Riforma sulla disabilità e cambiamenti in arrivo
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Riforma sulla disabilità e cambiamenti in arrivo
Una discussione sulla nuova riforma italiana sulla disabilità, in vigore da giugno 2024. Si analizzano le novità introdotte, come il progetto di vita personalizzato e la semplificazione della valutazione dell'invalidità civile. Vengono, inoltre, discussi i costi sociali ed economici della disabilità per le famiglie, la necessità di maggiori risorse e l'importanza dei dati Istat per una pianificazione efficace delle politiche. Infine, si affrontano temi cruciali come l'occupazione delle persone con disabilità, l'accessibilità e il "dopo di noi".
Buongiorno e ben ritrovati a questo evento del Festival dell'Economia di Trento. Siamo qui oggi per parlare di riforma sulla disabilità e cambiamenti in arrivo. Parliamo di un decreto, il decreto cosiddetto disabilità, che è arrivato in gazzetta ufficiale proprio nelle scorse settimane, che entrerà in vigore dal 30 di giugno. E allora, per parlarne oggi abbiamo con noi Alessandro Locatelli, ministra appunto per la disabilità, benvenuta. Grazie, grazie per l'invito e per l'occasione. Un saluto a tutte le persone che sono qui presenti, anche a chi è collegato e grazie a lei per la sua gentilezza, grazie. E poi abbiamo alla mia destra Francesca Fedeli, presidente di Fight the Stroke Foundation, benvenuta. Grazie a voi. E poi Carlo Giacobini, direttore agenzia Jura, giornalista analista, direttore punto generale di Jura, agenzia per i diritti delle persone con disabilità, benvenuta. Grazie, grazie a voi. E stiamo aspettando che possa raggiungerci anche Alessandro Solipaca, dirigente di ricerca ISAT. Molto importante per noi la sua presenza oggi, perché avrà modo di delineare il quadro dei numeri, dei dati, da cui è sempre importante partire per analizzare appunto la situazione in Italia. È in treno, è leggermente in ritardo, quindi lo vedrete sedersi al volo e speriamo appunto che riesca a raggiungerci in tempo. Partiamo proprio dal decreto di disabilità che dovrebbe semplificare il sistema appunto di accertamento dell'invalidità civile e introdurre il progetto di vita. Ministra, parterai proprio da lì per capire quali sono le novità che ci dobbiamo aspettare dal 30 giugno in poi. Beh, insomma, intanto diciamo che la sperimentazione parte dal 1 gennaio 2025 su 9 province, però poi nel corso del 2025 la mia intenzione è anche di espanderla ulteriormente questa sperimentazione, perché la norma prevede l'entrata in vigore progressiva e siccome si tratta, io continuo a dirlo, anche se qualcuno dice, ma forse rivoluzione è un termine troppo grande, no, perché chi si occupa di questi temi sa bene che l'approccio attuale al tema della disabilità, ma soprattutto la presa in carico della persona con disabilità sui territori è molto difficile, è difficoltosa e viene fatta ancora per silos, quindi spesso si parla solo di sanità, solo di assistenza o solo di sociale. E io credo che, insomma, siccome in mezzo c'è una persona dobbiamo superare questa frammentazione e trovare il modo di costruire intorno alla persona quelli che sono le risposte migliori ai suoi bisogni, ma non solo ai suoi bisogni, ai suoi desideri, al suo diritto di scegliere come prevede anche la Convenzione ONU. E la strada per farlo è il progetto di vita, non abbiamo talte alternative dal mio punto di vista, perché è passato tanto tempo, da quando è nato l'Uelfa, da quando sono nati i primi servizi, e devo dire che dopo 30-40 anni il mondo è cambiato, ce ne accorgiamo tutti i giorni, è cambiato anche in positivo, perché grazie alla scienza, alla tecnologia, alle nuove opportunità, perché ha un po' più di sensibilità, sicuramente si riesce a garantire un approccio migliore al tema della disabilità e nella presa in carico nella cura delle persone. Però non basta, perché quello che ispira questa riforma e che per me è la parte fondante è il passaggio dall'assistenzialismo attraverso l'inclusione, ma alla valorizzazione della persona. E per fare questo non possiamo essere solo noi come istituzioni, con una norma o con le risorse, ma dobbiamo essere tutti a crederci, perché poi l'approccio sul territorio deve essere fatto da chi ci crede nel fatto di lavorare insieme, nel fatto di lavorare in squadra, nel fatto di cooperare, perché spesso a livello territoriale quello che capita, ma capita anche poi nei livelli regionali e nazionali, è che non si riesce a dialogare tra il mondo sanitario e il mondo sociale. Questo non va bene, perché in mezzo c'è una persona col suo diritto di poter partecipare pienamente alla vita civile, sociale e politica del nostro Paese, e la vita di ognuno di noi non è fatta solo di medicine o di fisioterapia e di medicazioni, è fatta anche di quello, perché il benessere e la salute sono importantissimi, è fatta anche della dimensione sociale, quella che ci permette di vivere una vita ricreativa, di poter incontrare amici, di poter andare a un concerto, di poter fare sport, di poter fare quello che ognuno vuole e anche del diritto di essere felici. Questo ormai ogni tanto lo ripeto, perché voglio che il messaggio passi forte. Non si tratta solo della riforma che tecnicamente portiamo avanti perché ci crediamo, ma si tratta di cambiare fino in fondo il modo in cui pensiamo alla disabilità, cioè non come un gruppetto di persone che in qualche modo devono essere aiutate perché poverini hanno bisogno di qualcosa, ma perché siamo noi come comunità, come Paese, che abbiamo bisogno di investire su ogni persona, sui loro talenti e sulle loro competenze. Quindi questa è un po' la chiave di lettura che naturalmente porta avanti. Il tema del progetto di vita, perché si siedono intorno al tavolo nelle echipe multidimensionali, tutti gli enti, i loro referenti, con la persona in condivisione con la famiglia e scrivono il progetto attivando i servizi. E dall'altra parte c'è tutta la parte di riforma sulla valutazione dell'invalidità civile. Anche quello non è facile, è complesso, è un tema che da tanti anni viene trattato sempre allo stesso modo, cioè con le tabelle, sul principio della capacità residua di lavorare e con le visite di rivedibilità, che noi vogliamo eliminare perché si tratta di un'umiliazione per le persone e per le famiglie. E io credo che il carico burocratico che già pesa sulle spalle delle persone con disabilità e delle famiglie sia già eccessivo. E quindi noi dobbiamo lavorare per semplificare la vita delle persone. Quindi abbiamo l'opportunità di questa riforma. Attraverso la riforma io vorrei però che si sbloccasero anche tante altre cose. E allora partiamo subito con, diciamo, questo dialogo che credo fondamentale fra chi queste realtà le vive quotidianamente, perché, come diceva la Ministra, il confronto è importante per trovare delle soluzioni che siano realmente funzionanti. E partirei proprio da Francesca Fedeli. Io sono diversity and inclusion editor del Sole 24 Ore, responsabile di Alley-Up l'altra metà del Sole, che è la sezione che si occupa di diversità. Perché l'ho preciso? Perché con Francesca c'è un confronto quotidiano, e la ringrazio per questo, per cercare di andare oltre gli stereotipi anche nella nostra comunicazione. E quindi nell'uso del linguaggio, nell'uso delle fotografie, perché anche appunto gli apparati conografici che noi giornalisti usiamo per corredare gli articoli, molto spesso rischiano di perpetuare degli stereotipi che ognuno di noi ha. Io innanzitutto, quindi in questo confronto io la ringrazio, è molto utile perché cresciamo insieme a lei con una consapevolezza diversa. Allora, questo