Democrazie sotto stress: diseguaglianze, identità e populismi
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Democrazie sotto stress: diseguaglianze, identità e populismi
Il fondatore del Luiss CISE, Roberto D’Alimonte, il direttore Ethos Luiss Business School, Sebastiano Maffettone, il professore Emerito di Scienza della Politica, Leonardo Morlino e il professore Emerito di Behavioural Economics, Massimo Egidi hanno discusso di “Democrazie sotto stress: diseguaglianze, identità e populismi”, un tema di estrema attualità e rilevanza, soprattutto in relazione alle vicende, verificatesi nel mondo negli ultimi anni.
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Accettiamo che questo sia un punto di qualche interesse, poter discutere seriamente e su una base condivisibile dei valori, di quali valori si tratta, un valore sicuramente della libertà, da questo punto di vista credo che nel complesso si può dire con una certa tranquillità che le liberali democrazie e le democrazie in generale hanno funzionato, hanno assicurato molta libertà per molte persone, per molti anni, ma il secondo punto comincia a creare molti punti interrogativi, l'eguaglianza, in che senso le democrazie hanno assicurato l'eguaglianza per molte persone, per molti anni, etc. E sicuramente negli ultimi anni, prendiamo il modello paradigmatico degli Stati Uniti, la diseguaglianza è diventata veramente enorme, quindi uno dei valori fondamentali della democrazia è la libertà e l'eguaglianza, i primi valori non sono stati assicurati dalla democrazia e questo è un altro problema. Un terzo valore fondamentale sicuramente è stabilità, pace, tutto bene, i governi devono fare cose bellissime, ma se c'è troppa turbulenza, nulla si può fare e noi viviamo vite infelici. Un grande psicologo sociale americano, Maslow, parla di bisogni primari e secondari, stabilità e pace sono bisogni primari, se ti sparano in testa non è che puoi uscire molto tranquillo di casa, e così via. E in che senso la democrazia ha assicurato stabilità e pace? In un senso relativo a cui si, c'è una teoria che si chiama democratic peace theory, per cui dicono che gli Stati Democratici non hanno mai combattuto tra loro una guerra, ci sono delle piccolissime eccezioni, ma sostanzialmente è vero, quindi c'è un aspetto della democrazia che contribuisce a assicurare pace, però il fatto che le democrazie non si combattono tra loro non vuol dire, come sappiamo benissimo, che non consentono di combattere con gli altri. Quindi la democrazia da questo punto di vista fa qualcosa di buono dal punto di vista della discussione sui valori, ma non di tutto. Il quarto valore, ovviamente, diciamo, è l'efficienza. Possiamo dire che dal 1945 al 1989, detto così in generale sembra assurdo, ma più o meno possiamo dire che c'è stata una maggiore efficienza delle democrazie sui regimi autoritari, sui regimi diversi dalla libera democrazia. Io penso proprio di sì, ma adesso siamo proprio sicuri. Quali sono i regimi più efficienti del mondo? In che modo possiamo dire che i regimi occidentali funzionano molto meglio della Cina dal punto di vista dell'efficienza strettamente intesa? Non sto parlando del rapporto delle efficienze e di libertà, ma delle efficienze in quanto tale. Quindi su questi grandi valori, come libertà e guaglianza, pace, stabilità e efficienza, la democrazia ha uno score buono, ma non uno score assoluto. Il resto è il problema che dicevo prima, cioè che sulle questioni esistenziali la democrazia è debole. Se parliamo di nucleare o parliamo di ambiente, di declino dell'ambiente, non sempre la democrazia può essere di grande aiuto. Quindi ci sono dei pro e dei contro. Quello che è certo è la disoffezione. Io insegno da una vita scienze politiche e i ragazzi di scienze politiche dovrebbero amare la politica, che invece puntualmente non si occupano di politica e di democrazia. E non perché siano distratti, ma perché non solo convincere una forte disaffezione pubblica e secondo me soprattutto dei giorni, che è un problema come forse quelli della mia generazione, in qualche modo specialmente in queste aule, facendo troppa politica, però adesso si fa troppo poca. E questo perché una delle ragioni che si collega a quanto detto prima è l'estrema complessità del reale, per cui l'idea che ci siano dei modi politici per cavarsi di impaccio, per trovare soluzioni positive, per risolvere i problemi è diventata più discutibile. L'altra ragione è perché moltissimi non credono nel fatto che votare serve a cambiare le cose. Io credo che questo sia un punto essenziale, è un punto vecchio. Già negli anni 50-60 si cominciò a parlare di rational irrationality, cioè che non era razionale votare. Però oggi questo sembra ancora più vero. Sostanzialmente non si vota molto