Un mondo a pezzi, saprà ritrovare la bussola?
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Un mondo a pezzi, saprà ritrovare la bussola?
Zuppi discute le numerose crisi globali, tra cui guerre, migrazioni e cambiamenti climatici, riflettendo sulla necessità di cooperazione internazionale e di un approccio etico alle sfide moderne, facendo riferimento alle sue esperienze di mediazione per la pace, in particolare in Mozambico e Ucraina. L'intervista tocca anche temi cruciali come l'intelligenza artificiale, la politica e il ruolo della Chiesa nella società contemporanea.
Buonasera, grazie innanzitutto da parte mia, del presidente Garrone e del direttore Tamburini. Il cardenale Zuppi è venuto in Trentino, nonostante che ha sempre settimane molto piene, ma questa settimana era particolarmente piena. Non era la settimana bianca, ma la settimana in cui ha presieduto l'assemblea generale della conferenza episcopale italiana, la CEI. Questo ci aiuta anche ad aggiungere altra carne al fuoco. Non ha bisogno il cardenale Zuppi di introduzione, ma voglio dare qualche data. Ci sono molti giovani in sala e può essere utile anche per loro. Nasce a Roma nel 1955, quindi è molto giovane. Ordinato sacerrote dell'81. Giovane e giovane, mi tengo accrappato ai 60 ancora per un pochino. Sacerrote dell'81, dal 2000 al 2012 assistente ecclesiastico della comunità di Sant'Egidio, con la quale ha fatto cose straordinarie. E parleremo anche, ha raggiunto la pace in diversi posti. Nel 2012 Papa Benedetto XVI lo nomina vescovo, a usurre di area di Roma. Nel 2015 Papa Francesco lo nomina arcivescovo di Bologna. Nel 2019, il 5 ottobre, Papa Francesco lo crea cardinale. E il 24 maggio del 2022 diventa presidente della conferenza episcopale italiana. Siamo molto felici di averla qui con noi. Abbiamo dato insieme al direttore Fabio Tamburini, abbiamo pensato a questo titolo, Un mondo a pezzi saprà ritrovare la bussola. Allora vorrei proprio cominciare dalla prima parte del titolo, il mondo a pezzi. Il mondo sembra veramente andare in pezzi. Il numero di conflitti e di guerre, ho guardato qualche studio che ci dice che nel 2023, rispetto a tre anni prima, ci sono più 40% di guerre nel mondo. Una persona sul sé nel mondo vive in aree di conflitti attivi. Il titolo del festival è Quo Vadis, dove stiamo andando? Il mondo sta andando veramente in pezzi, su Eminenza? Un po' già era molto a pezzi. E purtroppo, così la colla o l'idea di mettere l'insieme, di pensare l'insieme, che è indispensabile, perché purtroppo l'illusione dei pezzi è come la stessa illusione dell'individualismo. Cioè, pensarsi un'isola. E che è ovvio che non ti capisci senza, se non capisci il resto. Questo sarebbe anche un po' difficile. Questo sarebbe anche un po' di buon senso. Per certi versi è anche ovvio. In realtà non lo è, tant'è vero che ogni tanto ci stupiamo che o, ma davvero, stiamo sulla stessa barca? Che dici, che insomma, tendenzialmente, sarebbe molto più preoccupante il fatto che uno pensa che non stiamo sulla stessa barca. Quindi, molte volte era già tanto a pezzi, uno coltiva soltanto il suo, con un malsano rapporto col territorio. Perché è chiaro che il territorio e l'identità è fondamentale, perché è il tuo, dove grasi, dove vivi, dove ti pensi. Ma se questo diventa escludere il resto, o ridurre il resto, soltanto il rapporto a quel pezzetto che vivi tu, al giardino che vivi tu, e non capisci il giardino, non capisci quello che sei. Quindi il mondo a pezzi, un po' sì, e in più c'è la, come dire, tanta guerra che ulteriormente contrappone i vari... che crea tanti pezzi in più e che contrappone i pezzi. Quando Papa Francesco, diversi anni fa, disse la guerra mondiale a pezzi, sembrava in fondo un po' una certa esagerazione, perché diceva, ma a me che importa di... Invece l'intuizione era che ogni pezzo era una pandemia. Lo abbiamo capito con la pandemia, o perlomeno l'iperia l'abbiamo un po' capito, cioè che la variante sudafricana in realtà arriva pure rapidissimamente in Europa, arriva pure a Granaglione, dove sta un paesino che sta sull'Appendino bellissimo, peraltro che sta sull'Appendino bolognese. Ecco, ho l'impressione che il rischio è che questi pezzi si possono unire, purtroppo non nella difesa della Casa Comune, non nel pensarsi insieme, ma si possono unire perché tra volte dalla guerra. Quindi ha maggior ragione. Affrontiamo il cuovadis, la domanda è giustissima. Ecco, però, amico, non abbiamo proprio imparato nulla dalla storia. In fondo, se guardiamo la nostra storia dell'umanità, a momenti di grande apertura, di prosperità, in cui c'erano commerci, circolazioni di persone, sono seguiti sempre poi momenti di chiusura, di barriere. Oggi stanno tornando le barriere, non solo commerciali, non solo il movimento delle persone. Sono sempre seguiti e spesso queste seconde fasi di chiusura hanno portato caos, hanno portato guerre. Non abbiamo imparato proprio nulla dalla storia. Siamo nella stessa barca, ma sembra che non sia chiaro a tutti. Devo dire purtroppo di no. Cioè, la storia è una grande maestra, non c'è dubbio. Forse siamo noi degli alunni un po' così, che a volte pensiamo di sapere più della storia, per cui la frequentiamo poco. Pensiamo anche un po' stolidamente che tutto comincia con quello che vivo io. Capiamo poco le radici. Sciupiamo anche l'opportunità di consapevolezza. Quella che appunto hai appena finito di dire, per cui dice Caspina, quella grande consapevolezza che c'è stata nel Covid, nel male ma anche nel bene, nel come affrontarlo. Qualche volta ci si ritorna facilmente a pensarsi in maniera contraposta, senza gli altri o addirittura contro gli altri. Nel Quo Vadis dobbiamo ricordarci sempre, se non sai bene dove andare, ricorda di per lo meno da dove arrivi. La mia paura, giungo a piccolissima cosa, è che purtroppo le capiamo quando andiamo a sbattere. Forse dovremmo finalmente non aspettare di prendere le botte, o che debba morire tanta gente in più. L'uomo che ha cantato questo, quasi 60 anni fa, quante palle di cannone ci devono essere per imparare a vivere, oppure quell'altro che cantava quando è che l'uomo imparerà a vivere senza ammazzare. Se ci fermiamo prima e traiamo la consapevolezza di quello che l'hanno fatto, l'Europa è come nata da questo, la nostra convivenza nasce da quella sofferenza, dalla lotta contro l'ideologia, il nazismo e il fascismo. Dimenticarci rischia che dobbiamo decidere senza andare a sbattere, anche per non andare a sbattere. Vorrei parlare della missione di pace in Ucraina. Il Papa le ha dato questo incarico diversi mesi fa, di cercare di trovare uno spiraglio. Ha incontrato il presidente Biden a casa bianca, ha incontrato il presidente Zelensky in Ucraina, a Kiev, è nato