Sostenibilità e imprese
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Sostenibilità e imprese
L'importanza crescente della rendicontazione ESG (Environmental, Social, and Governance) per le imprese, sia grandi che piccole e medie, evidenzia come la sostenibilità, inizialmente vista come costo aggiuntivo, rappresenti invece un vantaggio competitivo, attraverso l'accesso facilitato al credito e nuove opportunità di business. Vengono analizzate le strategie di comunicazione della sostenibilità, distinguendo tra approcci autentici e pratiche di greenwashing, con particolare attenzione al settore finanziario.
Sostanzialmente le imprese, inizialmente le grandi, ma via via in modo più o meno diretto anche altre imprese, saranno chiamate a rendicontare la sostenibilità secondo dei principi contabili europei che sono ben standardizzati, ben delineati e che dovranno diventare la leva di riferimento per comunicare in che modo le imprese risultano essere sostenibili. Questa importantissima epoca sostanzialmente va a imporre un nuovo modo di fare impresa e io dico che la sostenibilità diventerà sempre di più la nuova normalità. Il paradigma dell'economicità, il paradigma del far profitto sarà in qualche modo integrato e complementalizzato dalla sostenibilità che invita le aziende a tener conto non soltanto della loro prosperità economica ma anche di quello che è l'ambiente che le circonda e anche di quelle che sono le persone che in qualche modo sono nella società o nell'ambiente di lavoro in cui le imprese esistono. A mio avviso questa ottica che è un'ottica particolarmente affascinante è un'ottica che avremo dovuto sposare da tempo perché è sottinteso che ogni operazione aziendale abbia dei risvolti sociali e abbia dei risvolti ambientali. Quindi che cosa vuol dire sostenibilità? Il termine viene dal latino, dal verbo sostineo e questo termine indica che occorre sostanzialmente assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Tutto ciò declinato in un ambito economico aziendale vuol dire che l'impresa deve sempre di più tener conto dell'impatto che il suo agire avrà nella società ma quindi anche nell'ambiente e a quel punto l'azienda deve anche tener conto dei rischi delle opportunità finanziarie che possono derivare dalla sostenibilità. Cercando di allinearsi i cosiddetti criteri ISG questo acronimo riproduce le iniziali di tre termini con cui dovremo sempre più confrontarci environmental, social e governance. Ecco questo trinomio deve diventare il nostro modo di pensare ad un'azienda che ovviamente deve avere un approccio integrato, un approccio sistemico, un approccio trasversale, un approccio multidisciplinare. Ovviamente riuscire a controllare tutte queste variabili non è facile perché occorre abbandonare un modo di ragionare lineare per sposare un modo di ragionare circolare ma questo traguardo deve essere in qualche modo perseguito per il bene della collettività. Io credo che questo nuovo paradigma sarà un paradigma che porterà un benessere diffuso, dovrebbe essere lo strumento con cui andare a combattere il riscaldamento climatico, andare anche a ridurre, a ridimensionare quelle esasperate disguaglianze con cui abbiamo convissuto negli ultimi anni. Quindi credo che questa strada sia una strada obbligata non solo perché risponde ad una esigenza di natura etica ma anche perché la sostenibilità diventerà veramente la chiave di volta, la leva e se vogliamo il vero vantaggio competitivo delle nostre imprese. E' anche giusto sfatare subito un mito perché la sostenibilità non è nemica, non è avversa al profitto anzi la sostenibilità aiuta le aziende ad ottenere un più giusto profitto, un più ecco profitto. Mi piace anche ricordare che effettivamente la sostenibilità obbliga le aziende ad andare a cogliere nuove opportunità di business, a in qualche modo aprirsi a nuove tecnologie innovative e competitive, permette alle aziende anche di razionalizzare i processi, di andare a ridurre gli sprechi, di andare a ridurre le efficienze quindi