Un nuovo modello di capitalismo tra sostenibilità e diseguaglianze
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Un nuovo modello di capitalismo tra sostenibilità e diseguaglianze
Maurizio Gardini, presidente Confcooperative, Aldo Bonomi, fondatore e coordinatore di ricerca Consorzio AASTER, Marcello Signorelli, professore all’Università di Perugia, Rita D’Ecclesia, Professor of Quantitative Finance all’Università di Roma La Sapienza e Luigino Bruni, ordinario Lumsa e caposcuola dell’economia civile, hanno discusso sul nuovo modello di capitalismo, tra sostenibilità e disuguaglianze.
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Certo abbiamo la Borsa di Milano a cui tutti guardiamo, ma non abbiamo la Siti come obiettivo. Non siamo nemmeno il capitalismo renano. So benissimo a miei amici del sindacato, che gli piacerebbe molto. Grande sindacato, grande banca, co-gestione al vertice. Ma anche qui non abbiamo sviluppato questi processi. Non siamo nemmeno il capitalismo alla francese, che quando parte dal centro cerca di governare le cose. Quello che è successo ultimamente in Francia mi pare un po' in deficit rispetto alla capacità di governo. Non siamo nemmeno il capitalismo post-comunista. Cosa siamo? Siamo il capitalismo di territorio. Dice che parola brutta, i soliti localismi. No, no! Capitalismo di territorio per noi è un po' di grandi gruppi del capitalismo delle leti, ci sono tutti. Eni, Enel, Leonardo, un po' di grandi gruppi. Poi, per fortuna, un capitalismo intermedio di medie imprese collocate nel territorio. Una grande ossatura cooperativa, non ne parlo io, ne parlerà il Presidente. Abbiamo anche cooperative che vanno da cooperative sociali a cooperative, virgolette, che si sono fatti capitalismi intermedio. Posso usare questo termine, ovviamente. Questo, un mondo cooperativo. Poi abbiamo, ovviamente, il capitalismo molecolare, diffuso rispetto a questo. E, ovviamente, però, l'evoluzione dei distretti. I distretti produttivi si sono evoluti. Quelli studiati da beccatini, delitti, ecc. si sono evoluti. E si sono trasformati in piattaforme. Arrivo qua, io uso il termine piattaforme. Piattaforme territoriali. Perché, attenzione, a proposito dei capitalismi, non si compete solo tra gli indici della borsa, i grandi gruppi bancari, ecc. E le imprese si compete tra sistemi territoriali. Questo è il punto. E la piattaforma non è un distretto più grande. È una rete che mette, scusate il termine, al lavoro il territorio e i soggetti. E quindi ci sono le piattaforme digitali, molto importanti, che rimandano, ovviamente, a università, a saperi, a socializzazione dell'informazione, soprattutto di questi tempi di intelligenza artificiale che arriva avanti. Piattaforme manifatturiere, ovviamente, che ci sono nel nostro Paese, vanno ottenute. Ma, attenzione, piattaforme agricole. E ci siamo dimenticati che territorio è una parola che si scompone in due. La terra è quella roba dove noi mettiamo i piedi. Il territorio è una costruzione sociale. E l'agricoltura rimanda alla terra, alla grande questione ecologica che viene prima dagli discorsi della sostenibilità, conomia circolare, ecc. L'agricoltura, la piattaforma turista la piattaforma logistica. Basta con le linkazioni. Io dico solo una cosa. Tutte queste piattaforme non tengono se sotto non si costruisce la piattaforma socio-ecologica. Questo è il punto. Senza piattaforma sociale, senza piattaforma ecologica, tutte queste piattaforme disegnate dal futuro del capitalismo con le sue retoriche non tengono, franano, purtroppo. Scusate se uso questo termine. Con tutto questo si c'è. Quindi, senza coesione sociale, non si regge il territorio. E devo dire, riprendendo un libro di un grande bagnascolo e tre Italiae, che descriveva le tre Italiae dal punto di vista dei modelli produttivi. Io dico le tre Italiae della coesione sociale. Nel grande nord, dove noi siamo qui oggi, la coesione si fa coesione sociale per competere. Se non si si tiene assieme, non si riesce a competere, a reggere l'urto. Nel centro Italia, Luigi non ne sa molto più di me, cito solo Patman, che diceva le virtù civiche vengono prima dell'economia. Le virtù civiche prima dell'economia. Non dimentichiamoci che lì sono nati i nostri comuni. Le virtù civiche prima dell'economia. E al sud, cito solo il lavoro di Borromeo e della fondazione con il sud, che ha prodotto la valorizzazione del capitale sociale. Senza capitale sociale, come diceva Sebregondi, non si fa società. Questi sono i nodi, sono i punti. E ho finito un minuto. Le due parole che ci hai messo in mezzo, sostenibilità e ovviamente uguaglianza. Rimandola a questo. Uguaglianza. Se non si ricostruisce welfare di territorio e di comunità, ma anche welfare di impresa, le imprese sono sotto stress per far questo. Se non si ricostruisce sanità di territorio, l'abbiamo detto mille volte. Se non si fanno queste operazioni, l'uguaglianza aumenta inevitabilmente. E lo sappiamo. Se non si fa un welfare di territorio inclusivo per i nuovi cittadini, anche il problema demografico non si risolve. Ma il capitalismo, lei capisce queste cose. Pensava benissimo. Quando gli mancano gli operai, quando gli mancano gli... Lei gli dice, eh beh, qui c'è qualcosa che non va. E allora le imprese si occupano di queste cose qua. E per arrivare alla questione sostenibilità ecologica. Ma io mi ricordo una frase di un mio amico che abitava qua vicino, Alex Langer. Diceva, Aldo, la questione ambientale, se non diventa, se non è socialmente condivisa, non è. Il problema è rendere socialmente condivisa la questione ambientale fondamentale. Perché sennò non si fa green economy, significa fare green society. Green economy più per il capitalismo. Ho finito con una battuta. E quindi io dico al capitalismo dei flussi, ma smettetela di fare virgolette capitalismo fondazionale. Guadagno, faccio, e poi faccio un po' di fondazioni per fare arrivare in fondo un po' di solidarietà. No, sono epoche in cui bisogna partire dal comunitarismo fondazionale. Partire dal