preambolo per venire a una domanda. Una visione sistemica della disabilità in età volutiva, cioè tu parli di una visione che unisca, diciamo, i tempi della vita dalla culla al lavoro. Che cosa intendi quando parli di questo? Grazie, ben grazie per la premessa e per il confronto quotidiano, perché in realtà è proprio così. Oggi l'ha ricordato anche la ministra rispetto al linguaggio, forse non l'ha menzionato l'unica cosa, però la parola handicap fa anche parte di questa riforma. Quindi cercare tutti noi di ricorreggere e rivedere il nostro linguaggio sicuramente ci aiuta nella narrazione, nella consapevolezza che le persone con disabilità devono far parte della nostra società, quindi considerarli davvero come consumatori, come clienti, come lavoratori. Forse ad oggi quello che è mancato in questa, che appunto io ho definito la visione sistemica della disabilità, è stato il non immaginare queste persone negli ambienti di vita, non immaginare che ad una conferenza si potesse parlare di questo tema. E fino a qualche anno fa era ancora così. Quindi tutto ciò che era ad esempio la normativa sul lavoro o il predisporre un ambiente di lavoro per l'inserimento di persone con disabilità e far sì che poi queste persone all'interno non fossero abbandonate o non fossero relegate in contesti di operazioni e manzioni ripetitive, ma anche prevedere un percorso di sviluppo, di crescita, questo è quello che noi ci immaginiamo. Secondo me questa riforma interviene in parte nel sanare questo problema di non immaginare le persone con disabilità come parte attiva della società e forse una cosa che è stata citata e che ci aiuta è anche il ripartire dal considerare numericamente queste persone come facenti parte di questa società. Oggi lo vedrete probabilmente dopo nella presentazione del listat, è da pochissimo che noi abbiamo una piena contezza di quante sono le persone con disabilità in Italia e questo secondo me dà l'idea del livello di poca consapevolezza e di poca considerazione che si era tenuto fino ad ora. Ecco, sulla questione dei dati torneremo sia con l'intervento di Solipaca sia per capire qual è l'importanza di avere dati certi per poter poi sviluppare delle politiche che siano adeguate alla realtà della società italiana. Carlo Giacobini, come impatta il corso della disabilità sulle famiglie in termini di rischio di impoverimento e di quali sono i limiti in termini di politiche e di risorse in questo momento che lei ha individuato? Uno dei dubbi, uno degli interrogativi propositivi, non semplicemente per arrotarci su domande rimane quale e quanto pesi, quale sia il costo della disabilità sulle persone, sulle famiglie è veramente importante e rilevante. Questo scatena una serie di dati, perché noi dobbiamo fare una riflessione di sistema, la riforma sulla disabilità non è l'unica riforma, c'è neanche una sulla non autosufficienza. Personalmente non è questo il luogo per fare de banking o d'altro o delle riserve sulla prima e sulla seconda, ma resto sul sulco proposto dalla Ministra e mi interrogo su questa parte, cioè su quanto impatti la disabilità, quale sia il costo effettivo che molto spesso ci sfugge, noi lo sappiamo, abbiamo dei dati di Istat dell'altro giorno che sfiora il 10% degli individui in Italia, la situazione di povertà assoluta. È un problema drammatico che chi si occupa di giovani, di anziani, di disabilità, di lavoratori, deve tenere in considerazione perché ha un fortissimo rischio, ma all'interno di questi la povertà, quanto pesa sulla disabilità e quanto la disabilità è causa di povertà, questo è un elemento da indagare, un fenomeno caldo, un fenomeno da andare a ricercare. Qualcosa l'ha fatto, a fine dicembre è stato pubblicato uno studio di fondazione Zankan con CBM sul costo della disabilità e della marginalità, che non è una cosa da poco, è uno studio parziale, è una base, non sto dicendo ma che merita di essere approfondito con Solipaka, magari introdurremo qualche limite, solipaka istat, introdurremo qualche ipotesi, qualche idea, ma senza dubbio a lui non sfugge, quanto pesa, quanto impoveriscono le famiglie per assorbire con l'assistenza, l'assistenza, quanto pesa il fatto di dover rinunciare a un lavoro o dover marginalizzare un lavoro, cosa che tocca ancora oggi moltissimo alle donne, ce lo dice Eurostat in maniera molto chiara, molto pesante, noi parliamo di genere, di discriminazione di genere, è trasversale anche la disabilità, ci dobbiamo pensare e riflettere, riuscire a pensare ad esempio uno dei temi forti che colgo poco all'interno della riforma, se non in nuce, che è quello dell'occupazione delle persone con disabilità in Italia, in Italia abbiamo ultimo dato disponibile leggendo undicesima relazione e dati della Corte dei conti sul uso del fondo, abbiamo 154.869 scoperture in Italia, cioè posti disponibili per lavorare, per occuparsi eccetera, di cui 35.000 in ambito di pubblica amministrazione, quindi questo è un elemento importante e all'interno di questo abbiamo delle discriminazioni, delle differenziazioni, le persone con disabilità intellettiva che sono le maggiormente escluse, in 6 anni gli incentivi per la loro occupazione l'hanno ricevuta in 2.800 persone, un'inezia, 2.800 persone, le aziende che le hanno assunte, hanno ottenuto l'incentivo dallo Stato e di queste mille per un contratto a tempo determinato. Il lavoro ha un significato straordinario in termini di materiale, di retribuzione, ma in termini di crescita, di transizione alla vita adulta, di costruzione della propria identità, delle relazioni umane, della relazione con le comunità, questo manca, questo è debole, estremamente debole, ce li abbiamo questi riscontri e poi abbiamo dei riscontri con altre riforme, altre scelte, altre linee che sono state fatte in precedenza politiche dovute a limiti, dovute a meccanismi, eccetera, che rivelano una debolezza dell'infrastrutturazione dei servizi, delle opere. Abbiamo i LEA, noi parlavamo di integrare i servizi sanitari e sociali, i LEA sanitari sono in profonda difficoltà, profonda difficoltà anche rispetto alle persone con disabilità, in termini di fornitura di usili, in termini di agno, in termini di liste d'attesa, eccetera, pesano moltissimo sulle famiglie e questo è un problema economico anche. Abbiamo delle altre debolezze in termini di risorse, nella disponibilità di personale e di figure. Pediatri, gimbal, altro giorno ci ha detto che ne mancano 850 in Italia, sono al centro della valutazione di base i pediatri, non parliamo di neuropsichiatri, che è una situazione allo sbando, come pure tutta la parte della salute mentale, chiamati a nuovi ruoli, alla costruzione del PEI, è davvero una difficoltà per tacere di una parte, in questo caso lo dico all'ex operatrice all'interno di associazioni che si occupano di queste cose, abbiamo un problema enorme, l'educatore professionale ci serve nella scuola, ci serve nel lavorare nell'abitare sociale, ci serve nel accompagnare al mondo del lavoro, abbiamo un problema enorme e sistemico, che va affrontato a fianco di una qualsiasi riforma, per quanto bella, per quanto funzionale, per quanto modificabile sia, è un tema enorme, dove li troviamo? Non possiamo rispondere, c'è la convenzione ONU, le famiglie non se lo fanno più raccontare, perché domani mattina ci sarà un caregiver familiare che ha passato la notte insonne, ancora oggi, perché domani mattina ci sarà un genitore che deve accompagnare il figlio a scuola o andareci alle 10.30 per farlo pisciare, perché domani ci sarà ancora un genitore con un ragazzo con un autismo a bassissimo funzionamento che insegue e ricerca un operatore da assumere che lo