ridurre i costi operativi e attenzione, consento anche a mio avviso di migliorare la produttività. In che modo? Facendo formazione e creando motivazione del personale. Quindi sono troppi i vantaggi di questo paradigma per non essere in qualche modo avvicinati dalle aziende. L'azienda sostenibile dovrebbe essere quell'azienda che quindi riesce a fidelizzare la sua clientela, riesce ai robusti rapporti con i fornitori, riesce a migliorare la reputazione aziendale, riesce a legittimarsi nel suo territorio dal punto di vista morale, riesce a migliorare la soddisfazione anche la coesione del personale e riesce soprattutto a migliorare i rapporti con i propri clienti. Quindi sono finanziatori con i propri investitori. Abbiamo ormai una letteratura copiosa, corposa che ci rassicura sul fatto che le aziende più sostenibili sono quelle aziende che hanno il miglior rischio di impresa e questo sostanzialmente vuol dire due cose, migliorare il proprio rating e migliorare le condizioni di accesso al credito. Quindi la via della sostenibilità è una via obbligata ed è una soluzione che sostanzialmente non può essere pignorata, soprattutto perché oggi fortunatamente abbiamo dei giovani, delle nuove generazioni che sono sempre più attenti a questa sensibilità aziendale perché oggi sempre di più i giovani giustamente nelle loro scelte di acquisto inseguono quelle imprese che hanno certificazioni ambientali o certificazioni di prodotto e che quindi riescono a dimostrare la realizzazione di prodotti e servizi che rispettano l'ambiente e i diritti umani. Ecco, la professoressa Angeloi ha parlato di profitto. Allora se ne guardiamo alla cronaca di tutti i giorni molto spesso come dire si sente parlare di sostenibilità come di un qualcosa che è un po' una palla al piede e invece è un mito falso che è falsato. E allora io chiedo al dottor Fieschi ci spieghi un pochino. La sostenibilità non è per nulla in realtà avversa al profitto. Vogliamo focalizzarci su questo punto che è davvero fondamentale proprio per sfatare quello che è un luogo comune falso. Buongiorno a tutti. Occorre capire perché la sostenibilità è diventata così importante, no? Perché c'è proprio una leva economica dietro questo, questo è fondamentale. E mi occupo di sostenibilità da 30 anni quindi ho visto fortissimi cambiamenti proprio nel significato della sostenibilità stessa nell'approccio che le aziende conseguentemente avevano ad essa. Fino a qualche anno fa, ma non parlo di tanti anni fa, una decina forse anche meno anni fa, sostenibilità era un valore marginale, un abbellimento che le aziende si davano per guadagnare qualche margine di mercato in più, erano cose molto limitate, a volte erano aziende che proprio avevano difficoltà. Il primo occuparsi di Ecolabe in Italia sono stati produttori di carta igienica perché era chiaramente un prodotto dove era difficile guadagnare quote di mercato. La sostenibilità poteva aiutare marginalmente in questo. Da qualche anno è cambiato, perché è cambiato? Perché si è reso conto che esiste un valore economico che sono le esternalità. Nel 2001 la Commissione Europea è uscita con un documento che secondo me è ancora una pietra migliare, almeno nella mia storia ma credo anche nella storia della sostenibilità, che è un documento che non era di tante pagine, era stato un centinaio di pagine, si chiamava Integrated Product Policy, IPP, politica integrata di prodotti. Introduceva un concetto molto semplice ma molto forte che era il concetto di prezzo giusto. Diceva, noi non possiamo vendere sul mercato prodotti se ha un prezzo che sia semplicemente quello dell'economia classica, poi io non sono un economista, non voglio poi essere ripreso dalle professioniste. Comunque quello classico costo, margine, quindi prezzo. Perché ci sono dei costi che non vengono sostenuti direttamente dall'impresa ma dalla collettività. Se io emetto degli inquinanti, questi inquinanti hanno un effetto sulla salute, quindi vuol dire ore di lavoro perso, vuol dire malattie, vuol