basso, costruire comunità, territorio interrogare i flussi che vengono dall'altro. Grazie. Grazie. Ora la parola a Luigi Nobruni, che sicuramente è portatore di una visione davvero affascinante che rimanda proprio alle radici profonde del modello di capitalismo italiano. E soprattutto a lui vorrei chiedere però di entrare un po' più nel tema della nostra discussione sulla sostenibilità, perché sostenibilità è parola larga, diciamo così. Io credo che possa essere declinata in tanti modi. Forse lei ci può aiutare a farlo. Sì, grazie intanto, grazie per l'invito grazie a voi per essere qui. Questo caposcuolo della Cone Civile lo intendo come il primo degli scolari, perché mi piace più andare a scuola più che farla, più che fare il docente. Quindi, grazie. Ma appunto, le sostenibilità sono molte le insostenibilità sono molte di questo capitalismo. Solo una piccola battuta storica. Noi nel Settecento abbiamo cominciato a misurare i flussi. Come diceva prima Aldo, fino al Settecento alla scuola francese dei fisiocratici si misuravano gli stock. Cioè un paese era ricco e si aveva oro e si aveva terreni, palazzi. Poi si capì giustamente che tu puoi avere palazzi, oro, mare, montagne, ma se non li metti a reddito rimani un paese povero. Basta guardare oggi cosa accade nel mondo. Quindi si misurano i flussi e non più i capitali. Noi per tre secoli abbiamo consumato capitali per generare i flussi. Abbiamo smesso di guardare i capitali, gli stock. L'abbiamo usati in un'enorme glisse della terra. Perché nel Settecento la terra era un fattore produttivo. Chiunque ha studiato Smith, Ricardo e Marx si ricorderà che i tre fattori erano terra, lavoro e capitale. Con la rivoluzione neoclassica scompare la terra rimane semplicemente il lavoro e i capitali in un mondo che diventa una flatlandia senza il terzo asse della terra e quindi del tempo, del futuro e del passato. E quindi abbiamo cominciato a consumare i capitali. L'abbiamo consumati molto. Quell'ambientale è evidente. Ma quelli sociali ne abbiamo ascoltato. Quelli relazionali, comunitari, virtueti e capitali spirituali. Cosa vuol dire questo per non andare oltre i miei minuti? Cioè che il capitalismo ha custodito alcuni capitali o alcune virtù usate in senso tecnico come forme di eccellenza, come forme di tratti caratteriali robusti, che sono l'efficienza, una certa industriosità. Il capitalismo ha coltivato la creatività, la biodiversità dei talenti, sicuramente. Ma non è stato capace di custodire altre virtù, altre capitali, che sono ad esempio le virtù non commerciali, le virtù non strumentali, le virtù del non incentivo, le virtù che Primo Levi chiamava del muro dritto. Quando vi racconto nella sua bibliografia, ad Auschwitz ricordo un fatto curioso, la bibliografia di quel muratore qualche mese fa, stupenda, quel muratore mi portava di nascosto il cibo, mi ha salvato la vita, quel muratore odiava la guerra, odiava la lingua, odiava i nazisti, ma quando lo mettevano a tirare sui muri li faceva dritti e solidi, non per obbedienza, ma per dignità. Cioè questo fare muri dritti senza bisogno di incentivo, il lavoro ben fatto è stata una componente fondamentale della civiltà fino al 900. Cioè le imprese hanno consumato patrimoni non remunerati di persone che arrivavano al lavoro già equipaggiate di queste virtù civili, di fare muri dritti anche senza l'incentivo, anche quando nessuno li vedeva, anche quando lavoravano soli. E il capitalismo italiano è stato tutto ciò. Noi negli anni 70, agli anni 80, abbiamo fatto da 300 mila un milione di imprese, perché abbiamo messo a reddito mezz'altro i contadini artigiani che sono diventati imprenditori, con quelle virtù del muro delitto. Bene, che cosa significa tutto ciò? Che ad un certo punto questa carenza di capitali è diventata abbastanza evidente a chi ha le imprese, grandi imprese che speculano, vedono prima più lontano, speculare vuol dire questo anche, guardare più lontano a specula, hanno capito che c'era un problema di capitali, tutto capitale umano, che la fragilità dei lavoratori stava diventando una cosa molto importante, perché cominciamo ad arrivare a lavoratori non più equipaggiati di quell'etica delle virtù con cui abbiamo fatto l'Occidente per millenni. Quindi il primo tentativo di soluzione è stato il management scientifico, cioè questo grande moda del management, cioè ci formiamo in house, dentro, quelle risorse umane che non abbiamo più belle pronte da fuori. Per una ventina d'anni, fino a 900, questa operazione è stata una grande moda nel mondo delle grandi imprese, il management scientifico, tutti lo conosciamo. Da una ventina d'anni il management ha detto non ce la facciamo più d è nata all'era dei consulenti, cioè questo outsourcing delle relazioni, cioè le imprese, i manager non ce la fanno più a gestire le fragilità interne delle imprese quindi oggi abbiamo imprese con 100 dipendenti e 50 consulenti, di tutti i tipi, dai coach, counselor, scioggi del lavoro, che è un tentativo di prodursi all'interno quelle virtù civili che all'esterno facciamo sempre più fatica a trovare. E quindi questa grande era, su cui dovremmo riflettere un po' di più tutti, su questo ruolo, perché se la consulenta, se è sussidiaria e buona, se è sostituta dei rapporti interni all'impresa, diventando un grosso problema perché i problemi non li risolvi, mi diceva l'altro giorno un mio collega, io ho un problema con mio capo, mi hanno fatto parlare con un coach o un counselor o uno psicologo, benissimo, ottimo, però finché non parlo con lui i problemi non li risolvo. Cioè bisogna sapere che cosa significa, ti arriva da fuori come arriva in modo sussidiario o meno. E allora io credo che cosa facciamo ora che la grande impresa comincia ad avvertire anche la crisi dei consulenti, se vuoi leggere De Tre Righi che si coglie, questo libro della Mazzucato evidente che è appena uscito. Allora, dobbiamo tornare fuori dall'impresa, l'impresa non può far tutto, io davanti alla grande impresa oggi metterei un cartello, io non sono Dio, cioè