentire bene con noi stessi, ben disposti verso il mondo. Lucio Battistici ha fatto una bellissima canzone su questa faccenda. Il protagonista è solo, abbandonato e tristissimo, esce, cammina, poi sente cantare in un bar, entra e ci trova una compagnia che fa musica e a quel punto... Abbiamo bevuto e poi ballato, è mai possibile che ti abbia già scordato, eppure ieri morivo di dolore, ed oggi canta di nuovo il mio cuore, oggi canta di nuovo il mio cuore, felicità. Ti ho perso ieri ed oggi ti ritrovo già, tristezza va, una canzone il tuo posto prenderà, una canzone il tuo posto prenderà. Ecco, abbiamo cantato e danzato insieme, fin dalla preistoria, perché la cosa ci faceva stare bene, ma andava via la tristezza, era l'antidoto al peggior nemico che la nostra straordinaria mente, sempre più evoluta e sempre più contorta, ci obbligava ad affrontare la tristezza e la depressione. Ci avevate mai pensato? Avremo iniziato a immaginare anche questo, motivi per spegnere la voglia di Voi ve lo vedete l'uomo di Neanderthal, depresso? Ve lo vedete al mattino che non gli va di tirarsi su dal letto e di iniziare la giornata? Un po' di dignità mi sta dicendo. Dignità. Corre cinque minuti. Vabbè. Se siamo stati capaci di immaginare tutto il dolore che noi ci riusciamo a immaginare, però, ecco, abbiamo pensato anche un antidoto, la musica, e questo è bello, proprio bello. Poi chiaro ci saranno state anche delle ragioni più prosaiche. Suoni e movimenti coordinati saranno serviti per deterrente nei confronti di altri gruppi aggressivi o anche solo potenzialmente pericolosi che avrebbero potuto invadere un territorio già occupato. Avrete presente la H, la danza maori degli All Black, non chiedetemi di farla. Ehi? Uh, uh, uh, quella roba lì. Dignità. Pensatela, la H per favore, così. E per restare in tema di pragmatismo e praticità, gli specialisti concordano sempre di più che il vantaggio fondamentale dell'attività musicale è che può essere sovrapposta ad altre. Ci lascia liberi di improvvisare e accarezza la nostra immaginazione mentre facciamo altro. Un po' come i cantilavoro, di cui dicevamo prima, ma l'impiego essenziale per il quale il canto sarà risultato utile sarebbe stato nelle interazioni comunicative tra madre e figli. Ora, capiamoci, alle origini piccoli stavano attaccati alla pelliccia della madre, letteralmente, ma i nostri antenati cominciano a perderla, lo sappiamo, la pelliccia. Lasciamo da parte ora il perché, è complicato, ma il risultato oggi è evidente, soprattutto questa cosa succede alle femmine. Quando? E qua è interessante perché sappiamo che il processo si compie definitivamente quando iniziamo a poterci riscaldare in un altro modo, il fuoco. Noi prendiamo a controllarlo in circa un milione e mezzo di anni fa, ma abbiamo le prove che le cose cominciano a cambiare davvero perché cominciamo a usare i vestiti per coprirci, quindi i peli vuol dire che a quel punto non ci sono più, dobbiamo coprirci in un altro modo, molto più recentemente, tra i 100.000 e i 50.000 anni fa. Volete saperlo come facciamo a individuare questo momento? I pidocchi. È dimostrato che i pidocchi che parassitano il corpo ma si insediano nei vestiti appaiono più o meno allora. E questo, scusate, lasciatemelo dire, è proprio bella, perché il fatto che se si vuole capire come abbiamo cominciato a usare quella cosa così poetica che è l'immaginazione, se debbano studiare i pidocchi, mi pare una grandissima lezione. Sceglietene voi la morale. In ogni caso, quando le femmine perdono la pelliccia e si prendono i pidocchi, i cuccioli d'uomo vanno lasciati giù, però vanno tenuti in contatto, sotto controllo, a distanza. E chiunque abbia avuto a che fare con un bimbo dice facilmente che la faccenda deve aver giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della comunicazione nostra prelinguistica. Le madri avranno lanciato e scambiato segnali sonori con i piccoli mogli della giungla o della savana, scoprendo che suoni