Una politica industriale per l’autonomia strategica dell’Europa
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Una politica industriale per l’autonomia strategica dell’Europa
La necessità di una politica industriale assertiva per contrastare la sfida cinese e la reazione americana, punta su investimenti in settori chiave come la microelettronica e le tecnologie green. Viene qui sottolineata l'importanza della sicurezza energetica e della diversificazione delle filiere produttive, con un focus sul settore automobilistico italiano e la necessità di una maggiore integrazione europea, anche attraverso strumenti di debito comune.
e non è un po' più. Buon pomeriggio, buon pomeriggio, ben trovati, ben trovato al ministro Adolfo Urso, come avete visto dal titolo di questa conversazione parleremo della politica industriale per l'autonomia strategica dell'Europa. E' un tema quantomai di attualità, ministro, soprattutto se pensiamo che dopo due anni abbondanti di guerra nel cuore dell'Europa, guerra a cui non eravamo più abituati, abbiamo cominciato a mettere in campo tutta una serie anche di salvaguarda economica e proprio per far fronte ai rischi che ne possono derivare. La prima domanda è proprio questa, ministro, qual è la sua percezione della sicurezza economico-industriale oggi dell'Europa e che cosa state facendo concretamente per aumentarla questa sicurezza, che è diventata anche un po' il cuore del dibattito in questo periodo su quello che sta succedendo in Europa, anche in vista delle prossime europee? Noi siamo pienamente consapevoli quando dicono noi, diciamo, il governo italiano è pienamente consapevole e lo ha dimostrato sin dall'inizio di questa legislatura che è cambiata un'epoca. E che rispetto a quello che era stato realizzato nel Green Deal, cioè prima della pandemia, prima della guerra della Russia-Ucraina, prima dei conflitti che si pulano, che crescono attorno all'Europa, quel tipo di mondo non c'è più. E che se nella scorsa, in questa legislatura che si sta concludendo, in legislatura europea, segnata da un'ideologia di un ambientalismo quasi considerata la luce di una religione, nella prossima legislatura europea, quella che si apre, con il nuovo Parlamento europeo, con la nuova Commissione europea, il nuovo paradigma deve necessariamente essere la sicurezza economica dell'Europa. La sicurezza economica nel campo delle filiere produttive, la sicurezza economica nel campo dell'approvvigionamento delle materie che ci servono, delle materie prime, non soltanto l'energia. La sicurezza economica rispetto alla duplice contemporanea sfida della Cina e quindi alla risposta degli Stati Uniti. Per questo l'Europa non può che realizzare finalmente, e noi l'abbiamo detto già all'inizio della legislatura italiana, l'abbiamo detto in Italia in Parlamento, l'abbiamo detto in Europa nei Consigli europei, non può che realizzare un'autonomia strategica che si basi sostanzialmente su una politica industriale assertiva, così come stanno facendo gli Stati Uniti, che investa le risorse europee sull'impresa e il lavoro europeo per istituirgli competitività, una politica industriale assertiva che si regga su una politica finanziaria con risorse comuni significativi sul modello del PNRR, a sostegno dell'impresa e del lavoro europeo e su una politica commerciale che come fanno gli Stati Uniti, tuteli il mercato interno dalla sovrabbondanza, dalla sovrapproduzione, dalla strategia egemonica della Cina. Io per questo credo e sono convinto che la prossima legislatura europea avrà come suo paradigma fondamentale la sicurezza economica del nostro continente. Ministro, le chiedo proprio a proposito di questo cambio di paradigma che io ho citato come fattore principale scatenante dell'insicurezza, sicuramente quello che sta accadendo con il conflitto tra Russa e Ucraina, l'invasione dell'Ucraina da parte della Russa, però le voglio chiedere anche quanto ha pesa in questo pensiero di sicurezza o meglio di insicurezza economica europea, quanto è accaduto anche durante la pandemia, la mancanza dei presidi chirurgici, la difficoltà di approvigionamento verso l'estero, quanto ha cambiato anche proprio il concetto di delocalizzazione piuttosto che invece di riportare alcune produzioni in Europa? La pandemia è stato il primo shock alla globalizzazione, quando si sono rotte le catene di approvigionamento, è mancato un chip e quindi non è stato possibile realizzare un automotive, è mancato un elemento primario, non è stato possibile realizzare un vaccino o un medicinale. Quel mondo in cui si pensava che fosse senza barriere, senza montagne, senza lake, senza confini è finito. È finito con la pandemia, ed è finito con la guerra della Russa in Ucraina e in generale con il crescere dei conflitti intorno all'Europa, all'est d'Europa e a sud d'Europa. E quindi noi dobbiamo pensare a un mondo deglobalizzato in cui le filiere produttive si realizzino all'interno del nostro continente o comunque all'interno del nostro mondo, siano poste in sicurezza. Ne abbiamo parlato al recente vertice ministeriale dell'industria e delle tecnologie che abbiamo tenuto in duplice sede, Verona e Trento, e in quella sede, e non a caso, per esempio, abbiamo costruito un gruppo di lavoro tra i Paesi del G7, che concluderà i lavori in questo anno di presidenza italiana su come mettere in sicurezza la politica della microelettronica o dei cavi dei semiconduttori, che sono a fondamento, tra l'altro, della minazza cinese a Taiwan e della politica che l'Europa e l'Occidente devono avere in merito dell'autonomia strategica. Dato che questa nuovizione l'abbiamo sin dall'inizio, su questo campo stiamo lavorando in maniera intensa. Io penso che quest'anno saremmo in condizione di annunciare 10 miliardi di investimenti nella microelettronica in Italia, facendo dell'Italia uno dei Paesi più attrattivi e produttivi nel campo della microelettronica che