a Pechino, dove ha incontrato un rappresentante di CCP, a Mosca un rappresentante di Putin, è il consigliere diplomatico, ha incontrato, mi interessa molto anche, l'incontro con il patriarca, con Kirill, che è una operazione quantomeno controversa su questa guerra. Intanto il fatto stesso che forse la missione più significativa su questa terribile guerra sia stata fatta dal Papa, da lei, purtroppo conferma che l'ONU e le istituzioni internazionali sono in crisi, perché l'ONU è abbastanza assente. L'approccio a me sembrava quello perfetto, non si andava lì cercando di mediare per la pace, ma di far ritornare alcuni dei bambini che sono stati proprio... come dire... ricongiungere come i bambini, sono stati rapiti. L'avvenire, ho trovato uno straccio dell'avvenire del 21 gennaio 2024 che scriveva almeno 20.000 bambini sono stati deportati, prese i genitori, preelevati nei convitti, deportati in campi di reeducazione, sono costretti a diventare cittadini russi. Lo spiraglio era cercare di trovare una soluzione su quello, per cominciare a parlare, che è il modo in cui... per quello che ci può dire naturalmente, come sono andati questi collochi, ma soprattutto mi interessa, quando parlavano questi leader, ha visto nei loro occhi la scintilla, la voglia della pace, la volontà, il desiderio di trovare... oppure alla fine non c'era nulla di questo, perché quando siano questi incontri personali si conoscono anche le persone, si vede in faccia, c'è un minimo di speranza? C'è sempre, perché qualche volta è molto sepolta, è sepolta dall'adrenalina dello scontro, è sepolta dalla logica terribile della guerra, perché non è che la guerra è una follia, poi è la follia, perché è sempre una follia, ma purtroppo è una logica, come abbiamo visto, che è una follia, perché è sempre una follia, e purtroppo è una logica, come abbiamo visto anche in tutti i conflitti, in realtà in molti casi annunciati, in molti casi in cui tanti segnali che, diciamo così, abbiamo osservato, magari qualche volta anche con qualche preoccupazione, però poi con l'idea, insomma, poi si vedrà, ecco, poi non si vede, cioè in realtà dobbiamo anticipare per lo meno le risposte e la compattezza delle risposte. Per cui per me certo che c'è, molte volte è tanto sepolta perché soprattutto poi quando è in corso, tanto più un anno fa, ma ancora adesso forse comincia ad esserci più consapevolezza che per terminare la guerra bisogna negoziare quello che il Papa Francesco ha detto fino all'inizio e che sembrava appunto non capire le ragioni, mentre deve essere, proprio, risolvere le ragioni ma non con le armi. Questa è la consapevolezza di chi ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale. Questa è la consapevolezza da cui è nato l'ONU, per esempio, che era quella, diciamo, l'ONU è l'espressione più alta della seconda parte dell'Articolo 11 della Costituzione Italiana in cui c'è il ribudio della guerra che vale tuttora, il ribudio della guerra, che quindi con quello che comporta altro discorso il discorso della legittima difesa, eccetera, eccetera, ma la seconda parte è quella che dà vita all'ONU e anche ad altro, no? Per cui una sovranità che permetta di risolvere i conflitti. Quindi non è, diciamo, prenderci quello che capi e al certo punto quindi, però, solamente sventere la pace, ma non accettare, rifiutare, che la guerra sia il modo con cui risolvi i conflitti. La guerra c'è, purtroppo, con responsabili, con aggressori, aggredito, nessuno... è ovvio questo, no? Che devi partire anche da questo, ma comunque devi pensare che ci deve essere un modo, dobbiamo trovare i modi per risolverlo, per arrivare sempre a una pace che sia giusta e sicura. Ecco, lì. Per quello che ci vuoi dire, l'incontro con Kirill, cioè un uomo di Chiesa che però ha, praticamente, ha sostenuto l'invasione dell'Ucraina, come è andato questo incontro? Eh... Dunque, la cosa... Mi parli di due cose. Una è, per esempio, qualcuno me l'ha detto, no? Ma tu vai a parlare con quello, no? Sì. E che fai, la pace? La fai con chi è coinvolto, con tutti gli attori e cerchi, anzi, di riuscire a parlare con tutti quanti gli attori, devi farlo ricordando la logica del conflitto e provando a capire e entrando dentro e cominciando a riaprire degli spazi. Questo, sicuramente, cioè... E' una ragione. Quelle cose che ci crediamo così poco al parlare e al dialogo, questo lo dicevano anche del nostro Signore, quello andava a parlare con i pubblicani e con la, se fatto pubblicano, lo vedi, che non capisce? Questo l'hanno detto anche a me, che è anche facile perché, insomma, o che non capisce, oppure che complice. Ma quello, vedi, non si rende conto che è un pubblicano, non si rende conto che è una prostituta, lo vedi che non è un profeta? Oppure complice, quelli che piacciono ai pubblicani. Lo dicevano di San Francesco, sempre salvando le proporzioni, ovviamente, cioè che quello andava a parlare con il lupo, gli abitanti di Cubbio dicevano quello, o è complice del lupo o non si rende conto che quello muzzica. C'è una cosa che si è fatta, che si è fatta perché l'hanno tolto, aveva ammazzato il gallino e i uomini, ma ci andava a parlare proprio per questo, perché smettesse. Quindi bisogna entrare però nella logica, in tutto quello che giustifica o che pensano che giustifichi il conflitto. Il solamento non conviene mai, penso. Certamente, ma dall'altra parte bisogna trovare la via della competizione. Quello che lei ha fatto molto bene in Mozambico, perché uno dei motivi per cui Maggio non il Papa gli ha dato questo incarico... Non lo ho capito. Il motivo, penso, che sia del fatto che in diverse circostanze, ma la più interessante è quella del Mozambico, dove dopo 17 anni lì non era il cardinale Matteo Zubi, ma dove Matteo Zubi era Don Matteo, prete di Sant'Egidio insieme alla comunità di Sant'Egidio, che ha mediato e dopo 17 anni di guerrilia, che ha provocato migliaia di morti, milioni di profughi, in Mozambico è riuscito. Tra l'altro il 4 ottobre del 92 giorno di San Francesco. Casualmente, perché in realtà la pace doveva essere firmata. Avete firmato la pace. Il primo ottobre doveva essere la deadline. Poi è scivolato sul 4, non scelto da noi, ma eravamo evidentemente molto contenti di metterla sotto lo spiccio di San Francesco. La cosa interessante, a mio opinione, della pace in Mozambico è la formula. È indubbiamente il fatto, dopo tanti anni, che vuol dire che la pace è possibile. Che davvero penso sia l'unico motivo per cui ha pensato sempre in collaborazione con la serie Dei Salo. C'erano tutte le letture. Anzi, in piena collaborazione. Qualcosa si aggiunge, ovviamente che non toglie nulla, ma che aggiunge. La formula, perché? Perché la formula della pace in Mozambico era una formula