Terzo settore: la collaborazione tra pubblico e privato come leva di crescita
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Terzo settore: la collaborazione tra pubblico e privato come leva di crescita
Coprogrammazione e coprogettazione come strumenti per mappare i bisogni sociali e progettare servizi efficaci, facendo riferimento a sentenze della Corte Costituzionale e al Codice del Terzo Settore. Vengono illustrate esperienze concrete di fondazioni e cooperative sociali che mostrano l'impatto positivo di questa collaborazione su diversi ambiti, dall'housing sociale alla riqualificazione urbana e all'educazione, sottolineando l'importanza di un modello culturale collaborativo e la necessità di superare approcci burocratici. Infine, si discute il ruolo dell'economia sociale e la sua integrazione nel sistema legislativo italiano ed europeo.
bene, adesso si sente meglio. Bene, vi presento gli ospiti che sono davvero ospiti di eccezione perché vogliamo parlare del partenariato tra pubblico e privato mostrando degli esempi positivi e non tanto facendo parlare le leggi ma facendo parlare ciò che le leggi possono fare. Allora alla mia destra Gaetano Giunta, presidente della Fondazione Comunità Messina, l'avvocato Gabriele Sepio che in realtà ha più vesti e in questo caso penso di poterlo presentare come coordinatore del tavolo sull'economia sociale che è stato attivato presso il Ministero dell'Economia e alla mia sinistra Laura Biancalani della Fondazione Bocelli e infine Stefano Granata, presidente di Conf Cooperative e Feder Solidarietà. Bene, a questo punto per introdurre questo evento vorrei leggere un brevissimo cello di una sentenza della Corte Costituzionale, la 131 del 2020 perché questa sentenza scritta dal giudice Antonini, presidente, l'ex guardassigilli Cartabia, ha davvero dettato dei principi che sono illuminanti per quanto riguarda le possibilità del rapporto tra pubblico e privato. Gli enti del III settore in quanto rappresentanti della società solidale e del resto spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell'ente pubblico sia preziosi dati informativi altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico, sia un'importante capacità organizzativa ed intervento, ciò che produce spesso effetti positivi sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della società del bisogno. Bene, Gabriele Sepio. Noi oggi parliamo e vogliamo approfondire due termini che poi si fondono con un'ulteriore termine che è partenariato. Vogliamo parlare di coprogrammazione e coprogettazione. Che cosa si intende per coprogrammazione e coprogettazione? Abbiamo sentito parlare la sentenza della Corte Costituzionale di capire mappare i bisogni e poi capire e progettare i servizi. Grazie Maria Carla. Un tema importante che peraltro trattiamo anche oggi sulle pagine del sole 24 ore, il tema dell'amministrazione condivisa. Io credo che dietro alla norma che in qualche modo richiama la coprogrammazione e la coprogettazione ci sia un modello culturale che viene prima ancora della stesura delle norme. Lo dicevi bene te. Quindi in realtà il modello è questo. Si passa dalla competizione alla collaborazione. Lo dice bene la sentenza della Corte Costituzionale. Il dialogo tra il terzo settore e la pubblica amministrazione non è un dialogo legato a prestazioni dietro al rispettivo. È un percorso comune. È un percorso di collaborazione in termini di reciprocità ma anche di arricchimento reciproco. Lo diceva anche il giudice Antonini in un incontro che abbiamo fatto recentemente a Milano sul tema dell'educare al bene comune. Ecco l'amministrazione condivisa è una palestra attraverso la quale è possibile arrivare ad un'educazione con riferimento al bene comune alle attività di interesse generali che mette al centro il volontariato, mette al centro gli enti del terzo settore come il capitale sociale delle istituzioni democratiche. Quindi chiaramente ha una valenza culturale fortissima e giustamente la sentenza della Corte Costituzionale esprime un principio generale tale per cui l'amministrazione condivisa da attuazione al principio di sussidiarietà orizzontale, al principio costituzionale contenuto dall'articolo 118 della nostra carta e in realtà la coprogettazione, la coprogrammazione procedimentalizza l'azione sussidiaria. Questo succede e attraverso la coprogrammazione che di fatto è un'attività cardine di un sistema di dialogo, la pubblica amministrazione e gli enti del terzo settore avviano un dialogo su quelli che sono i bisogni, proprio perché l'amministrazione condivisa in particolare la coprogrammazione ha ad oggetto l'individuazione dei bisogni, la declinazione di questi bisogni e l'individuazione di alcune risposte e sotto questo punto di vista anche le prime analisi in merito all'avvio di queste procedure di coprogrammazione e coprogettazione che agiscono in deroga al codice dei contratti pubblici. Questo è stato ripadito anche recentemente. Voglio rettificare che parlare di deroga ai contratti pubblici è un errore oggettivo, ma per una ragione semplice qui è la norma che guida un processo e vi posso dire che nelle modifiche che sono state introdotte proprio nel codice dei contratti pubblici l'amministrazione condivisa non sta nelle eccezioni ma sta nei principi generali del sistema tale per cui si tratta di un procedimento che segue le logiche della trasparenza secondo le leggi 2.41 e 90 posto alla pari. Non stiamo cercando eccezioni ma stiamo assegnando il giusto ruolo ad un percorso tra pubblica amministrazione e terzo settore. Quindi è un percorso che è stato riconosciuto anche nel testo unico dei lavori pubblici. Quindi è riconosciuto questo passaggio dal principi costituzionali all'articolo 55 del codice del terzo settore fino al codice degli appalti pubblici. Un dialogo anche tra codici, questo è interessante, nell'evoluzione del sistema dell'economia sociale, l'economia sociale deve trovare spazio nel nostro sistema legislativo e per farlo è necessario far dialogare norme che già esistono in alcuni casi come la riforma del terzo settore, le norme sono state prodotte per dare alcune definizioni tra cui quella di terzo settore che non esisteva in un sistema definito dal punto di vista legislativo. Ma questo dialogo è cominciato anche