è a fondamento dell'economia digitale. Lo stesso stiamo facendo nel campo della tecnologia green, sia per sviluppare in Italia il più grande stabilimento fotovoltaico da Europa, sia per incamminarci noi per primi per quanto riguarda l'industria dell'eolico. Quindi i temi green resteranno al centro anche di questa Europa, anche quello che sta descrivendo lei in termini di capacità produttiva che stiamo aumentando nel nostro Paese, diventando i produttori principali di panelli fotovoltaici significa che comunque rimane prioritaria? Assolutamente sì, la sostenibilità ambientale rimane prioritaria, ma deve essere co-unigata oggi più con mai con la sostenibilità economica e con la sostenibilità sociale, altrimenti salta tutto. Sostenibilità ambientale e co-unigare la coscienza economica significa produrre in Europa la tecnologia di green e la tecnologia digitale. E questo ci consente di avere una sostenibilità sociale. Noi dobbiamo passare da una logica di un'Europa dei consumatori, per cui noi sviluppiamo i consumi, per esempio nella tecnologia green, i panelli fotovoltaici, per comprare i prodotti realizzati in Cina. E per questo, e avendo una chiara visione strategica, che prima ancora di fare il Piano Transizione 5.0, che ormai si sta declinando, noi abbiamo inserito nel decreto energia una norma che ha conferito all'Enea il compito di stabilire un criterio di qualità sui pannelli fotovoltaici e di conseguenza gli incentivi che saranno dati, e sono miliardari, nel Piano Transizione 5.0 per l'efficientamento energetico dell'impresa saranno modulati per far crescere la tecnologia e l'impresa italiana. Essendo quella che in questo momento ha la tecnologia sui pannelli fotovoltaici più performante, ancorché più costosa di quella cinese. Il problema che mi sono posto dall'inizio, se mettiamo 13 miliardi di euro su Transizione 5.0, 6,4 miliardi sull'innovazione digitale e 6,6 miliardi sull'innovazione con l'efficientamento energetico attraverso la tecnologia green delle nostre imprese, io non posso finanziare l'acquisizione di pannelli solari cinesi. Per questo gli incentivi saranno diretti sulla categoria più alta performance energetica che poi quella realizzata da Trisanna Catani. E così costruiremo lo stabilimento più importante, più significativo di tecnologia fotovoltaico d'Europa. Quindi certamente transizione energetica, ma con la tecnologia e l'impresa europea. Questo vale nella microelettronica, l'economia digitale, e vale nella tecnologia green. E l'Italia si cambia ad essere il paese performante, o tra i più performanti, per lo sviluppo dell'impresa a tecnologia digitale e tecnologia green. E semplifico ancora di più, Transizione 5.0 servirà alle imprese per innovarsi sul piano del digitale, sul piano dell'efficientamento energetico e della tecnologia green, ed essere più competitive. Nel contempo abbiamo messo 3 miliardi e mezzo sui contratti di sviluppo per realizzare le imprese che fanno questo. 2 miliardi e mezzo di questi 3 miliardi e mezzo sono proprio sulle imprese Net Zero, sull'industria per la tecnologia green. Per questo e nel contempo con la manovra economica abbiamo aumentato 2 miliardi il fondo sulla microelettronica, oggi sono 4 miliardi 750 milioni. E' già partito lo sportello per 3 miliardi e 200 milioni, lo sportello presso in Italia per le imprese che vogliono utilizzare un mix di incentivi per produrre il campo della microelettronica. E abbiamo aumentato di un miliardo i fondi per l'IPCE, i grandi progetti europei su cui le imprese italiane possono incidere per costruire per esempio le batterie elettriche. Cioè le risorse che abbiamo le abbiamo messo da una parte per sviluppare la domanda ai fini del miglioramento delle capacità competitive e produttive delle nostre imprese con l'utilizzo delle nuove tecnologie digitali green e dall'altra parte nel campo dell'offerta per realizzare parallelamento nel nostro Paese i prodotti che serviranno per la tecnologia green per la tecnologia digitali. E' concluso, dato che la tecnologia green e la tecnologia digitali si basse sulle materie prime critiche, noi abbiamo voluto insieme agli altri partiti europei realizzare un regolamento sfidante, altamente sfidante sulle materie prime critiche, sul litio, il cobalto, il manganese, su tutto quello che serve a fare la batteria elettrica, tutto quello che serve a fare il pannello fotovoltaico, l'impianto eolico piuttosto che i cipi e i semiconduttori. Il regolamento è attivo da qualche giorno, il primo bando è partito qualche ora fa, per estrare i minerali che ci servono dal nostro sottosuolo, per lavorare questi minerali e queste terrarie nel continente europeo e poi anche per riciclarle. E proprio per questo, in sintonia con il regolamento europeo che è andato in vigore da qualche ora, che ci pone degli obiettivi altissimi di produzione da qui al 2030, il 10% dei consumi necessari per quanto riguarda l'estrazione, che però saranno 5 volti di più rispetto a quelli di oggi, il 40% delle lavorazioni in Europa, che però sarà 5 volti di più di quella di oggi, e il 25% nel campo del riciclo. Proprio per raggiungere questi obiettivi, tra poche settimane presenteremo in Consiglio di Ministri insieme al mio amico Gilberto Piguetto un provvedimento per consentire l'estrazione delle materie prime nel nostro Paese, la lavorazione delle materie prime critiche nel nostro Paese. E ai fini di fare che cosa? Raggiungere l'autonomia strategica e non dipendere dalla Cina, dalle sue materie prime critiche e dalla sua tecnologia nella nostra transizione verso una maggiore sostenibilità ambientale. L'interrompo solo per chiederle, proprio in materia di Cina, ricordiamo tutti che lo scenario che lei ha dipinto e che è uno scenario che nelle sue parole sta mutando profondamente, sta cambiando, non è più lo stesso, parte da l'inizio del millennio. Ci ricordiamo tutti quando venne fatta entrare la Cina nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, lo si fece forse, a meno io all'epoca ero convinta con troppa leggerezza, perché poi i risultati sono stati una del localizzazione profonda, una pezzata di posti di lavoro, diventò la fabbrica del mondo, la Cina, oggi complici i conflitti, il Covid o altro, questo atteggiamento sta mutando profondamente. E' uno dei terreni più caldi, è proprio quello dei dazi nei conflitti della Cina. Abbiamo visto una presunta guerra commerciale iniziare già all'epoca della Presidenza Trump, ma che poi Biden ha continuato imponendo recentemente il 100% dei dazi sulle auto elettriche prodotte in Cina, proprio perché vengono prodotte non rispettando gli standard anche ambientali a cui sono invece obbligati a sottostare i produttori americani. Ecco su questo mi sembra che è un po' un tema del G7 fondamentale, anche quello dei dazi e della posizione nei confronti della Cina, però io le chiedo qual è la nostra diposizione, perché Biden con questo dazi ha superato l'Europa a destra e forse senza neanche concertarlo troppo, almeno da quello che si capisce dai commenti anche off the record di questa manovra americana. Ecco io le chiedo, l'Europa che cosa farà in risposta a questo? Aumenteremo i dazi che oggi mi pare siano al 25% proprio sulle auto elettriche prodotte in Cina? Vi è un'accelerazione straordinaria nella risposta americana alla sfida cinese e l'esemplifico in questa. Qualche settimana fa nell'intervenire dal Parlamento europeo il presidente Draghi illustrando quello che saranno le direttrici del documento sulla competitività che ora presenterà ufficiale della Cina. Il presidente Trump, naturalmente, fece questo esempio per capire la retratezza dell'Europa. Disse come fa l'industria europea dell'auto a resistere se i dazi all'ingresso per le auto elettriche cinesi in Europa sono pari al 10%. Le Regole dei Stati Uniti sono pari al 27.5% e il presidente Trump, dove fossero eletto, ha già annunciato che li porterebbe al 67%. Questo era la percezione di Draghi un mese fa al Parlamento europeo che avvertiva. Nel frattempo Biden li ha portati al 102.5%. Il che vuol dire? Che la sovrapproduzione cinese, come già accaduto con i pannelli solari, accadrà con le auto non potendo più dirigersi verso il mercato americano, invaderà il mercato europeo, spazzando via ogni concorrente. Per evitare questo dovremmo fare quello che, se permettete, nella mia prima audizione in Parlamento 18 mesi fa, dissi alle Camere riunite presentando alle dichiarazioni programmatiche il programma del mio Dicastero all'interno del più vasto programma del Governo. Alle Commissioni riunite 18 mesi fa disse che per rispondere alla sfida cinese, noi avremmo dovuto fare quello che già gli Stati Uniti stavano facendo, che ora hanno incrementato con una sarnia significativa politica e industriale che finanzia attraverso risorse comuni europee, al fine di evitare l'ampliarse del divario internazionale. Per evitare l'ampliarse del divario internazionale, l'impresa europea, gli Stati Uniti nel frattempo hanno destinato all'impresa americana o all'impresa che investono in America, 3 miliardi di dollari, 3 mila miliardi di dollari. Ebbene, quanto stanno facendo gli Stati Uniti? E' con una politica commerciale, quindi daziaria, di tutela del mercato della produzione interna. Sta dicendo che servono dazi più pesanti, importanti anche da parte dell'Unione Europea nei confronti della Cina? Ma è inevitabile, dovrà farlo anche pur in fretta, altrimenti l'impresa europea sarà spazzata via. È inevitabile che ciò accada. E ne abbiamo già parlato, per quanto ci riguarda per esempio nell'ultimo trilaterale che abbiamo svolto insieme alla Michole Meier e al Vice-Cancellere de Squabeck, che si è svolto a Parigi proprio sulla competitività. Perché, sia chiaro a tutti, col governo Melone è cambiata la musica in Europa, perché l'Italia è finalmente protagonista. Lo dico per quanto riguarda le mie politiche, ma si può guardare su ogni assetto. Mentre prima decidevano insieme Francia e Germania, per quanto riguarda poi l'industriale, nel giugno dello scorso anno abbiamo insediato un nuovo format trilaterale tale Italia, Francia, Germania, insediato la prima volta a Berlino e ha esaminato a Berlino la questione delle materie prime critiche, allineando le nostre tre politiche industriali e indirizzando la Commissione Europea al regolamento che poi nel frattempo ha fatto. Si siamo uniti una seconda volta a Roma sull'intelligenza artificiale, a ottobre dello scorso anno abbiamo allignato le nostre politiche sull'intelligenza artificiale, abbiamo indirizzato la Commissione Europea nel regolamento che è stato pubblicato un mese fa. Siamo uniti la terza volta a Parigi sulla competitività e abbiamo già cominciato a lavorare per indirizzare la prossima Commissione Europea su quello che deve essere una politica industriale assertiva, su risorse finanziarie comuni e su una politica che tuteli dalla concorrenza saleale le imprese europee nella strada e sulla strada di quello che stanno già facendo gli Stati Uniti per rispondere alla sfida titanica cinese. E la quarta trilaterale, su richiesta di Abbeck, vicecancelliere che voi sapete sarà anche il leader del Parlamento dei Green, in Germania si svolgerà Berlino su un tema che lui ci ha proposto e noi abbiamo condiviso che è l'industria della difesa. Perché tutta l'autonomia strategica si fonda innanzitutto anche sulla capacità di sviluppare nel nostro continente un'adeguata industria della difesa. E poi, ovviamente, nel tutelare gli asset strategici fondamentali. Per questo e non a caso, sin dall'inizio della legislatura abbiamo ripreso in mano il dossier della siderurgia italiana. Ministro, le faccio solo una domanda sul tema che ha toccato dell'industria della difesa che va potenziata. Questo significa che c'è, non nell'immediato, ma soprattutto se dovesse essere eletto