dire a volte anche morti, quindi questo è un danno economico, chi lo sostiene? Non si sa. La collettività ne sono insieme. Allora il concetto della Comunizione Europea era molto semplice. Adottiamo sistemi per internalizzare il costo nei prodotti dell'esternalità. Qualche esempio numerico, perché non stiamo parlando di noccioline. Ad oggi in Italia il costo dell'esternalità legate alle emissioni industriali, non parlo di CO2, che è veramente climatici, ma le emissioni anidride e sulfurose, etc. costa il 2% del PIRO. Allora noi ci tiriamo il collo con le finanziarie per guadagnare qualche punto di PIRO e poi buttiamo via il 2% di PIRO. Tra qualche anno il costo dell'innazzamento dei mari, se non riusciamo a bloccarlo, a limitarlo, se non proprio bloccarlo, costerà l'Italia, che in Europa è una delle nazioni più sensibili, i motivi lo sappiamo per la nostra conformazione, varrà 4,5% del PIRO. Quindi, poi, l'elenco di esternalità è enorme, perché poi ci metterebbe cambiamenti climatici con i danni che sono sotto gli occhi di tutti, quindi queste sono delle cifre. Allora, chiaramente l'esternalità diventa un elemento sfidante per l'azienda, al di là degli strumenti che saranno messi assieme, e la direttiva che ha citato professoressa va proprio in quella direzione. Perché lo stare sul mercato, la propria sopravvivenza, diventerà legato a quanto più possibile, a quanto io riesco ad anticipare questo trend che obbligherà l'azienda a valorizzare l'esternalità nelle proprie attività. Questo è un processo fondamentale, io uso uno slogan che mi conosce, perfino annoiato da questo slogan, che è quello di una seconda cogenza. La prima cogenza è quella del tu emetti, io ti multo se superi i limiti, quella diciamo anni 60-70. Poi c'è stata la grande stagione di strumenti volontari che hanno funzionato un po' così. Adesso stiamo arrivando a una seconda cogenza, che è legislativa per queste normative che abbiamo citato, e che saranno sempre più stringenti, stanno preparando un regolamento sull'ecodesign e tante altre cose, la tassonomia che diventerà sempre più stringente eccetera. Ma anche di mercato, perché alla fine il mercato sta assumendo la capacità di essere selettivo, cosa che fino a qualche anno fa no, si vedevano le statistiche, sì tutti dicevano voglio comprare prodotti sostenibili, poi gli chiedevi ma quanto vuoi pagare? No, io non voglio pagare. Adesso vediamo i sondaggi, si comincia anche a esserci una certa disponibilità di pagare per la sostenibilità, quindi chiaramente diventerà anche una questione di mercato molto forte. Poi per mia esperienza concordo con quanto è stato detto, internalizzare la sostenibilità porta anche dei benefici diretti alle aziende, di razionalizzazione, risparmio dei costi, non solo energetici, che quelli siano abbastanza intuitivi, ma anche complessivi, assolutamente sono d'accordo. Insomma, abbiamo parlato di sostenibilità, che sembra un termine così lontano dalle nostre vite quotidiane, invece non lo è per niente, anche se poi la sostenibilità deve essere declinata in più maniera. La professoressa De Martini si è applicata in particolare agli studi sulla re di contazione della sostenibilità. Allora, ci vuole raccontare quali esiti questo studio porta e come poi dopo la re di contazione sia importante per il settore. Buon pomeriggio a tutti e a tutte e grazie mille per l'invito. Allora, mi sembra che sia già stato detto che la sostenibilità è un tema ormai fondamentale per le imprese, così come per i privati. E uno dei vantaggi sicuramente della sostenibilità è legato proprio a un vantaggio in termini di sconto del tasso di interesse o del tasso di acquisizione del capitale di rischio, come già stato detto. Tuttavia, affinché le aziende siano in grado di poter beneficiare di questo vantaggio appunto in termini di costo del capitale economico, del costo del capitale di debito, è necessario che le imprese comunichino la sostenibilità, le proprie pratiche di sostenibilità. Come lo possono fare? Ma allora, lo possono