per ideologia, pochissimi sono quelli che votano per ideologia, non si vota per self interest, per interesse personale, i più poveri votano a destra, i più ricchi votano a sinistra e cose del genere. Si vota per ragioni che si chiamano sociotropiche, che devo dire è orribile, ma che vuol dire essere parte di un gruppo? Sentire che quelli con cui tu stai sono d'accordo con te. Sostanzialmente si vota per prejudizi di tipo pseudo tribale, per stare insieme agli altri, agli amici eccetera, per avere il loro consenso. Questo indebolisce molto il senso della democrazia perché non ha nulla a che fare con la realtà e questo credo sia un problema enorme. Quindi si capisce che le campagne elettorali sono fatte per questo, cioè per creare identità tra gruppi minori e questo ovviamente non aiuta a risolvere quei grandi problemi che abbiamo oggi. Quindi secondo me il panorama della democrazia, come è ovvio che sia, è fatto di luci ed ombre. Oggi siamo stati invitati a riflettere su alcune di queste ombre. Io sono sempre preoccupato quando sui valori non si può discutere e questo è perché da un lato c'è la discussione che a volte può essere fumosa, lunga e noiosa, ma dall'altro c'è solo la violenza. Quindi quando i valori si ritirano il pericolo forte è che venga la forza. Speriamo che non sia così e con questo chiudo. Grazie. Grazie. Ora la parola al professor Massimo Egidi dell'università Luis Guido Carli di Roma. Sono in qualche modo, vado avanti con il discorso che ha fatto adesso Sebastiano Morfettone, partendo però da una questione. Perché siamo arrivati lì? Proviamo a trovare qualche ragionamento che ci aiuti a capire perché siamo arrivati al punto in cui è cambiata così il profilo. Sono cambiate così le aspettative delle persone perché il voto ormai siamo a metà dei cittadini che votano e così via. Io credo che un punto di partenza economico per un istante forse vale la pena di prenderlo. Noi siamo, è quello che viene discusso in questi giorni qui dappertutto, siamo in un ventennio nel quale due grandi elementi, la globalizzazione e l'intervento dell'intelligenza artificiale, tutti gli elementi che hanno a che fare con l'informatica, hanno avuto un impatto enorme sulla società. Ma l'impatto enorme è stato soprattutto sul lavoro. Quello che mi meraviglia, di cui mi pare non si parli molto e sarebbe utile in questi prossimi giorni, è che l'impatto è stato creare un mismatch, una non connessione di domande e offerte di lavoro in tutto il mondo. Per cui noi ci troviamo con paesi in cui esportiamo, per esempio, giovani preparati, intelligenti, capaci, ma importiamo solo mano d'opera di qualità intermedia o intermedia bassa. Perché? Cosa sta succedendo? È chiaro che in una situazione di questo genere, che richiederebbe ore di discussione, tuttavia non può non esserci una forte disaffezione delle persone, non tanto alla disuguaglianza, che c'è sicuramente, ma in Italia penso sia meno percepita e meno importante che non negli Stati Uniti dove è plateale, ma nel fatto che c'è una forte disaffezione dovuta al fatto che il mio lavoro non c'è più, io non so come riciclarmi con un nuovo lavoro, oppure il nuovo lavoro c'è, io sono capace, ma trovo molte più opportunità all'estero per farlo, quindi c'è una fortissima, come dire, anche nei giovani soprattutto, che anche loro sono tra quelli che votano a poco, c'è una forte disaffezione in qualche modo, da un punto di vista proprio della situazione sociale ed economica. Io credo che tutto questo nasca da una questione fondamentale, cioè che si è perso una prospettiva di lungo periodo e che quello che rimane in mano sono solo prospettivi di breve periodo e queste non ha contenta, non risolvono questo problema, perché per risolvere il problema di questo incredibile mismatch internazionale ci vuole una strategia. A mio parere questa oggi si vede molto poco nel mondo della politica, quello che noi vediamo è che nel passato queste c'erano, magari sbagliate ma c'erano, e erano appoggiate fondamentalmente alle ideologie, i partiti avevano delle grandi ideologie, l'ideologia liberale, l'ideologia socialista, erano delle collanti molto forti che davano una prospettiva giusto sbagliata che fosse, ma permettevano di pensare nel lungo periodo. Erano sistemi di valori sostanzialmente. Ora il problema è che questi sistemi di valori si sono andati declinando, diciamo la crisi delle ideologie di vent'anni fa circa, e che cosa ha sostituito questo processo, che aveva una caratteristica importante, legava le persone al loro partito e anche agli esponenti di quel partito. Ora un'altra premessa, i partiti per poter funzionare naturalmente avevano bisogno di dare fiducia, perché un partito non funziona, non può proporre dei programmi di lungo periodo e delle strategie