strana, stranissima. Perché c'era un rappresentante del governo italiano che penso, tra l'altro, io non vedo un tubo da qua, ma potrebbe essere qui, perché di Trento Mario Raffelli, che era il rappresentante del governo italiano, c'era appunto il presidente della comunità. Allora l'iniziatore della comunità, André Riccardi, c'era io e poi c'era un visco Mozambicano. Per te al dentro, un po' la chiesa Mozambicana e soprattutto che era importante per dare sicurezza alla parte che aveva più diffidenza, che era la guerriglia. La cosa della formula, cioè un governo, una realtà non governamentale, non istituzionale, la giovane Sattegirio, come si può definire di tanti modi, ma certamente... E direi la sensibilità della chiesa Mozambicana. Questa formula, Butroskali disse, è una formula italiana in cui c'è l'istituzionale e il non istituzionale, il formale e l'informale, che poi è il motivo per cui sono iniziati i negoziati a Roma. Mario Raffelli si ricorda sicuramente che i collochi cominciarono a luglio del 1990. E poi con una certa euforia, forse, dicevamo, ma per Natale è fatta. Ecco, abbiamo sbagliato l'anno però. Perché... Dopodiché noi che eravamo all'inizio soltanto di facilitatori, a un certo punto loro si chiedessero, allora negoziamo, ci servono dei negoziatori, cominciavano a discutere, ad annullare l'uno e l'altro, e quella formula italiana è diventata effettivamente la capacità anche di tirar dentro, per esempio, negli ultimi mesi, parte della comunità internazionale e l'ONU stessa, e quindi non avrebbero dovuto garantire. Credo che la formula, che non è una formula, diciamo così, da applicare, si applica, ma il metodo, diciamo, di... Direi quello senz'altro. Ma è direttamente una cosa, il garantire, perché non solo avete, dopo 17 anni di guerre, riusciti a far raggiungere un accordo di pace, ma non è la ricetta per rendere la pace durata, perché, io leggevo, hanno consegnato ai guerriglieri le armi alle forze dell'ONU, che naturalmente è stata coinvolta, però avete, insomma, hanno integrato gli ex guerriglieri poi nell'esercito regolare, anche se poi ci sono stati qualche problema, però in modo da ridurre le divisioni, e ci sono state procedure di sminamento e di pacificazione delle zone rurali, quindi tornare a lavorare, a coltivare. Quindi questa era un po' la ricetta per poi far durare la pace, perché sennò continuano le divisioni. Ecco, c'è qualche lezione che possiamo imparare? Che la comità internazionale non può stare a guardare. Oppure che la comità internazionale ha una responsabilità. Manca il terza attore. C'è poco da fare. E dove il terza attore deve anche accordarsi. Io penso nel trovare un quadro che deve essere necessariamente nuovo, anche perché purtroppo, sull'Ucraina e la Russia, in realtà c'è un elemento peggiorativo, che è il fallimento dell'accordo di Minsk. È un elemento peggiorativo, perché, come dire, come ti prendi la malattia, la terapia non funziona, quindi ti diventa ancora più difficile poi trovare delle terapie che funzionino, visto che appunto quelli degli accordi di Minsk non hanno funzionato. In questo c'è una responsabilità comune internazionale e quindi delle strutture sovranazionali che possano garantire a tutte le parti, alle due parti, che la pace non sia la resa. Questo è il noto. Penso che la grande forza della pace è la velocità di un'unità, perché se c'è un'unità, per certi vizi si perdono tutti o vinciamo tutti, e si vince e si perde assieme, quindi qualcuno perde per poi vincere. Però deve essere certamente giusta e sicura. La sicurezza è data sempre dal... Per esempio, perché invitamolo all'ONU durante gli ultimi mesi? Perché doveva applicare. Se non si deve dare ragione, è il governo. Perché quelli si sa, il governo è ben visto, poi il governo ci vedono tutti male, siamo quelli a colpa nostra, siamo i banditi armati. Se uno fa il fallo, è colpa nostra. Dice, no, quindi noi vogliamo un arbitro arbitro. E l'arbitro ci deve stare subito. In effetti, doveva essere in Mozambico il 5 ottobre. Anzi, no, forse c'era un mese di tempo, ecc. In realtà è arrivato a maggiore, tra l'altro con una grossa presenza italiana e con il comandante che era... Quello che presideva tutta l'operazione dell'ONU era proprio per scelta dell'ONU stessa, proprio un italiano come continuazione del ruolo del nostro paese nella pacificazione. I modi possono essere tanti. Ed è indispensabile davvero che il ruolo della comunità internazionale nel cercare assieme dovrebbe essere davvero la consapevolezza di tutti. Perché l'incendio è un incendio che... A un certo punto rischia che nessuno lo controlla più. La consapevolezza di quelli che hanno vissuto la Seconda Guerra Mondiale era la terza sarà l'ultima. Non dobbiamo perderla. E soprattutto dobbiamo capirlo prima che ci sia. Questa consapevolezza un po' diceva che metti paura. La paura fa decidere cose. Dipende da cosa fai con la paura. Se fai come uno strutzo, non vai molto lontano. Se stacchi, l'allarme è ancora più pericoloso. Come faccio io quando la sveglia la mattina. Penso che il problema della sveglia non è che mi debba alzare, ma che sta a fare? Suona. L'impressione è che anche noi qualche volta stacchiamo la sveglia. Anche io ho l'impressione che ci sia... Abbiamo due guerre in casa, un numero di inconflitti nel mondo, la Terza Guerra Mondiale a pezzi. Però mi sembra molto diffuso un sentimento... Abbiamo staccato la spina di assuefazione, quasi di apatia, di indifferenza. La politica forse strumentalizza. Ma le persone sono sempre più indifferenti, vanno avanti con la loro vita. Questo è forse preoccupante. Perché ci stiamo abituando. Purtroppo molte guerre si sono già cronicizzate. Perché si cronicizzano? Perché poi preferiamo qualche cura pallativa piuttosto che qualche... In alcuni casi le cure palliative sono importanti, perché quando non trovi delle soluzioni, comunque perlomeno... E però non devi dimenticare che è palliativa. Se poi le cure palliative durano troppo, si passa alla situazione profonda. Non si ritorna altrimenti. E' pericoloso. E molti conflitti si stanno cronicizzando. Quindi è chiaro che c'è il rischio a un certo punto... L'uomo si abitua a tutto. Il rischio che ci abituiamo anche a questo è molto pericoloso. Credo che a maggior ragione... Lì, per esempio, Papa Francesco è un esempio di insistenza. Lui ripete continuamente che bisogna essere creativi. Sarebbe sempre in venta di quello che ti pare. Per questo forse il monsambico è inventarsi. Quando andò in Ungheria, si pose a tutti, a sé stesso in primo luogo, del motivo per cui fatti tutto e agli altri due domande. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo? Uno. E secondo, dove è finita la pace creativa? Cioè... Purtroppo spesso la politica è molto legata al contingente. Purtroppo molte volte diventa politica interna. Per cui faccio o non faccio, non a seconda di quello che è utile per risolvere il problema, quindi è chiaro che non si va troppo lontano e la comunità internazionale si indebolisce. Ancora uno spunto, una domanda sulla pace, sulla guerra, sui conflitti. Poi parliamo anche di altri temi. Ci sono molti giovani in sala che vogliono sentire parlare anche di ambiente, di intelligenza artificiale e di tanti altri temi. Questi conflitti, la guerra e la religione, sono un'intera partita. In effetti c'è una componente religiosa, nel senso che nella guerra in Ucraina, nel Medio Oriente, anche all'interno dell'Islam tra i Scini dei Sunniti. Però la sensazione è che nel corso della storia la regione è sempre stata usata un po' come alibi per fare le guerre. Questo intreccio un po' perverso tra guerra e religione, ma raramente lo è. In Europa ci siamo ammazzati fino a 80 anni fa e non rendiamo la pace una tregua. Perché non diventi di nuovo una tregua per cui ritorna in fondo il tragico, se vuoi, la pace e prepara la guerra. Dobbiamo fare di tutto, perché ci siano gli strumenti, perché la pace difenda se stessa. Dobbiamo fare un po' di manutenzione. Ci siamo ammazzati tra cristiani, tra cattolici. Dico vero, da queste parti, tragicamente dobbiamo ricordarlo di come tra cattolici il Papa Benedetto XV, da cui il Papa Benedetto XVI ha preso il nome, nel 1917 disse, prendendosi calci da tutti, che il Papa Benedetto XVI era il santo di Ciro, che era un traditore, nella mia precedente città avrebbero detto un infame, perché ha detto che la guerra era un'inutile strage. E quindi togliendo tutta la motivazione che in qualche modo... Peraltro molti conflitti sono tra musulmani, può esserci la differenza tra citi e sunniti, ma tra musulmani, ma non è un conflitto che non è un conflitto che non è un conflitto tra città e sunniti, ma tra musulmani, il conflitto dell'Ucraina è... In questo credo che dobbiamo davvero non disperdere anzi far crescere ulteriormente il dialogo tra le religioni. Perché dalla 1986, quando, con molto coraggio, San Giovanni Paolo II qualcuno se lo ricorda che c'era, chi è che è più giovane lo può andare a vedere, era una cosa spettacolare, no? C'erano tutti i leader religiosi, compresi gli indiani delle riserbe, i militarnici con le penne, col canumetto, oppure c'era il Dalai Lama, c'era il patiarca di Genusalem, c'era il direttore di Al-Azhar, le autorità più importanti del musulmane, per pregare insieme per la pace e da quello è nato il cosiddetto spirito di Assisi, cioè il dialogo tra le regioni, per dire che le regioni non possono essere usate per giustificare la guerra. Poi è chiaro che il rapporto delle regioni e il nazionalismo è un'altra cosa a mio padere, però forse dobbiamo, è un altro dei pezzi di una buona manutenzione della pace, continuare a far crescere il dialogo tra le regioni, perché le regioni non solo non siano utilizzate ma possono essere motivo di prevenzione e di risoluzione dei conflitti. Parliamo di un tema che le sta molto a cuore, su cui è intervenuto tante volte l'immigrazione, le guerre provocano flussi purtroppo di profughi. Un tema che suscita da una parte all'altra grande emozione, che è la politica spesso cavalca. Lei ha ribadito in un'intervista qualche tempo fa che la posizione della Chiesa non è quella del dentro tutti, non è anche quella del fuori tutti, è quella del si devono salvare tutti, perché sappiamo che il Mediterraneo non è un cittadino, è un cittadino, come si fa però a San Mario? E' un tema complicato, è difficile deducere, in Europa c'è un tema molto delicato, negli Stati Uniti è un tema che potrebbe anche decidere un diverso tipo, il bordo con il Mexico, le prossime elezioni, è un tema complesso e soprattutto vorrei chiederle come è il rapporto dell'ACEI che le presiede con il nostro governo su questo specifico tema, poi parliamo anche di altri temi interni, ma su questo tema che a lei sta a cuore, che è particolarmente delicato. Sta a cuore perché c'è di mezzo la vita delle persone, la Chiesa non fa politica, qualcuno che la attribuisce, qualcuno immediatamente pensa che eccetera, la Chiesa non fa politica, ma che si ispira e ricorda tutti il perché far politica ai cristiani in primo luogo, ma a tutti quanti, dell'importanza della politica, quindi del perché farla. Pappo Francesca, tu nell'ultimo documento fratelli tutti parla dell'amore politico, fa bene all'amore perché vuol dire che l'amore non è soltanto vogliamoci bene, ma vuol dire anche scegliere, impegnarsi, pensare, progettare, giocarsela, non è appunto, però anche la politica, se non è amore diventa interesse, però interesse di chi? Questo è il problema, sarebbe il bene comune, questa è una parola che è usata con molta castità perché quando certe cose vengono abusate poi in un certo punto non significano più niente. Sulle migrazioni, quindi usciamo dalle polarizzazioni, che purtroppo provocano una non comprensione del problema, anzi una deformazione del problema, amplificazione o minimalizzazione, e anche una non responsabilità perché il problema c'è da 40 anni, ora è chiaro che è un problema enorme, difficile, figuriamoci eccetera, però che, questo è un problema che quindi che coinvolge tutti da 40 anni a questa parte, tutte le risposte più delle volte sono state molto opportunistiche, diciamo così, più muscolari che di reale comprensione e quindi di risposta, più di pancia che di testa e di cuore, direi, e quindi è pericolosa perché non rispondi, non lo capisci, e poi dobbiamo uscire da una... quindi uscendo dal tutto dentro e tutto fuori, da un... come si deve combattere l'illegalità, bisogna combattere l'illegalità, e l'unico modo è quello della legalità, i corridoi umanitari che all'inizio i primi sono stati, non dico, ma fa piacere anche, i miei amici da Cuvina di Sant'Egidio, e poi sono tanti l'hanno dal porto avanti, sono diventati per esempio corridoi universitari, sono diventati corridoi di lavoro, sostanzialmente sono i flussi di per sé poi in grande, cioè di provare a... e poi di aiutare a restare, dove aiutare a restare vuol dire un grande impegno, perché se non c'ho niente scappo, non c'è niente da fare, se le conseguenze delle guerre, faccio qualunque cosa, quando Paolo Francesco gli chiama i lottatori di speranza, perché affrontare quelle cose vuol dire che tu hai una passione, una voglia di arrivare a qualcosa, che lo puoi spiegare solo, perché non è che dici solo diversi vedi che ti vado a fare una passeggiata, è solo perché non hai altro, perché scappi dalla fame, è chiaro che vado a cercare qualche cosa, ecco, mi le dovevo andare per il rapporto con il governo, c'è