immodulati e ritmici andavano ben oltre, semplici verificare la loro presenza e integrità fisica. Ok, è vivo, intero, risponde bene. Ma avevano un vantaggio ulteriore, l'intrattenevano, gli chiamavano a una risposta giucosa, li stimolavano a fare altrettanto, si cantalenava, insomma. E soprattutto, non lo sappiamo bene per esperienza diretta, quasi sicuramente allora già valida, i bambini così stavano più bravi. Da lì alle ninnananne, il passo deve essere stato proprio breve. Sarà un caso se ci sono studi che mostrano una marcatissima uniformità transculturale delle melodie delle ninnananne. La mia nonna ha un sogno, vedi, sia, vedi, sia. La nonna, la nonna, è la nonna, è la nonna. Il mio nonna ha un sogno, vedi, sia, vedi, sia. Mi tocca, mi fa un bacio, mi prende l'upro机 il bassetto eventually oursero – l'e universo è alla miakkuna. La mia nonna è... hardware 在《Mentially Informed》 e Michele che è di Trento invece sa una nonna nanna Trentina bellissima. La mia mamma sentava le nane, sentele cantando finché la poppa si andava dormenzando. Qual'è? Ne sapevo due, l'ho sbagliato. Dormenzate poppine e fai la nana, fanchoni e incontenta la tua mamma, contenta il tuo papà e mamma ancora, fanchoni e incontenta la tua mamma ancora. Michele tranquillini, al canto. Due ninna nanna in un colpo. Insomma, come dire, le ninne nanna tendono tutte a somigliarsi, quindi o si radicano in una profondissima nostra lontana origine comune o, che poi non è così diverso, rispondono a un tratto preculturale del nostro DNA umano di base. Quello che non è invece comune a tutti sembra essere un'altra delle conseguenze più fondamentali della nostra acquisita padronanza sul fuoco, perché il fuoco ci facilita enormemente l'accesso al cibo permettendoci di cuocerlo, cioè ci regala la cucina. E lì, ci avete mai pensato, si deve essere andato definendo il DNA non tanto dei sapiens in generale, ma nello specifico del sapiens italicus. Non esistono altri esseri umani al mondo capaci come gli italiani di parlare, ragionare, discutere, disquisire, discettare, in definitiva di far andare ininterrottamente a pieno regime la propria immaginazione, avendo come oggetto un'unica cosa in infinite varianti e sfumature, il cibo. Gli italiani pensano senza sosta al cibo, sono a tavola, stanno mangiando e parlano di cibo. Hanno terminato di pranzare e discutono di quel che mangeranno a cena. Viaggiano e parlano del cibo del luogo, comparandolo al proprio. Se il proprio non l'hanno a portata di mano, ne provano nostalgia. Se ce l'hanno, lo comparano alle mille varianti originarie che paiono loro inarrivabili. Certo che questa sarà mica una pizza, eh, con l'ananas in Australia, ma dai, a Napoli una volta non mangiate una, che c'è una poesia. Senza il fuoco non ci sarebbe la cucina e senza la cucina non ci sarebbero quei re dell'immaginazione, che sono gli italiani. Du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du-du . In vita e in vita Oggi stiamo suonando In vita e in vita Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Oggi stiamo suonando Signore Scusami, ma ti vedo In un'Apolline C'è un amore E anche Paolo è un cantante Ora, vedete, stiamo arrivando vicino a un passato assai più prossimo e perciò procederemo quasi a cascata più rapidamente perché per parlare così tanto di cibo come fanno gli italiani o più seriamente per passare dalle ninne nanne alle storie della buonanotte occorreva, entra sulla scena sua maestà, il linguaggio ma la facciamo breve perché qui il gatto si morde talmente la coda lo capite, immaginazione, linguaggio che si rischia di non uscirne più Iniziamo a parlare, l'abbiamo visto nel senso proprio del termine, un po' prima di 100.000 anni fa Vai a capire esattamente come ci siamo spostati da quell'insieme iniziale di suoni olistici, con gesti, mimica, cantilene a una cosa più strutturata parole, concetti definiti, metafore gli specialisti dicono che è stato il pensiero simbolico o semiosi la svolta sono i suoni