con il supporto degli interventi di prassi del Ministero del Lavoro. Tanto è vero che se andiamo a vedere i dati statistici che parlano di condivisa, da quando è stata pubblicata l'ordinanza, è stata pubblicata anche alcuni pareri del Consiglio di Stato, è stata pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale, è esplosa l'amministrazione condivisa. Perché? Perché c'è bisogno anche da parte delle pubbliche amministrazioni di una iniezione di fiducia, specialmente dopo gli interventi del Consiglio di Stato che hanno in qualche modo un po' bloccato il sistema proprio perché si guardava ad una concezione dell'amministrazione condivisa secondo un sistema arcaico tale per cui gli enti devono agire secondo sempre una logica di gratuità. Questo meccanismo magari lo vediamo più tardi però è stato superato dalla sentenza della Corte Costituzionale. I dati dicono questo e chiudo dando alcune informazioni anche rispetto alla prospettiva. Sicuramente in termini pratici abbiamo una grandissima palestra dell'amministrazione condivisa che sono i servizi sociali. Assorbono la stragrande maggioranza degli interventi ma devo dire iniziano ad affermarsi dei procedimenti di amministrazione condivisa che riguardano la gestione degli immobili. Oggi parleremo con qualche esperienza pratica anche di questo. Questo è un passaggio fondamentale perché gli enti del terzo settore possono essere un grandissimo polmone di rivalutazione del patrimonio pubblico ma anche privato di questo paese. Dall'altra la coprogrammazione. La coprogrammazione è quel luogo che mette insieme la pubblica amministrazione, gli enti del terzo settore, si individuano i bisogni e soprattutto è lì che il terzo settore mette a disposizione le proprie conoscenze e competenze mappando quei bisogni. Oggi la coprogrammazione che è fondamentale rappresenta una piccolissima parte. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale aumentata dal 2021-2022 dobbiamo ancora fare grandi passi in avanti. La coprogettazione è l'attuazione dei meccanismi che consentono di dare risposte ai bisogni. Anche qui occorre dare voce, dare respiro a questo meccanismo della coprogettazione all'interno del sistema dell'amministrazione condivisa che non deve essere una modalità che in qualche modo riprende i meccanismi tipici del percorso previsto all'interno del Codice dei Contrati Pubblici. È un percorso completamente diverso, è un percorso che deve sempre di più portare al centro le nuove competenze e soprattutto le nuove conoscenze che sono quelle che non si vedono, quelle che non si misurano nell'economia sociale, sono quelle che sono diciamo nelle gambe degli enti del terzo settore. Più riusciremo sotto questo punto di vista a creare una filiera logica tra coprogrammazione, ci sediamo, raccontiamo i bisogni e soprattutto capiamo chi è in grado meglio di altri di dare risposte a quei bisogni. Una volta individuato questo l'azione degli enti locali sarà sicuramente più ricca anche dai dati che abbiamo estratto con la fondazione Etersius nel rapporto sull'amministrazione condivisa è emerso questo, è emerso una grande consapevolezza da parte degli amministratori locali del valore aggiunto di questo confronto, di questa concertazione condivisa. Gli amministratori locali che stanno di fatto coraggiosamente attuando i regolamenti possono rappresentare anche attraverso le storie un come dire un impulso, un impulso su un modello culturale. Bene, allora iniziamo a capire davvero a muoverci dentro la coprogrammazione e la coprogettazione. Gaetano Giunta tra l'altro insomma forse è un caso che oggi sia l'anniversario se non ricordo male della strage di Capaci perché lei è un fisico teorico, la sua carriera professionale stava andando verso la Francia a fare ricerca, la strage di Capaci, la strage dell'estate che poi ha colpito Borsellino l'hanno convinta a cambiare percorso e attraverso questa sua esperienza è nata Fondazione di Comunità Messina. Questa è un po' come dire una sintesi forse troppo veloce insomma di quella che è stata la sua il suo percorso. Fondazione di Comunità Messina è una realtà molto particolare che a Messina è riuscita in una esperienza che dal 1908, l'anno del terremoto, continuava a persistere cioè la vita di migliaia di persone nella baraccopoli che era sorta subito dopo il terremoto. Che cosa ha fatto la fondazione? Tanto buongiorno, sono davvero contento che siamo partiti ricordando la strage di Capaci di 32 anni fa. La Fondazione Messina è una fondazione che nasce per promuovere sviluppo umano sui territori finanziando delle polisi permanente, delle strategie non finanziando piccoli progetti frammentati. Non poteva non farsi interrogare dal fatto che prima del nostro intervento circa 2.000 famiglie vivevano nelle baraccopoli fortemente degradate da un punto di vista ambientale, sociale, economico. Vi do solo un dato, la nostra ricerca epidemiologica durante l'intervento ci ha detto con chiarezza che le persone che vivono in queste enclave di degrado hanno una vita media di sette anni inferiore alla media cittadina. Sono pochissimi posti al mondo in cui se tu attraversi una strada hai un salto di vita media che è uguale al salto che c'è fra la sponda nord e la sponda sud nel Mediterraneo. Per capire diciamo stiamo parlando quindi di un disagio profondo e radicale. La fondazione fa un primo intervento sperimentale autofinanziato e finanziato in pool con fondazione Cariplo e con fondazione con il sud. Quindi un primo intervento tutti con fonti di finanziamento privato di tipo sperimentale. Mettiamo in rete una serie di università e centri di ricerca, a far qui l'MIT di Boston, parecchi centri del CNR italiano e molti atenei italiani ed europei, che ci ha permesso di fare audit tecnologico da una parte ma anche di elaborare un modello economico di cui naturalmente non dirò nulla per ragioni di brevità e così le fondazioni fanno un primo intervento sperimentale molto piccolo. Il comune di Messina nell'ambito del programma per la riqualificazione delle periferie urbane chiede alla fondazione se eravamo disponibili ad affiancarlo siamo nel 2016 quindi ante l'iteram e diciamo rispetto a quello che poi sarà codificato di affiancarlo scalando questo processo di riqualificazione su due delle più