fare in modo volontario o perché sono obbligati a farlo all'interno di una dichiarazione di carattere non finanziario o un rendiconto di sostenibilità. All'interno di questo documento, quindi, cercano di comunicare al meglio quanto più efficacemente possibile le loro pratiche di sostenibilità. Così facendo appunto riescono ad attirare investitori, finanziatori e ad ottenere i vantaggi di cui sopra. È evidente che ci sono diverse strategie di comunicazione della sostenibilità e alcune sono più autentiche, altre lo sono meno. Le strategie più autentiche di comunicazione della sostenibilità mirano a presentare le performance di sostenibilità sotto il profilo ambientale e sociale di governo dell'impresa, così come sono effettivamente presenti con riferimento all'anno o al periodo temporale di riferimento. Viceversa, per quanto riguarda invece le strategie di comunicazione che sono meno autentiche, queste sono volte invece a comunicare un'immagine migliore delle performance dell'azienda rispetto ai risultati effettivi di sostenibilità. La prima strategia è cosiddetta di incremental information, cioè l'impresa cerca di dare maggiori informazioni al mercato, perché il mercato possa reagire efficacemente a queste informazioni che sono state communicate e quindi ad esempio ad acquistare titoli di quella azienda, di quella società e non di un'altra, perché è ritenuta più sostenibile. Invece le strategie volte a offrire una migliore immagine di sé sono appunto definite di impression management, cioè si cerca di offrire, di impressionare gli investitori affinché possano adottare delle decisioni, assumere delle decisioni basate su queste informazioni che sono appunto un po' fuorvianti. E si degenera fino al greenwashing e allora gli studi compresi quelli appunto condotti all'interno dell'Università di Pavia stanno cercando di misurare il grado di trasparenza, che quindi rappresenta un approcci per la qualità della rendicontazione non finanziaria del report di sostenibilità. Ecco, mettiamo proprio il dito sulla piaga qui, perché poi la narrazione come sempre è importante a tutti i livelli, però qui tra greenwashing e greenushing il problema che lei ha approfondito, come dire, diventa fondamentale per le imprese. Allora, focalizziamoci su queste due problematiche. Allora, il greenwashing è un fenomeno che consiste nel fornire delle informazioni false su pratiche di sostenibilità dell'azienda, oppure fornire meno informazioni rispetto a quelle che rappresentano le performance dell'azienda, oppure comunque a manipolare le informazioni in modo da migliorare ancora una volta l'immagine dell'impresa rispetto a quella effettiva, quella attuale. Quindi nel cappello di greenwashing rientrano diverse strategie di comunicazione. Le aziende possono muoversi in diverse direzioni per praticare il greenwashing. Settimana scorsa su un quotidiano economico di tiratura internazionale, qui non facciamo nomi, è stato pubblicato un articolo dal titolo Too Good To Be True, cioè troppo bello per essere vero. Il nome lo possiamo fare, però essere e lo vol fare non si ponga limiti. Sul Financial Times, quindi settimana scorsa sul Financial Times è stato pubblicato questo articolo e riporta una tassonomia del greenwashing, proprio perché le strategie di greenwashing sono tante e diverse, ad esempio appunto riportare informazioni false, tipica strategia di greenwashing. Esempio, il dieselgate di Volkswagen è il tipico esempio di greenwashing in cui le informazioni che sono state riportate erano errate. La interrompo per chiederle se nel breve periodo può funzionare, nel lungo periodo poi dopo questa strategia credo proprio che invece non possa funzionare. No, infatti è evidente che l'impression management è una strategia che è volta ad impressionare gli investitori nel breve periodo e quindi ad attirare e ad ottenere dei benefici da parte degli investitori ma anche di altri gruppi di stakeholder nel breve periodo. L'assunzione alla base dell'impression management è proprio