nuovamente Trump, la volontà del governo di avvicinarsi a quel famoso 2% di spese militari che sarebbe chiesto a ogni membro della NATO, mentre l'Italia è ben lontana oggi? Non è un solo questione di numeri, è un solo questione di politica. Io quando ero presidente del COPAS ho fatto una relazione al Parlamento, abbiamo fatto, e sono in Parlamento proprio sull'industria della difesa. Con una certa visione strategica. E la prima cosa che emerge è il bisogno di realizzare una politica industriale comune sulla difesa, perché in Europa ci sono 180 differenti sistemi d'arma, negli Stati Uniti 30. Significa che si fanno troppi modelli diversi delle stesse armi e quindi non riusciamo a sviluppare un'economia di scala. Sarebbe sufficiente mettersi d'accordo su quali modelli realizzare nelle nostre industrie, per le nostre eserciti, nei sistemi d'arma, aerei, sommergibili, elicotteri e quant'altro ancora, per aumentare le nostre capacità produttive, con gli stessi risorse investite. Quindi la prima cosa che serve, ma serve per ogni campo e certamente anche per quanto riguarda la difesa, è una sana significativa politica industriale comune in Europa. Facendo nascere o facendo affermare dei campioni europei capaci di avere una risorse da investire in tecnologia e in competitività e un'economia di scale adeguata alla sfida che abbiamo davanti. Una domanda riguardo allo scenario per poter fare così tante cose insieme, e l'abbiamo visto anche negli ultimi anni, a partire proprio dalla lotta contro la pandemia, all'arrivo dei vaccini, tutto quello che è stato fatto è stato fatto anche grazie, in particolare anche sui temi ambientali, a una forma di debito comune, un'emissione di debito comune. Cosa che fino a pochi anni fa in Europa era un tabù. Pensiamo anche solo alla crisi dei debiti sovrani nel 2011, in realtà ci si guarda bene da creare degli strumenti che siano invece di debito comune, che quindi possano beneficiare anche di valutazioni tipo AAA e quindi pagare pochi interessi. Diversi invece per i paesi come noi che avendo un alto debito ovviamente sono più sottoposte alle fluttuazioni dei mercati. Io le chiedo, per fare tutto questo in Europa porterete anche un'idea di aumento del debito comune, di emissioni di debito comune, passa per questo? Noi abbiamo parlato dall'inizio di legislatura, abbiamo indicato la strada per esempio di un fondo sovrano europeo. Ma cosa ne pensano i partini europei? Le strade possono essere diverse, ci sono proposte di diversa natura. C'è chi propone come noi un fondo sovrano europeo, c'è chi come noi parla di un bond europeo o di bond europei, per esempio un bond europeo per quanto riguarda l'industria della difesa, ma non soltanto l'industria della difesa, l'industria in quanto tale. C'è chi come credo lei che si premi a letta nel suo rapporto sul mercato interno propone che gli stati che utilizzano gli aiuti di stato destino una parte di questo risorzo in un fondo comune che serve a compensare le iniziative di coloro che non possono permettersi di indebitarsi perché hanno già un alto debito. Le proposte sono diverse, quello che è certo è che occorre farlo, quello che è certo è che occorre realizzare degli strumenti comuni, risorse comuni per finanziare l'autonomia strategica industriale dell'Europa. Quindi un'Europa sempre più unita, la interrompo sopra capire perché ricordiamoci quando si fa debito insieme è forse il legame più stretto che si può avere nella vita. Le cose fondamentali che servono e mi richiamo ai padri fondatori dell'Europa. I padri fondatori dell'Europa, Adenauer, Schumann e de Gaspery, ritenevano che fosse inevitabile che fosse fondamentale fondare l'Europa, come voi sapete, sulla CED, la comunità europea di difesa. I cui trattati poi furono bocciati in Francia perché allora loro pensavano che l'Europa si dovesse fondare sulla comune difesa e sulle basi energetiche, difesa e energia. Infatti i pilastri erano due, la CED, comunità europea di difesa, e la CECA, comunità europea del carbone dell'acciaio. E' chiaro? I pilastri di una casa devono essere solidi, devono gandire le libertà e quindi la difesa, il territorio, i confini e devono garantire la produzione, quindi l'energia. Poi invece il Parlamento francese respinse il trattato del CED inopinatamente e ripiegammo successivamente, anni dopo, tra l'altro con intuizione italiana, ma ripiegammo sulla comunità economica commerciale, con i trattati di Roma. Ora bisogna tornare alla visione dei padri fondatori. L'autonomia nel campo della difesa, ovviamente all'interno dell'Alleanza Atlantica, e l'autonomia nel campo energetico, ovviamente con tutte le fonti energetiche sostenibili, quindi certamente anche e non solo l'energia nucleare. Su questo dossier a che punto siamo in Italia? Siamo avanti per quanto riguarda la tecnologia e le imprese, perché le nostre imprese fortunatamente non si sono fermate, e siamo avanti per quanto riguarda la tecnologia nucleare, di terza generazione avanzata, di quarta generazione, e per la fusione. Proprio l'Italia. E siamo avanti nel campo delle imprese, perché abbiamo un ecosisteme molto importante e significativo che ha lavorato in questi anni all'estero. C'è bisogno di una scelta politica consapevole, duratura nel tempo, che questo governo è in condizioni di fare, ovviamente noi auspicabilmente lo vorremmo fare insieme all'attuale opposizione, perché una visione energetica deve essere strategicamente condivisa. Come in Francia, o come negli Stati Uniti, o come in Gran Bretagna, non può cambiare al cambio dei governi. Ma questo è certo, noi dobbiamo garantire l'autonomia energetica e anche sulle materie prime critiche al nostro continente, perché è fondamento del nostro sviluppo e delle nostre imprese, ma anche delle nostre libertà, come ha dimostrato l'invasione della Russia in Ucraina. Ministro Urso, uno dei temi fondamentali quando si parla di politica industriale