grandi. Questo è molto interessante che sia venuto prima del codice del terzo settore, questo vuol dire che il codice in qualche modo aveva una spinta dal basso. Certo, ha fatto emergere delle tendenze, delle dinamiche che erano presenti e le ha codificate nel senso più positivo. Tra le tante cose negative che si dicono del codice forse vale la pena mettere in evidenza questa. Assolutamente sì, quindi allarga il partenariato tramite un avviso pubblico perché comunque la pubblica amministrazione deve operare in modo trasparente dando pari opportunità a tutti gli attori territoriali e nasce un programma, una strategia fondata su tre pilastri logici, azioni verso sistemi finalizzati a generare alternative sulle principali aree dei funzionamenti umani. La casa prima di tutto, la conoscenza, la socialità e il lavoro non entrano nei meccanismi tecnici di questo. Secondo, reinterpretare i modelli di welfare inseguendo, ricercando, l'utopia della personalizzazione degli interventi. Mediatori sociali hanno vissuto nelle baraccopoli per aiutare le persone a riconoscere e a metabolizzare le nuove alternative, le nuove opportunità generate. Alcune anche da un punto di vista economico più sofisticate, diciamo perché distanti dalla logica dell'edilizia residenziale pubblica e dalla logica dell'housing sociale tradizionale che conosciamo in Italia, ibridizzando molti di questi processi, comunque strategie completamente nuove, per aiutare le persone a saper scegliere quelle più funzionali a una vita desiderata. Forse il vero motore del cambiamento non sono la ricerca di meccanicamente collegare bisogni e interventi, ma di intercettare i desideri più profondi di persone e comunità che sono i veri motori del cambiamento. Salto al risultato finale, quindi. 650 persone sono andati a vivere tutti in una casa scelta, circa metà di essi in una casa di proprietà, operando la più grande operazione di redistribuzione della ricchezza che nella città ci sia stata fino a oggi. Le aree liberate dalle baracopoli sono state trasformate in parchi, in particolare uno è diventato un sito test sulla bioarchitettura e sull'ingegneria sostenibile. Liberato dalle baracopoli si è realizzato un condominio prototipo dove si stanno sperimentando molte cose fra cui comunità energetiche che sono capaci di redistribuire l'energia fra i nodi secondo algoritmi sociali e ambientali, cioè sono capaci di dare più energia a costi più bassi alle persone che hanno maggiore bisogno economico e sociale e che però hanno anche la capacità di assumere comportamenti virtuosi da un punto di vista ambientale, quindi un vero proprio processo di metamorfosi urbana e sociale. Allora lei ha citato il desiderio di cambiamento, allora voi avete agito sul desiderio di cambiamento, in particolare diciamo il moto di cambiamento è partito da una signora, no? È vero, è partito in generale dalle donne, perché le donne, perché naturalmente eravamo in un contesto di grande disillusione. Voi avevate partito in questo progetto ponendo dei paletti minimi, cioè il fatto che per esempio non ci fossero condanne per mafia, che ci si impegnasse a non delinquere e poi appunto facendo leva sul desiderio di cambiamento. Allora rispetto alla casa erano due le alternative che il progetto costruiva, lo semplifico un po' per andare la prima, il comune comprava, sul mercato immobiliare le case, quindi senza costruire nuovi quartieri, righetto, primo elemento di innovazione e poi attraverso processi partecipativi supportati dai mediatori sociali assegnavano le case. Quindi due elementi di innovazione qui sono non costruire nuovo cemento in una città demograficamente triste e processi partecipativi per l'assegnazione della casa. La vera innovazione è sulla seconda alternativa, abbiamo istituito un budget, un patrimonio, un capitale, una tantum che citando a Martia Senna abbiamo chiamato capitale personale di capacitazione che copre una percentuale della casa. Il resto del fabbisogno per l'acquisto della casa era le attività di autor recupero che le persone facevano monetizzate, quindi valorizzando la loro capacità di lavoro e la terza componente di tipo finanziaria, di finanza etica, prima fra tutti i due principali strumenti finanziari sono stati la MAC, il microcredito per l'economia civile che è uno spin off della nostra stessa fondazione e Banca Popolare etica. Questo strumento che permetteva di accedere a una casa di proprietà aveva un vincolo non solo sul passato, questo lo prevede la legge, che non dovevano avere condanne per mafia, ma anche sul futuro, cioè se nei dieci anni successivi al rogito della casa avessero beccato una condanna per mafia, perdevano la proprietà, una vera ipoteca di legalità, perdevano la proprietà che passava al comune di Messina, nessuno, perché è stata una linea netta, è stata una delle prime politiche, visto che oggi stiamo anche in qualche misura commemorando la strage di Capaci, in cui diventava premiante non solo aver vissuto in contesti spesso controllati dalla criminalità organizzata, ma non essersi lasciati contaminare tanto da finire dentro quella rete, ma che addirittura, come dire, c'era una promessa per il futuro, quindi è stata la prima volta che si sono costruiti meccanismi economici che premiavano chi era dentro per corsi di legalità, che è una cosa che sarebbe importantissima da generalizzare nel nostro Paese e non solo per il contrasto della criminalità organizzata. Laura Biancalani, Fondazione Bocelli. Fondazione Bocelli è nata nel 2011, ha iniziato credo la sua opera ad Haiti, e poi è arrivata in Italia forte anche dell'esperienza di Haiti e dell'esperienza con i bambini. Allora, io vorrei che lei raccontasse un'esperienza secondo me bellissima, nata dal terremoto del centro Italia dal 2016 in poi, e l'impegno della fondazione nella ricostruzione delle scuole. La scuola però intesa non solo come edificio, perché l'edificio è importante, è importante che ci sia, come dire, una scuola bella, con spazi ariosi, con luce, disegni, colori, ma la scuola come centro di comunità. Grazie Maria Carla, è bellissimo essere qua, soprattutto essere qua con tanti amici, lavoriamo insieme ogni giorno. Allora, sì, come dicevi, Fondazione Bocelli è relativamente giovane, appunto nasce nel 2011 con la Mission