accompagna e che lo segue e così via. Per cui questi sono i temi di sistema che vanno al di là qualsiasi riforma per funzionare, ha bisogno di molte risorse, di razionalizzare le risorse, di figure professionali preparate serie e chiudo. Abbiamo anche 85.000 insegnanti di sostegno senza specializzazione. Andiamo con ordine perché i temi sul tavolo mi sembrano diversi. Partirei con il tema dell'occupazione. Mi occupo molto di imprese, lavorando al sole 24 ore, quindi ne incontriamo molte. Ci sono diverse iniziative delle singole imprese che vanno nella direzione della valorizzazione dei talenti di cui parlava lei prima. L'economia italiana non si può più permettere né di perdere i talenti femminili, che sappiamo sono ancora pochi nel mondo del lavoro, lavora soltanto in Italia una donna su due, ma neanche i talenti delle persone con disabilità. In questa direzione che cosa si può fare? Io penso che questa riforma sia l'occasione per agganciare tutti i temi di cui parlava il dottore. In realtà da qualche parte bisogna partire perché se pensiamo ai caregiver, come abbiamo detto per la maggior parte, poi sono anche donne, sono tanti anni che si cerca di dare questa cornice normativa e ancora non siamo arrivati. Siamo partiti adesso con un tavolo governativo che non c'è mai stato, ma che io spero possa davvero portare a una risposta dignitosa per chi ama e cura e non vuole essere sostituito, ma vuole essere accompagnato in questo compito. E attraverso il tema delle imprese per tornare all'occupazione, anche qua non possono essere solo interventi spot, non bastano solo le belle iniziative, non basta solo che ci sia degli interventi a macchia di leopardo, e in alcune regioni sì, in altre no, in alcuni territori sì, in alcune aziende sì, in altre no. Cioè serve che tutti insieme prendiamo la stessa direzione. Cioè dobbiamo iniziare a parlare con un'unica voce, istituzioni, enti del terzo settore, mondo privato, singoli cittadini, anche all'interno del mondo delle associazioni, io lo dico sempre, dobbiamo iniziare a avere due, tre priorità sulle quali puntare. Questo significa che non è che cambiamo il mondo con uno schioppo di ditta, perché se ovviamente c'è stato tutto un percorso che parte da lontano, da quando dicevamo sono nati i primi servizi, lui è il farmà, in quel momento, anche quando è nata la legge 68 che del 99, comunque la persona con disabilità era considerata una persona poverina, facciamogli fare qualcosa, anche in quella norma è considerata così. Quindi va cambiata anche, sicuramente va attualizzata quella norma, vanno trovati magari più incentivi per le aziende, ma se non iniziamo a dare questo nuovo sguardo a tutti e a diffonderlo anche attraverso la comunicazione, ne parlavamo prima anche attraverso i media, non ce la facciamo arrivare dappertutto, perché altrimenti ci sarà qualcuno che imposta qualche misura, magari appunto ancora a Spotta, macchia di leopardo, qualcuno che cambia la norma, qualcuno che prova a fare qualcosa di buono, ma non ci sarà un lavoro di sistema, io spero che questa possa essere l'opportunità di far partire davvero un nuovo modo di pensare, di guardare le persone, perché a quel punto guardiamo tutti come guardiamo noi stessi, e noi vogliamo che ci vengano date delle opportunità, che si investa su di noi, questo investire sugli altri deve essere fatto passando anche dall'accessibilità universale, e deve essere fatto anche, visto che sono state citate per esempio le persone con disabilità intellettive, che sono quelle maggiormente penalizzate in alcuni aspetti della vita formativa e anche lavorativa, ecco, devono essere fatti anche degli accompagnamenti all'inserimento lavorativo, perché molti fallimenti derivano dal fatto che sempre in virtù della legge 68, io penso di dare un posto a qualcuno, di sollevarmi la coscienza, di essere a posto così non pago la multa, e poi però la persona con disabilità fallisce perché non ha nessuno vicino che l'accompagna in quel contesto, che non è sempre un contesto facile di lavoro, in realtà ci sono tante enti del terzo settore che soprattutto negli ultimi anni si sono stati dati da fare per creare anche dei posti di lavoro molto interessanti che hanno fatto crescere nella ristorazione, in tanti altri settori opportunità concrete, però noi anche in questo caso abbiamo bisogno che non sia solo qualcosa che fa qualcuno di buon cuore ma che sia un messaggio, veramente un modo di pensare e che tutti noi lo usiamo come stile di vita, come buon senso e come svolta civile del nostro Paese, perché possiamo farlo. Noi in un fondo che ho creato l'anno scorso con il primo maggio, che anche quello è stato un po' difficile da far capire, però era un fondo messo a disposizione per gli enti del terzo settore che assumono giovani con disabilità, un'opportunità per dare un piccolo incentivo economico per assumere qualcuno in più, abbiamo anche un'altra difficoltà e lì c'è anche la parte dell'accompagnamento, etc. all'inserimento lavorativo, importantissima. Abbiamo anche un'altra difficoltà, la pensione di invalidità, perché per poter avere un lavoro magari pagato come tante altre persone, al pari dei propri colleghi bisogna rinunciare poi alla pensione di invalidità e questo non è sempre una strada percorribile, perché abbiamo parato di povertà, una famiglia che al suo interno è una persona con disabilità, è più povera di un'altra e ha paura magari di rischiare di perdere un incentivo, un benefit sicuro da parte dello Stato per un lavoro che magari nell'ottica passata ancora uno potrebbe perdere banalmente per un fallimento, perché non si riesce a sopportare magari alcuni momenti critici del mondo del lavoro, perché ce li abbiamo tutti e quindi possono essere maggiormente critici per una persona con un disturbo allo spettro autistico piuttosto che per altre diciamo disabilità. Però sono tutte riflessioni che devono essere portate avanti e spero che possano concatenarsi per costruire insieme un percorso che sia più giusto, più equo e soprattutto che porti a dei risultati, sono d'accordo su questo, dobbiamo portare dei risultati pratici, dobbiamo capire insieme in che modo affrontare questa sfida. Ecco torniamo ai dati, come l'abbiamo già preannunciato, Solipaca dell'Istat andrà nel dettaglio, però giusto per dare un numero, le persone con certificazione che hanno una pensione o un'indenità di disabilità sono 7.658.000 in Italia e questo è un dato che è certo perché appunto viene estratto da chi ha questo riconoscimento, però è un numero che possiamo dire parziale. Allora su questo vorrei andare da Francesca Fedeli per capire perché è importante individuare dati certi per poter poi sviluppare delle politiche che siano adeguate e quanto è sottostimato a tuo giudizio questo dato? Questo dato finalmente oggi lo vedrete presentato e finalmente ci dà una contezza di quello che è la popolazione delle persone con disabilità perché è importante perché poi quando la Ministra ci dice io stanzio queste risorse per portare questi servizi, se le persone con disabilità sappiamo che sono 3 milioni come derivava dall'ultima stima che era frutto di una indagine campionaria o sono 7 milioni come invece deriva dall'unione di queste due fonti dati quindi Istat e IMS relativi alle persone certificate sicuramente la prospettiva è diversa. Per me è importante questo tema perché tutte le volte che su questo palco noi rappresentiamo un'associazione di persone con disabilità che sono minori di bambini in età evolutiva però quando su questo palco non c'è una persona con disabilità che questa persona abbia proprietà di accesso ai dati, alle informazioni per potersi