un'altra cosa, ecco un'altra cosa piccola particolare che poi è anche legata all'economia, cioè ne abbiamo bisogno, diversi mi hanno raccontato, non mi ricordo più le percentuali, di quanti volte, quanti click ci sono stati in più rispetto agli spazi offerti, cioè 120 mila posti sono stati clickati il tre volte tanto, no? E giustamente il signore Perego, che per la Ciesa italiana si occupa dei migrantes, dice il rischio qual è che vengono lo stesso, perché oltretutto ne abbiamo bisogno, non è che il click l'ha fatto un signore che si divertiva, oppure non so, ecco, la fatti tante persone che dicono oh, mi serve, no? Il rischio è la clandestinità, cioè il rischio è il lavoro nero, no? Oppure che tu fai il click però dopo di che i tutti permessi eccetera eccetera arrivano quando la stagione è già finita, quindi basta parlare con chiunque della confrategorico, della Goldi Retti, che dice quanto è stato perduto, perché non è stato raccolto, oppure non so, la confrategorica, una volta sono stato a parlare qualche mese fa alla confrategorica, ad ascoltare a dire il vero, quanti miliardi sono stati persi per mancata manodopera, per la mancanza della manodopera, e allora forse se vogliamo dire a grandi, penso che dobbiamo diventare grandi, per non diventare vecchi, eh? Perché sennò diventiamo subito vecchi. Dobbiamo scegliere, questo è il problema, che vuol dire anche quindi dare opportunità, accogliere, ripeto, non lo dico io, che lui lo dà un po' abolista, quello non si rende conto, eccetera, non lo dico io, lo dice la confratergianato, la confratergianato a Bologna ha aperto una, deve aprire adesso credo, una scuola di formazione professionale in Tunisia, perché così per formare perché possano venire da... ecco. Ma non c'è dubbio che il declino demografico si sta già riflettendo, peraltro sarà sempre più così sul mondo del lavoro, e quindi c'è proprio, non solo nell'agricoltura, nell'artigianato, ma in moltissimi settori c'è proprio domanda di manodopera e di lavoro, quindi in questo senso, ecco, non l'ho poi così messo nei guai, ma adesso cerco di metterla nei guai, perché la chiesa non fa politica, però l'assemblea generale della CEI, che ha chiuso l'altro ieri, a provare giovedì, ha provato una nota molto, che è stata pubblica, molto esplicita, prendendo una posizione su una riforma che sta andando avanti in Parlamento sull'autonomia regionale differenziata, e prendendo una posizione molto lenta, che è stata molto criticata da alcuni, perché dicono no, la CEI fa politica, quindi non per mettere a dei guai, ma per chiarire insomma qual è anche il ruolo della CEI su questi temi e qual è la posizione della CEI su questo tema, su questa riforma importante. Intanto chiarisco che abbiamo un rapporto, come deve essere, con tutti i governi. Le istituzioni sono una cosa seria, e fanno difese, direi anche qualcosa di più, anche in questo caso, vanno amate, perché sono i pezzi che reggono la cassa comune, non si scherza, a mio penere. Quindi chiaro che con questo governo, come con tutti gli altri governi, c'è una... io sono un presidente che per me ha quasi coinciso, cioè sono diventato presidente della CEI negli ultimi mesi di d'Italia, insomma, e poi con l'attuale governo. Abbiamo un'ottima interlocuzione, per forza, sia per la... così, la chiesa è quella che è, insomma, nel nostro paese rappresenta tanto, ha anche tante responsabilità, le sentiamo anche, no? E siamo molto più liberi, a maggior ragione, proprio perché possiamo parlare, che non abbiamo nessun altro interesse, che non sia il bene comune, diciamo così, no? La persona, ecco. Abbiamo con l'attuale governo un'ottima interlocuzione, abbiamo fatto un sacco di accordi, abbiamo risolto dei problemi, diciamo che alcuni che ereditavamo da tanti anni, quindi, ripeto, c'è una... che qualcuno dice che noi non parliamo mai bene del governo, assolutamente, e ripeto, abbiamo veramente una buona interlocuzione come deve essere, e anche viceversa penso proprio, non dico per me, ma per quello che rappresenta la chiesa, sulle migrazioni direi che è dialettico, tutto deve essere dialettico. Su questa riforma devo dire che è una cosa che in realtà qualcuno dice, ma come adesso? Perché adesso c'è stata l'assemblea, non è a maggio, mi dispiace che sia a maggio, è a maggio, quindi per forza, quindi... Perché? Perché io stesso, a diverse domande, quando qualcuno me l'ha chiesto, ho detto, guardate, stiamo attenti, perché c'è una grande sensibilità, in particolare dei pescovi del sud Italia, ma non solo, a riguardo, quindi attenzione c'era, quindi un po' un campanello, allarme, onestamente, son mesi, ci sono state perlomeno tre o quattro conferenze episcopali regionali che hanno prodotto dei documenti, in cui hanno... ed era anche appunto per evitare di andare in un ulteriore spazio, ma sono mesi che diciamo che si è trasferito una preoccupazione poi, o se... La preoccupazione è che non si cresca insieme e che venga a mancare la solidarietà, è questo un po'? Unitario e solidarietà, in particolare su alcuni temi, quindi non è niente di tanto più... è misero a mio parere interpretarlo col contingente, è una cosa che appunto che c'è stata già da tanto tempo, io mi auguro che ci sia anche su questo, che si capisca il punto della preoccupazione dei pescovi, e se uno va avanti nella cosa, poi non si prende la sua responsabilità, diciamo così, direi che tutti i pescovi, perché non è una cosa nemmeno la Presidenza, è stato un documento del Consiglio Permanente che vuol dire di tutta quanta la Chiesa italiana, ma ha maggior ragione, volutamente proprio perché non apparisse come qualcosa di qualcuno, proprio di tutti. Ecco, un tema di cui si parla molto, forse anche un po' troppo, però che interessa molto a tutti, insomma, chi lavora, chi studia, soprattutto ai giovani, l'intelligenza artificiale, che è enorme, no? Io pensavo anche su quella naturale, ci sarebbe qualcosa... A mio parere, forse qualche manutenzione va fatta anche di quella. Un'innovazione sicuramente che è e sarà dirompente, che crea grandissime opportunità, a punto di vista economico, aumentando la produttività, anche di miglioramento della qualità di vita, ma che già oggi crea anche un po' di incertezza, di smarrimento, a volte di paura, di ansia. Viviamo veramente l'età dell'ansia, come dice un poeta inglese, Louis Stavron-Modin, anche per questo continua introduzione di nuove tecnologie che cambiano il modo, che pongono nuove sfide etiche, ma su questo magari adesso non si soffermiamo, questo è un tema enorme, la complessità etica dell'intelligenza artificiale è forse superiore rispetto a qualsiasi, però mi interessa soprattutto invece l'impatto sul mondo del lavoro, perché il mondo del lavoro a fine