Una politica industriale europea per le tecnologie innovative: più uniti, più innovativi, più competitivi
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Una politica industriale europea per le tecnologie innovative: più uniti, più innovativi, più competitivi
Un dialogo tra Commissione europea, istituzioni italiane e sistema innovativo nazionale. Incontro con Paolo Casalino, direttore generale per la politica industriale Ministero delle imprese e del made in Italy, e Marco Taisch, Presidente MICS – Made in Italy Circolare e Sostenibile, Giampaolo Manzella, senior advisor Gruppo BEI. Modera Filomena Greco, giornalista Il Sole 24 Ore.
Buongiorno a tutti, un benvenuto. Siamo sempre molto contenti di fare questi eventi con i ragazzi, con i giovani, che danno sempre uno spirito bello e vivace ai nostri incontri. Questo è uno spazio in cui parleremo non solo di attualità, ma di futuro. In questa ottica proveremo a raccontare dove sta andando l'Europa in termini di sviluppo industriale, di innovazione tecnologica e quali strumenti sta utilizzando per accelerare il suo sviluppo. Per preparare questo panel oggi, per scherzo un po' sul serio devo dirvi, confrontandoci con i protagonisti, con le persone che hanno lavorato questa giornata, abbiamo un po' raccontato del fatto che l'Europa è il luogo in questo momento delle utopie. Usando con questo termine un'accezione assolutamente alta, un'utopia come un modello di organizzazione nuovo che è capace di guardare al futuro. Perché in Europa, che in qualche maniera si cerca di tenere insieme questa aspirazione, un modello industriale di sviluppo e di crescita, che però guardi all'ambiente e sia rispettoso delle generazioni future. Questo in fondo è il Green Deal europeo, ne avrete sentito parlare insomma nei telegiornali o sui giornali. Questo grande progetto di trasformazione sostenibile dell'industria e dell'economia europea guardando al futuro, senza rinunciare all'idea della crescita economica. Quindi è una grandissima utopia. Allora noi con i nostri protagonisti proveremo a raccontare quegli strumenti che si stanno utilizzando per piantare a terra questa grandissima visione che è nata in Europa. La Forza è credo sia il continente che maggiormente esprime in questo momento questa aspirazione. Da un lato si parla tanto di transizione green e di sostenibilità ambientale, ma questo è un momento storico in cui si sta parlando moltissimo di competitività, cioè di come le nostre industrie, le nostre imprese possono mantenersi competitive con quelle estremie, soprattutto con quelle americane e con quelle cinesi. Allora questa è la nuova spida dei nostri tempi ed è il primo grandissimo banco di prova di un modello di sviluppo sostenibile. E non è un caso che proprio in questa fase di dibattito ci siano dei grandi italiani che stanno dando un contributo. Penso a Enrico Letta che ha fatto un bellissimo studio sul mercato unico del finanziario europeo e poi aspettiamo invece tutti un po' l'intervento di Mario Draghi che è stato nostro presidente del Consiglio, grandissimo esponente della cultura economica bancaria europea che sta lavorando proprio su questo tema della competitività. Questo sarà il tema che dovrà affrontare la prossima commissione europea perché l'8 e il 9 giugno si andrà al voto per eleggere un nuovo governo dell'Europa. Voi siete ancora giovani per farlo ma noi ci dobbiamo andare a votare. Siamo anche pronti per questo. Allora vi presento intanto i protagonisti di questa mattinate. Sono Paolo Casalino, direttore generale per la politica industriale, la riconversione e la crisi industriale, le PMI e il Made in Italy per il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, MIMIT come noi lo scriviamo sul giornale, benvenuto a lei. Marco Taish che è invece presidente di MIX che è Made in Italy Circolare e Sostenibile, un partenariato fra le università privati e poi abbiamo Gianpaolo Manzella, senior advisor di Banca Europea degli Investimenti, la così detta, la BAY. Per loro un applauso perché no? Facciamoci un benvenuto. Allora dottor Casalino cominciamo da lei perché è interessante come l'Europa e i vari paesi europei, i protagonisti si allineano su grandi strumenti, sulle grandi trasformazioni, le grandi trasformazioni in atto sono quelle sostenibili, quella digitale. Allora vorrei che lei ci raccontasse quelli sono i driver della politica industriale italiana, questa trasformazione che va sotto il nome di industria 5.0, si apre quindi una nuova stagione di politica industriale, ci racconta in che direzione stiamo andando. Grazie mille per l'invito, è piacere di poter condividere qualche riflessione con i colleghi, con Marco Taich con cui si collabora tanto, con Gianpaolo Manzella, che nei vari suoi tantissimi ruoli ha svolto anche il ruolo di sottosegretario, si chiamava in un altro modo ma il ministero era lo stesso, il Miso. Manzella è sempre lui l'identità. Di questo non sono a conoscenza, io posso dire di quello che so evidentemente, però di quello sono certo e seguiva tanti di questi settori come sottosegretario, di cui poi oggi parlerò. Allora possiamo dire che transizione 5.0 è un po' l'icona della trasformazione che noi stiamo vivendo, la racconterò tra un attimo e soprattutto il passaggio da una transizione 4.0 al 5.0, cosa significa e perché se è cambiato lo strumento, perché è stato necessario, e così poi mi porto per la seconda domanda sul PNR, perché sono misure del PNR, in un panel organizzato anche e coordinato dalla Commissione Europea, mi pare poi un messaggio, ma lo affronteremo dopo. Quindi i grandi driver quali sono? Sono certamente, essendo driver nazionali non possono essere staccati o scollegati da quelli europei, e in un certo senso non totalmente, ma anche da quelli internazionali. Sono quelli della transizione green e sono quelli della transizione digitale. Il fatto che siano coordinati con i driver europei non significa che devono essere per forza schiacciati sulle posizioni europee, questo poi ci porta a fare qualche riflessione dopo su come vorremmo che cambiasse l'approccio europeo della politica industriale nel prossimo mandato. Però per vedere l'oggi, l'oggi ci fa vedere in Italia una grande necessità di tenere conto di tre livelli di soggetti con cui la politica industriale si confronta, che sono le grandi imprese, le medie, quindi parliamo di imprese tra i 50 e i 250 dipendenti, e poi le piccole fino alle micro e quelle che hanno in tanti territori due o tre dipendenti, uno o quattro, perché quando immaginiamo le politiche industriali dobbiamo immaginarle per tutti. Abbiamo poi anche tre tipologie di politiche che si attagliano anche alle tipologie di imprese e di categorie che ho indicato, perché noi abbiamo politiche da avvenire, e quindi sono quelli, faccio un esempio, prendendo a mente il comunicato finale del G7 digitale e industria che si è tenuto a Trento e Verona, peraltro poco tempo fa, il ruolo delle tecnologie digitali per migliorare la produttività delle piccole e medie imprese. E quindi queste sono le tecnologie da avvenire, il professor Taich potrà parlarne meglio di me, quindi l'utilizzo dell'intelligenza artificiale, l'utilizzo della blockchain nel processo produttivo, se per questo anche nella pubblica amministrazione, ma è ancora un po' meno diffusa, sono certamente in grado di migliorare la posizionamento dell'imprese in relazione con i clienti e altro. Poi c'è la transizione verde, tutti possiamo pensare a temi di riciclo, di energie rinnovabili, però non dobbiamo dimenticare che abbiamo delle politiche o di settori che ci portiamo un po' dal passato e che devono essere accompagnati dal settore pubblico a evolvere, possiamo pensare in questo caso all'automotive, alla siderurgia, alla chimica, quindi non c'è solo futuro, c'è un passato o un presente da far evolvere verso il futuro. Chiaramente per fare questo abbiamo bisogno di strumenti, e gli strumenti sono in piccola parte il bilancio nazionale e quindi quello che poi in un certo senso chiamiamo aiuti di Stato, ma in grossa parte in questo momento il bilancio europeo, che è un bilancio che ha una storia per esempio nella politica di coesione, Fesel e Fessello conoscono tutti, però ha anche una grande novità da 2-3 anni in qua, che è quella del piano nazionale di ripresa e resilienza, a cui però, siccome di questo poi parlerò dopo, non dobbiamo dimenticare, dato che c'è anche il rappresentante della BEI e FEI, il ruolo di, come dire, e questo deve essere il lavoro secondo me del settore pubblico, il ruolo dei capitali privati, perché noi quando abbiamo identificato i driver, abbiamo detto transizione green, transizione digitale, settori riconversione, quindi riconversione industriale, dobbiamo dire che da un lato abbiamo risorse nazionali, vogliamo avere pari, fino a quelle che abbiamo ora, risorse europee, ma dobbiamo anche migliorare l'attrazione di capitale privato. Quindi gli strumenti per esempio della BEI o del FEI sono i strumenti principi per poter fare questo, pensiamo soltanto al caso del venture capital, oppure strumenti come l'investiu, che sono probabilmente quelli su cui bisogna lavorare di più, perché sono in meno utilizzato in Italia, non lo direi, però altri sì, l'attrazione del capitale ci porterebbe a riflessioni di più lungo periodo su, per esempio, la necessità, lo diceva anche il rapporto letta, di completare l'unione del mercato dei capitali, se vogliamo attrarre risorse private, perché quelle pubbliche non saranno per quante siano mai sufficienti. Quindi in relazione a quello che dicevo all'inizio, come vorremmo che fosse la politica industriale del futuro, è un futuro prossimo, perché l'elezione europea è nel 9 di giugno e dopo inizia un periodo di sei mesi in cui le istituzioni si rassettano, da dicembre si parte, essenzialmente ottobre, novembre, dopo le audizioni dei commissari. Ecco, questo è un lavoro che l'Italia sta facendo, oggi c'è il Consiglio Competitività a Bruxelles, si parlerà di questo, lo sta facendo con due partner strategici che sono per noi elettivi, come