non posso farti i ritiri spirituali, le vacanze, ti faccio qualcosa, ma vai fuori, fuori dell'impresa dove trovi le risorse per lavorare bene. Ma torna fuori come in quella gratuità, questa parola fragile, manipolata, dei buoni sentimenti, che vuol dire fare il muro dritto quando nessuno mi vede. Questa è la gratuità, che sono libero, che non seguo l'incentivo, seguo me stesso. E questa gratuità non è gratis, è quella dimensione di libertà che ti dice quella cosa va fatta bene perché è buona, punto, è l'economia del punto, non c'è niente oltre, né i soldi né gli incentivi, ci sono io. Questa dimensione, come si fa a ricostruire questo capitale morale, etico, spirituale? Chiamiamolo così. Io faccio una proposta su cui lavoriamo anche come economio francesco, poi concludo. Cioè lo dobbiamo oggi capire una cosa, che se chi ama la vita, le civiltà, le persone, quindi anche pezzi di religione ancora vivo, di cristianesimo, se noi non facciamo un'operazione simile a quella che fece il cristianesimo col mondo antico, che prese i templi, anche fisicamente pensiamo a Siracusa o a Scolipiceno dove vivo, dove sono nato, questi templi pagani diciamo ci mise sopra il Duomo. Cioè riprese dei pezzi di civiltà costruire la cristianità con ciò che c'era. Se noi oggi non prendiamo ciò che rimane vivo delle grandi regioni, le tradizioni etiche, l'etica delle virtù non ricostruiamo un capitale spirituale universale per i giovani, per tutti, la prossima pandemia sarà la depressione perché la gente non può trovare dentro il lavoro la motivazione del lavoro. Il lavoro fa molto ma non fa tutto. Nessuna impresa ha mai motivato fino in fondo il lavoratore. È un pezzo di vita. Se diventa tutto, il lavoratore esplode. Quindi oggi questa insostenibilità è una insostenibilità di capitale umano, di persone. Noi dobbiamo guardare all'ambiente, e lo facciamo troppo poco, ma guardare alle relazioni, guardare alle comunità, guardare alle virtù e guardare alla gente. Perché senza una ricostituzione di queste forme di capitali potremo, dovremo risolvere il problema del pianeta, ma saremo noi il problema che non abbiamo risolto. Perché ci alziamo al mattino per andare a lavorare tutti i giorni, per tutta la vita? Grazie. Grazie per i molti stimoli che ci ha lasciato, perché il pezzo dell'economia è esattamente questo, stimoli per riflettere, per ragionare, per portare a casa lementi di conoscenza su cui tornare. Alla professoressa Rita Declesia, a questo punto chiedo invece di guardare un'altra sfaccettatura di questa ridiscussione che il capitalismo fa di se stesso, vale a dire da un punto di vista della gestione delle risorse, della finanza. Perché è la finanza, io ricordo bene la riunione del club dei CEO dei Wall Street che per primi hanno detto, guardate c'è qualcosa che non va, dobbiamo modificare il meccanismo di allocazione degli investimenti, d è cominciata a comparire la sigla ISG, anche per il grande mondo della finanza, che sta facendo fare questa grande rotazione ai capitali globali, che sono tantissimi e sono in grado di modificare proprio gli asset, anche di interi paesi volendo, di rialloccare gli investimenti verso strade di maggiore sostenibilità, di maggiore virtuosità, di maggiore attenzione alle cose che in parte diceva anche Luigi Bruno. È vero questo? Cosa c'è da fare? A che punto siamo? Sì, mi sentite? Grazie. Grazie Muto per avermi invitato. Mi fa molto piacere essere qua, c'è tanto da fare. C'è tanto da fare, diciamo che credo che tutti, vediamo continuamente esposti al termine finanza sostenibile, finanza socialmente responsabile, è diventato il nuovo mantra, mettete finanza sostenibile per la moda, ovunque. Però, diciamo, guardiamola un attimo. C'è tanto da fare, ma si sta facendo molto, direi che sia le imprese, le società finanziarie, anche i risparmiatori, sono tutti molto attenti o comunque vengono continuamente investiti di una quantità di informazioni che, a mio parere, lasciano il segno. Se lo vediamo dal punto di vista sotto il profilo sociale filosofico, finanza sostenibile o l'investimento socialmente responsabile, si mette dal punto di vista di vedere alle cose per quello che veramente sono non solo concentrate, diciamo, da solo una serie di scelte o di investimenti dal punto di vista del solo profitto, ma mettono al centro l'interdipendenza tra ambiente, modalità di governo e sociale, quelle famose tre lettere che sono environment, social e governance alle quali dobbiamo prestare attenzione che sono state introdotte ormai da un punto di vista dei regolamenti, delle richieste che vengono fatte alle imprese che devono assolutamente dare disclosure, informazione sul loro impegno non finanziario, cioè quanto loro sono presenti sul territorio con azioni che mirano a ridurre l'impatto sull'ambiente quindi sui famosi footprint, le emissioni di CO2, cercare di ridurre quello che stiamo vedendo in questi giorni credo che sia assolutamente una evidenza del cambiamento climatico. L'inclusione, il fatto che ci sia comunque attenzione a una serie di aspetti sociali non ultimo la governance, il modo in cui viene gestita l'azienda quali devono essere gli obiettivi. Dal punto di vista economico l'investimento sostenibile ha come principale obiettivo quello di porre alla base la buona convivenza tra le persone in un ambiente naturale, sembrano solo parole però è quello che si cerca di fare. C'è moltissimo da fare, come lui diceva siamo a questo punto, se noi ci pensiamo siamo passati dalla prima rivoluzione industriale nel Settecento alla seconda rivoluzione, quella del motoroscoppio, poi quella dell'energia atomica. Oggi siamo in un momento in cui sicuramente lavoriamo, teniamo conto dell'interazione tra digitale, tutta la componente di robotica, intelligenza artificiale che sta modificando le nostre vite, sta modificando il modello di business, sta modificando tanti lavori. L'ultimo contributo ce l'ha dato il Covid, che ha dato una grande spinta, se volete, a tutta la parte digitale. Pensate a quante attività si