Empowering People and Communities, che vuol dire lavoriamo sul potenziale dei bambini, delle bambine, dei giovani e delle giovani. Il potenziale è sul talento e lo facciamo prevalentemente attraverso progetti educativi. Abbiamo cominciato a lavorare in Haiti perché il nostro fondatore è molto legato a quella terra e abbiamo cominciato a pensare di creare un nuovo modello di scuola, un nuovo modello di scuola andando a studiare le carte inedite edite di La Pira, il suo concetto di città ideale. Abbiamo tradotto praticamente alla lettera quello che leggevamo e vedevamo nei disegni di La Pira e abbiamo provato ad attuarlo in un paese tanto lontano, perché lui lo aveva pensato comunque in un contesto urbano come Firenze o come i contesti di EuroCities. Unitamente a questo, abbiamo pensato a un'innovazione pedagogica, un'innovazione pedagogica che potesse portare l'essere umano al centro dell'educazione e della comunità e quindi abbiamo sviluppato sempre ad Haiti i primi programmi basati sui linguaggi dell'arte, della musica e anche del digitale. 2016 arriva il terremoto nel cratere del centro Italia, quindi un cratere di circa 150 comuni, quindi una portata importante, ci sono tantissimi edifici da ricostruire e decidiamo di partire e di portare quel modello anche in Italia. Avendo come totem il modello lapiriano, è la nostra idea di lavorare sulla centralità dell'essere umano e quindi vedere i bambini e i ragazzi non più come vasi da riempire, ma come fiamme da accendere. Quindi ci muoviamo, andiamo nell'area del cratere e cominciamo i primi nostri interventi. Ad oggi noi abbiamo ricostruito un intero ciclo scolastico, quindi dall'elementario fino a un'ultima che stiamo ricostruendo, è un'ipsia, quindi una scuola professionale vocazionale, poi abbiamo costruito un'accademia della musica e un'hab educativo che sta finendo e inaugureremo a settembre. In totale sono cinque interventi nell'area del cratere e di questi cinque interventi, quattro, la scuola di Sarnano, che è una scuola media, la scuola di Muccia, che è invece 1.0.10, la scuola di l'accademia della musica di Camerino e l'hab educativo di Sforza Costa, li abbiamo ricostruiti in articolo 20 del testo unico degli appalti. Cioè che significa? Significa che il testo unico degli appalti, che ora è diventato il codice dei contratti pubblici e quindi ha un nuovo articolo, che è il 56,2, permette ai privati di potersi sostituire al pubblico nella costruzione di interi lotti funzionali. Quando ci siamo domandati se farlo o non farlo, abbiamo compreso che c'era un alto grado di rischio. In quel momento era appena uscito il codice del terzo settore e questo articolo 20 era usato pochissimo. Perché? Perché di fatto è tutt'oggi, sono tre righe. Quindi pensate l'Alea e la difficoltà di interpretazione, così come la giurisprudenza inesistente. Ci siamo detti, facciamolo immediatamente, perché era l'unico modo per ricostruire e per ricostruire in pochissimo tempo. 150 giorni, tutte queste scuole sono state ricostruite in 150 giorni, cinque mesi e non ci sono grossi segreti, se non una consapevolezza di sistema. Quindi ci siamo sostanzialmente quasi trasferiti là e guardo Flavia, perché Flavia è di Sarnano, era una bambina, adesso lavora con noi nel team Conexione. Questo mi emoziona, perché l'unico modo per fare i miracoli, l'unico modo per elaborare coprogrammazione coprogettazione è leggere i sistemi, come ci insegna Gaetano. Se non leggi il sistema, se ti scappa anche una sola pedina, non puoi realizzare questo. E noi lo abbiamo fatto appunto in articolo 20, 150 giorni, progettazione partecipata sul territorio anche con i bambini, quindi tutto viene progettato insieme, tutto viene realizzato insieme. Abbiamo elaborato un nostro modello di gara d'appalto molto simile al pubblico, ma solo con le aziende del territorio, solo con le aziende locali e quindi c'è un controllo sostanzialmente della comunità su quello che viene fatto e tutti hanno interesse a farlo nel più breve tempo possibile. In più, alla fine della costruzione, noi ridiamo alla comunità la scuola con il patto di stare dentro fin quando quella scuola non sia, perché vi invito a andare a vedere le nostre scuole dal vivo oppure su www.andreaboccellifoundation.org. Sono scuole molto particolari in cui lo spazio ti per te educa, in cui la cura dello spazio è anche cura delle relazioni, cura dei tempi e all'interno di queste scuole per 10 anni ci sono le nostre persone, i cosiddetti atelieristi che noi reclutiamo sul territorio che si occupano di linguaggi, arte, musica e digitale, ma non come una materia di studio, proprio come dei linguaggi che agevolano quello che noi chiamiamo il cambio di paradigma dell'educazione. L'insegnante non ha davanti appunto dei bambini che devono imparare tante nozioni, ha di fronte un potenziale umano incredibile e quindi attraverso la musica, l'arte, il digitale, riusciamo ad empiere a quelli che sono i programmi ministeriali, ma anche a trasformare il gruppo, a trasformare la scuola in qualcosa diverso o comunque sia abbiamo creato dei piloti in questo. Quali sono i ritorni all'interno delle comunità? Allora i ritorni sono importanti, sapete bene che la dorsale dell'Appennino è destinata... Cioè voi nelle scuole adibite uno spazio per l'incontro comune? Allora la scuola è dentro la comunità, è la parte centrale della comunità, in ogni scuola c'è la piazza davanti che noi abbiamo ricreato, è il centro del paese, spesso intorno c'è la zona rossa ancora e poi all'entrata ogni nostra scuola ha un agorà, un agorà come nella cultura mediterranea succede, si accolgono le persone, si mangia, si fa musica, c'è una biblioteca, quindi tutti i bambini da 0 a 10 anni si incontrano in quell'agorà e in quell'agorà nonostante qualche difficoltà di ordine reassicurativo, di discussione con i dirigenti si fa anche musica, si fa anche tanto per la comunità. Quindi finita la scuola, sabato, domenica ma anche nel periodo estivo partono i summer camp e partono anche le master class internazionali all'Accademia di Camerino e quindi si utilizzano le scuole e quegli immobili come veicolo per il ritorno alla normalità sociale ma anche allo sviluppo locale. Quindi istruzione, cultura e socialità? Assolutamente sì, quanto meno ripartenza. Quello