dire, l'elezione, la Francia, col trattato del Quirinale, la Germania, con il piano di azione che l'Italia ha firmato alla fine dell'anno scorso. E lo sta facendo, ho qui sotto gli occhi, distribuiremo anche qualche materiale nello stand che ha la Commissione europea qui in piazza, un comunicato congiunto, Italia-Francia-Germania, che ci dice un po' quali sono le grandi linee, poi vanno declinate, le grandi linee della politica industriale che vorremmo e che quindi hanno comunque un minimo di discontinuità con quella esistente, quella di oggi. Vado proprio per grande sintesi, così non prendo troppo tempo, la prima è, questa almeno è la posizione italiana, evidentemente poi con gli altri paesi abbiamo delle differenze che dobbiamo approfondire. Allora, per quanto riguarda l'Italia, noi abbiamo notato certamente, e l'Italia appoggia tutti i principi del Green Deal, però riteniamo che sia necessario parlare in maniera più ampia di Industrial Deal, cioè di una necessità di finanziare anche la trasformazione di alcuni settori che possono essere ritenuti brown, quindi grigi, marroni, poi si può dire come si vuole, ma non può essere un mantra il finanziamento esclusivo con fondi europei di solo transizione green, solo transizione digitale. Abbiamo qualcos'altro in mezzo che è necessario e sentiamo che, non sentire, condiviso. Il secondo tema in cui si deve usare di più, devo dire, noi pensavamo di essere più avanzati, ma c'è la Francia che sta facendo giustamente una grandissima campagna e la riduzione ulteriore degli oneri burocratici. Noi abbiamo un obiettivo a livello europeo, che conosciamo essere quello del meno 25% di oneri amministrativi, proprio recentemente, in una dichiarazione che stiamo chiudendo a livello europeo sulle PMI, si sta chiedendo il meno 40%. Abbiamo certamente piccole medemprese stanche di dover avere tantissimi obblighi di reporting. Dobbiamo quindi, non possiamo negare gli obblighi di reporting, dobbiamo renderli proporzionati, perché la dove invece sulle imprese multinazionali o le più grandi, evidentemente, questo è del tutto necessario a tutela del cittadino, del consumatore. Sul terzo punto, così chiudo, questo non sia un po' difficile a livello europeo, è il tema dei finanziamenti. Quindi se dovessimo parlare il linguaggio tecnico, potremmo dire del volume del quadro finanziario e del periodo di renale futuro. Se dobbiamo parlare un po' in soldoni concreti e dire cosa fa l'Italia dopo il PNR, quindi fino al 2026 abbiamo a montare di risorse, dire sufficiente anche già tanto, potremmo anche dire eccedente, basta utilizzarle bene per fare un grande salto. Tante risorse poco tempo, no? Il poco tempo, ma non sono le uniche, poi c'è la coesione, poi ci sono i fondi nazionali, quindi in questo momento quello che non mancano sono le risorse finanziarie, bisogna andare sull'execution concreta. Però il tema di cosa accadrà dopo è importante, quindi importante, come si diceva prima, impostare tutte le condizioni perché il capitale privato arrivi e soprattutto fare in modo che a livello europeo si mantengano questi livelli, sebbene anche un po' più bassi, ma livelli che ci consentano di accompagnare la transizione industriale. È interessante il risparmio che ha fatto Cennu, ha una caratteristica del nostro Paese che mi incuriosisce sempre molto, noi abbiamo un altissimo livello di risparmio privato, spesso questo tema viene tirato fuori quando dicono ah l'Italia ha un debito pubblico molto pesante, però poi dicono i sostenitori, però abbiamo tanto risparmio privato e abbiamo tanta proprietà immobiliare, queste sono due variabili che ci rassicurano un pochino. Il fatto che quel risparmio privato andrebbe smosso è trasformato in investimenti, andrebbe convinto per evitare che vada a investire chissà dove. Questo sicuramente è un tema interessante ed era un po' in qualche maniera la sfida, anche il discorso che ha fatto Letta con il mercato unico, rendere appetibile anche l'attrazione degli investimenti in Italia. Allora, professor Tavici, voi avete fatto un lavoro molto interessante perché mettete insieme molto università e aziende per raccontare questo nuovo Made in Italy. Sappiamo che il nostro Made in Italy è un brand straordinario da tutelare e che è tra l'altro importante non solo nel settore della moda, quello a cui siamo un po' abituati, dei gioielli, del fashion in generale, ma c'è un Made in Italy anche nei macchinari, anche nei settori industriali più ardi, più difficili. Però c'è anche lì. Per esempio noi siamo i leader nei macchinari per l'imballaggio e il confezionamento, ci sono interi distretti italiani. Allora, l'ambizione del vostro progetto è quello di trasformare questo Made in Italy, che ha già un suo erito altissimo, una riconoscibilità, una qualità, un'eccellenza straordinaria. Allora non vi basta questo. Questo Made in Italy deve diventare anche più sostenibile rispetto all'ambiente e alla produttività. Quindi è una bella sfida. Assolutamente sì. Non può che essere così, perché se io penso a quello che sta succedendo a livello mondiale, proviamo a chiederci questo, non dobbiamo partire da queste riflessioni se vogliamo capire come noi dobbiamo ripensare e rinderizzare il nostro Made in Italy. Allora, prima considerazione. Quando parliamo di Made in Italy, purtroppo, ancora troppo spesso, si pensa al turismo, si pensa al cibo, si pensa all'alimentazione, si pensa alla moda, si pensa all'arredamento. In realtà, se andate a vedere i numeri di questi settori sul PIL del Paese, sono molto più bassi rispetto a un altro Made in Italy, che è un po' nascosto, perché non va in qualche modo a toccare la nostra immaginazione di cittadino, che è quello del mondo della meccanica, del mondo dell'automazione. Se mettiamo questi tre settori insieme all'arredamento, l'abbigliamento e l'automazione, quindi le tre A del Made in Italy, questi tre settori, più loro indotto, quando parlo di indotto mi riferisco al mondo della logistica, mi riferisco ai servizi che vengono genati, stiamo parlando di circa il 52% del PIL del Paese. Quindi quando il partenariato esteso Made in Italy circolare e sostenibile, questo grande progetto di ricerca che è finanziato dal Ministero dell'Università e della Ricerca, stiamo parlando di 25 organizzazioni, 12 università, 13 aziende, 115 milioni di investimento, vi rendete conto di quale sia la responsabilità. Io fino ad un anno e mezzo fa dormivo la notte, adesso non dormo più, perché mi sento addosso una responsabilità talmente alta di creare un futuro al nostro Made in Italy. Allora, la prima domanda è che futuro dobbiamo crearci. Non a caso si chiama Made in Italy circolare e sostenibile, ma perché dobbiamo lavorare su questa dimensione? Perché dobbiamo partire e considerare che cosa sta succedendo nel mondo, se ci pensate fino a qualche anno fa il mondo era, parliamo di globalizzazione, davamo per scontata la globalizzazione. Globalizzazione voleva dire che io potevo progettare un prodotto in qualunque punto del mondo, potevo realizzare la sua produzione in qualunque punto del mondo, comprando componenti che arrivavano in qualunque punto del mondo, da parte del mondo, perché tanto la logistica funzionava perfettamente. Variabili erano tutte sotto controllo. Era tutto sotto controllo, bellissimo, ma poi per noi ingegneri industriali, un posto di una figata, io mi divertivo un sacco perché ottimizzavamo le scorte, mettevamo le produzioni dove volevamo, poi a un certo punto, un giorno, una nave si mette di traverso, vi ricordate, qualche anno fa, e quindi per cinque giorni le catene logistiche mondiali si sono fermate e lì ci siamo svegliati. Siamo accorti che forse la logistica che pensavamo, che era un grande sistema nervoso mondiale, che funzionava perfettamente, in realtà aveva dei punti di debolezza. Poi arriva una pandemia e le pandemie ha fatto, all'irrata dell'aspetto, come posso dire, sociale, sanitario, ci hanno aiutato a svegliarci ancora, perché a un certo punto, se tu chiudi una provincia per qualche mese, in realtà una filiera, logistica mondiale, che era fatta di scorte che erano perfettamente distribuite nel mondo, e se tu chiudi un anello, alla fine questo si propaga su tutto il resto della filiera. E poi non è che basti riaprire quell'anello, perché un mese dopo ne abbiamo chiusi un altro e così via. Quindi noi abbiamo avuto mesi in cui il sistema mondiale, da un punto di vista delle scorte, è entrato in crisi. E questa è la prima, come posso dire, svegliata che ci è stata data. La seconda è quella delle tecnologie digitali. Oggi noi abbiamo una quantità di tecnologie digitali, forse voi non ve ne rendete conto, voi guardi giovani da in fondo, perché ci siete nati dentro. Io ho una figlia che a 14 anni è nata, lasciatemi dire, quasi nata con l'iPad in mano. Per lei è totalmente naturale questo, tanto è vero che si parla di nativi digitali, quando ci si riferisce a quella generazione. In realtà io credo che ci sia un'altra considerazione a fare, che questi ragazzi, voi, voi che siete nella seconda metà di questa sala, siete anche nativi sostenibili. Il concetto di sostenibilità che voi avete è un concetto che vi viene insegnato, che vivete fin da quando siete stati all'asilo. La stessa figlia di prima, quando aveva 4 anni, quindi 10 anni fa, una mattina, all'epoca avevamo fuori Milano, quindi un paesino tranquillo, siamo usciti, era inverno, andiamo a fare una piccola commissione, sabato mattina dico, dai vieni con me, usciamo con la macchina, la metto sul seggionino posteriore, poi dico, stai qui un attimo che attraverso la strada vado in tintoria. Non era abbandono di minore, perché, voglio dire, attraversavo la strada, dice. Sono tornato, a 4 anni, mi guarda, quindi entro in macchina, mi guarda e mi dice, che cosa hai fatto? E io dentro di me dico, porca miseria, avrà visto qualche notizia sul giornale dei papà che si sono indomiticati i figli nel seggionino, mi sta redarguendo per questo. Dico, perché? Che cosa ho fatto? Hai lasciato la macchina accesa, col motore accesoo, e dico, beh, certo, è