se non c'è fiducia, e la fiducia è la cosa più instabile che esista nelle coalizioni tra persone. Oggi ho sentito vari interventi in varie situazioni, quando c'è una coalizione tra tanti, in questo caso in un'intera popolazione, mettersi d'accordo avviene soltanto se si ha fiducia in qualcuno che un po' fa da collante o da punto di riferimento di tutto ciò. Ora questa fiducia deve essere mantenuta, allora veniva mantenuta con l'appoggio a certi valori, io sono cattolico, credo fortemente a un insieme di valori, quei valori vengono rappresentati da un partito, anche se quel partito sbaglia un po', non ha tanto importanza perché comunque mi dà una garanzia, mi posso fidare di quei leader, o sono comunista o sono socialista. Il meccanismo era un meccanismo di forte affiliazione e nello stesso tempo, se vogliamo chiamarlo, oggi ha cambiato nome, di polarizzazione, cioè la gente si orientava dietro a un sistema di valori, caduto questo sistema non essendo più così forte, il meccanismo è ma adesso cosa sostituisce tutto ciò? Qual è l'alternativa rispetto a un sistema di valori? I nuovi partiti che sono nati negli ultimi 15-20 anni sono partiti che non portano dei sistemi, ce ne sono molti, alcuni sono partiti che portano avanti delle rimendicazioni del tutto legittime, del tutto interessanti, ma alcune, soprattutto per quel che è il valore della situazione italiana, non hanno una portata universale. Non sono partiti che portino avanti delle istanze che tutti sentono come valori propri di grande portata, la protezione di certi diritti civili va benissimo, ma si limita a una parte della popolazione. La mia personale idea è che probabilmente i partiti non riescono ad esprimere più qualcosa che sia universalistico e che quindi richiami in qualche modo l'attrazione delle persone come sistema di valori di lungo periodo e quindi permetta poi quello che è sostanzialmente l'adesione a un progetto. E oggi parliamoci chiaro di progetti che sarebbero appunto necessari perché siamo in uno sconvolgimento economico-strutturale molto forte e quindi in qualche modo qualche cosa che è di difficoltà per il futuro, perché chi è che si fida? Il futuro è lontano, è difficile, non siamo sicuri di poterlo ottenere e in più magari ci chiede dei sacrifici per il presente perché non ci dà soluzioni nel presente. Questa è la figura del partito e del leader di vecchia memoria, cioè del leader beberiano di Max Weber che era fondato su una morale, su un'idea di lungo periodo e sulla fiducia da parte delle persone. Se cadono questi tre elementi comincia a essere molto più vendibile, molto più interessante un altro tipo di azione dal punto di vista dei partiti e cioè la risposta di vero periodo. Tu hai una dissatisfaction, sei insoddisfatto per molte cose, per le tue situazioni di lavoro, per le disuguaglianze e così via, ti do una risposta immediata, non ti do una risposta di prospettiva. E quello secondo me è quello che sta succedendo in molti partiti, sia difendendo qualche area di minoranza che necessita di difesa, ma che non porta appunto un'idea generale che sia ammessa e riconosciuta valida in modo universale, sia che questo accada come un tipo di processo che in qualche modo convince le persone a potersi fidare di nuovo. Il problema è, se io ti do un risultato di vero periodo perché non c'è questa prospettiva di lungo, non c'è più bisogno che ti fidi troppo di me. E se non ti devi fidare troppo di me, allora comincia a diventare molto interessante la nascita di leader, i quali sono magari spinti semplicemente da una grande ricchezza personale, come Trump per esempio. E quindi che sostituiscono a quella che era l'affiliazione fatta per valori, una filiazione fatta attraverso meccanismi dell'advertising, della capacità di trasformare la convinzione politica in un'operazione di altra natura, che non è più una convinzione, una discussione, una capacità di mettere in discussione se stessi e gli altri, ma è vendita di un prodotto. Secondo me quello che sta succedendo, che è pericoloso della democrazia, è il fatto che troppe aree di partiti sono collegati, per necessità di conquistare un'area diciamo di votanti, a un approccio che è vendita di un prodotto. E non è più, discutiamo, non sono sicuro di quello che vi prometto, ma penso che la cosa sia giusta, quindi vediamo anche uno scontro, è possibile lo scontro, è del tutto ragionevole, ma invece questo non accade più e quindi c'è una divaricazione dei comportamenti, lo vedete da tante cose, c'è un dualismo nei comportamenti per cui non si accetta l'avversario. Poi quello che è successo con voi, i giovani che sono qui, lo conoscono molto meglio di me, e cioè con l'invasione dei social, è un'ulteriore spinta in quella direzione, perché esiste un fenomeno che