che vogliamo creare è proprio un piccolo modello di scuole delle aree interne e far comprendere alle persone. Ora dopo cinque anni che le scuole sono attive i numeri parlano chiaro. Le persone non solo non abbandonano i propri luoghi ma vengono in quelle scuole perché la qualità della scuola pubblica, e non sottolineo che queste sono scuole pubbliche in cui noi lavoriamo insieme agli insegnanti della scuola pubblica con un protocollo di intesa stipulato con il ministero. Le scelte della famiglia sono guidate dalla qualità dell'educazione. E poi, scusa Maria Carla, dicevo dei quattro interventi, quattro sono stati fatti in articolo 20, l'ultimo invece che stiamo costruendo a San Ginesio, quindi sempre nell'area perché comunque un bambino può entrare in una delle scuole dove ha bf a zero anni e uscire diplomato, ma l'idea non è questa, l'idea è di dare degli spunti alle politiche per ovviamente cambiare il paradigma dell'educazione. Lì a San Ginesio invece ci ha chiamato il commissario per la ricostruzione perché noi lavoriamo ovviamente in sistema con clienti locali, le università locali, l'associazionismo e poi il commissario per la ricostruzione. L'allora commissario Lenini ci ha chiamato perché non riusciva a fare progetti grandi, quindi progetti oltre 5 milioni nelle aree terremotate in brevissimo tempo, in breve tempo e ha fatto un'ordinanza speciale che è l'ordinanza 28 del 25 ottobre del 2021 in cui la fondazione quindi per la prima volta onente del terzo settore viene nominato dallo Stato come progettista e project manager. È l'unica norma dello Stato in cui si dice che per costruire una scuola non ci vuole solo un direttore dei lavori, ma ci vuole un team e quindi c'è un direttore dei lavori, c'è l'architetto, c'è il pedagogista, c'è chi fa budgeti che controlla e c'è chi si occupa di relazioni istituzionali e affari legali. Quindi tutto questo nel team e tutto questo adesso ovviamente è un po' più difficile con questa modalità perché in i 150 giorni si riescono a mantenere molto bene in articolo 20 e in questa modalità molto meno anche perché sono 6 milioni di euro di soldi pubblici. Quindi è una bella sfida. È un lavoro molto grosso insieme alla costruzione anche qui si sta ricercando un modello per cui arte, musica e digitale in una scuola professionale va a trasformare quella che è l'idea dell'operaio specializzato e a riportare attraverso queste materie umanistiche una nuova cultura perché appunto l'operaio specializzato sia rivalutato perché non solo mancano ma sono il cuore dello sviluppo economico di quelle aree. Bene grazie mille allora Biancalani e poi ritorneremo su alcune questioni che Laura ha messo in evidenza. Stefano Granata, Cooperative Sociali, parliamo un altro capitolo insomma in questa panoramica che noi vogliamo offrire. Voi siete molto attivi nel welfare e vorrei toccare il tema dell'assistenza agli anziani e del fatto di come le cooperative sociali lavorano con i comuni, di quali sono le difficoltà che si incontrano visto la risrettezza dei bilanci e diciamo anche il fatto che molto spesso le risorse diventano un po' una trappola per evitare di fare coprogrammazione ma si fa semplicemente diciamo un intervento per cercare di rispondere ad un bisogno un po' standardizzato. Mi scusi se ho in qualche modo anche messo sul tavolo degli elementi negativi che probabilmente ci sono rispetto alla vostra azione che invece potrebbe esplicarsi in una modalità più migliore insomma. Certamente grazie intanto, grazie per essere qui e subito saluto chi ci sta ascoltando. Ma intanto le analisi bisogna sempre partire dalla complessità. Certo a volte noi avremmo gradimento di portare sempre delle belle esperienze ma è anche vero che per evolvere, e ciò insegna alcuni filoni economici, bisogna partire dai fallimenti per capire che cosa che non va. Il sistema di welfare italiano si è arrivato alla frutta, possiamo anche dircelo, è sotto gli occhi di tutti e sotto gli occhi delle persone che in qualche maniera comunque debbono usufruire, ne necessitano, ne fanno richieste e non trovano risposta soprattutto. Ma intanto va detto questo, io rappresento la più grande rete di cooperative sociale in Italia perché sono 6.000 cooperative che aderiscono a co-operative, stiamo parlando di quasi 230.000 persone che si lavorano, è stata una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni che ha comportato che cosa? Un'esternizzazione quasi del 70-80% dei servizi sociali di questo Paese al mondo della cooperazione sociale. Su un'istanza iniziale che era fondata sull'atto costitutivo della legge che ancora non c'era, le cooperative sociali inercono su un'istanza comunitaria, è la comunità che genera le cooperative e le cooperative rispondono come azionista vero per la mutualità esterna che esprimono oltre che quella interna alla propria comunità, tant'è vero che le risorse che gerono le riportano tutte la comunità. Questo ha portato a fare grande innovazione, perché innovazione? Perché respiravano l'aria della comunità, conoscevano quelle all'istanza di bisogno e hanno trovato modo nella forma d'impresa di costruire delle risposte i cosiddetti servizi. L'amministrazione pubblica ha trovato conveniente, spiego adesso perché ha trovato conveniente, perché ha trovato innovazione, ha trovato motivazione e alta professionalità, ma oggi la cooperazione sociale credo che è difficile che trovano comparte uguali, esprime tra il 73-74% di persone laureate che lavorano nella cooperazione sociale. Quindi c'è un livello di professionalizzazione, di competenza altissimo, peccato, faccio una virgola, che tutto questo ha risultato conveniente perché costava poco, è costato poco in questi anni. E molto si è fatto leva sulla cooperazione sociale, sul suo estinto primario di essere donativo e quindi prossimo alla comunità, quindi facendo leva sulla motivazione, l'importante è l'oggetto del tuo lavoro, se ti bago poco fa parte del contesto nel quale ti trovi. La motivazione conta più della retribuzione e così è stato per generazioni, effettivamente. Oggi siamo arrivati a un punto di non ritorno, perché questa evoluzione ha schiacciato molto il modello cooperativo al modello pubblico, anche nella sua estanza generatrice, mortificando un po' quello che era l'estento