inverno, fa freddo, c'era riscaldimento, tu sei qui, non potevo lasciarti al freddo. No, ma così, 4 anni, così inquini l'ambiente, crei il buco, si riferiva al buco dello zono, si sciolgono i ghiacci, si alzano i mari, moriamo tutti, porca miseria. Imperfetto ordine sequenziale. Con una lucidità incredibile, e dico, chi te l'ha insegnato? La mia maestra, grande maestra, perfetto, no, ma per dire che voi non siete più sull'onativi digitali, siete sull'onativi sostenibili, e l'approccio alla sostenibilità che avete non è un approccio bucolico, romantico, lasciatemi dire, no, vogliamoci bene, il mondo è bello, il verde, queste cose, è un approccio molto ragionato, molto educato, è un approccio che è basato sull'educazione, sulla cultura, quantitativo, lasciatemi dire. Dove stiamo facendo un lavoro con un'azienda italiana che vende tra l'altro le macchine per il packaging in Germania, e il suo cliente che fa salviettine umidificate, usando appunto questa macchina italiana, ha detto, questa macchina mi deve misurare il consumo energetico durante l'imballaggio, l'impacchettamento di queste salviettine, perché il mio cliente, che a sua volta è una grande distribuzione tedesca, vuole che da settembre di quest'anno venga stampato l'impatto ambientale connesso, collegato a questo prodotto. Una sorta di, non siamo mai abituati ad avere i valori nutrizionali sui nostri alimenti, immaginate una sorta di valore di impatto ambientale collegati a questo prodotto. Perché il consumatore sta chiedendo questo? Nella sua scelta, nel suo approccio all'acquisto, ci sarà una richiesta informata, numericamente misurata, quantità di queste cose. Quindi questo vuol dire che il nostro Made in Italy, al quale in qualche modo abbiamo sempre associato una dimensione, lasciatemi dire, di immagine, di bello, molto iterea, se volete, in realtà deve necessariamente trasformarsi, deve diventare una cosa che ha quel concetto di bello, di immagine, al quale evidentemente non è che dobbiamo rinunciare, dobbiamo associare un concetto di tecnica, di tecnologia, di digitale. Dove, lasciatemi dire, c'è un'altra dimensione. Avete visto Stranger Things su Netflix? Sì, tu chi non l'ha visto. Ok, perfetto. Lì c'è il mondo del Sottosopra, no? Quel mondo lì, che cosa vuol dire? Vuol dire che tu stai sopra sulla terra e succedono delle cose. Quelle cose prima o poi succedono anche nell'altro mondo e viceversa. Noi dobbiamo immaginare che l'approccio al digitale che voi avete è esattamente invertito rispetto all'approccio al digitale perché io sono nato fisico, io giocavo con le biglie e con le figurine panini. Io giocavo in un mondo fisico e poi in qualche modo ho imparato le tecnologie digitali. Per voi la prospettiva è esattamente opposta. Per voi il vero mondo, il primo mondo che esiste è il mondo digitale, è il mondo della connessione sociale, dei social, cose di questo tipo. Poi arriva il mondo fisico, che è un'istanziazione del mondo digitale. Questo cambio di prospettiva tra il primo vero mondo e il secondo è importante per capire poi come sarà fatto il consumatore del futuro. Questo non può che essere recepito dal nostro Medinitali. Il nostro Medinitali deve andare a capire che il digitale da un lato e i prodotti digitali, digitalizzati da un lato, i prodotti sostenibili dall'altra parte sono i due ingredienti che il nostro Medinitali devrà fare. E questo va benissimo, nel senso che lo stiamo capendo, l'abbiamo capito. Questo si sposa perfettamente con le politiche del Green New Deal della Commissione Europea, perché quando in questo documento programmatico si parla di una sostenibilità e di un New Deal verde, ma lo si fa, lasciatemi dire, in una maniera molto vicina a quella che è il mercato. Riconoscendo quelle che sono le peculiarità, l'Europa ha molte geografie diverse al suo interno, che sono una ricchezza, e questo programma, fortunatamente, tiene conto di queste diversità. Quindi noi dobbiamo, come posso dire, inventarci, e questo è quello che stiamo facendo nel partenato esteso Medinitali circolare e sostenibile, ci stiamo rinventando un Medinital in Europe, senza andare a dimenticarci che l'Italia è un paese dell'Unione Europea, è un paese importante dell'Unione Europea. Lo dico sempre con orgoglio, perché noi, secondo noi italiani, ogni tanto non siamo così consapevoli delle nostre... Picchiamo un po' di autostima, diciamo. Ma tantissimo, quando vado in giro, comincio a parlare di Italia, comincio a associare i numeri, e gli altri, con le amici europee, mi guardano e dico, ma davvero? Ma siete questo? E comincio a dire, seconda manifattura d'Europa, regioni con il più alto tasso di produttività, numero di laureati, eccetera, eccetera. Se guardiamo la capacità nostra, poi chiudo, di produrre laureati di qualità rispetto al finanziamento pubblico, che altre regioni hanno, uno non capisce come facciamo ad avere delle persone con questa competitività. E questo, secondo me, diventa un vantaggio competitivo. Su questo noi dobbiamo costruire il nostro futuro e lavorare, esattamente. La chiave di questa trasformazione è stato chiaro, il discorso è la tecnologia, il trasferimento tecnologico, perciò voi vi affiancate anche alle aziende per accelerare quel processo. E poi c'è un tema che è emerso, ma magari proveremo anche a snocciarlo meglio, il tema della circolarità, perché oggi effettivamente i prodotti di consumo, e questo vale per i prodotti di consumo quotidiano, fino ai macchinari, devono guardare alla circolarità, cioè devono guardare all'impatto, anche rispetto a come verranno poi riutilizzati in parte o smaltiti. Questo è un cambio di passo straordinario rispetto al modo non solo in cui consumiamo, ma rispetto al modo in cui progettiamo i nostri manufatti. Per un Paese come il nostro, che è il Paese di Leonardo, che quindi progetta e crea arte, queste sono le due anime straordinarie dell'Italia, questo è fondamentale. Manzella, ci racconta come questa grandissima, la più grande banca di sviluppo del mondo, la Bay, sta aiutando, accompagnando intanto alla trasformazione industriale, ma anche i grandi progetti, dei grandi aziende, perché poi voi avete questa doppia anima da un lato, uno strumento a sostegno delle politiche industriali, dall'altro anche uno strumento importante a sostegno delle imprese che fanno progetti strategici. Allora mi faccia intanto cominciare, visto che qui ci sono tanti ragazzi un po' a fare un piccolo passo indietro sulla Bay, perché è interessante che i ragazzi capiscano che la Bay è un'istituzione che nasce con il trattato di Roma, quindi è un'istituzione antica a livello europeo, proprio con riferimento all'Italia, proprio con riferimento al Mezzogiorno e con una doppia funzione, quella di sostenere le imprese e di sostenere le regioni in ritardo di sviluppo. La Bay negli anni è cresciuta, da essere una piccola realtà alla fine degli anni 50 è diventata, come diceva lei, il più grande attore dello sviluppo a livello globale, la proprietà è degli stati membri, ma la Bay serve alle finalità europee. E tra le finalità europee di oggi più qualificanti c'è la politica industriale. Qui permettetemi di fare un piccolo inciso. Lei ha parlato di un momento italiano per la vicenda europea, ha parlato del rapporto Letta, del rapporto Draghina. L'ho citato Gentiloni, ma insomma è un altro nome giustissimo. Io voglio ricordare per i ragazzi che la parola politica industriale in Europa è stata avanzata all'inizio degli anni 70 da due italiani, Guido Colonna di Paliano e Altiero Spinelli, che noi tutti ricordiamo per il manifesto di Ventotene, ma è il primo che in Europa ha portato un discorso completo sull'importanza di tenere insieme politica industriale ed ambiente, sull'importanza di una politica industriale che assicurasse una qualità della vita, sul tema delle materie prime critiche, cioè il primo che ha messo questo tema in risalto. Noi oggi, come Banca Europea, siamo in un momento storico in cui l'Europa si dà un grande obiettivo storico, un duplice grande obiettivo storico. Dall'altro quello di assicurare la doppia transizione per le cose che diceva prima il professor Taichi e il dottor Casalino, quindi più digitale nelle imprese, una maggiore presenza del green, dall'altra si sta dando una missione che viene definita di autonomia strategica. Banalmente l'Europa si è resa conto che troppe delle materie prime che utilizza vengono da altri paesi con cui molto spesso i rapporti sono complessi, che produce troppi pochi semiconduttori, che le produzioni della transizione green di cui l'Europa parla da anni, poi se vai a guardare la catena del valore hanno la loro base in altri orti. Quindi servono dei correttivi. E quindi l'Europa si dà una politica industriale che banalmente è un correttivo per definizione, perché entra in gioco quando ci sono dei fallimenti del mercato. Ecco, a questo punto un soggetto finanziario che è direttamente legato alle finalità dell'Unione entra in campo, nel senso che è l'Unione che dà il quadro strategico evidentemente passando attraverso tutte le catene amministrative e politiche di decisione, quindi il Consiglio dei Governatori, il Consiglio di Amministrazione, la Presidenza, ecc. E chiaramente la BEI oggi ha un quadro di iniziative molto chiaro nel confronto della doppia transizione e dell'autonomia strategica. Che cosa concretamente fa la BEI? Fondamentalmente per semplificare anche per i ragazzi fa essenzialmente tre cose. La prima sono prestiti, la seconda sono partecipazioni di equity e la terza è attività di assistenza tecnica. I prestiti, immaginate Thrisan, Thrisan è quella che sarà la più importante fabbrica di pannelli fotovoltaici. Perché è importante? Perché l'Europa dice io voglio avere una grande fabbrica di pannelli fotovoltaici. Che non ho. Che non ho. A questo punto la BEI interviene e sostiene quella fabbrica. Questo per dire un grande progetto. Poi ci sono i piccoli progetti. Cioè la BEI opera attraverso i prestiti globali per cui finanzia singole imprese che fanno attività di efficientamento energetico, comprano dei