autodeterminare che quindi sia lei a dire ma io voglio lavorare in quell'azienda, voglio fare il pizzaiolo piuttosto che voglio fare il ricercatore all'interno di un altro contesto lavorativo. Questo per dirvi che all'interno delle attività che portiamo noi avanti come associazioni il fatto di rivendicare anche un numero, la possibilità di sapere quante sono le persone con disabilità in Italia in quali condizioni di svantaggio versano rispetto a una popolazione di pari o rispetto ad altri paesi non è un'informazione davvero trascurabile o un di più, è un punto di partenza per capire quali politiche vogliamo portare avanti. La Ministra ha citato il tavolo sui caregiver che ci auguriamo che adesso a giugno si riunisca nuovamente, c'è grande dibattito a quel tavolo al quale io non partecipo, però c'è grande dibattito anche soltanto nel circostanziare qual è la figura del caregiver, il caregiver che vive insieme alla persona con disabilità, che vive in altri contesti, quanti sono i caregiver in Italia? Sono 7 milioni, sono di meno, sono di più? Perché è importante ragionare su questo? Perché poi parte della non applicazione, del non cambiamento sistemico che citavamo prima deriva anche dalla mancata copertura finanziaria, quindi l'abbiamo visto nel caso del tavolo del caregiver la norma che è stata applicata in Lazio, le risorse che sono state stanziate non erano sufficienti per poter dare effettivamente un sostegno alle famiglie di questa regione. Quindi di nuovo tornare sui dati, tornare sulle informazioni è rilevante per poter decidere quale politica voglio attuare e perché è necessario fare pressione su alcuni sistemi per ottenere delle soluzioni che siano delle soluzioni condivise? Ecco Giacomini, io vorrei sentirlo proprio su questo, sulla lettura diciamo così economica di questa riforma, perché prima abbiamo accennato i costi delle famiglie, al fatto che manchino alcune figure professionali, qual è la sua lettura economica della riforma che è arrivata in gazetta? Posso andare fuori il tema? Perché c'è alcuni aspetti ripeto al lavoro che è uno dei dati, uno dei dati che più impatta. Con una proposta al ministro, proprio riaccanziandosi a quello nuovo decreto del 1° maggio, decreto coesione ultimo, che prevede su interno tutta una serie di misure interessanti sull'autoiprenditorialità e sulla assunzione da parte di aziende di giovani con contributi, con copertura contributiva anche interessante. Ecco, quelli sono due ambiti da investire decisamente per quanto riguarda la disabilità, sull'autoimprenditorialità in cui sono già previste le persone con disabilità, magari eliminare quel limite di età di 35 anni che c'è per gli altri, perché abbiamo dati certi da relazione undicesima e da relazione al corto dei conti che abbiamo uno spostamento in avanti della disoccupazione del disagio, delle differenze. E per quanto riguarda i contributi dell'azienda per le assunzioni, io lo metterei il limite dell'articolo 19 della regge 68, cioè che non pigli finanziamenti, incarichi, bandi, se non sei in regola, con la regge 68, e rischiamo altrimenti di avere delle disfunzioni, cioè nuove assunzioni, molte nuove assunzioni in più, ma che riguardano ben poco le persone con disabilità. Questo potrebbe essere un tema che è quello del lavoro, per i dettagli in cronaca, ne possiamo ripallare. Il fenomeno economico, il fenomeno di impoverimento, come regge questa riforma? Questa riforma così non mi introduce immediatamente, futuro non lo so, ma immediatamente risorse tali da fare la svolta completa. Non è un'operazione immediata. Abbiamo necessità di risorse economiche e professionali per rendere operativo quello che è il progetto di vita. Il progetto di vita ha bisogno di una copertura solida, altrimenti è un diritto finanziariamente condizionato. D'altra parte, una delle preoccupazioni del MEF che vi ha posto sulla relazione tecnica è stata quella di dire, siamo sicuri che questo coinvolgimento della persona nella redazione del piano di vita, del progetto di vita, non produca spese, non produca un incremento di spese? Il progetto di spese è una preoccupazione classica del Ministero dell'Economia. Il vostro Ministero ha detto attento perché sono le regole previgenti, previste già dall'articolo 14 alla Z3-28, per cui nei limiti di bilancio. Il timore è che servano quattrini per arrivare a un livello di LEP, per arrivare a un livello di LEA, quindi per una copertura certa su tutto il territorio nazionale. In Italia abbiamo delle discriminazioni, delle disparità enormi in termini di servizi e in termini di spese dei comuni che stanno raschiando il fondo del barile, tra l'altro. Quindi abbiamo necessità di molte risorse in più. Le troveremo nell'erario? Io non lo so. Forse dobbiamo iniziare a pensare ad altri meccanismi per trovare altre risorse con modalità più generative, come? Detta così sembra facile. Ad esempio, tentando di capire se ci sono modellizzazioni anche territoriali, anche nelle comunità che migenerino risorse dirette e indirette per garantire servizi. Per questo le comunità locali, gli ambienti, gli ambiti territoriali hanno una estrema necessità di essere riconosciuti e coinvolti. Abbiamo alcuni modelli, magari parziali, magari che la tirano con i denti, che riescono a sviluppare dei modelli sostenibili legati al contesto, legati all'ambiente, che consentono lo sviluppo di progetti e percorsi di abitare sociale. Recuperando e mettendo insieme i fondi. L'operazione del fondo unico è corretta. Io ci avrei aggiunto anche la 112, ma è un altro paio di maniche. Possiamo discutere 15 giorni. Comunque ci avrei aggiunto anche quella sud dopo di noi, all'interno di un fondo unico. È giusto pensare di unificare o di ricomporre questa frammentazione che abbiamo avuto per anni in pezzetti, eccetera. Non sarà facile gestirlo da un punto di vista politico, ma ognuno fa il suo mestiere. Da un punto di vista locale e territoriale c'è anche l'operatore, l'amministratore, che deve ricomporre questi fondi e dargli una razionalità. Dobbiamo aiutarli anche per quello che l'operatore sociale faccia, l'operatore sociale non incontabile a recuperare, a rendicontare e così via. Il segno è positivo, sembra che sia cambiata la logica complessiva anche politica, che alcune cose non siano più sostenibili, che avevamo non più tardi 10 anni fa. La famosa campagna di caccia ai falsi invali di cui ci sono delle responsabilità politiche che nessuno ha mai pagato e delle responsabilità tecniche che nessuno ha mai pagato, non c'è più. Sembra non esserci più, c'è stata una campagna di 1 250 000 controlli che dovevano produrre secondo le dichiarazioni di qualcuno, reguzioni alla Camera, ricordo. Il ministro dell'Economia di allora diceva come può un Paese che ha 2 milioni 600 mila... Io vorrei guardare avanti e non indietro, per favore, perché secondo me è importantissimo e siamo qua per capire che cosa si può fare da oggi in poi. La questione di sistema, anche di altre coperture. Non possiamo pensare a una riforma che funzioni mentre stiamo raschiando o riducendo i finanziamenti ai comuni, o riducendo la spesa ai comuni o lasciando nella sofferenza la sanità. Sentiamo la ministra su questo? Se no, lasciamo il celino in mano alla Locatelli con le dita che si bruciano. Sentiamo il risposto della ministra. La Locatelli ha bisogno di tutti, come tutto il mondo sociale. Da soli non andiamo da nessuna parte. E siamo sempre stati in fondo alla lista, invece piano piano dobbiamo risalire nell'elenco delle priorità a livello nazionale, a livello regionale, a livello locale. Questo è anche lo sforzo. Dico solo due cose per fare un attimo di