o segni che esprimevano una somiglianza diretta a una cosa piccolo grande o indicavano una correlazione più complessa nuvole nere pioggia un insieme di segni, suoni simbolici non siamo qui a spiegare come è nato il linguaggio se ci invitate l'anno prossimo facciamo una cosa per quello quello che ci interessa è che il linguaggio è una pompa che gonfia di smisura l'immaginazione secondo il linguista Daniel Doerr il linguaggio è il sistema che istruisce l'immaginazione permette a ciascuno di noi di avere una realtà mentale parallela se dico una cosa la immagino e la faccio immaginare ad altri quando è emerso il linguaggio insomma l'immaginazione è l'immaginazione è decollata in modo potente perché a quel punto abbiamo potuto immaginare storie e deve essere stato fantastico se io dico una cosa voi l'immaginate immediatamente deve essere stata qualcosa come una droga potentissima una sorta di LSD omeopatica prodotta dalla nostra stessa mente come sarà iniziata la faccenda avremo cominciato a inventarci storie sul conto degli altri membri del gruppo e non è stato un po' più che l'immaginazione che è iniziata in modo potente sul conto degli altri membri del gruppo in sostanza facendo gossip siamo dei pettegoli endemici ci divertiamo come pazzi a parlarci alle spalle per inciso è una cosa che si fa in relazione con gli altri il gossip qualcuno ha scritto addirittura è una liturgia unificante per la comunità i pettegolezzi fatti da soli non danno nessuna soddisfazione oppure avremo cominciato per mentire e dare giustificazione dei nostri pasticci che non sono ancora in grado di fare di fare i nostri pasticci chissà chi è stato il primo o la prima ominide colta in imbarazzante compagnia che ha pronunciato la famigerata frase no, no, guarda tesoro, scusa non è come ti sembra, non lascia che mi spieghi che poi non è altro che un canone sul quale si sono improvvisate milioni e milioni di variazioni sempre uguali e sempre diverse insomma, per tradire il partner serve fare improvvisazione cioè immaginazione in fondo jets siamo sempre lì tutta l'umanità da che mondo e mondo c'è cascata tutti quanti come tu li senti suonare ti farà ricordare l'arca di noel con jets ti senti giovane perché hai voglia di ballare più forte di te perché non provi e anche tu saprai come tutti quanti vogliono fare jetsでき 체 va bene, dicevamo abbiamo inventato storie per addormentare i piccoli pensateci, c'era una volta di nuovo, canone infinite variazioni e i bambini si saranno addormentati avranno sognato e al mattino mezzo secolo fa lo chiamavano il bardo, quando concepi l'idea che noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni. E forse aveva capito tutto. Perché non escluderei che ci siamo sforzati di parlare per raccontare le storie fantastiche, incredibili, affascinanti, sorprendenti, irresistibili, che avevamo sognato. Quante volte ci siamo svegliati con il desiderio prepotente di raccontare un sogno? No? Aspetta, aspetta, aspetta. Ho sognato una cosa pazzesca, senti un po', cioè allora ero lì e c'era una cosa che non riesco neanche a raccontare. Il sogno è il parco giochi dell'immaginazione involontaria. Tra l'altro la vita interiore dei nostri antenati ominidi era probabilmente più simile alla nostra condizione di sogno che a quella di veglia. E i sogni sono anche, e per lo più, improvvisazioni, nel senso che sono narrazioni autonome, non controllate, conseguenze di causa e effetto non ben definite, e il tradotto, i sogni sono creazioni. Per dire, Stevenson si è sognato il Dr. Jekyll e Mr. Hyde, Kafka la metamorfosi, se vi interessa Paul McCartney, Lady B, e anche noi italiani ne sappiamo qualcosa. Penso che un sogno così non ritorni mai più non geliyor sia ahusi Sunday mou, mi dipingevo le mani e la faccia di blu e poi, improvviso venivo dal vent Woody nel cielo infinito volare cantare nel blu dipinto di blu felice di stare lassù volare non c'è speranza di ricostruire il linguaggio che ha usato, né tanto meno il