macchinari green, quindi è attività più al dettaglio. La fa con la collaborazione con il mondo delle banche. Questo esempio di prestiti. Esempi di equity. Il gruppo BEI interviene direttamente nel capitale delle singole startup promettenti, sia interviene attraverso lo strumento del fondo dei fondi. Cioè io banalmente Europa dico, sapete che io voglio che venga sviluppato lo strumento del venture capital nel settore delle alte tecnologie per tornare alla sua domanda, nell'intelligenza artificiale. E allora che dico? Metto a disposizione delle risorse per i singoli che dicono io voglio puntare su questo istore, voglio fare un fondo. A questo punto questi signori al momento in cui raccolgono 20, 30 milioni, 40 milioni, possono venire dal FEI e dire noi vogliamo fare questo per investire nelle piccole aziende che stanno crescendo applicando l'intelligenza artificiale perché a livello europeo ci stanno dando questa indicazione. Ci puoi aiutare a far diventare il nostro fondo più grande? Se quel fondo risponde alle caratteristiche del gruppo BEI, il risultato di tutto questo, mi scusi, il terzo punto è l'assistenza tecnica. Molto spesso noi aiutiamo le amministrazioni, per esempio, a preparare progetti. Penso il caso del Comune di Roma dell'efficientamento energetico delle scuole, lì c'è stata un'attività di assistenza tecnica dell'ABEI che in collaborazione con il Comune prepara un progetto utilizzando le migliori tecnologie per appuntare a questa situazione. E' un progetto per appunto portare il sistema delle scuole, ho fatto tre esempi italiani, potrei parlarli di tanti altri paesi, in Europa per presentare dei progetti che portino efficientamento energetico nelle scuole. Quindi prestiti, finanziamenti diretti alle startup, all'innovazione e al private equity e assistenza tecnica. Le tre cose sui progetti che hanno al loro interno le componenti che lei dice, legate alla doppia transizione e all'autonomia strategica come obiettivi europei. Certo, e ce lo faremo raccontare nel corso del dibattito, interessante come selezionano le linee strategiche di sviluppo dell'ABEI, questo è anche molto ambizioso e ci lascia anche qualche sorpresa sul tavolo. Allora dottor Casalino, ci racconta un po' di questa incredibile course del PNRR, perché magari i ragazzi ne hanno sicuramente sentito parlare, magari la loro scuola o una struttura del quartiere con i fondi del PNRR che vengono esposti insomma nel cartello quando si fanno i lavori, cominciano a vedere gli effetti concreti di questo straordinario piano, però ci racconto un po' come il PNRR accompagna questa grande trasformazione che stiamo cercando di raccontare, come la favorisce. Lo faccio anche molto volentieri perché dicevo prima in produzione, prima del convegno, il PNRR fino al 2021-20 è stato un po' di oggetto di polemica politica, era il PNRR dei documenti, adesso il PNRR è arrivato in una fase in cui sta dimostrando i primi risultati concreti e poi più avanti si va fino al 2026, più si raggiungeranno i risultati immaginati all'inizio. Io ho una presentazione su questo, ma prenderò due o tre slide. Quindi, si può mettere su queste prime, non ci aiutano, ma ci servono. Vedo che si fa un po' bene. In ogni caso, giusto per dare qualche numero, il PNRR in Italia vale 194 miliardi di euro, quindi una cifra enorme. Non riusciremmo neanche a scrivere la forza in un'unica pagina. Ma per quanto riguarda il ministero che rappresento io, quindi quello delle imprese del Made in Italy, il PNRR fino a novembre dell'anno scorso valeva 19. Quindi gli importi assegnati da tradurre in progetti erano circa 19 miliardi e mezzo. Poi, con la nuova revisione, e così accoglierò l'occasione per rispondere su transizione 5.0, con la revisione del Piano e il nuovo capitolo che si è inserito, chiamato Repower EU, quindi la transizione energetica, ha preso un più di nove miliardi, diventando un ammontare, anche qui molto elevato, da 28 miliardi e oltre. Abbiamo poi un Piano nazionale complementare, non in tutti i Ministeri ma in molti, nel nostro sì che vale 7 miliardi e 68, quindi il volume delle risorse per le imprese, per la ricerca, quindi per le finalità, anche del venture capital, del mimit, è pari in questo momento a 36 miliardi, e quindi divisi in più misure. Ma se dovessi andare a prendere qualche misura iconica di cui una è stata già citata, in questa missione, anche se erano PDF, vuol dire che sono aperte con un altro programma, non si vede benissimo, ma tutto sommato quello che serve c'è, perché il professor Manzella ha menzionato Trisan. Trisan è la fabbrica a Catania di Enel, essenzialmente, per la produzione dei pannelli fotovoltaici. Quindi qui è un caso classico di sinergia, in cui c'è un investimento, un intervento della BEI, e però in parallelo il soggetto privato ha scelto anche di andare sul PNRR, perché un grande investimento così non si finanzia solo con una fonte. Quindi perché dicevo, dalla teoria, dalle carte del 2021, oggi c'è la realtà, e nel 2026 ci sarà anche la produzione dei pannelli. Perché questa misura, perché nella missione 2 componente 2, la misura, vedete, si chiama rinnovabili e batterie, finanzia una parte, un'altra parte, farà la BEI, e un terzo il privato. Alla fine, piuttosto che, ed è il nostro problema non solo sul fotovoltaico, installare pannelli cinesi, potremo installare pannelli italiani, per fare una semplificazione anche avendo in sala dei giovani, insomma, più per andare con qualche linguaggio più simile a loro. Similmente, anche qui, le slide non ci aiutano tanto, perché non sono venute benissimo, ma il passato o il presente è questa misura. In futuro, con Repower EU abbiamo aggiunto quest'altra misura che va a sostenere ancora una volta le tecnologie Neziro. Per prepararci al futuro abbiamo bisogno di produrre elettrolizzatori, abbiamo bisogno di produrre componentistica per l'eolico, abbiamo bisogno di produrre pompe di calore, tutto quello che serve a promuovere la transizione verde. Il PNRR con 2 miliardi e mezzo, tantissime risorse, con bandi, ne parlavamo ieri con la provincia di Trento, ne abbiamo parlato anche con la provincia di Bolzano, bandi che usciranno tra luglio e settembre, promoverà per tutta Italia, quindi accompagnando i bandi che già, e ne vedo qui i rappresentanti ieri ci hanno visti in sala, che già comunque il territorio e le province emanano per le proprie imprese, accompagnerà questa transizione. Quindi il PNRR come strumento che si è parlato all'inizio di utopia può iniziare a far diventare realtà anche perché il volume delle risorse è importante. Ed è un PNRR che l'Italia attua in piena sinergia e sintonia con la Commissione Europea. Quindi qualunque ricostruzione che faccia vedere Italia e Commissione Europea su posizioni differenti è totalmente falsa, quindi voglio sapere da subito, basta se qualcuno ve lo dice e dice che è falsa, e poi vi potrò dare anche una serie di argomentazioni, perché invece l'interesse di tutti è portare a termine il piano, il piano più grande dell'Unione Europea, perché per fare in modo che questo sia un esempio di successo e magari porre le basi per riproporlo in qualche forma differente. Siccome mi è stata fatta, per non prendere poi tantissimo tempo, la domanda su transizione 5.0, qui nelle slide non la ho ma la posso rispondere chiaramente senza, un altro grande capitolo, ce l'abbiamo qui un po' nelle nuove, oggi non sono fortunatissimo con la presentazione, però essenzialmente il PNRR ci dà con la Repowery U 6,3 miliardi per quanto riguarda transizione 5.0. Qui è un po' a metà tra la prima e la seconda domanda, il cambio di tipologie e misura è paradigmatico, perché il transizione 4.0 alla fine cos'erano? Entrambe le misure sono credito di imposta, però 4.0 è acquisto di un bene digitale che serve a migliorare il processo produttivo. Transizione 5.0 è acquisto di un bene digitale, certamente quello obbligatorio, con efficienza di riduzione dei consumi, quindi con finalità di efficienza energetica e riduzione dei consumi, a cui posso aggiungere interventi per esempio di posa di pannelli fotovoltaici per migliorare l'autosufficienza energetica e se voglio attività di formazione. Quindi con un investimento obbligatorio in beni digitali bisogna raggiungere obiettivi green, da qui il concetto del Repower EU, e poi posso aggiungere delle altre finalità. Quindi non si incentiva un bene, si incentiva un processo trasformativo dell'impresa che porta a determinati target anche ambientali. Quindi se dovessi dire il PNR del MIMIT spazia, anche per concludere, su tre grandi aree. La prima è la competitività delle imprese, in cui ci sono queste misure che ho indicato. La seconda è una grande area che noi dividiamo con il Ministero della Ricerca, in cui ci sono, perché mi piace citarle, due misure, una sui grandi progetti di comune interesse europeo, quindi progetti su idrogeno, batterie, anche se fuori PNR, cloud, microelettronica, e un'altra misura che favorisce l'utilizzo delle tecnologie digitali. Qui il professor Tais c'è, con il centro MADE a Milano, uno dei beneficiari di questa misura che crea 50 centri di competenza, chiamati in maniera magari differente European Digital Innovation Hub, in tutta Italia, perché se la piccola impresa viene agevolata per acquistare un bene, deve essere anche formata per inserirlo al meglio nel processo produttivo e per intercornetterlo, questo tema tecnico, questa parola tecnica. E una terza area su cui interviene, e così chiudo, mi pare molto importante, è quella della gender equality. Quindi abbiamo una misura importante, che è la creazione delle imprese femminili, in cui si sostiene la creazione anche di piccole imprese, perché se abbiamo parlato di Trisane, per tornare al mio primo intervento, abbiamo parlato di grandi investimenti, di autonomia strategica. Poi abbiamo parlato di centri di competenza, intercettiamo una fascia media, però con la misura creazione di imprese femminili intercettiamo anche il microimprenditrice, che da essere dipendente magari vuole fare un'attività autonoma, perché la sua