chiarezza. La questione dei 35 anni, giusto per far chiarezza, che sta nella legge il 1° maggio 2023, è un aggancio che noi abbiamo messo perché la legge che è stata fatta dal ministro per il lavoro riportava quell'opportunità. Quindi noi ci siamo agganciati con il tema della disabilità perché non potevamo fare diversamente, però ci siamo entrati. Noi siamo un po' piccoli e insidiosi e cerchiamo di andare un po' dappertutto. E quindi abbiamo dovuto agganciarci e stare in quella regola lì. Dopodiché sono d'accordo che su tutto anche i limiti dell'età sono cambiati. La vita fortunatamente è molto più lunga, abbiamo più possibilità per curarci, ci sono tante problemi in più, però lì c'era questo limite che dovevamo rispettare, però ci siamo infilati. Invece per quanto riguarda le risorse della legge delega, sono 350 milioni per l'attuazione. Voi sapete che una gran parte, 250, servono all'IMPS proprio per le assunzioni dei medici. Quello è tutto un altro ragionamento che forse oggi non abbiamo poi il tempo di fare. Poi abbiamo messo 25 milioni per dare la possibilità di attivare nei progetti di vita delle opportunità particolari. Non so se tutti sanno come funziona l'attivazione dei servizi e delle misure nei territori. Se abbiamo una persona che ha con il suo progetto di vita il bisogno di fare la fisioterapia, allora verrà attivato il percorso dalla sanità, ma gli spetta comunque, gli spetterebbe anche oggi. Ha bisogno della parte dell'assistenza scolastica e dentro del progetto di vita, ma gli spetta anche oggi. Ha bisogno dell'assistenza educativa domiciliare, gli spetta anche oggi. Poi c'è una parte, magari, l'elativa al territorio, la dimensione di vita relazionale, che è più sportiva, ricreativa, che in parte si pagherà con le proprie risorse o in parte potrà essere attivata dal territorio. C'è un budget di progetto che va costruito e penso che condividiamo tutti che lì dentro ci sta il grosso del lavoro, cioè il fatto che gli enti siano seduti intorno al tavolo è per costruire insieme alla persona questo budget di progetto. Lì sta la difficoltà, ma ancora una volta prima della difficoltà economica io ci vedo la difficoltà a capire il metodo di lavoro, perché deve essere un metodo di cooperazione, di collaborazione e fino ad oggi non funziona così, perché tu devi andare a uno sportello, chiedere qualcosa e qualche volta ti viene anche detto non è mia competenza. Invece intorno al tavolo tutti devono trovare le risposte insieme, perché in mezzo c'è la persona e non si può lasciare scoperta la persona, perché altrimenti veramente ci limitiamo a dire che ogni tanto qualcuno ha bisogno di una cosa e qualche volta ha bisogno di qualcun altro e noi tutti sappiamo bene di aver bisogno invece sia della dimensione sanitaria che sociale, sempre, tutti i giorni della nostra vita, perché anche se viene in casa nostra l'infermiera a fare le medicazioni non può trascurare il fatto che dietro ci sia una persona che magari sta vivendo in una realtà anche di vita, magari anche difficile, ci sono delle altre problematiche che si possono innestare, è questo che deve scattare, la voglia anche di dare delle risposte insieme, in realtà la voglia un po' sta scattando perché adesso che dovevamo scegliere le 9 province mi sono arrivate delle auto candidature di territori che io non mi aspettavo e naturalmente questo però mi testimonia che c'è anche voglia di sperimentarsi in un nuovo approccio, spesso sui territori si si... intanto è arrivato il dottor Siddipaka, mi fermerò immediatamente... intanto gli diamo il tempo di respirare... che c'è anche la voglia da parte degli operatori sia nei servizi sociali che negli altri servizi territoriali di poter avere un confronto con gli altri che lavorano sullo stesso caso e sulla stessa persona ma questo sarà la difficoltà, buongiorno dottor Siddipaka... Allora, è arrivato Alessandro Siddipaka, gli facciamo un applauso perché due ore di ritardo del treno, io ho una chiavetta con le sue slide, intanto faccio un altro paio di domande per la ministra e intanto preparano così... Allora, due cose, la prima che mi viene in mente, ascoltando il suo discorso, è che molto spesso per accedere a quei servizi di cui lei parlava c'è una burocrazia sfiancante e per chi è caregiver che già è impegnato quotidianamente in un... serie di compiti anche onerosi dal punto di vista economico, fisico, di tempo e di energie, dover anche percorrere quelle lungagini burocratiche diventa un peso ulteriore, c'è una semplificazione che arriva con questa riforma? Intanto sì, perché nel progetto di vita e naturalmente sono d'accordo col dottore che dice c'è un percorso e ripeto, di formazione anche da fare per questo nuovo approccio, cioè ci saranno sicuramente alcuni nodi che vengono al pettino e noi siamo pronti per intervenire, per essere lì, per risolverli, perché io credo davvero che questa sia l'unica opportunità che abbiamo anche per cambiare tutti questi sistemi burocratici, rigidi e che nel corso del tempo forse si sono irrigiditi ancora di più. Non solo sui territori, ma anche ai livelli più alti, eh, nel senso che anche io trovo a volte delle difficoltà nello spiegare quali sono le opportunità del cambiamento e quali sono le opportunità della flessibilizzazione dei servizi, perché forse la cosa ancora più potente e più importante che dobbiamo comunicare è che ogni persona ha il diritto di avere dei servizi su misura, cioè non è che tutti hanno bisogno di dieci sedute di fisioterapia, ma è anche nella sanità. Ognuno ha eh diciamo bisogno di avere all'interno del progetto di vita misure e servizi che siano personalizzati e eh diciamo anche scelti insieme alla persona per questo per questo cambiamento. Quindi la semplificazione sta proprio nel nel fatto anche che le famiglie non devono più andare a bussare a tutti questi uffici ma che alla sottoscrizione del progetto di vita i referenti attivano i servizi direttamente. E' una grande risparmio anche in termini di tempo perché se pensiamo alle attese, se pensiamo anche allo stress e alle fatiche ecco io spero che questo possa portare davvero un sospiro di sollievo nelle famiglie. Ripeto non mi aspetto che con lo schioccare delle dita neanche nelle nove province dal primo gennaio cambi tutto. È un percorso che dobbiamo fare ma bisogna avere anche il coraggio di farlo perché altrimenti non cambiamo più in questo paese. E' un percorso che le istituzioni devono fare perché uno dei dati che di cui abbiamo scritto proprio in settimana è che i siti istituzionali dei comuni italiani non sono accessibili. Sessantotto dichiara di essere conforme alla legge stanca ma in realtà non lo è perché il cento per cento dei comuni esaminati in questa ricerca presenta eh dichiarazioni non completamente conformi agli standard richiesti vabbè con diversi errori di accessibilità. Quindi chiaramente l'accessibilità poi renda tutto più semplice e quindi è uno dei. L'accessibilità è il punto di partenza di qualsiasi cosa perché senza l'accessibilità universale non si può andare a scuola non si può andare a lavorare non si può andare al cinema non si può andare a spiaggia. E quindi anche questo è un limite per tutti che dobbiamo superare insieme nelle diverse attività della vita quotidiana. Il primo decreto attuativo della legge delega riguarda l'accessibilità delle pubbliche amministrazioni non solo dal punto di vista dei cittadini che devono accedere ai servizi ma anche dei lavoratori con disabilità che devono poter svolgere il loro lavoro in autonomia. Le loro mansioni in autonomia non solo dal punto di vista delle barriere architettoniche ma anche per esempio tecnologiche