vuole dire l'impatto sulla gente, no? E quindi da una parte sicuramente la tecnologia ha sempre aumentato la produttività, ci ha aiutato a lavorare meglio, a lavorare di più, però qui la paura è che il lavoro possa perdere centralità, il lavoro che ha molto più di reddito, anche dignità della persona, un ruolo sociale, il lavoro potrebbe perdere in prospettiva centralità, il lavoro è stato per oltre due secoli il principale distributore di ricchezza prodotta, quindi è importante, la paura che la macchina ci sostituisco, dico io il vero cambiamento sarà che cambierà il modo di lavorare, quindi il rischio è quello che aumentino le eseguaglianze, perché c'è chi saprà usare queste nuove tecnologie, e quindi sarà pagato di più, sarà retributo di più, produrrà di più, e chi invece sarà emarginato, rimarrà fuori, no? Ecco, questo come possiamo affrontare, non dico la, ripeto, la sfida etica la lasciamo un attimo da parte, perché però queste conseguenze possono anche produrre, ripeto, una spaccatura, una polarizzazione della società delle retribuzioni, della società economica, e aumentare ulteriormente un problema che già è molto forte, le eseguaglianze. Lui non vuole parlare dell'etica, però... No, no, no, perché? Perché la vera risposta nasce proprio dall'etica, cioè nasce da come utilizziamo lo strumento, che sia uno strumento che c'è ovviamente, che quindi di per sé non è come dire demoniaco come dall'altra parte, è uno strumento che può diventare o dargli l'opportunità straordinaria, non c'è dubbio, cioè tu puoi fare delle cose, questo però davvero non è per prendergli la palla dall'altra parte, ma credo che davvero su questo... Casualmente poi mi colpisce sull'etica perché è una volta, forse spesso la chiesa arriva un po' tardi, qualche volta anche parecchio tardi, e questa volta il tema dell'etica nell'intelligenza artificiale è molto forte, e gli stessi detentori dell'intelligenza artificiale, e lì sarebbe davvero interessante chi sono i veri detentori, chi ha il potere, chi è che comanda, chi è che ha la stanza dei bottoni, che però è una domanda non da poco anche nel corso di etica, e quindi appunto dell'utilizzo, allora credo, però questo davvero penso molto di più, che l'applicazione di questa nel mondo del lavoro può essere terribile, Il famoso sms, il signore licenziato può si presenti per prendere le sue cose, insomma non è che proprio da un punto di vista diciamo umano è una roba che mi appassiona, perché l'algoritmo, c'era il hiero o l'altro ieri qualche cosa che era arrivato un messaggio, e sì mi sembra che era arrivato il messaggio a uno che purtroppo è una vittima sul lavoro, se non mi ricordo male, che era arrivato qualcosa del genere, cioè del paradosso, che quando comanda la macchina a un certo punto, quando lo strumento decide tutto quello, è chiaro che cambia parecchio, allora lì sì che poi questa possa sembrare anche delle esclusioni, tantissimo, molte caritas stanno facendo i corsi per gli anziani, perché altrimenti restano fuori dal godere dei diritti, perché in molti casi, alziani faccio parte della categoria, sono da un punto di vista digitale proprio meno dell'asilo, che però vuol dire che ne so, che io non c'ho, per se devo farmi tutta l'identità per entrare nel digitale, lo feci per fare il vaccino del covid, perché me lo so perso, ho sbagliato, sono cancellato, adesso devo ricostruirlo, però vuol dire esclusione, penso anche che se cambia mondo del lavoro e non ci sono le garanzie, e lì c'è bisogno di utilizzare anche in quel caso i telegesti attiviziali, ma per dare le garanzie per il welfare. No ma questo è assolutamente sul mondo del lavoro, può essere divisivo e polarizzante, ma è molto corretto questo, anche proprio ci possono essere fasce, ci sono anzi già fasce di popolazione che per età, per istruzione o per reddito sono escluse, quindi già questo lo vediamo, se uno non ha il reddito per avere un telefonino di un certo tipo non può fare un'operazione bancaria, se uno è anziano e non riesce a utilizzare lo speed deve avere il nipote che gli gestisce il conto corrente. C'è un signore che gestisce e lo svuota, cosa che spesso succede in molti casi. No però certamente adesso non è che l'aspetto etico è interessante, lì il vero dilemma può essere che il vero dilemma etico delle tecnologie in passato era che l'uomo non le utilizzi a fini controversi, e qui in una prospettiva in cui la macchina impara e decide poi da sola è che l'algoritmo non decide essa stessa di perseguire fini controversi e quindi non aveva nemmeno più il controllo di questo. Questo è un tema però. Oppure che come l'abbiamo fatto quell'algoritmo, che cosa ci abbiamo detto l'algoritmo, vero problema. Ecco passiamo, ripeto, un tema che sta molto caro, non solo dei giorni universitari ma anche dei liceali e delle scuole superiori, l'ambiente, l'ambiente, la sostenibilità, è un tema che sta a cuore in realtà a tutti ma soprattutto giustamente ai giovani, e parliamo del mondo a pezzi, il mondo sembra talmente a pezzi, talmente frammentato, c'è talmente scarsa cooperazione internazionale su temi importanti anche su un tema che francamente dovrebbe interessare tutti perché rischiamo veramente di esserne travolti. In fondo basterebbe poco, io dico sempre basterebbe, c'è un versetto che a me piace moltissimo della Genesi che dice il signore prese l'uomo e lo pose nel giardino dell'Eden perché lo coltivasse e lo custodisse. Basterebbe coltivare e custodire, che non è poi così difficile. Ecco cos'è che così complesso, naturalmente completo, per poter utilizzare le risorse che abbiamo ma anche preservarne per le generazioni future, quindi coltivare e custodire non semplicemente. Cos'è così complicato da capire di questo? Perché non riusciamo. Qui c'è anche la politica perché allora cita un grande Trentino Gradegasperi che diceva che il politico è quello che pensa alle prossime elezioni e lo statista le prossime generazioni. Allora non riusciamo proprio a pensare alle prossime generazioni che sono quelle che pagano. Cercasi statista. Cercasi statista, esatto. In generale nel mondo... Vale anche per la chiesa. In generale. Volevo uscire da... Nel mondo non ci sono dei giganti, insomma degli statisti oggi, dei veri giganti. Ma cos'è che non riusciamo? Perché non riusciamo nemmeno a coltivare e a custodire? Perché, siccome prima hai citato la Genesi, per quello che io penso, alla fine è il vero discorso del peccato originale, cioè che pensi di essere te stesso senza l'altro. Ma l'individualismo, il consumismo, che poi produce quello, per cui quello che tu dici Giuseppe, di buon senso, ma posso consumare tutto io e non pensare che le risorse sono quelle? Non è che sono infinite. La risposta è che mi interessa a