fabbrica è chiusa, c'è un tema anche di riqualificazione del personale. E' una misura anche molto importante, quindi un PNRR, io ho raccontato quello del MINIT, ma ci sono tanti bei PNRR dei vari ministeri, e come si è detto, magari sono certo, adesso che anche le scuole ne stiano offrendo, non potrei dare i dati del Ministero dell'Istruzione, però ci sono tante iniziative di cui anche in giovane in sala potranno approfittare. Grazie, grazie davvero. Allora, a Professor Taj, per guidare queste trasformazioni, per creare visioni coerenti, e avere delle ricanute sul nostro tessuto industriale, sicuramente servono i talenti, no? Allora, come si allinea il mondo della formazione a questa straordinaria trasformazione industriale? Come state un po' anche lavorando sui ragazzi nei vostri corsi di studio? Quanto entra il tema della sostenibilità? Perché qui non è un problema solo di certificazione o di rendicontazione o di reporting, no? Qui è una questione ben più radicale. Beh, quello che stiamo facendo, ci siamo chiesti qualche anno fa se avessimo dovuto lanciare dei corsi di sostenibilità, di sviluppo sostenibile interno dei corsi di laurea in Insegno di Ingegneria Gestionale e Meccanica al Politecnico di Milano, e quindi abbiamo detto, aggiungiamo dei corsi, degli insegnamenti a fianco di quelli che erano, sono, i normali, le normali materie di un corso di laurea di ingegneria. Dopo un po' di riflessioni abbiamo deciso di usare una strategia diversa, una tatta, che io credo e sono convinto che sia quella giusta, e cioè, anziché andare ad affiancare la sostenibilità come una materia a fianco di tutte le altre materie, ripeto, tradizionali, abbiamo detto, no, guardate che la sostenibilità è un qualcosa che permea, che è dentro, deve entrare nel DNA di ogni materia. Allora, è chiaro che non ha senso dire che faccio analisi matematica o geometria sostenibile, non vuol dire niente, ma io che insegno impianti industriali, insegno a costruire le fabbriche, a progettare le fabbriche, a dimensionare le fabbriche, a un certo punto ho inserito all'interno del mio corso, che continua a chiamarsi manufacturing design del manifatturiero, ho inserito delle ore di manifattura sostenibile, e così, come il mio collega che si occupa di finanza, ha inserito delle ore di finanza sostenibile, che cosa vuol dire andare a creare una finanza che va da finanziare e supportare degli investimenti in sostenibilità. E quindi oggi la sostenibilità in qualche modo è, come posso dire, negata, diluita, diluita non lo dico, forse nel senso negativo, ma è negata in tutti i nostri costi, quindi diventa un modo di pensare, diventa un modo di ragionare, un modo che la rende non più in antagonismo rispetto al concetto di competitività. Pensate, io appunto in ingegnere e gestionare insegniamo come costruire le aziende, come gestire le aziende, e quindi in qualche modo l'obiettivo classico di un'azienda in un sistema capitalista aperto come il nostro era massimizzare il profitto, massimizzare il margine. E questo sembra essere in contrapposizione invece con la sostenibilità, perché la sostenibilità invece vuol dire creare più equità sociale. Non dimenticatevi che la sostenibilità non è solo la sostenibilità ambientale. La sostenibilità, se prendete il concetto ormai consolidato di triple bottom line, lasciatemi fare un po' al professore adesso ragazzi, perché sennò mi manca questa cosa dopo stasera arrivo. La triple bottom line, cioè le tre dimensioni della sostenibilità, la sostenibilità economica, sociale e ambientale. Pesso oggi noi ci riedimitiamo questi tre aggettivi, parliamo di sostenibilità pensando solo a quella ecologica, quella ambientale, ma in realtà ci sono anche le altre due dimensioni. Se io penso a un'azienda, oggi gli obiettivi delle aziende stanno sempre di più cambiando, per cui non è solo la massimizzazione del profitto, cioè la sostenibilità economica, ma diventano gli altri due pilastri, quella sociale e ecologica, dei fattori importanti. Attenzione, che questo non è green washing, come lo chiama qualcuno, no? Faccio i miei pacchetti di pasta colorati di verde, quindi dico che sono sostenibili, quindi in qualche modo il consumatore è incentivato a andare in quella direzione. Perché? Perché il consumatore è diventato constrappevale, grazie ai corsi, agli insegnamenti dell'asilo, ai insegnamenti dell'università. Quindi il nostro approccio è stato quello di diluire questa cosa. La sostenibilità costa. Attenzione, il sostenibilità non viene gratis. Abbiamo fatto un'indagine, abbiamo intervistato 2.000 persone in Italia, tra adulti e giovani, e abbiamo chiesto se durante il loro processo di acquisto guardavano se il prodotto fosse o meno sostenibile, quindi cercavano in qualche modo la sostenibilità. Bene, questa indagine fatta 6 anni fa aveva portato un 30% di risposte positive, un 70% di persone che dicevano no, non ci faccio caso. Uno su tre più o meno. No, e oggi siamo al 55% di persone che dice sì, ci guardo dentro e lo considero come un fattore nel mio processo di acquisto. Poi abbiamo fatto un'altra domanda. Ma sei disposto a pagare di più un prodotto sostenibile, un prodotto verde? È chiaro che quel 55% è sceso al 48%. Però, questa è la media, ma se vado sugli adolescenti, quel 48% sale a 62% e se vado sulle persone più anziane, meno giovani, quel 48% scende evidentemente, ma perché è il tema della sensibilità, la sostenibilità ecologica che dicevamo prima. Ho ancora un minuto? Sì, un minuto. Attenzione, che poi qua ti giochi la competitività tra i paesi. Perché? Perché riuscire a fare prodotti sostenibili che costino sempre meno vuol dire, e torniamo al tema del Made in Italy, rendere le nostre imprese più competitive. Quindi, non è solo una questione di formare le persone, ma è una questione di formare le persone a fare ricerche e innovazioni sulla sostenibilità e sui prodotti sostenibili. Perché vuol dire giocarsi la competitività del paese. Non è solo una questione di visioni, una questione di tecnologia, una questione di processi. Quindi, tutte le figure devono contribuire a questo risultato. Allora Manzella, ci racconta un po' quali sono i nuovi driver, i driver emergenti nella vostra ricerca di investimenti strategici. Perché ci sono delle cose che sono cambiate anche abbastanza in fretta negli ultimi due anni. Il tema dell'energia è un tema emergente, ma anche il tema della difesa, della sicurezza. Quindi ci racconterà. E poi c'è un elemento interessante nella vostra politica, che è quello dell'attenzione alla coesione sociale, che tradotto significa attenzione alle differenze fra i diversi territori. Come posso anche lì provare a fare la differenza, a introdurre un correttivo e dare una risposta a territori che sono svantaggiati? Mi faccio cominciare da questa seconda parte. Perché in qualche modo è la terza gamba dell'utopia di cui lei parlava. Nell'altra crescita, ambiente, territori, nel senso di un ambiente diffuso su tutto il territorio. L'Europa parla nel trattato di sviluppo armonioso, come a dire uno sviluppo che tocchi tutti i territori. E questo è qualcosa su cui la Commissione torna con molta frequenza. E secondo me c'è su questa vicenda oggi un po' un'accelerazione. A me colpisce il fatto che si parli sempre più di geografia dello scontento. Cioè si comincia a capire che un'Europa che non cresce tutta insieme è un'Europa che cova al proprio interno delle aree di insoddisfazione. Ed invece, come ripete la politica comunitaria di questi anni, il concetto di solidarietà è essenziale al concetto di comunità. In questo la BEI ci sta geneticamente, per quello che dicevo prima, perché nasce con il mezzogiorno e per il mezzogiorno. Ci sta con le norme dello statuto che hanno l'intervento alle regioni più arretrate come priorità. Ci sta con le proprie priorità strategiche, perché tra le priorità strategiche nel 2025 c'è spendere il 45% di tutte le sue risorse all'interno dei territori. In ritardo di sviluppo, cioè quei territori che la Commissione Europea periodicamente individua come i territori europei con maggiore difficoltà. Mi lasci dire, perché la sua domanda porta anche a questo, che questa tendenza è una tendenza che oggi tocca anche altri blocchi con i quali noi siamo in concorrenza. Nel senso che se lei vede uno dei principali attori con i quali l'Europa si confronta, che sono gli Stati Uniti, all'interno sia del CHIPS Act, sia dell'Inflation Reduction Act, che sono se vuole due atti parametro, perché è chiaro che ormai gli ordinamenti sono in relazione tra di loro, e se uno prende un'iniziativa a sostegno della propria industria, è chiaro che anche gli altri debbono intervenire. Beh, a me quello che colpisce è che in tutti e due gli atti, in particolare nel CHIPS Act, vengono favoriti gli insediamenti di ricerca e sviluppo collocati più lontani da quelli che sono i centri di sviluppo già consolidati. Come a dire, io premio con la leva finanziaria quelle iniziative di ricerca e sviluppo, di dialogo tra ricerca e impresa, che sono collocati più lontani da quella che è la tradizionale mappa dello sviluppo e dell'innovazione tecnologica statunitense. Perché? Perché appunto io voglio promuovere uno sviluppo che sia anche territorialmente diffuso, e i primi dati dicono che questa misura sta funzionando, cioè sta portando delle aree, per esempio della Rust Belt statunitense, a riprendere, a crescere. Quindi questo della coesione è un tema fondamentale in cui mai come oggi la Beh ha un ruolo come testimoniato da... Cioè è un tema strategico non solo l'assistenza di chi è indietro, ma è un tema strategico, cioè il rilancio dei territori più deboli. Esattamente, cioè in tutta Europa si parla di reindustrializzare i territori, se lei prende i discorsi pubblici dei singoli Stati e della Commissione Europea, sono molto chiari su questo punto. Quindi la questione della reindustrializzazione e di portare lo sviluppo nei territori lontani dal centro, dai centri di sviluppo, è chiara. Per quanto riguarda invece il secondo punto... Può avvicinare il microfono? Per quanto riguarda