per potersi informare per comunicare e per poter svolgere tutti i compiti che gli sono affidati. Devo dire che le leggi sull'abbattimento delle barriere architettoniche esistono dagli anni 80 e anche quella diciamo che adesso non c'è più solo la legge stanca ma abbiamo un accessibility act che è quello europeo ai quale tutti ci dobbiamo attenere e che deve invece essere diffuso. Ma come al solito non è che dal momento in cui viene varata la norma immediatamente tutti si riescono ad adeguare. Questo sarebbe bellissimo però è un cammino che bisogna fare e che comunque va affrontato. Ecco un'ultima domanda intanto abbiamo dato il tempo a Solipaca di ambientarsi. Un'ultima domanda invece riguarda un disegno di legge nell'ambito della semplificazione appunto normativa sulla disabilità con l'obiettivo di introdurre nel nostro ordinamento la certificazione di inclusione. Ed è qualcosa a cui faccio riferimento perché è stata introdotta un anno e mezzo fa la certificazione di parità che era prevista dal PNRR e quindi sembrava cioè era qualcosa cui bisognava adempiere e l'obiettivo era di arrivare al 2026 con 800 aziende certificate. Siamo a 1800 e quindi è già un buon risultato vuol dire che le imprese sono pronte a rispondere a questo tipo di sollecitazione. Ecco è possibile pensare anche a una certificazione di inclusione ricordiamo certificazione di parità da accesso anche a una certa premialità anche appunti in più nei bandi e quindi da alle imprese diciamo un ritorno anche economico. E' possibile pensare a una certificazione di inclusione? Io penso che prima ci vuole anche la presa di coscienza e il cambiamento collettivo poi si può pensare a tutto può essere un diciamo uno stimolo in più un incentivo però dobbiamo guardare anche le cose concrete cioè bisogna applicare comunque la legge 68 sicuramente attualizzarla bisogna avere questo nuovo sguardo e ripeto l'assunzione delle persone con disabilità deve essere fatta perché è un beneficio. Per tutto il setting lavorativo e non solo perché così non pago la multa quindi quella certificazione deve avere anche qualcosa diciamo di concreto di motivazionale e di buon senso al suo interno quindi non lo so ecco non conosco bene diciamo come in che modo si voglia affrontare questo tema ma sicuramente deve esserci un impegno concreto dietro. Possiamo venire da te? Allora noi abbiamo soltanto accennato gli oltre 7 milioni e mezzo che avete diciamo così calcolato in base alle certificazioni di pensione e indenità di disabilità però non siamo entrati assolutamente nei numeri pur avendoli io proprio per lasciarti spazio quindi se la regia ci dà l'ok per le slide perfetto. Sì grazie. Mi dispiace purtroppo non è diviso da me questo ritardo dovevo iniziare in realtà nella programmazione dell'evento dando un quadro generale sulle condizioni di vita delle persone con disabilità però lo darò in conclusione quindi lo considereremo un punto di partenza. Allora come già detto noi stimiamo attraverso dati di natura amministrativa che ben 7 milioni e 658 mila persone nel nostro Paese hanno una certificazione e l'è lasciata da una commissione medico delle ASLE o godono di un trasferimento economico legato a una condizione di disabilità. Quindi questo è diciamo una prevalenza della disabilità e baseata sull'approccio medico cioè considerando il fatto che sono si tratta di persone che hanno un'amenumazione fisica psichica o sensoriale che è certificata da un medico di medicina generale. Di questi 7 milioni e 658 mila e 455 mila sono minori e due milioni circa tre milioni hanno un'età compesa tra 18 e 64 anni oltre 4 milioni sono anziani quindi questa è la struttura demografica di questa popolazione. Questa popolazione io definisco come a rischio disabilità perché in realtà è come ci insegna l'ICF, la nuova classificazione sulla malattia e la disabilità e come ribadisce la convenzione ONU sui dritti delle persone con disabilità per essere considerato una persona con disabilità non basta, non è necessario avere un'amenumazione fisica. Ma quello che conta è la relazione che questa condizione di salute ha con l'ambiente, con la società, con l'ambiente circostante. E quindi adesso veniamo all'estime invece basate sull'abbroccio biopsicosociale, appunto si intende che le persone con disabilità sono una persona che sperimenta una relazione negativa tra proprio stato di salute e le condizioni ambientali. Quindi come vedete queste persone in realtà sono circa 3 milioni, 2 milioni e 921 mila, che sono persone che a causa della loro condizione di salute, del deficit di cui si parlava prima, non sono in grado di vivere come abitualmente vive il resto della popolazione. Di questi 3 circa 3 milioni, 1 milione e 750 mila sono donne e 1 milione e 326 mila sono ultra 75 anni, quindi una popolazione molto anziana diciamo, tendenzialmente una struttura demografica molto vecchia diciamo da questo punto di vista. E purtroppo spesso e soprattutto ovviamente gli anziani vivono da soli, questo aggrava chiaramente la loro condizione di fragilità, sono il 22,2% le persone che vivono da sole, quindi senza familiari. A queste persone, a questi 2 circa 3 milioni si aggiungono le persone che sono invece istituzionalizzate, cioè vivono in strutture residenziali in maniera permanente, sono 3 milioni e 3200 minori, 51 mila adulti e 215 mila anziani non autosufficienti. Quindi queste sono persone che non vivono in famiglia ma vivono in questa struttura residenziale. Quali sono le principali limitazioni che si riscontano in quei 3 milioni di persone di cui parlavo prima? La maggior parte sono persone che ha limitazioni motorie, sono 2 milioni e 200 mila, 1 milione e 500 mila di questi sono ultra 75 anni, a rimarcare il fatto che è un collettivo molto anziano. 740 mila hanno gravi limitazioni all'udito, di questi sempre 565 mila sono ultra 55 anni e 552 mila hanno gravi limitazioni alla vista. Di questo collettivo ben 2 milioni di persone ritengono insufficiente o non hanno adeguata assistenza per i loro problemi di salute. Quindi sono un collettivo molto ampio che lamenta condizioni di non autonomia molto marcate. Adesso inizierò a darvi qualche numero sulle dimensioni principali delle inclusioni sociali delle persone con disabilità. A partire dalle condizioni di salute, ben il 55,4% delle persone con disabilità e dei 3 milioni di cui avevo parlato prima, dichiara di essere in cattive condizioni di salute. Lo svantaggio rispetto al resto della popolazione è evidente perché come vedete la stessa condizione è lamentata solo dallo 0,5% del resto della popolazione. Come vedete la cattiva salute cresce, cresce l'altà, quindi tra i 45-64 anni sono il 50,5%, tra i 65-74 sale al 63,4% e il 75% oltre al 62,7%. Come vedete i vari con il resto della popolazione, che io spesso citerò, le differenze con il resto della popolazione, perché è questo che in qualche modo ci dà la misura del gap che c'è, quindi della mancata inclusione e del rispetto dei diritti di cui queste persone soffrono. Rispetto alle malattie croniche, anche qui vedete come la percentuale di persone che soffrono di almeno una malattia cronica è molto elevata, tra le persone con disabilità sono l'86,5% e nel resto della popolazione si attesta al meno del 33%. Anche qui la percentuale salgono con l'età, ma questo è un fatto abbastanza normale. Un altro diritto è quello all'istruzione, un altro diritto sancito dalla Convenzione ONU e queste sono i dati riferiti alla classe centrale, quella che ha concluso il ciclo di studi sicuramente, e ci accorgiamo con le indagini campionarie che svolge l'ISTAT che raggiunge almeno il dichiaro ma superiore del 55,7%. Una