sono modificate. Io insegno all'università, è cambiato il modello di business, stanno cercando di farci cambiare anche il modello di insegnare. A questo punto moltissime delle attività, se non le fai in presenza le fai da remoto, però anche lì noi dobbiamo imparare come fare. Non è che possiamo insegnare online nello stesso modo in cui lo facciamo frontalmente. Per cui questo sicuramente richiede una continua sfida da parte di tutti noi. Però adesso, se voi andate a vedere in alcuni manuali, si parla della sesta rivoluzione. Siamo in un momento in cui l'eccessiva accelerazione demografica ha portato a uno sviluppo, una velocità con cui stiamo adesso di fatto avendo delle conseguenze negative sull'ambiente e bisogna decelerare. Quindi la sesta rivoluzione dobbiamo decelerare per rendere tutto sostenibile. Io lavoro con i numeri, per cui un po' di numeri ve li devo dare. Per una cosa interessante era nel 1970 noi consumavamo in un anno quello che producevamo in un anno. Oggi consumiamo, quello che producevamo in un anno, mediamente nel mondo lo consumiamo in circa sei mesi. Di fatto al 29 luglio abbiamo già consumato. In Italia al 15 maggio. In un rapporto avevo letto l'Italia dell'eterno lamento. Però significa che bruciamo e aumentiamo debito. Quindi questo sono una serie di elementi che dobbiamo tener presente per modificare il modello. Il modello con cui le banche prestano soldi, le imprese fanno business e non solo orientate, ovviamente devono essere orientate al generare occupazione, generare anche profitto. Ma non deve essere quello l'obiettivo principale. E questo deve assolutamente cambiare. E viene spinto da una serie di interventi che sono stati di fatto realizzati dal Regolatore. L'ultimo parte l'accordo del 2015 dei 193 paesi che hanno sottoscritto l'accordo del 2030 in cui dovremo rispettare una serie di obiettivi. Noi siamo abbastanza consapevoli degli obiettivi posti relativi al rispetto dell'ambiente e alla riduzione delle emissioni a un'attività più responsabile rispetto all'ambiente. Però sta diventando sempre più importante sia l'aspetto sociale l'aspetto della governance. E da questo punto di vista vi posso dire che c'è ancora tanto da fare c'è tanta confusione. Quanti minuti ho? Uno. C'è tanta confusione perché abbiamo parlato o sono anticipato ESG. ESG sono tre pilastri sulla base dei quali chi investe o chi presta soldi deve rispettarli e deve dimostrare che il suo impegno rispetto a questi pilastri è assolutamente consistente. Vi concludo con le imprese e le banche in questo momento, negli ultimi tre anni, un po' perché spinte dal Regolatore vengono continuamente monitorate, prestano soldi alle imprese che dimostrano di fare le loro attività rispettando questi tre criteri. Quanto è vero quanto questi tre criteri sono effettivamente solo diffusi, presentati dalle imprese e poi operano in questo modo. Anche qui c'è tanto da fare. Però sicuramente quello che ho visto è un grande monitoraggio da parte sia del Regolatore ma anche delle imprese stesse che hanno come obbligo di dare disclosure sulle attività non finanziarie che hanno. Io concludo dicendo che c'è ancora tanto da fare ma vedo che c'è, almeno nel mondo sia universitario, nelle imprese, sono state in vari consigli di amministrazione ultimamente, di banche, c'è moltissima attenzione verso un maggiore e maggiore impegno verso il sostenibile mi auguro che riusciremo ad arrivare all'obiettivo. Grazie, siamo perfettamente nei tempi. Presidente Maurizio Gardini, le cooperative mettono al centro la persona da sempre. Effectivamente rispetto anche a come si è dipanata la discussione credo che siano arrivate parecchie istanze che voi lavorate tutti i giorni o mi sbaglio. Grazie, il dibattito è intrigante di estrema qualità. Mi permetterei però di spostare un attimo l'asse del confronto dal nuovo modello di capitalismo. Non so se si sente lì, lo senti? Sì. Replay. Grazie, il dibattito è molto intrigante e estremamente attuale ma mi permetterei di spostare un attimo il tema e il focus dal nuovo modello di capitalismo a un nuovo modello di economia o di economie. Qualcuno nel Paese legge i dati economici, legge i dati del PIL. Si bea perché i dati sono migliori rispetto alle previsioni. Forse c'è qualche punto di PIL superiore di crescita, è innegabile, ma di contro registriamo un fortissimo aumento delle fratture sociali. Un Paese che si divarica sempre di più fra chi ce la fa e chi non ce la fa. Una polarizzazione delle richesse evidentemente prodotte da quella parte che corre e cammina velocemente con dei percorsi che qualcuno identifica anche in altre regioni europee, un dibattito che non mi interessa, ma il dato di fatto è che c'è una crescita della povertà, una crescita delle fratture sociali un esercito sempre più abbondante non solo di popolazione ma di territori che rimane indietro. Questo mina profondamente la coesione sociale che è strategica e vitale per la crescita di un Paese perché da soli non si va da nessuna parte. E chiudo solo questa brevissima premessa, è il rischio che questo sia tanto più accentuato perché il volto moderno del capitalismo non ha più il volto del capitalista ma c'è il fondo di investimento la finanziarizzazione dell'economia ha disarticolato e ha tolto un po' di anima ha focalizzato esclusivamente sulla produttività, sul dividendo, ovviamente facendo un po' di washing inserendo gli elementi dell'ESG e della sostenibilità. Ecco allora di fronte a questo che l'attualità del dibattito che la comunità che l'Unione Europea ha introdotto sul piano di azione dell'economia sociale squarcia un velo e inserisce con grande puntualità un nuovo modello di economia che non deve essere necessariamente antitetico, io non sono più appassionato di dibattiti di contrapposizione, sono interessato a identificare dei percorsi di integrazione ma certamente il tema dell'economia sociale, l'economia del noi riposiziona al centro del dibattito l'economia partecipativa, l'economia che nasce dal basso, l'economia dei territori, l'economia