invece il secondo punto, come dicevo prima, lì la catena è molto chiara, cioè la Commissione individua quelle che sono le aree di sviluppo sulle quali stare, le tecnologie nuove sulle quali indirizzarsi, in questo momento i settori della politica industriale su cui intervenire. Quindi, diciamo così, la Commissione è il motore strategico. Poi evidentemente questo motore strategico entra nella vita istituzionale della BEI che adatta i propri strumenti finanziari a quegli obiettivi che sono stabiliti a livello dell'unione. Quindi in questo momento, tra gli altri, uno dei temi fondamentali è proprio quello come aiutare, come sostenere gli sforzi che l'Europa sta facendo in termini di politica industriale, in cui i regolamenti stessi prevedono un ruolo della banca come finanziatore di quello che emerge da l'individuazione di progetti strategici, in tema di materie prime, in tema di nuove produzioni green, in termini in termini di semiconduttori, eccetera. E' anche molto interessante un ruolo di aiuto a chi promuove i progetti nella definizione del quadro finanziario. Questo torna un po' a quello che dicevo prima, quindi c'è un doppio ruolo. Nel primo luogo quello di erogare prestiti o strumenti di partecipazione al capitale per aiutare le imprese europee a crescere, ma anche per segnalare, lei era un tema che aveva toccato prima, al capitale privato. Attenzione, questi sono progetti di qualità. Noi ci stiamo scommettendo come Europa, come un segnale al mercato finanziario. Qualcosa che vale, insomma. Qualcosa che vale. Si vale l'appena soffermare. Dall'altro, questa attività di assistenza tecnica. Cioè dire l'Europa è ancora molto differenziata dal proprio interno, io voglio aiutare le cose ad accadere. Per aiutare le cose ad accadere devo aiutare e sostenere sia operatori pubblici, sia in alcuni casi promotori privati, perché presentino strutturi, progetti che hanno maggiore possibilità di ottenere finanziamento, ripeto, della BEI in primo luogo, ma più in generale del sistema finanziario. Bene, ragazzi, avete voglia di fare una domanda? Ci sono i nostri amici dell'organizzazione che hanno un microfono. Per voi, se avete voglia, se avete delle curiosità, volete condividere delle riflessioni che avete fatto in classe? Prego. Buongiorno, sono Marco e volevo parlare con il professor Taisho riguardo al termine del primo intervento, dove parlava dei numeri dell'Italia, di come abbiamo un gran numero di laureati. Perciò volevo chiederle come mai c'è questa grande fuga di cervelli dall'Italia e come si può contrastare questa fuga di cervelli. Ho provato, prof, ad essere ottimista, ma ti è arrivata la domanda. Io sono ottimista per definizione. Sì, però... Allora, intanto, bravo a chiamarti Marco, perché è un grandissimo nome, quindi già questo la metti da qualche punto in più. Allora, noi non abbiamo un più alto numero di laureati rispetto agli altri paesi con i quali... Dovremo averne di più. Dovremo averne sicuramente di più, quindi rispetto a Francia, Germania, quella quale è Spagna, quella quale normalmente ci confrontiamo, dovremo averne di più. Quindi non credete a chi dita che ci sono troppi laureati. Non è vero, bisogna laurearsi di più, bisogna studiare di più. Ma perché? Ma io lo dico non tanto per il paese, io lo dico per voi. Dovete immaginare che il livello di competizione alla quale voi vi troverete nel mondo del lavoro, nel quale entrerete fra qualche anno, aumenta sempre. Perché da qualche parte del mondo non sono solo i paesi e i sistemi economici che sono in competizione tra di loro, ma sono le persone stesse che sono in competizione tra di loro. E se prima eravate in competizione, semplifico, con i vostri amici di Trento o della provincia o della regione, perché poi la sua vita la viveva in quella area geografica molto circoscritta, oggi voi sarete in competizione con tutto il mondo. E tutto il mondo vuol dire paesi, vuol dire tutte le America, tutte le America, perché noi parliamo sempre degli Stati Uniti, ma guardate che il numero di studenti laureati che arrivano dall'America latina è altissimo e sono molto bravi con tutto il mondo della Cina. L'India, l'India ha superato recentemente la Cina in termini di numero di abitanti. Il Primo Ministro indiano un anno fa, un po' gasato dal fatto che avevano un primato mondiale per la prima volta, avevano qualcosa da poter dichiarare, ha detto noi vogliamo diventare la terza economia del mondo. E stanno lavorando in quella direzione. C'è una politica industriale sul manufacturiero in India incredibile. L'India che era vista come il call center del mondo dove mandi a fare le slide e dove hai servizi ai CT, oggi sta investendo nel manufacturiero perché ha capito che per far crescere la propria economia non può basarsi su un unico settore quello dei servizi dai CT ma deve differenziarsi. E quindi ci troveremo in competizione anche persone che arrivano lì. L'Africa che nessuno considera è la regiografica che cresce di più in termini di popolazione. Le previsioni dicono che ci saranno più laureati in Africa nel 2050 rispetto al numero di laureati che ci saranno in Europa. Questo vuol dire che laureati, capacità di innovazione, competizione e mercato. Quindi non si può non aumentare il numero di laureati che un paese produce. Ma lo dico non per il paese stesso, lo dico per voi perché poi alla fine se non studiate e non avete le competenze quindi siete meno in un mercato mondiale, meno a 30 per le imprese. L'altro giorno ho fatto un colloquio con un ragazzo a Napoli e lui mi ha detto che mi stia offrendo troppo poco come soldi e quindi arriviamo ad un altro tema della fuga dei cervelli. Non ci puoi sottrarre al tema, prof. No, no, ma ci arrivo. Per lui stava a Napoli e lavorava in totale, non smart working, remote working per un'azienda statunitense. Quindi lui era pagato con stipendio statunitense, stando seduto a Napoli e io, azienda italiana, non riuscivo ad avere accesso a quella risorsa pregiata e competente. Perché? Perché ormai il mercato del lavoro è diventato mondiale anche quello, quindi non è solo la globalizzazione dei mercati nel senso dei prodotti, è la globalizzazione dei mercati nel senso dei talenti e delle competenze. Perché se ne vanno? Se ne vanno perché poi le aree geografiche, avendo capito che esiste una correlazione tra economia dell'area geografica e talenti e persone, le città stanno investendo. Per esempio, prendete l'esempio di Singapure. Singapure, che cosa ha fatto? Singapure ha capito che per attrarre gli headquarter di grandi multinazionali, doveva diventare una città che da un punto di vista dell'investimento, diciamo delle politiche fiscali, locali, fosse attrattiva. Ma poi se tu porti lì un'azienda, l'azienda poi dice, bene, ma io adesso ho bisogno di persone. E se quella città non è attraente per la popolazione, per le persone, per i cittadini, perché tu lavori 8 ore al giorno, 10 ore al giorno, ma poi ne vivi, se quella città non è attraente, io, che sono un talento, che posso andare a lavorare dove voglio, non ci vado in quella città a lavorare. E quindi ecco che la città, la città in quanto municipalità, ha investito sul creare una città che fosse accogliente, attraente da un punto di vista per le persone. Quindi il connubio, attrattività della città e attrattività in termini di investimenti per le imprese, diventa il modo di fare una politica. Oggi non puoi più fare una politica industriale se non fare una politica, come posso dire, sul territorio. Vi faccio un altro esempio, non faccio i nomi. Grande azienda manifatturiera di Brescia, familiare, multinazionale, hanno delle tecnologie pazzesche, hanno fatto la più grande macchina di additive manufacturing che esiste nel mondo. Quindi alla fine, chi sa queste cose può capire, dov'è che ha aperto il centro di ricerca, o un centro di ricerca, è l'ha aperto a Milano e non a Brescia, dove mantengono i stabilimenti. Perché? Quale è stato il ragionamento dell'imprenditore? Se io voglio avere talenti che vengono a fare ricerca e innovazione, non posso più prendere dal solo bacino bresciano, devo prendere almeno dal bacino italiano. Però un ragazzo che deve lasciare Napoli, Bari, Palermo, Roma, o un'altra città italiana, andare a Brescia si sentiva un po' costretto, non è che ero proprio attratto. E quindi hanno messo il centro di ricerca a Milano, in questo modo hanno aumentato l'attrattività della proposta. Quindi il talento va nel mondo perché trova delle condizioni migliori. La politica che abbiamo fatto di rientrare ai cervelli un po' sta funzionando. Però i sistemi economici sono aperti, io vado dove mi pagano di più o dove ho trovate delle condizioni migliori. Quindi il tema, alla fine, è moltissimo l'aspetto economico e purtroppo noi non paghiamo ancora abbastanza. Poi le imprese mi diranno che alcune opzioni fiscali sono troppo alto, hanno ragione tutti, però questo è l'effetto. Guardate ragazzi che straordinario potere con il vostro talento avete di poter scegliere dove andare a lavorare, dove andare a vivere. Se uno parla con gli ICCIAR, anche di grandissime aziende, ti dicono che c'è perfino un problema a trovare qualcuno che voglia andare a lavorare magari a Maranello, sebbene sulla rossa più bella del mondo. Perché oggi voi avete le idee chiare sulla qualità della vita, su come avete voglia di vivere e non siete più disposti a fare delle rinunce da questo punto di vista. Quindi cose alte, importanti, dovremmo imparare perché è proprio una rivoluzione di valori. Allora, c'è un'altra domanda, prego. Grazie. Nel frattempo che ascoltavo il vostro discorso ho preparato due parole per avere poi una risposta alla domanda che farò alla fine. Noi sappiamo che il PNRR prevede l'impiego di risorse finanziarie nell'arco degli anni che vanno dal 2021 al 2026 per rilanciare l'economia dopo il Covid. Ma mi domando, dopo il 2026, dove potremmo riperire queste risorse monetarie per finanziare i progetti futuri? L'Italia è molto più ricca di quello che si pensi, anche perché secondo le statistiche è anche il Paese che ha la maggiore