quota consideravelmente più bassa del resto della popolazione in cui questo livello si raggiunge nel 78% dei casi. Una nota positiva è che quello che osserviamo dal 2009 al 2022 è che questa quota di persone che raggiunge almeno il diminuto di scuola superiore cresce e cresce più del resto della popolazione, quindi qualche passo avanti sicuramente si sta facendo. Purtroppo comunque sempre il 5,3% delle persone con disabilità non raggiunge nessun titolo di studio, una percentuale molto elevata. Anche qui la variazione media in questo lasso temporale è una diminuzione di queste persone del 1,4% medio anno, mentre nel resto della popolazione questa percentuale rimane sostanzialmente stabile. Quindi comunque ci sono dei segni di miglioramento anche da questo punto di vista. Per quanto riguarda il diritto al lavoro, come vedete, anche qui gli svantaggi delle persone con disabilità sono evidenti. Sono occupati solo il 33,5% delle persone e nel resto della popolazione questa quota sale al 60,2%. Anche qui, come abbiamo visto per le istruzioni, ci sono dei segnali incoraggianti perché il tasso di occupazione tra le persone con disabilità sale quasi di un punto percentuale mediamente, è salito di circa un punto percentuale in questi 16 anni. Uno svantaggio che ci tengo a precisare è che anche là dove le persone con disabilità lavorano meno frequentemente raggiungono posizioni di professionale apecali. Quindi hanno una carriera molto più lenta di quella che osserviamo nel resto della popolazione. È il 15,6% di queste persone con disabilità che raggiungono le posizioni apecali contro quasi il 19% osservato nel resto della popolazione. Quindi anche qui è uno svantaggio anche dal punto di vista della carriera. Le condizioni economiche. Anche qui riscontriamo delle differenze degli svantaggi. Il 28,4% è una condizione di rischio di povertà o esclusione sociale. Il 10,9% addirittura è in severa differenzione materiale e sociale. E le famiglie in cui vengono le persone con disabilità hanno una bassa intensità lavorativa. Ciò è che lavorano un numero di ore molto inferiore a quello che è ritenuto accettabile. Quindi anche qui vediamo che le famiglie soffrono di uno svantaggio importante. Probabilmente anche per colpa dell'attività di cura che spesso le donne devono fare per assistere queste persone. Un'altra dimensione dell'inclusione è quella dell'accessibilità. Vediamo anche qui che le cose non vanno benissimo, perché il 20,8% delle persone con disabilità non riesce a uscire di casa quando vuole. Il 26,3% lo fa ma con molta difficoltà. Nella classe adulta di 18,44 anni il 50% di queste persone che utilizza la macchina come conducente contro l'80,9% deve essere la popolazione. Quasi il 30% non è in grado di utilizzare i trasporti pubblici e il 18,9% non riesce ad accedere agli edifici pubblici. Non riesce chiaramente ad accedervi a spostarsi limiramente negli ambienti e ad utilizzare i servizi. Anche questo è un dato molto preoccupante. Ancora sull'accessibilità, in questo caso l'accessibilità dei servizi, solo il 22,5% della riperzione di disabilità riesce a ricorre agli uffici comunali. Il 39,3% agli uffici postali e il 27,8% riesce ad usufruire dei servizi postali. Anche qui quindi un gap di accessibilità abbastanza significativo. L'Istat raccoglie anche informazioni sulle barriere che si riscontrano nei musei e nelle biblioteche. Vedete che c'è ancora molto da fare per questo tema dell'accessibilità. Solo il 67,7% dei musei è punito di servizi igienici attrezzati e il 61,6% è dotato di strutture per superare le barriere architettorniche. Questo è nei musei. Nelle biblioteche il 65,5% ha installato attrezzature per superare dislivelli o barriere fisiche all'accesso. E solo il 65,1% ha dotato di servizi igienici a norma. Ancora meno è la quota di biblioteche che è dotata di una segnala etica data a difficoltà di chi accede e ha difficoltà alla lettura. Quindi non è messo nelle condizioni di soffrire appieno dei servizi che normalmente una biblioteca offre. Nella prossima slide vedremo l'accessibilità anche delle scuole. Anche qui sono presenti molto i barriere fisiche. Di tutte le scuole, cioè l'Istrat fa un censimento, solo il 30% risulta accessibile all'alunni con disabilità motoria. Il 45% non ha un'ascensore adeguata al trasporto delle persone con disabilità. Il 31% è sprovvisto di servo scala e il 24% di bagno a norma. Solo il 16% delle scuole dispone di segnalazioni visive per studenti di consordità o ipocosia. L'1,5% dispone solo di mappe a rilevo e per corsi tattili per rendere spazi accessibili agli onunni con cecità o ipovisione. Quindi anche nelle scuole si riscontano sostanziali difficoltà di accessibilità alle strutture e ai servizi. Concludo con questa slide. L'ultima slide è dedicata all'impegno che il nostro welfare mette negli interventi e nei servizi offerti alle persone con disabilità. Sono dati questo e sono l'ultimo disponibile il 2021. In Italia si spendono 30 miliardi di euro per interventi a favore delle persone con disabilità. Pari all'1,7% del prodotto interno lordo. La media europea è un po' superiore e si attesa al 2,1%. Compressivamente sul totale della spesa per welfare e per la protezione sociale, la spesa per le persone con disabilità è pari al 5,2-3%. Un paio di punti e mezzo inferiore a quella che spendono mediamente i paesi dell'Unione Europea. Un altro dato caratterizzante del nostro sistema di welfare italiano è che il 94,5% della spesa è erogata attraverso trasferimenti economici. Nell'Unione Europea questa quota è scenda all'86,8%. Abbiamo un welfare caratterizzato molto da trasferimenti economici e poco da servizi. Questo è un altro fatto per riflettere. È un fatto economico perché i servizi sono molto costosi a causa dell'alto livello del costo del lavoro. Si preferisce dare dei soldi alle famiglie, ma bisogna vedere se queste famiglie almeno in prospettiva riusciranno a fare fronte agli aiuti ai propri familiari semplicemente con delle erogazioni da parte del sistema di welfare. Questo ultimo slide sarà molto utile alla ministra da portare nei tavoli di competenza per poter ottenere qualcosa di più per il prossimo futuro. Il supporto dei dati è sempre utile come dicevamo all'inizio. Abbiamo già sporato di 10 minuti, non voglio rubarvi ulteriore tempo. Una delle caratteristiche del Festival dell'Economia è aprire alle domande dal pubblico. Se ci fossero domande, chiedo anche se c'è un microfono a disposizione. Domande non interventi. Buongiorno, sono Marco Grof, qua di Trento. Ci sono anche patentati speciali. Ci sta molto a cuore la piattaforma nazionale del Cude. Certi comuni sono bravi, certi così così, e certi se ne fregano. C'è un obbligo giuridico su questo settore? Grazie. La percentuale di adesione non è molto alta. Abbiamo cercato di fare una campagna di promozione della piattaforma insieme a Lanci, mandando lettera mirata a tutti i comuni. Abbiamo aumentato l'adesione, ma ancora alcuni non hanno capito la potenzialità. Ci stiamo anche informando su come poter migliorare questa piattaforma, il servizio, per renderla più allettante per i comuni. La volontà deve essere loro di aderire, perché devi caricare le targhe sulla piattaforma. Ad alcuni comuni sembra una roba difficilissima, ma credo che possa essere assolutamente affrontata. Abbiamo un quadro di chi aderito o chi no. Stiamo cercando di spronare almeno le città più grandi, perché lì si concentra un numero di popolazione elevatissima, ma soprattutto perché anche chi ce l'ha, magari arriva da fuori da qualche comune più piccolo, è chiaro che a Roma magari ci va, può capitare un viaggio a Roma, soprattutto