si chiama confirmation bias, il bias di conferma, l'errore di conferma, che è noto dai tempi del settecento peraltro, che è sostanzialmente questo, si formano delle opinioni, lo diceva Maffettone poco fa, si forma un gruppo di opinioni coerenti, potrebbe essere anche il gruppo di opinioni che dice che la terra è piatta, ma la cosa fondamentale di questi gruppi di opinioni è che non si accettano i contradditori, più arriva una contraddizione anche nei fatti e più la reazione è di restringersi nel gruppo e cercare di mantenere solidità di quel gruppo senza far cambiare idea a nessuno. Allora questi due processi insieme cominciano a diventare una situazione abbastanza preoccupante, perché si formano appunto quelli che sono dei processi di gruppi molto coerenti, si chiamano anche bolle in qualche modo di tipo informativo, e non se ne esce in questo modo, perché non esiste più il dialogo, vero? Il problema è che secondo mio parere la politica è nata per il dialogo perché deve risolvere il conflitto delle persone, le persone hanno conflitti di interesse sempre e qualcuno li deve risolvere e li risolve se nella sua parte nobile la politica e lo fa con una visione di lungo periodo, se lo fa contentando immediatamente i piccoli gruppi il gioco è perso, non è più un gioco che riesce a funzionare. Io ho dire di fermarmi qui perché poi così possiamo discutere. Prof. Leonardo Morlino Grazie, buonasera a tutti. Brevemente dirò alcune considerazioni che si basano su queste tre ricerche. La prima è come la Grande Recessione ha cambiato l'Italia, il Portogallo, la Spagna e la Grecia. La seconda è le caratteristiche, i difetti, i problemi, le spiegazioni di come uguaglianza e libertà sono state realizzate in Italia, in Spagna, in Francia, in Germania, nel Regno Unito e in Polonia. L'ultima ricerca che ho pubblicato l'anno scorso con Mondadori solo in italiano è una ricerca su 18 democrazie europee concentrata sulla disuguaglianza. Lascio da parte il primo punto su cui dirò una sola cosa e mi fermerò su quei quattro temi, la domanda di uguaglianza, l'offerta di uguaglianza, la spiegazione dell'uguaglianza e se esistono formule istituzionali per ridurre la disuguaglianza. Perché questo è un tema che lascio da parte? Perché questo è un tema enorme. Disuguaglianza e libertà sono due concetti diversi, questo lo capite facilmente, possono essere tutti poveri e tutti uguali e paradossalmente anche tutti abbastanza ricchi e abbastanza uguali. Quindi povertà e uguaglianza sono concetti diversi. Però il problema della povertà quando diventa forte, guardate l'Italia, stiamo parlando di circa 15 milioni di persone a livello di povertà relativa. Le conseguenze politiche di questo non le devo chiarire, non le devo spiegare e vedete l'Italia con chi è in compagnia, ve l'ho messo il rosso tanto per capirci. Lasciamo da parte questo aspetto, perché questo significa altro tipo di politiche. Però il problema dell'Italia, e questo non è la disuguaglianza di cui invece mi occuperò successivamente, mi occuperò adesso sulla disuguaglianza, voglio dire subito una sola cosa. Esiste una domanda di diseguaglianza? In realtà spesso no. Facciamo della ricerca della domanda di diseguaglianza una cosa assoluta che vogliamo tutti, ma non è vero. Quando andiamo a vedere i dati, vedete che i dati sono diversi. La disuguaglianza è molto importante per i portoghesi, è importante per gli spagnoli, ma l'Italia sta al centro, è meno importante per l'Italia. Ma al di là di questo c'è anche una fluttuazione di dati nel corso degli anni. Io vi faccio vedere una sola tabella in cui ho messo insieme quattro anni, ma potrei fare il discorso sul decennio precedente. C'è una fluttuazione di dati che è abbastanza rilevante e su cui, per la verità, c'è una certa coerenza rispetto alle politiche che fanno i partiti e soprattutto, per essere più precisi, rispetto ai programmi che fanno i partiti. Ho provato a fare una ricerca di controllo sui programmi di partiti e le diseguaglianze e c'è una certa coerenza negli anni. Guardate questo. Vi lo faccio vedere perché questo è uno degli aspetti più interessanti. Percezione dell'efficacia dell'intervento statale nella riduzione delle diseguaglianze. Guardate dove è l'Italia. Basta, vado avanti. La sinistra offre uguaglianza. In realtà, dopo Schroeder, dopo Tony Blair, molto molto di meno, ha cercato il successo elettorale e cercando il successo elettorale ha offerto meno uguaglianza. Però, come vedremo, e ve lo faccio vedere alla fine, alcune sinistre, in collaborazione e in coalizione, sono riuscite a realizzare politiche di diseguaglianza, politiche di riduzione della diseguaglianza. Qui vedete, ho messo in rosso, i paesi che riescono, che sono riusciti negli ultimi dodici anni, a realizzare politiche