me. Mi sembra che sia proprio poi un'economia del consumismo che confonde, che distorce. Non fa vedere anche le conseguenze. Ci sono tanti che dicono, ma no, poi la natura aggiusta tutto, siamo noi che pensiamo che la natura ha milioni di anni, noi pensiamo di calcolarlo in qualche decennio. Dice qualcosa che poi è sempre anche vero, non c'è dubbio, no? Cioè che la natura ha delle tempistiche che sfuggono alla cronaca immediata. Qualche volta leggere tutto con la cronaca immediata, oh però non funziona nemmeno il contrario. Cioè, c'è stata un'accelerazione dell'ambiente, dell'impatto sull'ambiente che non c'è mai stato. Quindi l'abbiamo rovinata la natura, la stiamo rovinando. Dove il problema è sempre che la natura continua, continuerà. E quello che rischia di non continuare è la persona che non potrà più vivere. Tanti campanelli d'allarme che stacchiamo, addirittura qualche volta pensiamo che sono esagerazioni, che appunto c'erano poi che ci siano state le alluvioni, certo che c'erano state le alluvioni che c'erano e però forse dobbiamo leggere anche la cronaca in una prospettiva diciamo che guarda un po' lontano. Comunque per rispondere a mio padere è soltanto diciamo il banale piegare tutto tutto per sé. L'altro giorno ho fatto un colloquio molto interessante con un certo Vittorio Gallese per chi lo conosce che è un signore diciamo così che ci spiega molte cose anche di come funzionano. E' uno dei due scienziati che diciamo che ha scoperto i neuroni a specchio insieme a Rizzolatti. Esatto e dice in fondo la cosa è sua. E' come se uno vuole giocare a biliardo senza risponde. Io non ho mai giocato a biliardo confesso, giocavo come si chiama quello carcetto, al massimo qualche volta al flipper ma sono appunto una roba preistorica. Però quanto è vero? Cioè perdi tutto no? E' l'illusione della cosa e mi sembra che anche dello sfruttamento uno pensa che poterla utilizzare senza sponde e non si rende conto che poi in realtà perdi il gioco, non c'è più niente da giocare. Tu già perché sicuramente quelli che verranno dopo. O non verranno perché non... La sostenibilità naturalmente non è solo l'ambiente, ci sono tanti tipi di sostenibilità un concetto molto... Tra l'altro c'è un'espressione che il Papa Francesco chiama ecologia integrale, cioè c'è un collegamento strettissimo tra diversi tipi di sostenibilità, quella ambientale, quella demografica, quella sanitaria, quella sociale. Tra la sostenibilità ambientale e quella sociale e qui c'è un'immagine che devo dire, questo Papa che è molto attento alla sostenibilità, un'immagine di cui io mi sono innamorato anni fa quando quando l'ho trovata penso nella laudato si, che è il concetto della società, della cultura dello scarto e io sono rimasto affascinato da questa intuizione che poi è semplicissima ma profondissima, cioè la cultura dello scarto in una società che è la cultura dello scarto con la stessa facilità con cui si produce il rifiuto urbano, urbano non urbano, la plastica eccetera, si produce anche lo scarto umano, cioè l'emarginazione e questo è... C'è effettivamente un legame fortissimo su cui io non ho mai riflettuto, mi ha veramente colpito questa cosa. Ecco, come si contrasta questa cultura dello scarto che purtroppo soprattutto nelle nostre grandi città è assolutamente evidente, insomma magari una bella città come Trento un po' meno però più piccola, più a dimensione d'uomo ma nelle grandi città lo si vede molto bene, no? L'emarginazione, lo scarto umano e il rifiuto... E come si scopre? Anzitutto capendo che ci sta lo scarto e capendo diciamo la tragicità di questo quando la vita non ha più valore e non è che non ce l'ha, sono io che non lo so più vedere e o addirittura io penso che sono io stesso lo scarto perché molte volte mi scartano, non fare più, non ce la fai, hai perso la tua sufficienza, non hai quello standard, tra l'altro un'idea un po' di competizione, no? Per cui valgo sempre in questo dialogo, giustamente il tono diceva quando il rapporto con il proprio corpo è che io ho il corpo e non io sono il corpo, è molto intelligente cioè per cui se quel corpo si cambia infatti non fare più niente, c'è tutto un modo davvero pornografico, no? Per cui la vita ha valore con dei parametri che sono sbagliati per la vita, non è che per il po' sbagliati per la vita, ti fanno male per cui ti scarti e questo dobbiamo prima capire questo e poi forse dire che Bettebo risponde, diciamo per riprendere il discorso di prima cioè la fragilità è nostra, non è l'asciacura, è una asciacura se pensi che pensavi di poter svivere in maniera pornografica, quella è pornografia, la fragilità ce l'hai, fa parte della tua vita e dimenticarlo e non saperlo affrontare, non farne motivo anche della bellezza della vita, no? È tragico perché intanto la fragilità, la debolezza poi ci arriva comunque ecco, speriamo che non significhi scattare. La fragilità, no? Rifettevo tempo fa su questo, la crisi economica finanziaria 2008 ha fatto scopo improvvisamente la fragilità, la vulnerabilità del modello di crescita, no? Che ha tante cose positive ma che la pandemia ci ha fatto scoprire la fragilità di queste filiere internazionali dove i conflitti in corso ci fanno capire la fragilità della pace, quanto facilmente si può fare. Durante la pandemia proprio abbiamo riscoperto la fragilità dell'uomo cioè ci credevamo, grazie soprattutto al progresso medico-scientifico, invincibili, quasi immortali, invece abbiamo scoperto ad esempio quanti anziani soli c'erano, abbiamo ricominciato a parlare, a pensare alla morte, qual è Quo Vadis, qual è la bussola per cercare di trovare il senso, trovare la direzione di noi in questa nonostante queste fragilità che ci sono dell'uomo, che bisogna essere capaci di riconoscere. No, quindi dovrebbe un discorso un po' di fondo, no? Perché la domanda è bellissima, no? Ed è una domanda diciamo personale che ci faccio la mia vita, adesso non voglio far predi, non mi preoccupate, però la domanda è vera, no? Non c'è dubbio insomma e anche poi è una domanda che si presenta, si ripresenta, si ripresenterà sempre, no? È una domanda collettiva, penso per esempio è una domanda del nostro paese ed è una domanda dell'Europa perché prima ci siamo dimenticati anche di sottolineare il corso dell'Europa anche rispetto al corso dell'immigrazione, indubbiamente, diciamo la mancanza di solidarietà e di una divisione comune che ha significato far pesare tanto sul nostro paese, no? E quindi poi purtroppo ha in più l'idea antieuropea, quindi doppiamente sbagliata, no? Cioè dire, ecco, per cui fare pensare di credere che si possa far da soli, no? E quindi appunto dove vai, certo che è importante, proprio decisivo, in termini personali che dire qual è il senso, è