che nasce dai bisogni, un'economia che in qualche misura si fa carico di costruire la risposta ai bisogni questo è ovvio, io darò una lettura evidentemente da dirigente del movimento cooperativo, qualcuno dice ma tu interpreti a modo tuo, ma qui evidentemente ci sta il cuore di un'azione che proietta la cooperazione italiana a pieno titolo nel secondo secolo della sua vita, della sua storia, è carica di una responsabilità, una responsabilità economica, una responsabilità grandissima di ricongiungere le fratture, di riconnettere i pezzi del territorio, di intestarsi delle azioni concrete. Vogliamo discutere di transizione energetica, vogliamo discutere di comunità energetiche, vogliamo discutere se questo processo di transizione deve essere affidato solamente ai grandissimi capitali che magari fanno grandissimi utili, ci fanno pagare l'energia più di prima, per cui la dipendenza che ora era dal gas di Putin domani diventa l'energia magari pulita ma dai grandi capitali finanziari o pensiamo che invece le comunità energetiche in forma diffusa, in forma di partecipazione del territorio sia un valore? L'antidoto che l'economia sociale oggi offre in qualche misura alle povertà, alla ricongiunzione delle povertà, che non è più solo la povertà in termini economico, è una povertà in termini sociali, in termini educativi, in termini formativi, in termini abitativi, in termini energetici, in termini di welfare che non c'è per tutti. E allora vogliamo discuterne di queste cose vogliamo in qualche misura riallacciare una connessione e sviluppare il progetto imprenditoriale che si carica sulle spalle una risposta a questi problemi. Ecco, penso che questa sia la visione in qualche misura nuova, una visione mica semplice, perché è molto più facile in un Paese attirare grandi capitali e mettere subito a terra. Poi c'è invece un progetto di costruzione diverso che nasce dal basso, che nasce da una consapevolezza, da una partecipazione che si identifica in sé in valori anche che abbiamo sentito la partecipazione, il contributo. Ecco, allora questo è il dibattito che in qualche misura noi dobbiamo inserire all'interno del Paese. L'Europa ce ne dà l'occasione. Io sogno un Paese in cui accanto all'economia capitalistica che evidentemente deve essere governata e controllata, ma che ci sia anche un'economia sociale diffusa, articolata, che cresce, che anima i territori. E sogno anche, lo dico un po' a livello di provocazione, sogno anche che l'articolo 45 della Costituzione, una Costituzione bellissima, riconosca non solo la funzione sociale, ma anche la funzione economica e sociale, perché è la coniugazione più intrinseca del ruolo dell'economia sociale che si fa carico nelle aree interne con le cooperative di comunità, che si fa carico con le piattaforme digitali, che si fa carico con le comunità energetiche, che si fa carico dei progetti di riqualificazione urbana, che si fa carico anche di una visione di un ambientalismo nuovo, non ideologico, ma che, e lo dico, con la sofferenza di essere un romagnolo che ha visto la propria terra disastrata, non solamente per delle scelte compiute nel passato, ma 800 milioni di metri cubi d'acqua scaraventati in 36 ore su un territorio avrebbero messo a durissima prova qualsiasi territorio di tutto il mondo. È un evento estremo. Però ci sta qui la necessità di ricostruire con dei paradigmi nuovi ci sta la necessità proprio di costruire con i presupposti dell'economia sociale. Ecco, penso che questa sia una grande sfida, una grande sfida che è per tutti, che non esclude, che esaspere ed accentua l'economia del noi che si contrapone all'economia dell'io. Grazie. Grazie, presidente. Effettivamente a me piace pensare che l'Italia possa diventare il laboratorio delle libertà laddove c'è spazio per tutte le forme che abbiamo sentito citare di modalità con cui esercitare la funzione del capitalismo, cioè dell'equilibrio tra lavoro, produzione, capitale, insomma. Però è anche vero che bisogna guardare dove va il mondo, professor Signorelli, vero? Perché tutto questo non può rimanere una discussione all'interno dei nostri confini, ne abbiamo già visto in parte, ne abbiamo già discusso, che stiamo parlando di fenomeni globali. Però effettivamente ha maggior ragione perché le sollecitazioni che la quotidianità la contemporaneità ci offre tutti i giorni, visto anche quello che accade con la guerra, quello che sta accadendo con le tensioni tra USA e Cina, quello che sta accadendo con l'Europa che cerca una sua strada, non può non avere un peso poi anche nella diversa... nel diverso modello che possiamo immaginare anche per il capitalismo domestico. Prego. Grazie. Il mio intervento in realtà è meno virtuoso apparentemente un po' più cinico, nel senso che tante delle cose dette, quasi tutte, le condivido. È un desiderato, è un qualcosa che esiste nella realtà, ma la realtà è anche globale con essa dobbiamo in qualche misura fare i conti. Intanto, forzando un po' la questione, potrei dire che negli ultimi poco più di 40 anni il vero modello, tra virgolette, capitalistico che ha avuto successo è quello cinese, che naturalmente è molto distante, anni luce dalla mia cultura, dal mio senso delle istituzioni democratiche, è un qualcosa di distante, penso, da sentimenti di tutti noi, però dal punto di vista del balzo nel peso economico globale, la Cina dal 1978 in poi è passata, come mostrano questi dati, da pesare poco più del 2% del PIB globale, questi sono dati a parità di potere d'acquisto, cioè tengono conto del diverso livello dei prezzi nei vari Paesi. Quindi dal poco più del 2% a quasi il 20% del PIB globale. Quindi con questa correzione, la Cina è già avanti agli Stati Uniti da qualche anno, senza questa correzione lo sarà di qui a pochi anni. Questo è un dato di realtà con cui dobbiamo fare i conti, perché l'aspetto economico è un aspetto che poi trascina con sé, magari con qualche ritardo temporale, un aspetto di peso politico e di influenza culturale anche di influenza negli assetti