di riduzione della diseguaglianza. Vi risparmio tutte le noiosità tecniche. Guardate solo i paesi che ho messo in rosso per capire. La destra offre l'uguaglianza. Ad un certo momento, la Le Pen ha cominciato a dire di sì. Cioè, a un certo momento, la Le Pen ha inserito nei propri programmi e questa ha cambiato la destra. Ovviamente ha portato a molta confusione. Poi, in realtà no. Poi, se si va a vedere le politiche più nel dettaglio, si vede che si parla di un welfare senza riduzione della diseguaglianza. Cioè, di maggiore attenzione, magari, alla povertà. Ad esempio, se vi ricordate, nelle elezioni di settembre, i fratelli d'Italia aveva dato molta attenzione all'aspetto della povertà. Poi, se questo decreto ha seguito, apriremo un altro dibattito che qui non ho tempo di aprire. I partiti populisti offrono diseguaglianza? Se guardiamo a quello che è successo in Reggio, a quello che ha fatto Podemos con i socialisti, a l'evoluzione italiana, anche durante i pochi mesi, anche in coalizione dei movimenti sociali, dobbiamo dire che i partiti populisti hanno offerto diseguaglianza. E qui vedete in rosso quello che sto dicendo, i paesi che si contraddistinguono per questo. I movimenti sociali offrono diseguaglianza? Sì e no. Qui il caso principale che dovremmo analizzare è la Francia, che in parte ha avuto successo, in parte però no. Quali fattori istituzionali contano quando parliamo di diseguaglianza? Innanzitutto, contrari a quanto si dice, l'analisi empirica, la mia analisi empirica, ma anche una precedente analisi empirica che avevo fatto su tutti i paesi del mondo, tutti i paesi analizzabili, erano circa 65, dimostra che eguaglianza e libertà sono molto connesse. Concretamente, vedete questo grafico esemplare, vuol dire che sono estremamente connesse. Se c'è più eguaglianza c'è più libertà e viceversa. Allora, e la dottoressa Patta lo accennava prima, le democrazie illiberali in realtà propongono eguaglianza e propongono illibertà, attraverso quale meccanismo? Attraverso questo meccanismo. Questo fa Moriavechi, questo diversamente fa Orban. Quindi si chiede mano libera, si chiede di evitare il controllo del potere. Fidatevi di me, faremo meglio, saremo efficienti, però ho bisogno di mano libera, ho bisogno di controllare le opposizioni, ho bisogno di controllare il potere per esempio dei giudici costituzionali, un punto fondamentale. E questo quando si parla di backsliding, come diceva Sebastiano, in concreto stiamo parlando di questo meccanismo politico. Qui vedete un altro aspetto, vedete come vi è una maggiore eguaglianza quando vi è un maggiore integrità politica, quando vi è minore corruzione. E questo è un altro dato che dobbiamo accettare. Di nuovo dobbiamo pensare purtroppo all'Italia ma dobbiamo accettarlo. Quali sono le soluzioni istituzionali e costituzionali che possono promuovere politiche di diseguaglianza, possono promovere politiche di riduzione della diseguaglianza? E qui dobbiamo rifarci a soluzioni consensuali. Oppure dobbiamo rifarci, adesso lasciamo da parte le politiche sulla riduzione della diseguaglianza che sono delle politiche classiche, politiche fiscali, le potete vedere, questo è tratto da qualsiasi testo di economisti che si occupa di questo tema. Guardate invece questo punto, qui il punto importante è che ad esempio troviamo un caso, vediamo se lo metto qui, il caso francese che è un caso interessante in cui esiste un sistema maggioritario, esistono regole maggioritarie e esiste una situazione di diseguaglianza piuttosto buona, non ottima ma piuttosto buona. Ad esempio migliore di quella del Regno Unito, vicino a quella della Germania, quindi il caso francese sembrerebbe smentire quello che vi ho appena detto. No, guardiamolo più a fondo il caso francese, il caso francese è un caso comunque di economia coordinata, quindi le regole maggioritarie elettorali o costituzionali come dire fanno da paradento, fanno da facciata. La realtà è una economia coordinata tra interessi e burocrazia che consente alcune politiche di diseguaglianza, consente anche appunto di superare in questo senso per esempio Vito Player e altro. Ostacoli alle politiche di riduzione di diseguaglianza, ve le potete immaginare, clientelismo, ma con un alto indebitamento pubblico non si va da nessuna parte, cioè quando un alto indebitamento pubblico non consente di fare politiche, questo ci dobbiamo purtroppo mettere in testa. Come delle leggi elettorali maggioritarie, lo dicevo prima, sono leggi che portano a soluzioni e a programmi partitici rispetto ai quali le politiche di riduzione di diseguaglianza poi non ci sono più, non vengono. Concludo rapidamente, sono state realizzate le politiche di riduzione di diseguaglianza? Sì, sono state realizzate per esempio da una sinistra