del nostro Paese riguarda senz'altro il settore dell'automotive. Abbiamo seguito quello che è stato un tavolo aperto da lei con Stellantis, e giusto per fare un riassunto in modo molto semplice, lo faccio adesso, insomma in Italia, ogni anno vengono immatricolate, quindi vendute immatricolate, oltre un milione e mezzo di veicoli. In realtà poi noi all'interno, nei confini nazionali, ne produciamo 700 mila. Il suo intento è stato quello di chiedere a Tavares e a Elkan di aumentare questa produzione in Italia, anche perché non ci dimentichiamo che seppur con tutte le riduzioni che ci sono state, oggi Stellantis ha ancora oltre 42 mila dipendenti nel territorio italiano, quindi stiamo parlando di una realtà fondamentale soprattutto perché la concentrazione poi di queste fabbriche è al sud oggi. Purtroppo il dato è un po' più grande di quello. Noi in Italia siamo stati un grande produttore di auto, possiamo dirlo che è nato in Italia, comunque è uno dei Paesi in cui si è affermata, ma oggi siamo l'unico Paese produttore in Europa con unica cassa automobilistica, erore fasto 30 anni fa. Negli altri Paesi, come noi produttori di auto, vi sono da 4 a 7 case automobilistiche. In Francia, Germania, Slovacchia, Ungaria, Polonia, Spagna, da 4 a 7 stanno creando le condizioni anche per aumentarne il numero attraverso gli investimenti delle case automobilistiche cinesi. In questo guardiamo la Cina, allora? Bene. E noi siamo l'unico Paese ad avere un divario così ampio tra auto prodotte e auto immatricolate. Si producono auto, 450 mila, 470 mila auto l'anno negli ultimi tempi, con un declino produttivo molto evidente. La media degli ucchiani è un po' alta. E poi con i veicoli commerciali si arriva il dato, però parliamo di auto. Quindi siamo il Paese con unica cassa automobilistica, me e degli altri ne hanno da 4 in su, e col più ampio divario tra auto prodotte e auto immatricolate. Negli altri Paesi, pensiamo alla Germania, alla Spagna, alla Polonia, alla Slovacchia, all'Ungheria, non solo producono più di quanto immatricolano, ma esportano pure. Chiaro? Esportiamo anche noi, perché di quelle 450 mila esportiamo parte significativa, il che vuol dire, lo traduco così, che l'80% delle auto immatricolate in Italia non sono fatte in Italia. Chiaro? Quindi c'è un mercato interno molto ampio. Nel contempo abbiamo una filiera dell'indotto, della comprendistica che è il leader in Europa, ha performance straordinarie e infatti rifornisce anche di componenti l'industria tedesca e talvolta anche quella francese. Quindi abbiamo un ecosistema predisposto all'automotive con una filiera estremamente performante che ci invidia nel mondo. Come colmare questo gap e come sostenere la filiera dell'automotive italiana? Primo, rafforzando la produzione di Stellantis. Per questo ci siamo confrontati con l'unica casa automobilista in un tavolo specifico insediato di comuni intesa, ovviamente, con la partecipazione dei sindacati, di regioni e dell'associazione che rappresenta l'indotto dell'ANFIA. E avete chiesto un aumento di produzione fino a un milione, questo è quello che è uscito da fonti anche di Stata? Nel mio primo incontro con Tavares, ne ho avuti tre con lui, perché ci confrontiamo, nel primo incontro con Tavares, in giugno dell'anno scorso, quando uscì dall'incontro, lui dichiarò, condivido l'obiettivo che il governo c'ha posto di raggiungere un milione di veicoli. In questo caso auto e veicoli commerciali insieme, di aumentare fino a un milione di veicoli. E di lì abbiamo iniziato il tavolo con questo obiettivo. Io credo che il tavolo si concluderà tra qualche giorno, mi auguro, siamo ormai alle ultime fasi, con questo obiettivo concretizzato, con l'aggiuncio di nuovi modelli da realizzarsi a Mirafiore, a Melfi, a Pomigliano, a Cassino, per rendere evidente a tutti come raggiungeremo in un breve lasso di tempo una produzione stellantes in Italia di un milione di veicoli. Ma non basta accolmare il divario interno e riaffermare e rilanciare l'industria dell'indotto, tanto più che questo è un processo che poi porta sempre più verso elettrico, ma non esclusivamente verso elettrico, perché noi stiamo cambiando i dossi europei, per esempio abbiamo radicalmente cambiato l'euro 7 e parzialmente cambiato i veicoli leggeri, perché noi vogliamo far sopravvivere il motore endotermico che è fondamentale per l'industria dell'automotive italiana, oltre il 2030, alimentato a combustibili sostenibili, combustibili sintetico ma anche biocombustibili, si può fare, si deve fare, noi lo faremo. Per quindi raggiungiamo costellante, sì io sono convinto che riusciremo a raggiungere, l'obiettivo di un milione di veicoli, che significa aumento di produzione, nuovi modelli, non soltanto nuovi modelli elettrici, anche nuovi modelli ibridi nel nostro Paese, nel più breve tempo possibile. E nel contempo aggiungiamo altro, quindi altre case automobilistiche, che possono fornire una pluralità di modelli, tali da rispondere alle esigenze ampie e significative del mercato interno e anche alle aspettative del mercato internazionale che vuole l'auto italiana, come simbolo di eccellenza e di qualità, come negli altri produttivi. Per questo abbiamo creato le condizioni per chi ha alti si insedi nel nostro Paese e realizzano i loro prodotti con la componentistica italiana e realizzando in Italia la parte intelligente dell'auto del futuro, cioè la parte sensibile, perché la parte sensibile deve essere realizzata nel nostro Paese. E chiunque venga a produrre il nostro Paese non deve assemblare meramente, ma deve produrre in Italia con componenti italiani. E io sono convinto che nei prossimi mesi saremo in condizioni di associare al rilancio della produzione di Stellandes nel nostro Paese anche una produzione di un'altra casa automobilistica che completi l'offerta interna e in qualche misura anche l'offerta internazionale. Per fare questo obiettivo dobbiamo