anche davvero un discorso di cosa resta, ma cos'è che cos'è l'essenziale, questo ce lo riporta tanto, no? Che è quello che ti permette di trovare la risposta, no? O dei risposte, quello appunto anche della sostenibilità del lavoro, dell'ambiente, anche per poter andare, altrimenti c'è tutta strada interrutta. Allora abbiamo due minuti e venti secondi, ho tre domande però semplici semplici, una è sul futuro della chiesa, diciamo proprio... Ah beh, va beh, ma cos'è? Il mondo sta andando in pezzi, c'è un certo caos, la chiesa forse ha, c'è un po' di divisione anche nella chiesa, insomma, adesso la prendo. Ci sono sicuramente, per il futuro della chiesa, ci sembra ricogliere due visioni un po' diverse, insomma, una, io adesso le semplifico, una un po', una visione più di apertura e di dialogo e qui mi infrisco, penso alle parole che il Papa ha detto alla Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona, dove dice, no, nella chiesa c'è spazio per tutti, giovani, vecchi, sani, malati, giusti e peccatori e poi dice questo famoso tutti tutti tutti, che però è stato anche criticato, no? Tutti tutti tutti, questa è la visione di apertura, di dialogo, poi c'è una visione più identitaria, no? Davanti al caos generale, alla crisi di valori, arrocchiamoci, chiudiamoci, no? Qualcuno la chiama l'opzione benedetto, che non è Papa benedetto, ma benedetto da Norcia, arrivano i barberi, arrocchiamoci, chiudiamo il monastero, a difendere la verità, quindi voglio dire non è... ecco, c'è una tensione tra queste due visioni, quindi non le chiedo quale prevale nella chiesa, però insomma, come dobbiamo interpretare queste... c'è una contrapposizione, quanto meno c'è una tensione, mi sembra, quindi c'è una diversa visione, che questo è un po' il futuro della chiesa e dell'interazione con il resto della società. No, davvero sembra un discorso bellissimo, ovviamente importante, al mio pene per tutti, non soltanto diciamo per i credenti. Parte che le due dimensioni, poi credo una persona che ancora un po' dell'intelligenza naturale, qualche neurona, insomma, ancora fa funzionare, forse l'unico, forse spremio, perché può, c'è dentro in ognuno di noi, no? Cioè, tante volte c'è ovviamente l'attenzione per l'altro, e dall'altro c'è il discorso meglio che sono, no? E' qualcosa che ci accompagna sempre. Il Papa Francesco, seconda cosa, osservazione dice basta con sta cosa, conservatori progressisti, lui dice il vero problema è un altro, no? Il vero problema è gli inghi tristi e gli innamorati, come dire le due categorie, quelle che guardano indietro, che pensano che poi erano quelli di gioani ventitresimo, no? I profeti di sventura che pazzavano un mondo che poi, parla per esse, no? E poi invece gli innamorati, che mi ha colpito perché effettivamente chi è che è innamorato dell'Evangelo, chi è che è innamorato della persona, chi è che è innamorato del mondo, gli innamorati. Tersa considerazione che nella Chiesa cattolica c'è la comunione, che quindi non vuol dire pensiero unico, anzi è l'unico modo con cui vivi la diversità, che ci deve stare, non è la cosa che c'è sempre stata, di tutto, ma da sempre, in cui c'era quello che faceva un bovo e quello in quell'altro, qualche volta era anche nelle stesse persone, poi c'erano i domenicani, c'erano i francescani, c'erano i domenicani, c'erano i gesuiti, ecco, se voi qualche volta si vizigano ancora, no? Cioè i domenicani piovano un po' in giro i gesuiti, i gesuiti piovano un po' in giro i domenicani, e però è la bellezza anche della Chiesa se c'è la comunione e quindi per questo il Papa è colui che è presente della comunione, per questo, proprio per l'obbedienza bisogna leggere bene, diciamo che io non sono d'accordo, ti tieni la cosa, le parli, la comunione, si può discutere tutto, ma si vuol bene la Papa. Unione che è un po' collante di queste diverse... Ultima cosa su tutti, perché effettivamente è una cosa che poi mi hanno... Tutti tutti tutti? Tutti tutti tutti. Allora a me ricorda sempre Casamia e mia madre, a casa mia eravamo sei figli, no? E la grande differenza che penso che poi in tutte le case, io lo dico la mia chiaramente, penso che anche il figlio unico qualche volta se l'è sentito dire oh guarda che questa casa non è un albergo, eh? Manco la pensione Miramonti, ecco, varie cose, non è un albergo. Allora quando Papa Francesco dice tutti, no? Ci ricorda che siamo una casa. Qualcuno pensa ecco ma dopo di che diventa un albergo? Oppure perché pensa in un albergo così c'è meno problemi, perché la casa è la casa, no? Perché sia una casa? Ci devono star tutti. Questa è la grandezza, no? E qualche volta ci dimentichiamo che ci ha inguagliato il nostro Signore, eh? Che paradossalmente stava più con quelli che non ci dovevano stare, pubblicani, e non stava con... Anzi, diciamo così, quelli hanno fatto sicco, quelli che invece erano diciamo... che avevano tutta la verità, c'erano così tanto tanto che la sfecavano al nostro Signore. Quindi tutti, ma perché la casa sia davvero casa e non sia mai un albergo? Per isso, chiudiamo un ultimo domando e poi chiudiamo che abbiamo... potremo stare qui? E poi imparerò a stare a casa. E poi imparerò a stare a casa? Se sto dentro casa imparerò a stare a casa e quante bella è la casa, indubbiamente. Chiudiamo allora ancora con il titolo che abbiamo voluto mettere a questa splendida conversazione, nella quale ringrazio di nuovo a mente. Il titolo era, un mondo a pezzi saprà ritrovare la bussola. Allora, le chiedo, il mondo, l'umanità saprà ritrovare quella... questa bussola? Sapremo, nonostante i conflitti di cui abbiamo parlato, nonostante la sfida oltre all'opportunità che viene dall'intelligenza artificiale da queste tecnologie, nonostante la sfida del cambiamento climatico e dell'ambiente, nonostante tutte queste enormi sfide che sembrano quasi senza precedente, riusciremo a trovare, a ritrovare, a trovare o ritrovare la bussola? Dunque, se come diceva Will, insomma, se dovessi fare un discorso con la ragione, direi sarei fortemente dubitoso. Uno pensa, ma come? Abbiamo fatto di tutto. C'è un proprio uno proprio... dice, è imparato l'uomo? No. Ha mai imparato? No. Ripete sempre le stesse cose? Sì. Ecco, per cui un po' non puoi non dargli ragione. Io invece penso, però, e penso però, che la vera risposta davvero non è l'ottimismo, che purtroppo poi diventa facilmente fatalismo o vittimismo. È la speranza. E la speranza è un prezzo. C'è dubbio. La speranza la devi pagare, no? Ecco, la paghiamo però con in realtà pagare la speranza dà anche la risposta al cuovo adis. Cioè, lì. Voglio andare lì, perché quella speranza diventa in realtà. Allora posso solo dire grazie, grazie, grazie.
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