attraverso dei provvedimenti più generosi di welfare, è avvenuto in Norvegia, da una sinistra alleata con un partito cristiano democratico, è avvenuto in Belgio, da una sinistra moderata alleata con una sinistra radicale, è avvenuto in Portogallo, da una sinistra socialista in alleanza con un partito di protesta, ve l'accendevo prima, è avvenuto in Spagna, da un partito semplicemente di protesta, Sirisa, poi adesso la pagina è stata voltata in Grecia, come sappiamo ci saranno adesso le nuove elezioni, probabilmente una nuova vittoria di neademocratia, quindi politiche di riduzione della diseguaglianza sono possibili. Non c'è una sola ricetta, però passa attraverso partiti che sposano programmi di riduzione della diseguaglianza e perché lo sposano non devono avere regole maggioritarie, perché le regole maggioritarie ovviamente hanno la caratteristica, soprattutto le regole elettorali, quindi di andare a catturare il votante moderato, il votante di centro, che è quello che è meno interessato alle politiche di riduzione della diseguaglianza. Mi fermo qui, grazie. Roberto Dalimonte, una mia curiosità che forse non è d'accordo con questa associazione che in sistemi dove vigge il sistema maggioritario non sia possibile combattere la diseguaglianza. In realtà Mollino mi ha molto stimolato su questo punto, conoscevo già la conclusione del professor Mollino che è un carissimo amico, abbiamo fatto la carriera insieme per 50 anni, però lui è arrivato a questa conclusione sul rapporto tra diseguaglianza e regole maggioritarie recentemente. Sulla base di una ricerca molto ampia. Io non posso discutere, nonostante l'interesse, su questo punto su cui faccio un ragionamento diverso, mi attengo agli appunti che ho preparato qui con voi e mi attengo alla domanda, il titolo del nostro incontro è la democrazia sotto stress. Perché le democrazie sono sotto stress? La mia risposta è semplice, veramente semplice, la democrazia è tutta colpa di questa cosa qua. E qui mi rialancio a una cosa che ha detto il professor Egidi, noi ci dobbiamo rendere conto che siamo all'interno di una rivoluzione tecnologica che nella storia dell'umanità secondo me non ha uguali, ma nemmeno la rivoluzione industriale è l'ultima rivoluzione industriale. Quello che da 25 anni sta succedendo, ovviamente mi riferisco a questo come prodotto, ma con tutto quello che c'è dentro e intorno, la digitalizzazione dell'economia, per cui intendo ai prodotti e ai processi, ha cambiato il mondo, totalmente, ha cambiato la società, ha cambiato la politica, continua, ha cambiato i rapporti sociali, la comunicazione, tutto è cambiato. Se tutto è cambiato e sta cambiando e continuerà a cambiare, perché siamo solo alla vigilia di un'altra trasformazione ulteriore che arriverà con l'intelligenza artificiale e tra l'altro anche con le stampante tridimensionali, in cui l'impatto non si è ancora fatto sentire sui processi produttivi completamente, di fronte a tutto questo ci dobbiamo meravigliare che le democrazie abbiano qualche problema, che siano sotto stress. Questo è il punto centrale, è che siamo impreparati, i governi delle nostre democrazie si sono fatti cogliere impreparati di fronte agli effetti di questa straordinaria, in inglese si direbbe disruption, questo sconvolgimento, questa rivoluzione, questo cambiamento. Non riusciamo a gestire gli effetti di questa rivoluzione, questa rivoluzione rispetto ad altre rivoluzioni industriali secondo me ha due caratteristiche distintive, una è che ha cancellato milioni di posti di lavoro di classe media, non ha toccato nella stessa maniera i ceti più deboli, ha toccato anche i ceti più deboli, ma soprattutto ha toccato la classe media, posti di lavoro di classe media, è la prima caratteristica distintiva, la seconda è la velocità, l'ultima rivoluzione industriale, quella dei nostri antenati, è avvenuta, è avuto conseguenze fenomenali, pensate all'invenzione del motore scoppio, però è stata più graduale, qui invece siamo dentro un processo velocissimo di cambiamento e questo aggrava il problema della gestione degli effetti di questa rivoluzione. Qui ho qualche dato perché il professor Egidi, che è un economista, ha fatto il politologo, io che sono un politologo invece faccio l'economista oggi, e il professor Egidi spero che mi perdoni. La mia pigrizia mi ha impedito di tradurre in italiano, però certe cose le capirete lo stesso. Questi sono dati dell'OXE, la polarizzazione del mercato del lavoro. Guardate cosa è successo nel mercato del lavoro, conferma di quello che stavo dicendo. Questi sono i posti di lavoro persi o guadagnati, divisi in posti con skills basse, low skills, mid skills, posti di lavoro di classe media, e high skill. Cosa è avvenuto con la rivoluzione di cui stiamo parlando? Che