creare le condizioni. E quali sono le condizioni? Le condizioni sono che per esempio in Italia si torni a produrre l'acciaio che serve alle automotive. Di conseguenza stiamo sviluppando un piano siderurgico, ci siamo confrontati con tutti gli stakeholder, i grandi clienti italiani e anche internazionali, per dimostrare loro come riusciremo a ripristinare un livello produttivo soddisfacente per i consumi interni. Perché oggi la produzione siderurgica nazionale soddista appena il 20% dei consumi interni. E coi forni elettrici non si fa quell'acciaio che serve alla carrozzeria delle auto. Quindi bisogna cambiare anche, e cambieremo anche, le modalità le tempistiche della transizione energetica nella siderurgia europea. La siderurgia o l'acciaio è una parte della componente. La parte sempre più prevalente sono la parte che riguarda la microelettronica. E per questo siamo incentivando con successo gli investimenti anche stranieri nel nostro Paese nella microelettronica. Io credo che entro quest'anno saremmo in condizioni di annunciare almeno 10 miliardi di euro di investimenti sulla microelettronica in Italia. Già ne abbiamo annunciati per pari a 3,7 miliardi di euro, 3,2 miliardi di silicon box, 420 milioni della Commissione Europea sulla linea pilota a Catania. Ministro, si faccia interrompere un attimo perché altrimenti stiamo già finendo il tempo e ci sono ancora delle cose che le voglio chiedere. Prima di tutto lei ha in qualche modo avuto uno scontro con Stellantis, perché ricordiamo che il governo è intervenuto di fronte all'importazione delle topolinoelettriche fatte all'estero ma con la bandierina incollata sopra. Ho ancora progetti di automobili che venivano fatti altrove ma si chiamavano o Milano o Modena. C'è stato un intervento per rispettare una legge che mi ricordo che l'aveva proprio voluta lei, più di 20 anni fa, quella dell'Italian Sounding per proteggere il Made in Italy. Io le chiedo, questa battaglia con Stellantis era sempre propedeutica a riuscire ad arrivare? A che punto siete con la trattativa incongruente? Noi abbiamo una chiara visione strategica che risponde anche alle peculiarità della natura del nostro Paese. Io ero nel vertice di Doha nel Qatar nel 2001 quando fu deciso l'ingresso della Cina nel WTO. A poche settimane dall'attentato terroristico che aveva distrutto le Torri Gemelle. 11 settembre, il vertice fu ai primi di novembre. Quindi in un clima in cui la minaccia terroristica ha colpito le Torri Gemelle, si decise di coinvolgere la Cina nell'economia mondiale e l'anno dopo Berlusconi cercò di coinvolgere a Pratidichia Mare la Russia nella sicurezza mondiale. Dobbiamo tornare con la menta a quel periodo. Bene, in quel vertice i ministri dell'Europa, parlo del 2001, io ero il titolare del commercio colestero, degli altri paesi europei mi disse ma con l'ingresso della Cina ormai inutile produrre in Europa, produciamo tutti in Cina, che sarà l'industria del futuro. Noi no, noi italiani non abbiamo creduto a questa vulgata. Noi abbiamo continuato a produrre prodotti alimentari, prodotti dell'abbigliamento, tessi, le calzature, occhialeria, prodotti dell'areto in Italia. Smentento già allora quella vulgata secondo cui l'Europa dovrà rinunciare a produrre e che la fabbrica del mondo dovrà diventare la Cina. E proprio per questo noi da anomalia, da paesi di piccole e medie imprese che si interstardiva a produrre nelle valli, nelle montagne, nei sudi stretti le prodotti che servivano alle persone quanto altri avrebbero potuto realizzare in altri continenti a più basso costo per poi venderli qui noi oggi siamo diventati un modello nell'epoca della deglobalizzazione quando bisogna tornare a produrre in casa ed assicurare le filiere strategiche. Per questo l'Italia è cresciuta in esportazioni e più di qualunque altro paese del G7 lo scorso anno abbiamo superato la Corea del Sud come quarto paese esportatore e potremmo superare il Giappone se riprendessimo a produrre auto che è l'unico sottorio di svantaggio rispetto al Giappone. Per questo l'Italia è cresciuta in questi anni e in questi mesi in maniera emblematica come ha certificato la Commissione Europea e il Fondo Modena Internazionale e crescerà quest'anno più di quanto cresceranno Germania e Francia per la prima volta con un tasso di inflazione che è inferiore di gran lunga a quella di Francia, Germania e della media europea perché quello che era una anomalia è diventato un modello nell'epoca della deglobalizzazione perché noi non abbiamo rinunciato a fare le cose che servono alle persone. Ministero, però su questo velocissimo perché abbiamo poco tempo voglio farle ancora un paio di domande, soprattutto su un tema che è fondamentale anzi l'interrompo subito. In questo, e sa perché è la guerra minima e vincente, è l'identità da preservare e conugarla con l'innovazione. L'identità e l'innovazione sono i binari su cui passa velocemente il treno del Made in Italy. L'identità e la riconoscibilità del prodotto, delle sue peculiarità storiche. Questo vale e valso per i prodotti alimentari, le indicazioni geografiche, gli IGP, noi siamo i primi al mondo grazie a questo, varrà anche con regolamento che abbiamo chiesto e ottenuto dall'Europa per i prodotti industriali e artigianali perché ora si può registrare, abbiamo creato un meccanismo al Ministero per facilitare le associazioni del territorio a farlo, anche i prodotti industriali e artigianali come il prosciutto di parma, il vetro di murano o la ceramica di vietri. Vale la stessa cosa. Per questo abbiamo chiesto a Tellantes di rispettare una legge creata da noi nel 2003, nella consapevolezza che la sfida della globalizzazione si vinceva, noi già allora eravamo consapevoli sull'identità e sulla tutela dell'identità dei territori. E abbiamo creato nel 2003 una legge che vieta l'indicazione fallaci, cioè l'indicazione che induce in errore il consumatore, ma non vale solo