che il mercato non riuscirà a distinguere tra un'informazione vera e un'informazione falsa, oppure un'informazione offuscata, quindi che non presenta chiaramente le performance di sostenibilità. Torniamo al greenwashing. Il greenwashing è un'altra strategia di greenwashing che ha l'obiettivo di ridurre il numero di informazioni su temi che sono considerati rilevanti o come dicono i tecnici materiali per l'impresa, proprio perché le performance relative a questo tema non sono positive o addirittura sono negative. Lampante l'esempio del settore oil e gas a livello internazionale in cui la stragrande maggioranza delle imprese internazionali non ha riportato tutte le missioni relative a tutti i siti di estrazione o di produzione. Quindi in questo caso appunto si comunica di meno, quindi l'obiettivo è quello di non comunicare delle performance negative. Ma ci sono anche altre strategie, ad esempio è possibile utilizzare la strategia cosiddetta di greenshifting, quindi si sposta la responsabilità dall'impresa a un gruppo di stakeholder esterno all'impresa. Ad esempio l'impresa può assumere e può comunicare il fatto che non abbia la responsabilità di un prodotto o di un packaging che non sia molto sostenibile o eco-friendly, perché? Perché i suoi consumatori desiderano proprio questo prodotto o questa tipologia di packaging, quindi la responsabilità secondo l'impresa non è più in capo all'impresa stessa, ma ai consumatori che esprimono la domanda. Quindi sono davvero tante le strategie di greenshifting che le aziende possono mettere in campo. Allora professoressa Angeloni, invece, io a lei voglio chiedere questo, ma quando l'Unione Europea che è il nostro bruce che è il nostro punto di riferimento guarda alle normative, mediamente o normalmente guarda al grande? E beh, ma qui poi dopo chi deve essere coinvolto è il piccolo. E allora lei che ha approfondito questo tipo di studi, come? Dalle grandi aziende poi dopo si deve coinvolgere, si deve arrivare a coinvolgere e l'Unione Europea sta finalmente arrivando a coinvolgere le piccole e medie imprese, che poi sono l'ossatura per paesi come il nostro, per paesi anche come la Francia. Insomma, dal grande al piccolo. Allora, ci dico un po'. Ecco, questo è un punto molto delicato e molto giusto perché effettivamente l'Unione Europea, ma quindi l'EFRAG che è il braccio consultivo con cui l'Unione Europea emane i principi contabili, i principi contabili si sono resi conto che effettivamente intercettare e vincolare soltanto le grandi ad una reindicontazione di sostenibilità poteva rappresentare un passo non corretto. E questo perché? Perché lo sappiamo, in Italia ma anche nell'Unione Europea la maggior parte delle imprese sono imprese di piccole e medie dimensioni. Il 99% delle imprese in Europa è costituito da piccole e medie imprese, le offrono lavoro ad una percentuale di popolazione e corrisponde già al 65%. Quindi la sostenibilità per definizione può funzionare soltanto se c'è un coinvolgimento collettivo. La responsabilità collettiva vuol dire che ognuno di noi ha in qualche modo un ruolo nel far sì che questi obiettivi vengano traguardati. Quindi se anche le grandi dovessero essere sostenibili, ma poi esistono delle piccole e medie imprese che inquinano, che comunque non hanno rispetto delle persone che quotidianamente lavorano in azienda, voi capite bene che tutto il disegno, il sogno della sostenibilità viene ad essere mutilato, indebulito, in qualche modo travisato. E quindi l'Unione Europea, giustamente con un pasto felpato, ha suggerito di presentare, di quindi offrire uno standard volontario, uno standard che attraverso un'opera di moral suasion le piccole e medie imprese potranno applicare e nel costruire questo principio contrabile internazionale ha giustamente tenuto in considerazione sia le attese, le aspettative delle banche, sia le attese delle capofiliere, perché le capofiliere, cioè le società che in qualche modo hanno una loro catena di fornitura, hanno bisogno sempre di più di