messaggio che voleva comunicare al piccolo gruppo. Forse si celebrava un momento di euforia e gioia collettiva o magari si cercava la consolazione dopo una terribile disgrazia. Di certo sappiamo che qualcuno, a un certo momento della nostra storia, ha cominciato a raccontare. Di sicuro è stato un individuo più estroso degli altri, forse affetto da qualche patologia psichica o semplicemente più requieto, che ha enanellato parole in maniera sorprendente. Possiamo solo immaginare la scena. All'interno di una caverna poco illuminata, un clan familiare di 10-15 individui seduti intorno a colui o colei che scopre il potere di affascinare gli altri, di legarli usando un filo incantato di parole, catena di espressioni usate in un contesto nuovo, liberate dalla loro funzione utilitarista. Che vola nell'aria per diventare canto, poesia, sapere collettivo. Parole rituali che acquistano un profondo valore simbolico e incantano tutti. Parole rituali che acquistano un profondo valore simbolico e incantano tutti. In principio era il verbo. C'era una volta una bimba che viveva con la mamma ai margini di un bosco e indossava sempre una mantella con un cappuccetto rosso. Cantami, odiva, nel peli di Achille. Quel ramo del lago di Como. Chiamatemi Ismaele. In un buco della terra viveva uno hobbit. Tutti i bambini crescono, meno uno. Sanno subito che crescono. E Wendy lo sape così. Sempre caro, mi fu quest'ermo colle. Non avete sentito tutti come è partita la vostra immaginazione al solo sentire queste parole o alcune di queste parole che per voi avevano un valore simbolico. La poesia che vi hanno chiesto la maturità, la lezione che non riuscivate a imparare, il credo che vi hanno insegnato. Lì è nato qualcosa di potente e redimibile da cui non si poteva più tornare indietro. La nostra immaginazione era ormai coinvolta, lanciata, assorbita, risucchiata in un viaggio senza ritorno e senza limiti. Il senso di eccedenza rispetto alla brevità e alla caducità della nostra vita che abbiamo imparato in milioni di anni di evoluzione a percepire, non siamo immortali, ci ha spinto oltre le colonne d'ercole della realtà fattuale. Qualcuno ha detto che abbiamo imparato a concepire un secondo universo, a vivere più vite. All'inizio lo abbiamo fatto con la voce e poi con la scrittura. Ed è stata un'altra magia, magia che si sommava alla magia. Abbiamo liberato la capacità di vedere immagini, immaginare, immagini di ciò che non è presente nella realtà. L'abbiamo liberata, sì. Abbiamo dato vita a una forma di libertà assoluta, incontrastabile, illimitata, grandiosa. Tu sei in prigione da anni e anni e leggi invictus. Vi dice niente? Verrebbe da dire che quando abbiamo cominciato a immaginare, abbiamo conquistato un tipo tutto speciale di libertà, con tutto ciò che ne è conseguito e tuttora ne consegue. Anche in fatto di generare mostri, sia chiaro, diciamolo. Ma da quel momento, messi di fronte a un limite che ci chiudeva, abbiamo scoperto che potevamo superarlo improvvisando una nuova soluzione, costruendo una situazione diversa, chiamando gli altri nostri simili a muoversi a uno stesso ritmo, disegnando scenari sconosciuti. O facendo anche qualcosa di assai più intimo e commovente, immaginando dentro di noi ciò che ci portava in un'altrove più emozionante. Duecento anni fa, in un paesino minuscolo del centro Italia, un ragazzo giovane e giovane, appena 21 anni, è di salute malferma, tormentato come tanti giovani a quell'età, soprattutto in quel tempo di romanticismi esasperati. Si sente schiacciato dalla chiusa e retriva realtà che attorno. Ma è anche un genio, un genio assoluto, come che lo si voglia guardare. E si cerca uno spazio di libertà e scopre che esiste. E la sua genialità sta nel fatto che si è creato uno strumento per esprimere ciò che pensa e sente, e non è un bastoncino, o una selce, o un tamburo, o una sequenza di note. Ha imparato a scrivere, a scrivere da Dio. Si siede nel suo spazio di libertà che è anche, ma