per l'Italia, perché vale per tutti i 53 paesi che hanno sottoscritto l'accordo di Madrid sull'indicazione fallaci e ne riconosce la produzione, si avvantaggia la produzione nazionale. Si faccia fare un'altra domanda che riguarda la sicurezza energetica, gliela voglio fare perché in questo processo di deglobalizzazione, nel riportare le imprese dentro i confini nazionali bisogna anche avere l'energia per poter produrre. Non ci dimentichiamo che gli Stati Uniti negli ultimi 10-15 anni hanno potuto riportare le fabbriche negli Stati Uniti grazie anche allo Shell Gas, a modalità diverse di estrazione di gas e petrolio che ne fanno oggi un Paese esportatore, cioè gli Stati Uniti sono tra i primi produttori di gas liquido che viene esportato. Quindi io le chiedo, la sicurezza energetica del nostro Paese, che poi è l'energia di cui hanno bisogno le aziende per accrescere la produzione come diceva finora, come ce la garantiamo? L'Europa è cresciuta negli ultimi 30 anni lungo la direzione continentale, guardando e integrando l'Europa centrale orientale, guardando e commerciando e producendo con l'Europa orientale e con la Cina, secondo un modello che appartiene al passato e non è più riproponibile, il modello secondo il quale l'energia o le materie prime si importavano dalla Russia a basso prezzo e i prodotti venivano realizzati o si vendevano comunque nel mercato cinese. Questo modello è finito. Nei prossimi anni, penso nei prossimi decenni, l'Europa non potendo più crescere ad oriente e con l'oriente, perché non si tratta di una parentesi di pochi mesi nella storia del mondo, ma di una nuova e diversa fase storica che dobbiamo affrontare con pragmatismo, responsabilità. Non potendo più crescere l'Oriente, perché un'altra cortina di ferro è stata alzata fortunatamente qualche centinaia di chilometri più a est di Trieste, dovrà inevitabilmente crescere a sud, con il sud, nel Mediterraneo, con il Mediterraneo, verso l'Africa, con l'Africa e il Grande Medio Oriente. Questo riguarda l'approvvigionamento di gas, noi stiamo diventando l'hub del gas europeo e quindi avendo una funzione strategica. Questo riguarda con la rete elettrica, noi siamo la rete elettrica mediterranea d'Europa. Questo riguarderà le fonti di energie rinnovabili, io sono stato in Libia l'altro giorno e prima ancora in Egitto, anche per questo, perché in questi paesi sono previsti grandi parchi solari e eolici che poi con connessione elettrica verso la Sicilia e verso il nord Adriatico porteranno l'energia rinnovabile prodotta lì a più basso presso, come oggi il gas, attraverso e con l'Italia nel mercato europeo. Questo varrà anche per quanto riguarda la necessità che abbiamo anche noi di realizzare energia nucleare nel nostro Paese, ovviamente di terza generazione avanzata e poi a breve di quarta generazione e quindi in prospettiva nel 2050 per la fusione. E noi lo possiamo fare meglio di altri e per questo il governo che è consapevole della nuova fase storica e che vuole contribuire in maniera decisiva all'autonomia strategica europea per istituire competitività all'Europa alle sue imprese e quindi all'Italia alle sue imprese sa che bisogna partire dall'energia, prima diceva e non a caso, i padri fondatori volevano partire dall'energia e dalla difesa comune su cui costruire, o se volete, un'autonomia su cui ristabilire quella che è la nostra Europa, l'Europa competitiva a livello globale che non si lascia schiacciare, perché rischio di questo abbiamo, dalla duplice tenaglia della sfida sistemica cinese e della reazione americana. Per non farlo, per non farsi schiacciare bisogna che sia subito il nuovo Parlamento, la nuova Commissione Europea, la nuova maggioranza che nascerà in Europa di cui il Partito Conservatorio e Giorgia Meloni saranno parte e protagonista della nuova rotta europea impore una politica industriale assertiva, soretta da una politica finanziaria comune e tutelata da una abitudine commerciale che difendi le imprese e il lavoro europeo anche con barriere d'azziari come stanno facendo gli Stati Uniti. Questo è concludo, poi si potrà realizzare quello che era nel sogno di McCain, perché McCain candidandosi contro Obama, il primo Obama, se vi ricordate in quegli anni, Obama presentò un progetto all'America che era il duopolio con la Cina. McCain, che aveva vissuto e fatto la guerra in Vietnam e quindi conosceva meglio l'Asia, disse che era meglio realizzare un progetto che avrebbe legato insieme in un bacino euro-atlantico i paesi democratici, un'alleanza democratica. Si confrontarono nelle elezioni, vinse Obama, che mandò la Clinton a Pechino subito per realizzare il duopolio e ci provò in quegli anni, e ci provò credo per circa sei anni anche nella seconda parte del suo mandato, fino a quando in Cina fu eletto un altro, che ha deciso di stabilire o ristabilire una potenza cinese nel mondo. E da quel momento anche l'amministrazione democratica di Obama comincia a cambiare a setto, nella seconda parte del secondo mandato. Cosa vi voglio dire? Non è una parentesi dalla storia dovuta ad un incidente alla frontiera ucraina. È una fase della storia dell'uomo in cui l'Occidente deve capire che occorre riunire le forze, che occorre integrare e inglobare altri nel sud del mondo. Non è un caso che Giorgia Meloni, che ha una visione strategica che sta affascinando gli altri partner internazionali, ha proposto di fare il G7 in Puglia allargandolo al sud del mondo. Perché la sfida dell'Occidente, che dobbiamo raccogliere, deve coinvolgere gli altri attori e protagonisti del sud del mondo, l'Africa, l'America Latina, la penisola arabica, l'India, la più grande democrazia del mondo. Convolgere e integrare una politica di sviluppo in questa direttrice di crescita al centro di tutto c'è l'Italia. La penisola, che per cultura, storia, geografia ma certamente anche economia e impresa sa meglio di tutti creare un ponte tra il nord e il