avere dei fornitori che siano anche essi sostenibili. E quindi siamo in attesa di conoscere questo nuovo principio contabile volontario sulle PMI, che però ci regala secondo me dei concetti molto forti. La sostenibilità, tutto sommato, la possono fare anche le piccole imprese, in che modo? Riducendo le emissioni, avendo naturalmente la capacità di ridurre il gender pay gap, andando a riutilizzare, a riciclare determinati prodotti, determinate materie prime. Quindi sono dei passi che tutto sommato, con naturalmente una marcia diversa, possono essere piano piano metabolizzati, interiorizzati anche delle piccole imprese, che se vogliamo sono nel nostro immaginario forse le imprese che hanno di più una dimensione umana e sono capaci in qualche modo di svolgere un ruolo importante per tutti i lavoratori. Quindi io dico a queste piccole medie imprese di non lasciarsi spaventare da tutti quelli che possono essere poi gli adempimenti amministrativi legati alla sostenibilità, invece di vivere con grande naturalezza e con grande serenità questa epoca che consentirà anche a loro di essere in qualche modo all'altezza delle grandi e quindi di poter essere al passo con questa nuova era che sicuramente dovrà segnare una nuova traiettoria, una nuova via verso la sostenibilità. Allora quindi, per tirare un po' le file e fare un po' il punto, la sostenibilità fin qui noi l'abbiamo valutata come una opportunità e questo come dire dai vostri studi è più che aclarato, ma a me fra le sue parole quello che mi ha colpito è l'accenno ai costi, perché chi paga poi dopo alla fin della fiera gli obiettivi ambientali fissati da lui, e vogliamo fare il punto per chiarire davvero poi dopo questi costi incarico a chi vanno? Questo è un punto dolente, non ancora risolto, non sono solo una battuta, io sul passo felpato della Commissione Europea ho qualche dubbio, mi sembra ogni tanto un bel piedone con scalpa ferrata, però poi questo apre un ampio discorso. Allora il problema della distribuzione dei costi è ancora aperto, negli anni si sono susseguite dei tentativi, gli stessi collabori volontari miravano all'obiettivo di evidenziare prodotto migliore per dargli un vantaggio di mercato, di cui sono arrivati poi tutti i criteri che hanno per alcuni prodotti coinvolti il Green Procurement, soprattutto sul lato pubblico, Green Public Procurement, così detti CAM, che eventualmente chiedono di acquistare tutti o almeno una parte o danno un valore aggiuntivo ai prodotti con le collaborate, quindi questo è già un elemento di selezione. Oppure la direttiva Emission Trading dell'Unione Europea che obbliga certe aziende a stare sotto certi livelli di emissione, se superano questi livelli devono comprare dei diritti di emissione, quindi questo è un costo che va poi alla comunità e che pagano le aziende. Il meccanismo per farla ritornare a comunità è complesso, non è così immediato perché è una compravendita, etc. sarebbe da approfondire molto. Però siamo a livelli ancora molto superficiali, di fatto c'è un po' un faro est su questo, che c'è una vera ricollocazione efficace dei costi, la stessa tassonomia che è uno degli elementi di questa nuova direttiva, che dovrebbe indicare, selezionare le attività che stanno entro certi parametri di sostenibilità, a momento è solo dichiarativa, quindi c'è ancora molto da fare prima che abbia delle ripercussioni a livello economico. Alcuni dati, perché sui dati dobbiamo ragionare, se non andiamo a vedere a livello globale c'è una strana simmetria, cioè il 10% delle attività più ricche, delle persone più ricche, insomma il 10% più ricco contribuisce per il 50% delle impatti sulla sostenibilità, mentre il 50% più povero contribuisce per il 10%. Quindi è evidente che ci sia ancora una mancanza di distribuzione dei costi, uno dei paroli chiavi è la sostenibilità, l'equità, queste equità siamo ben lontani da raggiungerle, sia a livello locale, perché queste differenze si vedono anche all'interno delle nazioni. Perché questa mancata distribuzione dei