per chi sta nelle regioni vicine o per chi ci va in vacanza o per turismo. E' un tema molto attenzionato anche dall'Europa, perché si lega anche all'utilizzo della disability card, che per noi è un documento importante. Stiamo aspettando per promuoverla, perché il grande passaggio che abbiamo proposto all'Europa, anche in questo caso, è di trasformarla in un documento digitale, in modo che non ci sia solo la spedizione del cartellino che implica la domanda, ma di poterla distribuire a tutti. Poi vorremmo fare però una promozione più adeguata, perché alcuni non hanno nemmeno capito che è un documento che sostituisce l'atto di invalidità. Però stiamo lavorando su tutte queste due cose contemporaneamente, sul comune e cercheremo di fare un altro appello, di migliorare ancora di più la comunicazione. Lasciatemi fare però una considerazione prima della domanda. La considerazione è questa, che i disabili e le famiglie dei disabili vivono al di là di quello che dice l'ISTAT al 100% la disabilità. Allora non sono i numeri che ci rendono la difficoltà dei disabili e delle famiglie dei disabili. Questa lasciatemela come considerazione. La domanda che voglio fare invece al ministro è questa. La grande preoccupazione di chi vive la disabilità sia disabile che della famiglia è il dopo di noi. Vali a dire le persone che hanno una disabilità e hanno accanto dei fratelli, come nel mio caso, o delle genitori, che si pongono la domanda cosa succederà se noi moriamo prima che loro muoiano. Detto molto chiaramente, ecco, io non ho trovato fino adesso una risposta da parte di nessun governo. Non è un'accusa alla ministra, anzi, che ha prezzo. Però è un tema che dovete affrontare, perché questo è il tema della vita per le persone, che rende soprattutto, che dà soprattutto alle famiglie un minimo di sicurezza dopo che i genitori, o i fratelli, o chi cura queste persone si allontanano dalla vita. Quindi chiedo veramente di pensare a questo e mi lascio dirle ancora una cosa. In questo senso, attraverso la cooperazione Trentina, avete delle opportunità di studio che sono notevolissime. Io vi invito a verificare cosa si sta facendo in Trentino, come si guarda anche a questo tema in Trentino e soprattutto quello che ha fatto il Trentino per il mondo dei disabili, attraverso la cooperazione. È un invito, mettendoci anche a disposizione per dare non solo consigli, ma mettendoci pancia terra per lavorare col Ministero. Grazie, questo mi fa molto piacere. Poi c'è anche il governatore Fugatti, che sarà molto contento di sentire le sue parole. Io vengo ogni tanto in Trentino, ho visitato alcune realtà. Sicuramente se ci fermiamo un attimo mi dà qualche indicazione, verrò anche a visitarne altre. Questo è l'esempio del fatto che non basta una norma. Come sappiamo c'è la legge 112 del 2016 che ha affrontato il tema in maniera anche innovativa, non sempre stata capita, perché non sempre è passato il messaggio alle famiglie. Io ho ancora giro dei territori dove in tanti additura non sanno che c'è. Ieri ero in Toscana e un papà assolutamente non era a conoscenza nemmeno della norma. Questo è preoccupante, perché poi vuol dire che magari c'è anche una carenza di informazioni per le famiglie che non sempre hanno il tempo di andare a leggersi la gazzetta. O il sito non accessibile. È anche difficile da comprendere. Ecco, questo però voglio dire, c'è una legge che ci ha pensato già da qualche anno. Adesso c'è un tavolo che sta lavorando a una proposta di modifica, perché quella norma tra l'altro circoscrive solo ad alcune categorie, ai gravi, la possibilità di intraprendere il percorso di vita in autonomia negli appartamenti ad uso, ad abitazione civile. Però io credo che serva anche fare un altro ragionamento. Cioè, molto spesso io quando capito sui territori e vedo delle esperienze bellissime del mondo della cooperazione, del terzo settore, che magari si occupano di percorsi occupazionali, lavorativi e anche di centri di urni, dico, forse deve partire da lì, col supporto delle istituzioni, ma lo stimolo forse deve partire da lì, perché la preoccupazione delle famiglie e dei genitori è anche chi poi se ne occupa. Al di là del fatto che io sono pienamente convinta che debba iniziare nel durante, il dopo di noi. Anzi, prima è, meglio è. Addirittura ho visto delle realtà che iniziano coi bambini e coi ragazzi a fare dei percorsi di autonomia settimanale, per poter accompagnare anche alle faccende, banalmente a prepararsi la tazza di latte, ma sono cose importanti nel percorso poi di vita che si vuole andare a raggiungere nel dopo. Perché se il dopo arriva improvvisamente, senza nessuna preparazione, certo il genitore se n'è andato con la sua preoccupazione, ma il figlio resta con uno shock, perché in più ha il cambio improvviso. Invece deve partire, io dicevo, forse anche proprio in collegamento a queste realtà, con uno stimolo naturalmente da parte delle istituzioni. Quindi sicuramente quella norma ha bisogno di essere un po' rivista, rinderizzata, e il tavolo ci sta lavorando. Dall'altra parte, io vi dico che all'inizio del 2025 uscirà un nostro bando col fondo unico, perché lì ci abbiamo messo alcune risorse. Il mio sogno è quello di avere un fondo unico nazionale che naturalmente integri davvero le risorse che vengono utilizzate sulla disabilità dal Ministero del Lavoro, dal Ministero della Sanità, da tutti coloro che intervengono su questi settori. Ma è chiaro che siamo ancora un po' lontano da quello. In questo momento mi limiterò a usare i fondi del fondo unico per poter nel 2025 uscire con un bando che si rivolge agli enti del terzo settore per promuovere questa strada, cioè anche la dimensione abitativa in collegamento alla parte diurna, lavorativa o anche occupazionale di laboratori. Però lì si crea la fiducia. Senza la fiducia anche la tranquillità delle famiglie viene meno pur avendo la legge a disposizione. Credo che insieme al mondo del terzo settore dell'associazionismo si possa fare un ragionamento di questo tipo e noi partiamo in questo modo insieme alla modifica della legge 112, perché è comunque uno strumento importante, innovativo e che può davvero portare a un percorso valido anche durante ma soprattutto anche per il dopo di noi. Io direi che siamo in chiusura perché i tempi, se la domanda è proprio breve, non è breve. No, perché... Più di una è lunga, vuole farmela dopo? Allora chiudiamo, se non le dispiace, e la ministra è così gentile magari da fermarsi un po'. Io volevo ringraziare la nostra traduttrice Liz, perché dobbiamo anche riconoscere appunto il lavoro delle persone che ci permettono poi quell'accessibilità di cui abbiamo parlato. Io ringrazio Alessandro Solipaca, dirigente di ricerca dell'ISTAT per questa sua prontessa. Volevo sottolineare, durante il tuo intervento i cellulari sono stati tutti alzati per poter fare la fotografia, questi dati. Noi ne scriveremo nel corso del prossimo mese sul sole 24 ore, cercheremo di fare dei focus verticali perché davvero i dati erano tanti e su tanti ambiti diversi. E quindi cercheremo appunto di dare spazio e comunicazione ai dati dell'ISTAT. Ringrazio Francesca Fedele, presidente di Fight the Stroke Foundation. Carlo Giacobini, direttore agenzia Jura per essere stato con noi. Ringrazio voi per la pazienza e per averci seguito. Ringrazio la ministra che si è resa disponibile a visitare le realtà di questa area che possono essere portate come best practice nel resto d'Italia e appunto per rispondere alle domande. Non ci dimentichiamo, siamo qua appunto di chi ne ha ancora. Grazie ancora. Grazie. Grazie.
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