sud del mondo, tra l'Europa e l'Africa, che è fondamentale se vogliamo vincere questa sfida competitiva con altri continenti che legittimamente lanciano una sfida per la loro hegemonia. Legittimamente, ma noi altrettanto legittimamente dobbiamo rispondere con una sana significativa politica europea anche sul piano industriale produttivo ed energetico e noi lo dobbiamo spiegare e voi lo dovete spiegare agli italiani, perché questo è fondamentale per le nuove generazioni, per vivere in un mondo progredito di sviluppo e di pace e anche libero. Io ho un'ultima domanda, un'ultima considerazione, le voglio chiedere la sua visione partendo proprio da quello che ha detto, le nuove generazioni, purtroppo le nuove generazioni non sono così numerose, nel senso che lei ha raccontato prima di numeri molto positivi per il nostro Paese, ricordiamo che lei ha ricordato la crescita economica, l'inflazione che è scesa, io aggiungo anche un tasso di occupazione che non è mai stato così alto, però ci sono delle nubi che indubbiamente non sono responsabilità di questo governo nemmeno di quello precedente ma che ci trasciniamo da tempo, una bassissima occupazione femminile che continua a essere bassa ed è il presupposto per invece far crescere il pil di un Paese e il secondo tema è questo inverno terribile demografico che sta peggiorando di anno in anno e ripeto questo inverno demografico è figlio anche di quello degli anni 90 per cui oggi abbiamo anche, contiamo su meno coppie, su meno donne in età ferte che possano avere figli, però è un tema molto forte questo, la sua visione per i prossimi anni qual è su questi argomenti? Il governo in ogni provvedimento, se fate caso, mette qualcosa in più per la natalità, per le famiglie, per le donne che lavorano, in ogni provvedimento c'è qualcosa in più che va in questa direttrice perché siamo fermamente convinti che bisogna tornare a una primavera demografica nel nostro Paese, questo è fondamentale per mantenere questo crescita, questo sviluppo. Nel contempo occorre spandere allargare la base occupazionale alle donne e ai giovani, quello che per la vita sta accadendo, le prima lo citava, abbiamo raggiunto un record di occupazione nel nostro Paese, soltanto nei primi due mesi di quest'anno 250 mila posti di lavoro in più nei primi due mesi di quest'anno, posti di lavoro stabili e contratti a tempo indeterminato, allargando proprio e aumentando l'occupazione femminile e nei nostri giovani, è chiaro che dobbiamo recuperare molto ancora rispetto ad altri Paesi, ma la strada giusta è questa. E per questo mi stupisco che c'è chi sia che ancora in questo Paese, a me hanno criticato perché avevano inserito nel contratto di servizio con la RAI la politica per la natalità e la famiglia, come se fosse un fattore desueto, quando il fattore è fondamentale non solo in termini di valori, ovviamente, ma anche in termini di sviluppo necessariamente, realizzare una politica per la natalità e per la famiglia che dovrebbe coinvolgere tutte le forze politiche di questo Paese e non essere un elemento di divisione. Io penso che siamo sulla strada giusta e lo vedremo anche nelle prossime elezioni europee e lo vedremo anche nelle prossime direzioni della Commissione europea e dell'Istituzione europea. E questo lo facciamo senza nessuna preclusione nei confronti degli altri, lo dico anche nei confronti della Cina perché potrebbe sembrare. Io sto lavorando perché una casa automobilista cinesa è giunta nel nostro Paese, perché hanno tecnologie nel settore dell'elettrico molto avanzate, perché producono nel nostro Paese, con le componenti del nostro Paese e rispettando le regole del nostro Paese e della nostra Europa su tutti gli standard. Perché noi anche nei confronti della Cina dobbiamo sviluppare un'attività economica commerciale e un partner fondamentale, col quale dobbiamo fare i conti meglio a reciproco vantaggio, ma dobbiamo ben sapere chi siamo e che cosa abbiamo davanti a noi. C'è un mondo molto complicato, la guerra della Russia e l'Ocraina, le altre minacce in Africa, i golpe lungo il Sahara, il conflitto nel Medio Oriente. I rischi anche nell'Ibano del Sud dove ci sono i nostri soldati, ricordiamo anche questo. Dobbiamo, cito un Twitter del mio amico Abbeck, leader dei Verdi vicecancelliere di qua un paio di mesi fa, vado a memoria, fece un Twitter di questo tipo. Il mondo che avevamo pensato, che avevamo sognato non c'è. Dobbiamo prendere atto della realtà, non possiamo essere degli ingenui, dobbiamo prepararci. Prepararci significa rimettere in moto la nostra Europa, con le sue imprese, con i suoi lavoratori, per garantire l'autonomia strategica europea, le sue filiere produttive, le filiere di approvvigionamento, aonde evitare che una guerra, un conflitto, una pandemia rendano impossibile l'approvvigionamento dei prodotti che servono al nostro continente, occorra avere una visione strategica di quello che l'Europa può e deve fare insieme. E su queste basi, credo, nascerà la nuova legislatura europea, che dovrà prendere atto della realtà e rispondere in maniera propositiva e costruttiva insieme agli Stati Uniti e ai nostri partner occidentali, coinvolgendo lo scopo del g7 italiano, il sud del mondo in questo processo. Perché con l'oro, per esempio in Africa c'è più alto tasso di natalità, si può crescere di più e meglio, sapendo quello che noi in casa dobbiamo fare, ma anche di quello che possiamo portare nelle case altrui, in maniera consapevole, una logica win-win, che è quello che ci ha insegnato Enrico Mattei, a cui è dedicato e non a caso il piano Africa, il piano Mattei. Grazie, grazie al ministro Adolfo Urso, abbiamo sforato abbondantemente, ma abbiamo toccato tanti temi che richiedevano tempo, grazie a voi e buon proseguimento con il Festival dell'Economia, grazie a tutti. Grazie a tutti. Grazie a tutti. Grazie a tutti.
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