istituzionali magari anche un'evoluzione del concetto stesso di democrazia, come noi la conosciamo e la difendiamo. Naturalmente sul peso economico conta ovviamente la dimensione di popolazione, potrei dire in un certo senso che l'aspetto demografico dopo oltre due secoli dalla rivoluzione industriale in poi, in cui l'aumento in alcune fasi tumultuoso della produttività media dei sistemi economici ha messo in secondo piano l'aspetto demografico, ma invece questo aspetto è tornato prorompente sia nel determinare il peso economico degli Stati sia alcune dinamiche che in parte sono in essere. Questa slide mostra come in un anno oltre la metà dei nati sono in Asia, oltre circa un terzo sono in Africa, solo un ventesimo sono in Europa, un decimo sono nel continente complessivo nord, centro, sud americano. Quindi questo dà un'idea di come la dimensione demografica è tornata prepotentemente sulla scena, peraltro in un contesto in cui a livello globale comunque si ha un progressivo, anche prendendo gli ultimi decenni, declino del tasso di fertilità questo coinvolge peraltro anche il continente asiatico, un po' meno quello africano. Peraltro non dimentichiamoci che la Cina è già stata al primo posto nel contesto globale, ovviamente soprattutto per dimensione di popolazione, è la parte rossa in figura. Qui si pone, come accennava all'inizio, tutta una questione connessa agli aspetti democratici. Naturalmente c'è una difficoltà enorme nel catalogare e classificare i paesi a seconda del livello di democrazia. Qui ci sono quattro tipologie diverse. Se guardiamo gli ultimissimi anni, dopo tanti anni, addirittura qualche secolo, di progressivo restringimento dei paesi, il numero di paesi che sono strettamente autocratici, potremmo definirli, negli ultimi anni c'è un'inversione di tendenza per me e per tutti noi preoccupanti con cui dobbiamo comunque fare i conti. Peraltro questi anni di pandemia non hanno ridotto queste dinamiche, anzi per certi versi l'azione russa nell'invasione in Ucraina l'hanno accentuato, tant'è che la Russia è il paese che più arretra su questi aspetti sempre arbitrari in parte di classificazione sugli standard democratici. Però non pensiamo che ci sia solo un effetto quantitativo su queste dinamiche, cito solo l'ultimo dato di queste slide. La domanda di Brevetti, nei paesi che noi definiremmo secondo una classificazione autocratici rano solo il 5%, rano solo il 5% nel 1995, oggi superano il 60%. Quindi c'è una dimensione anche qualitativa per questo tipo di sviluppo economico. Peraltro le disuguaglianze su base globale persistono, questa slide ne mostra alcuna con riferimento a aspettative di vita, scolarizzazione anche al reddito medio. Si va in un range che permane estremamente forte e variegato. Se si va a prendere i decili, quartili o altre dimensioni quantitative si mostra come ancora, chiaro qui esistono molte fonti che danno in parte dati diversi, ma ancora la polarizzazione nella distribuzione della ricchezza su base globale è veramente enorme tende a persistere. Peraltro anche negli anni più recenti, questo fenomeno non solo non si è ridotto, ma addirittura si è ulteriormente accentuato. Anche sulle prospettive più a lungo termine questa fonte su e altri del 2020 è una delle tante che ci mostra in maniera visiva fin troppo drammatica, ma anche se fosse vero solo il 20% di questa previsione sarebbe preoccupante. In nero sono evidenziate le aree del globo che risulterebbero al 2070 non abitabili per una serie di ragioni in parte note. In sostanza, mi soffermo su queste considerazioni aggiungendo una riflessione. La virtuosità e superiorità su tanti aspetti della civiltà occidentale, ma mi permetto di dire di quella europea, di quella dell'Unione Europea, aggiungo, deve concretizzarsi in una maggiore migliore capacità anche di competere a livello economico, perché, come ho detto nei decenni passati, il declino economico che è già in essere da decenni si tradurrà inevitabilmente in un declino politico che è già in atto, ma anche in un declino culturale della stessa capacità di preservare i livelli non solo di democrazia nei paesi occidentali, ma anche di relazioni virtuose che ci sono state giustamente segnalate negli interventi precedenti. La possibilità della vita dell'uomo sulla terra dipende molto da una serie di scelte, è stato detto, della società civile, quindi del modo di fare impresa nelle varie forme, del modo di comportarsi dei consumatori, quindi in maniera responsabile, ma dipende anche da un nuovo ruolo dello Stato, o meglio degli Stati, tradotto in sintesi. Oramai tante teorie segnalano sia del settore privato, ma anche quelli infrastrutturali materiali e immateriali dello Stato o degli Stati, ma anche gli investimenti in ricerca e sviluppo quelli in istruzione, siano fondamentali per favorire uno sviluppo veramente sostenibile e protratto nel tempo. La Cina e altri paesi emergenti con un capitalismo di Stato, lo potremmo chiamare, hanno puntato tantissimo su questo tipo di fattori determinanti. Quindi la Cina è infrastrutture anche investimenti in ricerca e sviluppo in capitale umano, naturalmente in un contesto, istituzionale e culturale, lontano a anni luce. I paesi europei e l'Italia devono fare molto di più per favorire uno sviluppo settoriale sostenibile in grado di competere, quindi con una politica industriale che va anche a individuare con tutte le difficoltà del caso i settori dove è opportuno andare a investire anche con ricerca e sviluppo pubblico, coinvolgendo molto di più la potenzialità enorme sottotilizzata ovunque della ricerca universitaria. Insomma, o l'Occidente, ma mi piace dire l'Unione Europea, riguadagna questa capacità di essere competitiva sul fronte economico o altrimenti il declino che per ora, in questi decenni, è solo economico d è in parte già in atto sul fronte politico sarà sempre di più anche sul fronte culturale della qualità della vita e delle relazioni. Grazie. Grazie a tutti. Grazie, perché esco da questa tavola rotonda pieno di suggestioni, di