evasione fiscale, soprattutto sotto l'aspetto dell'Iva. Allora, questi soldi che vengono nascosti, si parla di tesoreggiamento, come potranno essere utilizzati in futuro? Cioè, il governo sta preparando qualche piano per far uscire queste enormi risparmi che oggi le famiglie tengono nascosti? C'è un progetto futuro dopo il 2026? Perché prima o poi queste risorse dei PNRR finiranno. La domanda è riporta soprattutto a dott. Paolo Casalini. La riflessione è importante. La domanda è pertinente, perché ci sono due tipi di risposte. Noi abbiamo un grande volume di risorse, quelle del PNRR, del 194 miliardi, a cui però abbiamo anche detto si aggiungono altre risorse, non solo le uniche. Quindi l'ammontare di risorse al momento è molto importante e quindi dobbiamo concentrarci sulle execution. Giusto dire e porci il tema di cosa accadrà dopo, perché vorrei rispondere con due stream anche concettuali differenti? Perché, da un lato, in termini di risorse, la prima risposta che darò, la seconda è che riguarda invece le condizioni per la competitività. Forse inizio dalla seconda arriva la prima. Perché quando andiamo presto all'impreso, le imprese vengono da noi. Certo, ci chiedono quali incentivi ci sono, ma non è l'unica domanda e probabilmente non è la più importante. Perché quello che si chiede e su cui bisogna essere molto onesti l'Italia, in alcuni casi, fatica è anche una stabilità di regole, una stabilità di contesto e quindi quello che in termini tecnici si chiama contesto economico favorevole per prosperare. Perché se io arrivo poi e ho una normativa dopo due anni, tu me la cambi, chiaramente io ho fatto, il mio business plan è già accaduto. La seconda condizione per una competitività o attrattività è quello che diceva il professor Manzella, il tema anche del professor Taish, che trovo sul territorio, trovo le competenze, il know-how, la capitale umana giusto, altrimenti non vengo. La terza, l'abbiamo affrontata ieri con i colleghi della provincia di Trento, è la logistica. Trovo le interconnessioni, se mi devo insediare, ora al di là del tema, potrebbe essere uno degli esempi di Intel, ma sono tanti casi, si sceglie nel momento in cui ci sono una serie di condizioni e non sempre la presenza di un incentivo è specialmente per le grandi imprese la cosa più grande, la cosa più importante, ci sono altre condizioni. Quindi secondo me su questo si deve lavorare e, oltre che lavorare, quindi arrivo al secondo, che poi in realtà era la prima parte della risposta, sulla dotazione finanziaria. Allora noi dobbiamo però tenere presente che abbiamo da un lato la politica di coesione, che comunque per l'Italia vale tanto, vale, ora i colleghi della Commissione potranno anche integrare, se a memoria non ricordo tutto, però direi che per l'Italia comunque siamo sui 60-80 miliardi, più o meno di traccofinanziamento nazionale, parte o è 60-80 miliardi, soprattutto con una dimensione anche molto territoriale, perché la politica di coesione è regionalizzata più una componente nazionale. La politica di coesione ha per le sue regole, poiché sta all'interno del bilancio comunitario, un periodo quindi di utilizzo di queste risorse più lungo del PNRR, perché la politica di coesione è 2021-2027, però con la regola, adesso vado un po' sui tecnicismi, dell'N più 2 si può spendere fino al 2029, quindi noi cosa abbiamo? Avremo dei progetti del PNRR che termineranno nel 2026, ma avremo altra progettazione, che dovrebbe essere resa coerente grazie anche alla riforma della coesione, che va su altre fonti finanziarie, e poi abbiamo il bilancio nazionale. Però siccome la domanda è pertinente, qual è lo sforzo che fa l'Italia e farà a partire dall'anno prossimo? Perché l'anno prossimo è l'anno in cui la Commissione è presente al quadro finanziario crudinale. E' cercare di, da un lato, noi sul quadro finanziario, che pensiamo? Primo che va aggregato meglio, è troppo frammentato, ci sono troppi rivoli, quindi non riusciamo a vedere gli effetti, e soprattutto va messo in coerenza col PNRR. La seconda cosa è quanto vale questo quadro finanziario. Deve valere di più perché abbiamo più bisogno di risorse, secondo noi sì. Come si può fare per incrementarlo? E qui apriamo un grandissimo tema, possiamo andare a parlare di risorse proprie per finanziare i beni pubblici europei, non parliamo di debito comune come il PNRR, però prima di parlare di queste cose abbiamo l'onere anche di spendere bene le risorse che abbiamo, altrimenti non avremo titolo a livello europeo a dire questo, perché sappiamo che ci sono invece altri paesi europei, in particolare quelli del nord e anzi atici, che hanno una visione diversa dell'Unione Europea e quindi saranno un po' più resti a incrementare le risorse. Quindi io nel cogliere la domanda, nel dire che è pertinente, dico però lavoriamo su tutte le condizioni di contesto e non ci occupiamo soltanto di quante risorse finanziarie il soggetto pubblico, provincia, regione, comune, stato, può mettere sul mercato perché dobbiamo accompagnare una transizione e non farla tutta con risorse pubbliche. Manzella, siamo su questo tema perché è interessante questo aspetto, noi siamo a cavallo anche di un cambiamento politico, quindi ci sono tante attese anche nei confronti della prossima commissione europea, abbiamo visto l'America fare un grande lavoro con l'Inflation Act che è un grandissimo piano industriale in qualche maniera di attrazione, l'Europa è rimasta indietro invece su quel grande progetto del fondo dei fondi che era un fondo che potesse in qualche maniera accompagnare la riconversione e la trasformazione dell'industria. Ecco, non si fanno le domande politiche e tecniche, però cosa si aspetta il mondo, il vostro mondo, il mondo di chi lavora a fianco in qualche maniera le imprese della politica industriale da questo punto di vista? Dovrà essere un'accelerazione da quel punto di vista? Io dico anche riprendendo i temi che avanzava la persona che è intervenuta prima, quello che si muove nel mondo del pensiero in questo momento, io vedo tante proposte che muovono da un rafforzamento del bilancio europeo, che muovono verso un fondo della sovranità industriale, che muovono verso l'armonizzazione, per arrivare proprio al punto che toccava lui, delle normative in materia fiscale per assicurare omogeneità di trattamento. Evidentemente c'è la questione della Capital Markets Union, che parla molto direttamente a tutte le questioni che sono state sollevate qui. C'è anche la questione, sulla quale in Italia si discute tanto, degli investitori istituzionali, dell'incentivare la loro presenza negli interventi industriali. C'è la questione di rafforzare i mercati alternativi per le piccole e medie imprese. C'è tutta una serie di punti che sono in discussione. Evidentemente, ma è storia dell'ultimo anno e mezzo, l'impostazione della Commissione Europea era l'impostazione di un fondo per la sovranità, che doveva esattamente finanziare investimenti di natura industriale, perché le stime dicono che il gap finanziario è tra i 500 e i 600 miliardi di euro l'anno, rispetto agli investimenti di cui c'è bisogno per coprire tutte le esigenze del sistema industriale europeo. Questo progetto originario molto ambizioso, di cui ha parlato sia la Presidente von der Leyen, ha parlato il Commissario Bretona, ha parlato il Commissario Gentiloni, quindi su cui si registrava una consistente convergenza a livello di Commissione. In questo momento ha avuto una traduzione, che è il programma STEP, che è una tradizione importante, anche nel senso che va proprio nel senso di quello che diceva il direttore Casalino, cioè un maggior coordinamento di tutte le risorse che oggi ci sono, una focalizzazione delle risorse verso le questioni delle tecnologie su cui la Commissione punta, meccanismi di accelerazione, perché è chiaro che una delle questioni amministrative in un momento di rilancio dell'economia è quanto in fretta riesco a mettere le risorse dentro il sistema, quindi si sta muovendo verso questa direzione, e in più dei fondi aggiuntivi, si sta muovendo nella direzione di una maggiore organicità, anche di una maggiore conoscibilità. E' un portale in cui chi ha determinati progetti sa tutto quello che si muove, cioè si cerca di andare verso veramente un coordinamento maggiore di tutto quello che ha a disposizione, e non la sua accelerazione. Significativo che il nome che è stato deciso di dare a questo programma sia STEP, significa scalino, significa passaggio, quindi io l'ho letta, ma qui è Gianpaolo Mazzella che lo legge, come un passaggio verso un rafforzamento della strumentazione finanziaria, strumentazione finanziaria che vede comunque nell'ABEI uno strumento appunto che è a disposizione per queste finalità. Professor Taish, le faccio dire qualcosa, rimangono sempre sul tema della domanda, perché noi abbiamo fiorfiori di PMI, innovative, tecnologiche, di eccellenza, quotate in borsa, eppure non riusciamo a smuovere quei capitali privati di cui parlava il signore, quei risparmi privati, una questione di cultura o una questione di strumenti finanziari secondo lei? A me è una questione di cultura. La PMI italiana è stata una grande risorsa negli anni 60, col boom economico, e noi dobbiamo ancora ringraziare quegli imprenditori che si sono buttati con grande dedizione, questo è un territorio che ha vissuto, è stato un protagonista di quel boom economico. Oggi la PMI italiana diventa il freno in realtà allo sviluppo e al mantenimento della competitività dell'Italia a livello europeo, a livello internazionale, per una serie di ragioni. Uno è una questione anagrafica, è un'unica. L'imprenditore degli anni 60-70 è ancora lì, l'imprenditore è stato un genio in quegli anni, non ha capito, un po' per presunzione, un po' per competenze. La comprensione dell'impatto di queste tecnologie digitali, se non sei proprio dentro, è difficile da capire. La prima volta che mi hanno spiegato il cloud, non penso di essere proprio lontano dalle tecnologie digitali, la prima volta che mi hanno spiegato il cloud io non l'ho capito. Cosa