sono stati distrutti i posti di lavoro medium skill, pensate al settore bancario, al giornalismo, a quanti settori di classe media sono stati colpiti da questa rivoluzione. La gente ha perso il lavoro. E guardate che neanche a Faricato, secondo l'OXE, non sono dati miei, sono dati dell'OXE, vedete che l'Europa meridionale è andata ancora peggio. Guardate quanti posti di lavoro di classe media si sono persi nell'Europa meridionale, lo vedete è quella lì. Cioè è peggio che negli Stati Uniti, in Nord America, in Canada. E contemporaneamente ad aggravare il problema della classe media, e voi capirete poi quale sarà la mia conclusione, cioè il rapporto tra democrazia e classe media, ad aggravare il problema della classe media e democrazia occidentale, quindi il malessere di cui stiamo parlando, perché questo è lo stress di cui stiamo parlando. C'è il fatto che i redditi della classe media sono questi, come voi vedete, sono cresciuti meno dei top incomes. Si vede, no? Questi sono i redditi, vedete? Questi redditi top e questi redditi media. Vedete di nuovo la differenza. Ma quello che è ancora più grave è che i beni pubblici che fanno parte del tenore di vita della classe media nelle nostre democrazie, vedete che sono aumentati come costo di acquisizione, addirittura oltre all'inflazione. Quindi la classe media, perdita di lavoro di classe media, impoverimento relativo della classe media, e allora ci dobbiamo meravigliare che la classe media, grazie anche al fatto che ora ci sono i social media, di nuovo l'impatto che protesti, che si è arrabbiata, il populismo, il malessere. Voi pensate che se andiamo a vedere i dati, il Movimento 5 Stelle 2013, hanno votato per il Movimento 5 Stelle 2013 settori rilevanti di classe media e anche di upper class, proprio perché questo malessere è diffuso, capite? Quindi arriva la conclusione perché piaceva lasciare pochi minuti. La conclusione è questa, save the middle class, e chiudo con questa immagine di questo personaggio che credo conoscete, perché il rapporto tra democrazia e classe media era già stato individuato 2300 anni fa. Grazie. Ci sono i nostri vicini europei che stanno morendo per difendere la libertà, forse è anche una questione di educazione, rinsegnare ai nostri giovani il valore della libertà, i valori per cui siamo disposti a difenderli. Mi sembra che le ricette, se volete appunto dire con una parola qual è la ricetta, la ricetta più importante. Io viaggio terra a terra. Sì. Alcuni anni fa abbiamo fatto un sondaggio in 30 democrazie italiane europee e chiedevamo questo, la libertà interessa ai norvegesi, gli italiani non gli potrebbe interessare di meno, gli spagnoli così così, l'est Europa così così, in questi altri paesi quello che è importante sono i diritti sociali. Quindi bisogna vedere come è la percezione da parte delle persone, poi noi possiamo fargli intellettuali e diciamo quant'è bella la libertà. Detto questo peraltro la libertà nelle evoluzioni tecnologiche di questi anni ha una serie di problemi e di contraddizioni in cui non entro, perché poi ci ho scritto nel mio libro Oxford, quindi non entro, però in termini di dati le cose sono in queste volte, io non ho ricette. 30 secondi per dire due cose, la prima è che conosco questi signori da decine d'anni, per ogni volta che li sento imparare qualcosa il prezio è stato anche per voi, a me è stato molto interessante, loro sono andati sulle cause della crisi della democrazia. Io invece volevo dire una cosa così, più aerea di quella che dice Leonardo, ma secondo me non prima di senso, un collega di un certo prestigio disse che la filosofia è il nostro tempo appreso con il pensiero. Ora, se serve a qualcosa, io non ho mai capito se serve la filosofia, la filosofia piace moltissimo a quelli che non la praticano, quelli che la praticano hanno serie dubbi sul fatto che serve a niente, se non le avessero mogli, parenti, amici glielo ricordano frequentemente, ma se serve a qualcosa è capire un clima culturale. Secondo me non è banale il fatto che dal 1918 al 1945 non si poteva discutere razionalmente dei valori e quindi come diceva Massimilio Gigli non c'era il dialogo e che per una cinquantina d'anni invece si è potuto discutere razionalmente più libertà, meno libertà, più eguaglianza, meno eguaglianza e così di seguito e che adesso tutte le filosofie che sono sul mercato e nelle idee dicono che non si può discutere più di valori. Questa è una spia di questa disaffezione in cui Dalimonte e Mordignano hanno fatto vedere cause molto significative, però secondo me è importante quella mancanza di università di cui parlava Massimo prima, è proprio l'incapacità di discutere su queste cose in maniera pagata e soprattutto sullo sfondo. Guardate qual è il personaggio da questo