stimoli che poi nell'altro mestiere che facciamo noi tutti i giorni di cronisti cercheremo di trasporre poi nelle nostre pagine, nei nostri video, nel nostro sito, nella nostra radio, in tutto quello che facciamo. È il momento delle domande dal pubblico. Grazie. Lei dice giustamente le aziende non sono Dio, c'è altro oltre il lavoro. È vero, io insegno diritto del lavoro all'Università degli Studi di Milano quello che vi posso dire è che però abbiamo un problema. Anche le nuove generazioni hanno molta voglia di occuparsi di cose diverse al lavoro, ma gli stipendi, sappiamo, sono sempre più bassi. Facciamo un esempio, il part time, che ormai è diventato il contratto flessibile più usato, con 10 euro al mese l'azienda mi può cambiare i turni di lavoro o aumentarmeli. Questo significa che per 10 euro al mese io metto in stand-by ovviamente la mia vita. Quello che mi chiedo è, al Festival dell'Economia credo che sia arrivato il momento di non lasciare il carico di cercare di risolvere il problema sociale soltanto nelle mani dei lavoristi. Credo che anche gli economisti debbano condividere con noi questo peso per cambiare il modello, perché giustamente il professor Signorelli diceva, dobbiamo essere competitivi. Io insegno liberalizzazione e liberal rights, me ne rendo conto, lo so, lo capisco, ma in concreto credo che sia arrivato il momento forse di dare delle risposte. Grazie. Ne raccogliamo tre e poi cominciamo, prego. Io sto studiando un megatrende che parte dalle aree interne. Ho letto diversi libri, Rehabitaria in Italia, Il principio territoriare, Mietromontagna. Due anni fa ero con 30 vescovi per l'emergenza delle aree interne abbiamo organizzato un forum per le aree interne a Novalesa che sta gemmando altre realtà. Abbiamo organizzato anche 90 testate online attraverso il Festival Global, che è proprio far spegnere la televisione le persone, uscire dalla toluciocrazia partecipare alle vicinissitudini del proprio paese, del proprio territorio. C'è la possibilità, perché io ho preso una serata sulle comunità energetiche. Quindi pochi sanno che tutti i comuni sotto i 5 mila abitanti hanno diritto a 400 mila euro per impostare tutto un discorso di autoproduzione. L'altro filone importante è quello della sanità e della prossimità la pastorale della salute e del lavoro aveva avuto un'idea delle intermieri di comunità nel 2019, un progetto che si è interrotto che stiamo cercando di fare riprendere perché se oltre la infermiera di comunità io aggiungo il tecnico di telemetria metto in rete le 26 mila farrocchie, le 20 mila farmacie, i 55 mila medici di famiglia, creando la filiera clinica organizzativa, medico di base, infermiera di comunità, tecnico di telemetria, vado a creare occupazione sul territorio, vado a gestire i pazienti fragili rianimare la risorsa che manca perché noi stiamo mettendo 2,2 miliardi di euro nelle case di comunità che, stante le disponibilità delle risorse, saranno cattedrali nel deserto. Quindi bisogna partire dalla formazione sul territorio creare occupazione per gestire sul territorio i pazienti fragili e rianimare partendo da queste cose, dall'acqua, da queste comunità energetiche, far rivivere la comunità. Ho finito. Ho rafforzato la riflessione del professore indicando delle strade, indicando dei percorsi ben determinati perché il problema è che si parla del cosa, io ho parlato del come mi sembra che si parla del quale. Si è parlato di sostenibilità anche di insostenibilità di diseguaglianze. Io credo che una delle diseguaglianze principali che ci sono nel mondo attuale del lavoro sia quella data dal divario di genere perché se guardiamo la città la città non è una città ma è una città che è una città data dal divario di genere perché se guardiamo al dato dell'occupabilità maschile e quella femminile sul suolo italiano siamo sul 55% per quanto riguarda le donne il 74% per quanto riguarda gli uomini. Anche in Trentino dove va meglio siamo sul 61% per le donne mentre invece sempre valori simili sempre per quanto riguarda i dati del Trentino le posizioni apicali dirigenziali sono occupate da donne soltanto per il 18%. Mi chiedevo secondo voi se ci sono strategie percorribili per risolvere questo problema quanto sia importante. Grazie. Adesso comincerei con tre risposte cominciamo dalla prima che riguardava Lugino Bruni senz'altro poi gli altri che vogliono rispondere. Sono totalmente d'accordo che la questione del lavoro non può essere soltanto un problema appaltato ai giust lavoristi fa parte del patto sociale quindi vuol dire la politica, l'economia quando diventa soltanto la procedura tecnica di concentrazione collettiva abbiamo già fatto uscire il lavoro dalla piazza non lo vediamo e non vedendolo viene calpestato viene umidiato quindi sono totalmente d'accordo che va rimesso al centro del patto sociale anche di teoria economica come era perché la grande tradizione italiana del 900 gli economisti erano anche interessati al lavoro non erano semplicemente interessati alla matematica applicata io credo che un punto fondamentale che è dietro a questa desegualianza crescente di genere che non diminuisce almeno nel nostro Paese non solo, è che non è sufficiente dare spazi alle donne nei luoghi di lavoro che ha piccato meno che è importante, io credo che dobbiamo ripensare come si lavora ma si è femmine insieme praticamente nel registro maschile avremo sempre donne ospite di un mondo maschile perché l'homme economicus è anche maschio ha pensato il lavoro a sua immagine e sua miglianza su questo si discude poco perché ci si inserisce in strutture pensate già dal registro maschile, ma oggi questa è una sfida importante grazie, direi il presidente Gardini il tema che lei ha posto di una grande attualità ma purtroppo non è nelle priorità dell'agenda del Paese neanche del governo, del Paese, il tema delle aree interne d è un tema talmente importante perché la stragrande parte di territorio è area interna, minoritario in termini di popolazione ma straordinariamente maggioritario