costi colpisce le persone più povere e ancora di più a livello di confronto tra nazioni, che hanno poi un effetto sinaggia con altri processi che sono le guerre, che sono le migrazioni, che sono generate sempre da questa discriminazione, questa non equità di distribuzione. Se io contribuisco fortemente a cambiamento climatico e sono in Stato Unito e non in Europa, ho dei danni sicuramente, ma in Bangladesh o in altri paesi del terzo mondo ne subiscono molti di più, quindi c'è proprio una carenza di redistribuzione. Se avessi qualche soluzione efficace, probabilmente non ce n'è una, bisogna metterle tanti strumenti assieme, tanti a profitto, esatto, questo assolutamente. Senta, Pr. Sade Martini, invece io con lei voglio tornare ancora alla rendicontazione, perché per il settore finanziario, ecco, mi interessa, vogliamo approfondire, è qui come ci si muove? Grazie mille per questa domanda. Sul settore finanziario, ovviamente c'è un'attenzione particolare, perché il settore finanziario è il settore che fa da volano per tutta l'economia, soprattutto all'interno del contesto europeo. È evidente che il regolatore ha voluto incidere particolarmente sul settore finanziario per poi andare indirettamente a cascata sugli altri settori economici. All'interno del settore finanziario, a dicembre dell'anno scorso, la Banca Centrale Europea ha pubblicato un report sulla rendicontazione della sostenibilità, proprio per capire come si è mosso in questi ultimi anni il settore finanziario e se sta andando nella direzione che il regolatore ha previsto e ancora sta cercando di portare nei confronti, in particolare delle banche degli investitori istituzionali. È emerso che questo studio ha affrontato due grandi aree della comunicazione e della sostenibilità nel settore finanziario. Uno, l'ampiezza, cioè quanto viene comunicato, e secondo invece le caratteristiche narrative, che cosa viene comunicato, come viene comunicato. I risultati purtroppo non sono molto incoraggianti perché da questo studio è emerso come le banche che effettuano dei finanziamenti a imprese maggiormente inquinanti sono quelle che rendicontano di più. E qui torniamo un po' a uno dei principi di trasparenza, di qualità della rendicontazione non finanziaria, cioè non è tanto il numero di pagine del documento che incrementa la qualità o la trasparenza del documento stesso, anzi... Lei mi aveva evidenziato proprio questo particolare, il volume non fa l'informazione. Anzi, tutt'altro, di solito offusca le informazioni rilevanti, le performance rilevanti, cioè quando un'impresa ha qualche performance, diciamo, poco positiva cerca di annegarla all'interno di un insieme di parole che fanno perdere al lettore questa informazione. Quindi le banche che prestano a società più inquinanti sono quelle che comunicano di più, sono un pochino meno trasparenti, ma c'è di più. È stato evidenziato come il finanziamento a queste società, diciamo, più inquinanti non è volto a portare una transizione energetica all'interno di queste imprese, ma a finanziare appunto il consumo di carburanti fossili o comunque di energie che derivano da carburanti fossili. Quindi in questo senso siamo ancora un po' lontani dagli obiettivi di sustainable finance che sono promossi dalla Commissione Europea. Inoltre, sempre lo stesso documento ha evidenziato come il tono della rendicontazione che è la modalità con cui chi scrive questo documento in modo narrativo espone le performance utilizzando delle parole che appunto abbiano un accento più positivo, migliorare, aumentare, oppure un accento più negativo, limitare oppure ridurre. Ecco, il tono della rendicontazione è spesso inverso rispetto alle performance stesse di sostenibilità. Quindi ancora una volta qui c'è un po' il rischio che le imprese nel perimetro europeo stiano andando in una direzione più di greenwashing che di finanza sostenibile. Anche all'interno dell'Università di Pavia abbiamo fatto un nostro focus sul settore bancario italiano e è emerso anche qui che ci sono