punto di vista più emblematico, è Trump, Trump non ha demolito gli avversari, ha demolito la discussione politica perché uno che dice 65 fesserie al giorno veramente è dal record del mondo insomma e il problema non è la crisi, è la crisi del senso della discussione e quello secondo me è un pericolo enorme che c'è nel nostro tempo. Perciò io per pura deformazione professionale penso che bisogna molto badare a recuperare questo clima di fiducia nell'altro, di fiducia nel dialogo, di fiducia nella discussione nel fatto che discutere di queste cose non sia inutile come i miei colleghi hanno tra l'altro dimostrato. Io non posso che trovarmi d'accordo con Sebastiano perché credo che la questione che io mi aspetterei per il panorama politico nel quale ci incontriamo giorno dopo giorno è quello di un approfondimento molto maggiore da parte del mondo della politica di queste cause e quindi una capacità di capire quali sono i rimedi che ci sono. Ora questo approfondimento lo si vede poco, tutti parlano di PNRR, lì hanno messo insieme una serie enorme di proposte, di richieste da parte dei territori a caso ma non c'è un disegno, ma il disegno ci può essere, non è che non abbiamo capito cosa sta succedendo, molti lo stanno capendo. Il problema è che questo diventi un vincolo vero per il mondo della politica e che diventi veramente una capacità di prospettiva che danno a tutti noi. In questo momento mi pare ancora molto fluttuante, molto difficile. Su questo stesso parco l'anno scorso ho detto una cosa che mi piace ripetere perché ripetita Yuvan, occorre educazione alla democrazia, l'ho scritto l'anno scorso anche qui, la democrazia come il sesso, non viene insegnato. Non viene insegnato, uno lo impara così per strada con gli amici e no, l'ho detto l'anno scorso e mi spiace ripetere l'anno scorso. Educazione alla democrazia non vuole dire la lettura della Costituzione come vorrebbero i giuristi, ci vuole qualcosa di più. In Germania vengono fatte alcune cattedre di scienza politica, tra il 1949 e la fine degli anni 50 vengono fatte diverse cattedre di scienza politica. L'obiettivo di queste cattedre di scienza politica è creare educazione alla democrazia, quindi c'è un programma massiccio di educazione alla democrazia tra i giovani. Se guardiamo i dati italiani, come io ho fatto ancora per un'altra ricerca, i dati italiani degli anni 40 e 50 in Italia e Francia era largamente preeminente l'opinione fascista e nazista. Questo è la verità, poi facciamo le chiacchierie che volete. Scusate, riprendo la parola per chiudere, perché non vi ho fatto vedere un dato che si afferisce solo agli Stati Uniti, perché questa presentazione è una presentazione che ho fatto per un pubblico americano, che però secondo me si possono trovare i dati anche per gli altri paesi occidentali, un dato che si ricolleva al problema della disuguaglianza. E poi chiudo veramente. Vedete qua cosa è successo in questi anni della rivoluzione tecnologica che ho messo al centro della mia riflessione. Vedete il gap tra produttività e il salario del lavoratore tipico. Questo è avvenuto in America, ma è avvenuto anche da noi in Italia, che la crescita della produttività legata alla rivoluzione tecnologica di cui stiamo parlando è andata a beneficio dei pochi, vi ho già fatto vedere altri dati, non a beneficio dei lavoratori. E allora di nuovo ci meravigliamo che i lavoratori protestino? Mi ringrazio. Grazie, allora agire sulle cause con politiche che riducano la disegualianza, puntellare il ceto medio, possono essere politiche economiche e sociali dei nostri governi, ma secondo me appunto questo spunto che diceva insegnare la democrazia oggi ai nostri giovani forse può essere preso sul serio, come ci dice Anne Aperbom, con la quale vorrei chiudere, prendere sul serio le nostre democrazie, farne oggetto di dibattito, insegnarli, migliorarle. E dice forse non esiste un ordine mondiale naturale, ma ci sono società liberali, paesi aperti e liberi, che offrono alle persone maggiori possibilità di vivere vite piene e utili rispetto alle dittature. Non sono certo perfetti, ma questo è un motivo in più per difenderli e proteggerli. Non ce ne sono stati molti nella storia umana, ne sono esistiti diversi per un certo periodo e poi sono crollati, possono essere distrutti dall'esterno ma anche dall'interno, dalle divisioni e dei demagoghi. Se i giovani, le giovani generazioni si rendono conto quanto è fragile la democrazia anche nella storia e che quindi va coltivata è anche un'operazione culturale, forse oggi si può cominciare a fare perché abbiamo le truppe a 900 km da qui forse. Grazie a tutti, arrivederci. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Grazie a tutti, arrivederci.
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