primario che è di nascere per la comunità e di rispondere alla comunità. Alla fine si è sempre risposto sempre di più all'ente pubblico e non alla comunità, il risultato di standardizzare molto i servizi. Gli esempi e le esperienze portate prima di me evidenziano che questa costruzione dal basso è fondamentale per garantire il coinvolgimento e la partecipazione delle persone, perché le cooperative sociali prima di tutto nel loro sviluppo hanno promosso la cittadinanza attiva, che poi si è declinata nella forma impenitoriale e nella costruzione dei servizi. Oggi la domanda delle comunità è molto cambiata e non riesce a trovare una sincronia di risposte, risposte molto standardizzate, molto omogenizzanti, e che non incontrano la sensibilità e la vita delle persone. Anche sul tema dell'amministrazione condivisa, che potrebbe essere una svolta, e io mi auguro che lo sia, nella codificazione dei rapporti con la pubblica amministrazione, figli di questo trend di questi anni, spesso e volentieri, si è risolto in un camuffamento delle gare da palto. Nel senso che io amministrazione pubblica non ti chiamo per condividere, progettare, programmare, quello che può essere in un sistema partecipativo dalla comunità di costruire insieme la risposta, ma ti dico, guarda, la risposta l'ho trovata io, devi farla con queste regole, con queste modalità. La specie di trappola. Un trappolone, dove, lo dico anche dietro un'iniziale ingenuità del mondo aggromigliatole sociale, che voleva liberarsi anche un po' da questo cappio di avere un rapporto diverso con la pubblica amministrazione, ci si è buttate a pesce, salvo poi verificare che addirittura si è arrivati dei casi limite, che si usava addirittura il volontariato per dare servizio alle persone. Come uscire dal trappolone? L'unica via è questo, in casa Conf Cooperative, ce lo siamo detti, è un atteggiamento che va cambiato anche da parte nostra. Lo dico sempre, è una postura che cambia. Io devo pretendere di sedermi al tavolo pubblica amministrazione, non è tanto una questione paritaria, ma che mi venga riconosciuta la dignità. Intanto, va detto che il lavoro sociale deve essere riconosciuto appena dignità e non può essere quello meno retribuito dentro nell'arco del mondo del lavoro, evidentemente. Anche per i fattori che dicevo prima, è richiesta competenza, professionalità, comunque tutte competenze che è vero si possono accrescere, ma a queste si aggiunge anche la competenza dei soft skills, che sono quelli di costruire empatia, di costruire rapporti, relazioni con le persone, che sono il vero valore aggiunto della relazione dentro una comunità, è quello che costruisce la comunità. Quindi l'amministrazione condivisa diventa una chiave anche per uscire da questo trappolone della cooperativa sociale, perché costa meno. Assolutamente, anche per questo vuol dire svilire anche la sua capacità creativa. Io credo che la cooperazione sociale vada misurata in merito alle sue capacità di costruire relazioni dentro la comunità, di portarle a patrimonio della comunità, e da lì costruire alleanze dentro la comunità. Sarebbe assurdo pensare che la cooperazione sociale da solo potesse trovare le risposte per la comunità. Può essere però una funzione di leva, una funzione di coinvolgimento, una funzione di aggregazione fondamentale, anche in un sistema di risorse ridotte. Qui abbiamo visto delle esperienze di terzo settore davvero molto particolari, molto significative, molto ricche. La riforma del terzo settore e tutto ciò che la riforma di migliore può mettere in luce può essere davvero anche una ricchezza per la cooperazione sociale. Voi siete parte del terzo settore? Sì, diciamo che noi siamo anche una parte importante del terzo settore, la parte impreditoriale produttiva, diciamola così, perché tutto il terzo settore, e l'avete sentito, dell'esperienza presenta, è altamente produttivo. Ma la parte impreditoriale perché può dare in conto? Intanto ha una capacità di coinvestimento, che altri magari fanno più fatica a trovare, e poi secondo me l'impresa sociale ha quella capacità di potenzialità e di una funzione di moltiplicatore di risorse. Pensiamo quando è nata la cooperazione sociale, nacque, con la chiusura dei manicomi, Basaglia ebbe quella famosa intuizione, di pensare a un'impresa sociale che potesse essere la risposta vera dentro una comunità, cioè la capacità di comunque produrre ricchezza da redistribuire. Allora, quando noi abbiamo pensato a questo incontro, abbiamo pensato ad un incontro che in qualche modo offrisse degli esempi positivi, degli esempi di ricchezza del sociale, proprio perché secondo noi è necessario in qualche modo che prendiamo coscienza di questa ricchezza. Allora chiedo a Gaetano Giunta di raccontarci un'altra esperienza di comunità messina, di fondazione messina, che è quella di Rocca Valdina. Allora, Rocca Valdina è l'esperienza di far rinascere un'area industriale, un'area artigianale, sotto il segno della sostenibilità. Sì, la fondazione con le sue strategie ha promosso oltre 200 imprese. E fra questi parecchi workers by auto, cioè imprese rigenerate dai lavoratori. La più conosciuta è l'esperienza del birrificio messina. Birrificio nato con tutti i criteri maggiori di sostenibilità ambientale sui processi di produzione, sull'approvvigionamento energetico, aveva un problema, cosa fare delle trebbie di scarto. Loro la fondazione abbia in finanza un programma di ricerca con il dipartimento di nanosistemi di Venezia e il suo spin-off crossing e il dipartimento di ingegneria di messina. Scopriamo che dalle trebbie di scarto, così come dalla Sansa, dalle vinacce, dai resti della produzione del grano, si possono generare bioplastiche biodegradabili. Dentro un processo di coprogrammazione e coprogettazione codificata, rileviamo un'area industriale abbandonata nella periferia di un borgo storico molto bello, area interna collinare della provincia della città metropolitana di Messina. Trasformiamo l'area industriale attraverso operazioni di lendarte. Lì si insedia un polo di formazione sui biomateriali, un centro di ricerca nazionale sui biomateriali, un co-working, la prima fabbrica al mondo produttiva che produce bioplastiche biodegradabili da economia circolare, da materiali di scarto delle filiere