ormai lo sappiamo, non è un caso, perché gli impone di dover improvvisare una soluzione, è anche uno spazio chiuso, che sta in cima a una collinetta ed è delimitato da una siepe, che limita lo sguardo. Al di là, valli e campi, bello, ma in fondo niente di che. Però lui chiama a sé la sua immaginazione e sente ciò che devono aver sentito quelli di noi che milioni di anni fa, per le prime volte, si sono trovati al cospetto di quella inebriante possibilità che era immaginare. Deve essere successa loro la stessa cosa che ha lui quando per poco il corno non gli si spaura e infine naufraga in un mare dolcissimo. E scrive 15 versi, niente di più, niente di meno, 15 versi assoluti per dire il valore dell'immaginazione, il suo valore infinito. Sempre caro mi fu quest'ermo colle e questa siepe che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando in terminati spazi di là da quella e sovra umani silenzi e profondissima quiete, io nel pensier mi fingo, dove per poco il corno si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io, quello infinito silenzio, a questa voce, v'ho comparando. E mi sovviene l'eterno e le morte stagioni e la presente è viva e il suon di lei. Così, tra questa immensità, s'annega il pensier mio e il naufragar me dolce in questo mare. Immaginazione. Immaginazione pura. Che arriva da un passato ancestrale, da un passato ancestrale all'oggi. Questo ci fa umani. Così, la prossima volta che ascolterete musica, non importa se sarà Bach o i Rolling Stones o i Mane Skin, la prossima volta che farete ghirigori sulla sabbia bagnata di una spiaggia, o uno scarabocchio mentre siete al telefono, la prossima volta che vi farete un tatuaggio, la prossima volta che improvviserete una pietosa menzogna, la prossima volta che guarderete al di là di una siepe, chiudete gli occhi, ignorate tutto e lasciate che un'immagine del passato pervada la vostra mente. Magari Sapiens di Lascaux, mentre dipingono le pareti delle loro grotte, o l'Hergaster, che cantano per accompagnare il ritmico, o in Eanderthal, che prendono in braccio un cucciolo d'uomo e lo sollevano per farlo arrivare a mettere l'impronta delle sue manine un po' più in alto. Ricordate tutto quello che abbiamo raccontato qui oggi. Ricoponete i pezzi del mosaico che avete ora davanti agli occhi. Ognuno preso di per sé magari parebbe ovvio, forse sembrerebbe poco importante, ma messi insieme, wow! Sappiate che in quel momento starà succedendo in voi qualcosa di straordinario ed emozionante. Sarete in contatto con il vostro passato più ancestrale. Non perdetelo quel contatto, che trapassa un tempo altrimenti in memore. Affidatevi a lui, fidatevi, abbiate coraggio, chiudete gli occhi. Liberate tutti questi ominidi che ancora dimorano in voi e lasciatevi andare tra le braccia degli angeli della creazione, a naufragar dolcemente nel mare di immaginazione che vi travolgerà. Libe. Il libero cercare che ancora ci muove al ritmo costante del mare e ricorda un fantango e un libero cercare che la notte ci commuove e che nei martini ci si riempie e che ci si riempie che la notte ci commuove e che nei martini di aprile ci insegni ancora a respirare e un libero cercare una parola luce che dica tutto col peso di niente e che ci sembrino e benvenuto sia ogni avvaglio del cuore e benvenuto sia anche l'errore e benvenuto sia anche l'errore luce Bravissimo. Il Spring Michele Tranquillini! Grazie! Sara Stride! E tutti i tecnici della fila armonica che ci hanno assistiti bravissimi Paolo Paolo, Suoni, video, riprese, streaming Scusate, vi rubo pochi secondi per dire una cosa Sono salito questa sera su questo palco, parlo personalmente con la morte nel cuore, letteralmente Perché un paio di giorni fa se ne è andata una persona per me, per i miei colleghi della mia università importante Non so se posso dire che forse è un amico, perché forse mi do troppa importanza in questo, però era una persona stimata
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