in termini di territorio territorio che ha bisogno di essere vissuto che ha bisogno di essere presidiato che ha bisogno di essere mantenuto perché sennò succede tutto quello che sappiamo allora posto che nelle aree interne non ci vanno le banche ad aprire sportelli ma le chiudono non ci vanno i capitalisti d'assalto ad intraprendere perché non conviene chi ci va? Nelle aree interne ci vanno le banche di credito cooperativa a mantenere aperte gli sportelli non si dice, devi recuperare efficienza devi chiudere degli sportelli ci vanno le cooperative di comunità la più grande provocazione dell'evento dopo la cooperazione sociale degli anni 80 e 90 è la sfida più impegnativa dell'economia sociale e della cooperazione quella di riuscire a dare un protagonismo nell'economia del noi recuperando non a fotocopia di statuti ma recuperando a progetti autentici e originari recuperando quelle che sono le condizioni di vita e di vitalità in cui continuare ad abitare e a vivere un territorio dove è chiaro che ci sono i problemi dell'Uelfa bisogna pensare a un modello diverso Milano non può avere lo stesso modello o le stesse finalità di un piccolo comune di 800 abitanti su sei frazioni videntemente c'è un modello da sviluppare in termini diversi purtroppo il tempo non c'è ma la rimando ad un evento che c'è del Fuori Festival dove parleremo di cooperative di comunità può essere anche un'occasione per entrare qui purtroppo non abbiamo più tempo da una minima risposta per quanto so condivido quanto diceva prima Luigi ma fondamentalmente si sta facendo qualcosa semplicemente con un intervento del regolatore con un'imposizione io che sono l'unica rappresentante femminile mi sono trovata in diversi consigli semplicemente perché è stato imposto questo piano piano rompe il muro perché poi ti impongono il 30% o il 50% di presenza femminile le competenze ci sono, le qualifiche ci sono piano piano si sta riducendo io spero di arrivare a dei numeri molto più alti sono un'ottimista di natura un cambiamento sia come rappresentanza che anche copertura di figure epicali cerchiamo, lei è giovane io vorrei che nel giro di 5 anni i numeri cambino un po' dobbiamo smettere di parlare nel breve periodo grazie, grazie perché c'erano altre 2 domande così diamo la voce agli altri che non hanno parlato la grazie per l'interessante panel io avevo una domanda che nasceva dalle suggestioni offerte dal dottor Gardina al professor Signorelli all'insieme delle mancanze aggiungerei il tema della mancanza di visione perché abbiamo un problema di dirigenze ovviamente di alto livello dove c'è mancanza di visione che metterà insieme alla sfida ovvero il ruolo dell'Europa per essere leader nel cambiamento ma nella definizione di un modello di capitalismo c'è la necessità di un cambiamento del ruolo del come i paesi lavorano insieme ovvero, ridifiniamo i confini ridifiniamo le competenze, perché è così complicato come possiamo iniziare a farlo cambiamento dall'alto e dal basso come era stato indicato direi prima buonomi perché comunque sono temi tuoi poi dobbiamo chiudere perché stiamo già sforando molto e non me ne vogliate non ho altro da dire di nuovo sempre la cassetta degli attrezzi io cerco di tenere assieme rispetto alle grandi questioni poste lavoro, territorio disguaglianze la coscienza di classe e la coscienza di luogo perché noi, figli del novecento ravamo abituati a ragionare in termini di coscienza di classe al maschile poi, il lavoro mi permetto di segnalare collegandomi anche col Presidente Gardini io ragiono in termini di urbano regionale andare oltre le mure dell'impresa significa tenere assieme, uno, i comuni polvere non dico comuni polvere, non dico solo aree interne devo dire i piccoli comuni le città di stretto vieni giù dalla valle che sono in grande cambiamento dal punto di vista dei lavori, delle competenze dell'uso di suolo le città medie forse non è un caso che il festival non si faccia in una grande area metropolitana, ma in una città media le città medie, le aree metropolitane lì ci sono le differenze i grandi processi quindi ripartire da questa dimensione dalla dimensione reale dei processi non si fa né sostenibilità né il problema dell'uguaglianza perché le disuguaglianze stanno dentro questi processi le disuguaglianze milanesi sono diverse dalle disuguaglianze dei comuni polvere ma tutte e due vanno affrontate, questo è il punto vero professor Signorelli, è stato evocato direi che rapidissimamente è giusta la domanda che i paesi europei devono fare di più l'Unione Europea deve collaborare consapevole della sua superiorità sul modo di vivere la qualità delle relazioni anche delle istituzioni ma anche della crescente debolezza sul piano del peso economico politico nel contesto globale questa consapevolezza al momento io non la vedo quindi senza questa consapevolezza anche la spinta a collaborare rimane ridotta, tradotto in concreto occorrerebbe un bilancio federale che però passerebbe solo attraverso un parziale ridimensionamento dei bilanci nazionali che oramai sono enormi come dimensione servirebbe a una capacità di incidere sulle scelte globale che addoggi non c'è anche le regole che saranno introdotte dal prossimo anno sui conti pubblici dovrebbero spingere gli Stati verso scelte di composizioni della propria spesa pubblica più favorevole ai settori che ho citato prima ricerca e sviluppo, educazione, infrastrutture materiali immateriali, fare quella politica industriale che i singoli strati si sono mostrati incapaci Italia compresa di realizzare a prescindere dal colore dei governi Grazie a tutti, è davvero stato un grande piacere avervi qui con noi ra una ricognizione generale sul capitalismo se guardate attentamente il programma troverete i carotaggi sui singoli temi che abbiamo quest'oggi solo accennato e vi invito a continuare a seguire i nostri lavori con la stessa attenzione che avete mostrato oggi Grazie ancora e buona giornata e buon festival Grazie a tutti Grazie
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