agroalimentari. Il polo di ricerca è questo che abbiamo intitolato da Adriano Livetti, ricordando che esiste una biodiversità anche nei modelli economici, non soltanto nei modelli normativi, ma anche nei modelli economici, ha accompagnato il Comune a fare un piano strategico che si annoda attorno a due snodi, la necessità di contrastare diseguaglianze e processi di mutamento climatico. Vi dico soltanto perché so che il tempo è brevissimo, alcune delle caratteristiche di transizione della mobilità, mobilità elettrica da fonte rinnovabile, processi di rimboschimento collegati a progetti educativi che fanno del polo industriale del Borgo un territorio a bilancio di CO2, di emissione di gas serra negativo, quindi contribuendo a contrastare il processo di desertificazione che senza un'inversione di inendenza interesserebbe il 70% del territorio siciliano. L'altro aspetto interessante a proposito di biodiversità dei modelli economici è che questa prima fabbrica produttiva, essendo una cooperativa sociale predistributiva perché inserisce soggetti fragili al lavoro, ma anche redistributiva perché distribuisce una parte significativa del margine operativo lordo per continuare a finanziare azioni di ricerca e programmi di contrasto della povertà educativa in quei territori. Tra l'altro la Rocca Valdina voi avete costituito anche una comunità energetica, sbaglio? Sì, fra le altre cose questo piano strategico fa del polo industriale il polo di produzione e quindi che tramite il meccanismo di comunità energetica alimenta tutto il Borgo, utilizzando questo brevetto della fondazione di redistribuzione secondo algoritmi sociali, ma in questo caso favorendo la transizione energetica di un Borgo storico senza impatto pesaggistico perché la produzione viene espostata nell'arri industriale nella periferia del Borgo. Laura Biancalani, continuiamo nell'attenzione della fondazione ai giovani e all'educazione. Voi avete un progetto con il Comune di Firenze, voi state recuperando un immobile storico, un immobile barocco e volete fare un'accademia di soft skill per i giovani dai 16 ai 25 anni? Che cos'è questo progetto? Allora, dall'esperienza maturata appunto nell'area del cratere ci siamo spostati a casa, siamo dietro Palazzo Vecchio, dietro Palazzo Vecchio c'è una piazza, si chiama Piazza San Firenze, c'è un palazzo barocco quasi l'unico di Firenze e che tutti mi immagino ricordiate e se non lo ricordate venite a vederlo. Questo palazzo è stato per circa 150 anni Tribunale Civile di Firenze, abbandonato. Il Tribunale è stato abbandonato nei primi anni del 2000, quella piazza è diventata ovviamente molto poco sicura, il palazzo, la residenza dei piccioni. Non era possibile vederlo così, avevamo questa idea prima del Covid, cioè quella di concentrarci, come diceva Stefano, sul lavoro sulle soft skills. Come dicevo, vi descrivevo prima, la nostra visione di educazione parte proprio dalle etimologie, ad esducere, tirare fuori. E quindi ci siamo messi in testa che per dare futuro ai giovani, per far vedere loro il proprio talento il prima possibile, c'era necessità e urgenza di lavorare su quelle che si chiamano soft skills o life skills. E abbiamo elaborato appunto un progetto e abbiamo richiesto al comune di Firenze una concessione gratuita per 29 anni di quel palazzo, di parte di quel palazzo, per realizzare questa accademia. La concessione gratuita è arrivata, abbiamo elaborato una convenzione culturale in cui la fondazione gratuitamente fa entrare ragazzi tra 16-25 anni con vari programmi e corsi durante tutto l'anno. Abbiamo aperto nell'anno del Covid-2000, in questo momento i ragazzi che passano da questo palazzo, che è ancora in restauro, abbiamo una parte completamente finita e un'altra parte che apriremo il 24 gennaio del prossimo anno. Sono circa 500 e stiamo pensando da lì a partire anche per un viaggio intorno al Mediterraneo. Abbiamo aperto il primo Global Up Med l'8 settembre dello scorso anno a Gerusalemme. Quindi oltre la ricostruzione, un rapporto pubblico-privato complesso, a Firenze è veramente abbastanza complesso, perché poi nel condominio ci siamo messi in mente di fare un condominio che attraverso l'arte, la musica e il digitale, possa far lavorare i giovani su questi aspetti insieme ad altri soggetti che sono la fondazione Zeffirelli e il Conservatorio di Musica di Firenze. Quindi in collaborazione. In collaborazione, in stretta collaborazione con loro e ovviamente con lente pubblico. Bene, adesso io vorrei dare la parola a Granata e a Gabriele Sepio per le conclusioni. Però vorrei darvi un suggerimento. All'avvocato Sepio da poco è il coordinatore di questo tavolo per l'economia sociale. Che cosa ci dice questo? L'economia sociale è uno dei pallini dell'Unione Europea. E quindi questo ci situa in una posizione privilegiata rispetto a Bruxelles. Perché l'Italia, nonostante tante pecche, ha comunque anche tante situazioni positive da poter valorizzare. Il terzo settore, abbiamo visto, appunto riconosciuto con la sentenza 131 del 2020, è perfettamente inserito all'interno della Costituzione. E' perfettamente coordinato rispetto al codice degli appalti con le modalità che dicevamo prima. Ma poi è anche perfettamente in linea con quelle che sono le pronunce della Corte di Giustizia. Il partenariato, in qualche modo, è una modalità che risponde, che mette insieme, sul piano pratico delle situazioni giuridiche molto composite. Granata e Sepio per le conclusioni. Intanto, io devo dire che l'economia sociale, più che una scelta, è un'opportunità, sta diventando una necessità. L'Europa l'ha letta così. Nel senso che va vista come una grande via, dove c'è questa potenza trasformatrice di una nuova economia che nasce, che in qualche maniera dovrà colmare questo gap delle diseguaglianze, che sta togliendo il senso del vivere comunitario. E quando viene meno il senso, si sgretola tutto. Non ci sono più punti di riferimento, non è più solo luoghi. Non ci sono più punti di riferimento. D'altra parte abbiamo imparato, invece, in queste esperienze come sia importante il senso della comunità, il senso del sociale. Il piano si tratta solo di riportare la persona al centro. Si tratta di riportare le persone in centro e che nessuno rimanga escluso. Questa è l'unica