vuol dire che la mia email non sta più nella RAM, nella memoria del mio portatile, che mi portavo in vacanza perché la email era lì e stava da qualche altra parte? Non lo capisco. Lì c'è un tema culturale, quindi non c'è la comprensione dell'evoluzione tecnologica e quindi c'è un tema di difficoltà di investimento o di comprensione della necessità di avere degli investimenti e di aprirsi. C'è un tema di gelosia, ancora non si è capito che uno più uno, quando tu fai business non fa due, fa tre. E quindi un tema di mettersi insieme per far crescere la dimensione aziendale. Se cresci la dimensione aziendale attiri più capitali e quindi poi diventi più competitivo, se cresci la dimensione aziendale attiri le persone più interessanti perché con tutta la simpatia che io posso avere per una piccola media impresa, ma se sono bravo, ho un talento eccetera, voglio crescere. E quindi la dimensione oggi sta diventando il vero limite all'aumento della produttività del nostro paese, non è una questione di strumenti, è una questione di approccio culturale. C'è un'altra domanda? Lascerei spazio a un ragazzo, chiedo scusa, poi magari ci sarà modo in conclusione di un ulteriore confronto. Grazie, buongiorno. Io pongo la domanda, poi non so quale dei relatori voglia rispondere. Si è parlato di microchips come una tecnologia fondamentale soprattutto nell'ottica delle transizioni verdi e digitali, ma poi credo che la mia domanda sia valida anche per altri settori. In particolare mi chiedo, in questo campo quale deve essere la strategia dell'Europa, muovendosi nel solco dell'autonomia strategica e nel più ampio contesto della competizione internazionale? Credete sia veramente possibile ottenere anche una competenza manifatturiera tramite reshoring? Oppure ci si dovrà concentrare solo su alcuni snodi cruciali? E ciò sarebbe sufficiente in caso? Concentrandoci per esempio solamente sul design o sulla ricerca. Grazie. Sicuramente la strategia europea sui chips è molto chiara, nel senso che ci sono degli obiettivi quantitativi di produzione di chips da raggiungere ed è chiaramente il risultato di un'azione che si fa su diversi snodi di quelli che lei ha detto, sulla produzione, sul design, sulla scelta dei settori strategici su cui stare. Quindi è una scelta di politica industriale molto chiara, quella dei conduttori è un'area determinante e noi vogliamo starci con dei punti evidentemente di forza, perché se lei ci pensa le macchine più avanzate per costruire i chips sono europee e per testarli sono localizzate. Ma noi siamo dal punto di vista della capacità, sicuramente una grandissima realtà. E' anche il caso che per esempio la BEI ha sostenuto, la STM Electronic a Catania, che quindi unisce sia l'aspetto della competità sia quello della coesione, perché è localizzato a Catania, è uno di quei progetti che ha la possibilità di avere degli aiuti di Stato per il grado di innovatività. Si chiama First of a Kind, cioè l'Europa sceglie di scommettere su progetti di avanguardia che aprono altri mercati, quindi la mia risposta è che l'intenzione dell'Europa è stare all'avanguardia nella ricerca, nella produzione, nel design. Interessante. Non è la chiusura rispetto all'esterno, è la reciprocità, che è qualcosa di molto diverso, come notiamo adesso nel settore automotive o su altri. L'Unione Europea, come già stato citato, ha e anche gli Stati membri, due o tre strade che vanno a seconda del settore percorsi assieme, perché in alcuni settori dobbiamo crearla ex novo, la filiera strategica, in altri dobbiamo rafforzarla, in altri... Dobbiamo difendere la forza. Magari difendere. Quindi noi abbiamo strumenti tipo gli utili di Stato, tipo l'IPCE, i grandi progetti di Comune Interesse Europeo, che ci aiutano per fare determinate cose. Il reshoring, dove è opportuno ma non potrà valere per tutto. Il terzo strumento, in alcuni casi, sono le cooperazioni, le joint ventures, non dobbiamo avere paura, dobbiamo semplicemente pesarle bene e, come dire, fare cooperazione, come stanno dimostrando i casi dell'Italia, della Francia, il caso dell'automotive, con per esempio società cinesi che sono più avanti di noi, non è nulla di preoccupante, a patto che ci siano le giuste regole e che quindi non ci sia un travaso di tecnologia. Ma in questo caso, nell'attesa di creare filiere strategiche europee forti, non possiamo fare a meno di alcune cooperazioni, perché altrimenti rimarremo indietro. Una domanda, una risposta al volo, se riesce, riusciremo a inventarci qualcosa di innovativo nel campo delle batterie, nel campo dei chips secondo lei? Faremo Leonardo anche stavolta, ci riuscirà? Non è necessario fare Leonardo, in realtà sarebbe già molto riuscire ad essere indipendenti da quello che sono gli altri. Avete visto ieri quando la Cina che ha messo un po' di navi, un po' di aerei, è tornata a Taiwan, voglio dire, cominciamo a smarcarci da certi paesi e cominciamo a produrre i chip, poi alla fine siamo capaci di farlo. Ci sono qualche altra domanda? Mi intervento più che altro sul sorco di quello precedente, ma essendo più specifico e preciso. Ho parlato del paradigma della sostenibilità come la base per tutte le scelte future, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista anche delle scelte politiche. Qualche mi chiedevo è, bastano soltanto le intenzioni delle istituzioni accademiche, delle rappresentanti delle istituzioni politiche e quelle finanziarie rispetto alla costruzione dei microchip, oppure, prendo il riferimento, i pannelli voto foltaici che sono stati prima menzionati, con il trattamento delle terre rare e quindi dell'impatto inquinante, dell'impatto ambientale poco sostenibile dal punto di vista economico per la realizzazione. Considerato anche che un contesto ed è un apparato economico, tra l'altro lasciato ai competitor sia dell'Unione Europea che degli Stati Uniti. Sono sufficienti soltanto le intenzioni oppure vi è un modello che possa giustificare eventualmente anche la realizzazione di una presa in carico di quello che effettivamente è l'impatto ambientale pur di riuscire a essere competitivi rispetto ai Paesi in via sviluppo e alle grandi economie che di fatto saranno i grandi competitor futuri. Io penso che al di là di comparazioni tra i vari continenti il modello di sviluppo, di produzione che l'Unione Europea promuove, che quindi gli Stati membri attuano, sia un modello sostenibile. Per fare solo un esempio, noi abbiamo parlato di PNR e di politica di coesione. In questi due strumenti non si può finanziare nessun progetto che non sia conforme a un principio che si chiama DNSH ma che per essere molto onesti deriva dagli ESG, quindi dagli standard ambientali, sociali ed economici. Non posso finanziare l'installazione di un grande server, un grande datacenter, che sappiamo essere energivoro, almeno che non abbia determinati requisiti specifici. Quindi questo è stato un grande salto di qualità. Per noi pubblici e amministrazioni doverlo applicare. Un attimo qualche parola così non tanto piacevole contro questo principio scappa nel compilare tutte le check list. Quindi lo diciamo ai colleghi di Brusell. Però in realtà questo ci garantisce che noi andiamo a finanziare investimenti sostenibili. Quindi il quadro della sostenibilità c'è quantomeno quando applichiamo risorse europee. Il principio sta passando anche per le cose finanziarie sul bilancio dello Stato, anche se ci sta mettendo un po' di più. Ma in questo momento essendo il PNR e la coesione, le due grandi basket, su questo almeno in Europa quello che fanno gli altri è il tema della reciprocità. Non lo sappiamo, anzi lo sappiamo e non lo condividiamo, ma in casa d'altri non possiamo intervenire. Per definizione le intenzioni non bastano mai. È chiaramente un quadro di una complessità, per i punti che lei ha toccato, enorme, perché lei ha parlato di produzione di materie prime, cioè di assicurare la complessità del sistema nel suo complesso. Io devo dirle che vedo che una grande forza in questa direzione è proprio la forza dei consumatori, cioè sempre di più le popolazioni chiedono di conoscere, di sapere, di avere la tracciabilità di quello che consumano, ecc. Noi come Banca Europea siamo una banca A che rispetto alle proprie erogazioni controlla sempre tutte le dispettosità con le regole sull'ambiente. E poi mi lasci dire che siamo i primi promotori dei green bond, cioè quelle emissioni sul mercato di obbligazioni che parlano proprio ai consumatori e dicono guarda se tu mi dai le risorse, io queste risorse ti garantisco che le metto sempre in investimenti verdi. Ecco un esempio di quello che un'istituzione europea fa per creare un nuovo mercato che fa proprio leva su questo cambiamento dello sguardo dei consumatori. Che sullecita anche il mondo dei risparmi. E sullecita il mondo dei risparmi, ma che sono poi singoli consumatori che dicono bene io do risorse qui perché mi garantisce che queste risorse sono investite secondo i criteri di sostenibilità. Mi ha anticipato, il grande cambiamento è la forza dei consumatori e la consapevolezza dei consumatori. Una volta la sostenibilità era top down, il governo decideva che dopo passare dall'euro 2 all'euro 3 all'euro 4 imponeva con delle regolamentazioni dei comportamenti. Oggi la prospettiva è completamente invertita, è tirata dal mercato e questa è la più grande forza che farà innescare dei cambiamenti nelle imprese che investiranno in tecnologie, prodotti nuovi, prodotti verdi, che avranno bisogno dei capitali. Quindi andranno a prendersi i capitali verdi e quindi questo è il modo migliore per arrivare molto più velocemente di quello che abbiamo fatto fino ad adesso, una sostenibilità completa, vera, reale. Bene, io vi ringrazio tutti, so che ci sarà qualche altra curiosità ma magari fermateli prima che vadano via così vi togliete anche le vostre ultime curiosità. Grazie davvero a tutti, grazie ragazzi siete stati attentissimi e bravissimi. Grazie, a presto. Grazie a tutti. Grazie a tutti. Grazie a tutti. Grazie a tutti.
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