garanzia. E credo da questo punto di vista, noi abbiamo un patrimonio, io sono qui a nome di tutta la cooperazione, che può dare un contributo importante su forme nuove di aggregazione che hanno effetto, come dicevo prima, moltiplicativo, perché sono le cosiddette forme di neomortualismo che hanno questa capacità trasformativa. Aggregano risorse, aggregano competenze, aggregano contributi. E la somma non è mai semplicemente la somma dei fattori, ma è una moltiplicazione. E in più, chiudo proprio sui giovani, chiudo sui giovani. Va riportato allora, riprendo l'intervento di Laura, l'opportunità di giocare un protagonismo, di giocare, non solo un protagonismo interno, che porto io avanti, ma di giocare alla loro partita. E l'economia sociale, per quello che vedo, è il luogo dove principalmente possono giocare alla loro partita. Gabriele. È un tema anche definitorio, è interessante anche immaginare, negli occhi della platea, di chi ci vede, che l'economia sociale è un modello eterogeneo. Qui abbiamo fondazioni, abbiamo imprese sociali, cooperative, il modello del sistema, dell'economia sociale è plurale. Ma soprattutto poi è bello anche vedere come la narrazione, quasi poetica alla fine di questa attività, perché questo è il tema. Le relazioni sono un fattore che va oltre l'economia e il diritto, questo è un dato ed è un valore che difficilmente misuriamo. Laura. Però il diritto deve avere la capacità di non abbattere le relazioni. Ci stava arrivando. A volte il diritto eccilico mi viene sempre in mente l'esempio, all'università tu vedi questa scena bellissima, il cavallo bianco che corre su una spiaggia, se lo devi tradurre in termini giuridici, un bene mobile su cosa altrui, l'hai ucciso, hai distrutto qualsiasi forma di poesia. Però nello stesso tempo tutto questo è possibile attraverso degli strumenti giuridici? Diceva bene Caetano, quando ho detto, beh allora coprogrammazione e coprogettazione hanno questo obiettivo, in particolare la coprogrammazione, ma appare i bisogni dalle risposte ai bisogni? Noi abbiamo bisogno di definizioni. Se non cominciamo a partire dalle definizioni che determinano un quadro giuridico, difficilmente riusciamo a sostenere un contesto. La riforma del III settore ha fatto un grande passo in avanti perché ha dato una definizione. Abbiamo definito i bisogni nelle attività di interesse generali. C'è qualcosa di indefinibile che il diritto e nell'economia potranno mai definire, che sono i modelli culturali che dovranno camminare sulle gambe delle nuove competenze che qui vediamo, ma che dovremo formare rispetto all'economia sociale. Tanto è vero che l'Europa si sta preoccupando di questo. La raccomandazione di novembre 2023 del Consiglio dice questo, cari Stati, mi dovete dire quali sono gli obiettivi che volete raggiungere per l'economia sociale e per i modelli di economia sociale. E ti sto dicendo che in ogni Paese l'economia sociale viene declinata in modo diverso. L'Italia è molto avanti perché la declinata, attraverso la riforma del III settore, ha stabilito quali sono le attività di interesse generali. Dobbiamo cominciare a smarcare alcuni concetti. Noi abbiamo uno spettro enorme che è quello degli aiuti di Stato. Ogni volta che parli anche di coprogrammazione, coprogettazione, c'è sempre il tema, sì, ma stai favorendo qualcuno rispetto al mercato? Qui la questione è importante perché questi enti, le cooperative in primis, visto che hanno già portato avanti questo ragionamento tantissimi anni grazie a alcune sentenze, questi sono enti, portatori di un interesse collettivo che fanno una scelta. Io se decido di fare l'imprenditore o decido di attivare una fondazione, posso fare una scelta, posso attivare un soggetto profit e prendermi i benefici o eventualmente i malefici, ma se scelgo di fare l'imprenditore sociale, ad esempio, io scelgo un modello non profit, scelgo peraltro di non essere neanche titolare del mio patrimonio, perché se scelgo di fare l'imprenditore, di fatto quel patrimonio resta all'interno di un sistema di condivisione collettiva. Questo è il vero patrimonio culturale che dobbiamo portare avanti, tanto è vero che partendo dalle cooperative, partendo dalle fondazioni e dalla grande capacità che attraverso la coprogrammazione tutti questi enti seduti intorno a un tavolo, potranno creare per raggiungere degli obiettivi comuni. Quello è un valore che noi ancora non abbiamo misurato. L'attivazione della coprogrammazione potrà determinare un nuovo valore dell'economia sociale. Dobbiamo ancora capire dove si sostanzia in Europa. In Italia il ministro dell'economia e delle finanze ha attivato questo tavolo, di cui non sono il coordinatore, però in linea di massima partecipo ovviamente attivamente a questo insieme anche a tantissime realtà del terzo settore, è presente qui con cooperative ed è presente al tavolo presso il ministro dell'economia e delle finanze. La prima volta che il sistema in genere si interroga su cosa fa esattamente per l'economia sociale, bisognerà rintracciare le polisi, quindi in quali circostanze ogni ministero declina l'economia sociale, ogni volta che bisogna trasferire delle risorse, come declino l'economia sociale, non ci devono essere più equivoci, pure definitori in termini di differenziazione nel sistema tra l'impresa, le fondazioni, che pur avendo ruole e funzioni diverse nel sistema dell'economia sociale, comunque sono enti del terzo settore ma aggiungono un'ulteriore tassello e in un sistema dell'economia sociale non c'è solo il terzo settore, c'è un modello cooperativo, ci sono tantissime realtà, fondazioni che producono attività di interesse generale, in Italia abbiamo deciso anche di fare questo, il terzo settore rappresenta un bollino dove oltre a seguire attività di interesse generale scelgo di essere trasparente, di seguire alcuni processi che mi portano anche ad un registro pubblico e a sviluppare queste competenze, l'auspicio è che oltre alle definizioni arriviamo a quello che si diceva prima, quindi attraverso le relazioni sviluppiamo un modello culturale. Bene, io ringrazio Gaetano Giunta, Gabriele Sepio, Laura Biancalani e Stefano Granata grazie a tutti voi che ci avete accompagnato in questo viaggio. Grazie a tutti.
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