degli elementi di criticità ma ci sono anche delle possibili soluzioni. Quindi strumenti, meccanismi di governo dell'impresa, di corporate governance, di solito vanno a mitigare il rischio di greenwashing nella comunicazione delle banche, della sostenibilità delle banche e in particolare è emerso che non è tanto la presenza di donne o il numero di consiglieri presenti all'interno del Consiglio di Amministrazione ma è l'incremento di donne che siedono nei Consigli di Amministrazione che mitiga il rischio di greenwashing. Quindi le imprese che nel tempo percepiscono il ruolo delle donne consigliere nei Consigli di Amministrazione hanno dimostrato, forse ancora una volta per un'attenzione nei confronti della sostenibilità, di comunicare in modo più veritiero le proprie performance di sostenibilità. Questo uno tra tanti meccanismi di corporate governance. Insomma, come dire che ci sono delle responsabilità anche a livello sociale e politico, il convogimento delle donne non sta a noi scoprirlo oggi, sicuramente incide in maniera determinante in positivo. Allora, però io voglio approfittare della professoressa Angeloni perché lei ha portato avanti uno studio con l'Università Statale di Milano e anche uno studio sul campo al quale il Sole 24 Ore anche ha partecipato, perché l'università è da sempre impegnata, è il punto più alto della formazione. Sulla sostenibilità la professoressa Angeloni ha coordinato un lavoro davvero interessante che ha coinvolto alcune delle maggiori aziende italiane o multinazionali di rilevanza globale. Allora professoressa Angeloni, ci racconti un pochino come è andato questo studio e come lei è riuscita anche a coinvolgere direttamente quelli che poi sono i fruitori diretti e futuri della sostenibilità, ovvero sia i più giovani? Allora, intanto, prometto dicendo che il mio punto di forza è l'inclusione e con questa mia caratteristica forse sono riuscita ad attravere le grandi aziende e a convincere anche i giovani a partecipare a questo progetto. Il progetto si intitola Canale Sostenibile e dal titolo trapella un po' il disegno del progetto. Questo progetto di ricerca che è finanziato nell'ambito del PNRR, che è ospitato nell'abito scientifico Human All, vuole in qualche modo far conoscere quelle che sono le migliori prassi sostenibili, le migliori politiche inclusive. La razio di questo progetto è semplice, prima ancora di essere rendi contata la sostenibilità deve essere interiorizzata, deve essere pianificata, deve essere implementata. Quindi, piuttosto che romperci il capo su come andare a misurare quel particolare fenomeno, quale metrica sia più affidabile, io credo che sia importante cominciare dal concreto, dalla sostanza. Quindi il mio obiettivo è stato quello di coinvolgere delle aziende che sono campioni di sostenibilità perché loro potessero farsi in qualche modo facilitatori di buone prassi e potessero comunicare quelle che erano le leve per riuscire ad essere inclusive. La interrompo solo un attimo per chiederle, aziende rilevanti in Italia e anche a livello europeo, poste italiane, la prima che mi viene in mente. Parliamo di poste italiane, ma parliamo del gruppo 24 ore, parliamo poi del gruppo Nestre, parliamo della Barilla, parliamo di Bayer, parliamo di Techno Gym, parliamo di Digital Magic, parliamo di Acquebresciame, parliamo di Valentino. Parliamo di aziende che quindi lavorano in settori molto differenziati, ma questa eterologietà è stata ricercata perché il mio fine era quello di dimostrare che ogni azienda può essere sostenibile. Abbiamo coinvolto anche la Deloitte che come sapete si occupa di consulenza professionale, di odite e quindi direttamente investita sui temi della sostenibilità. Ma la cosa più interessante a mio avviso è stato che queste interviste, importanti responsabili aziendali, sono state condotte da studenti e studentesse unimi dopo un'opportuna formazione sui temi ERG e anche sulle soft skills. E a mio avviso è stato impressionante vedere la facilità e la abilità con cui questi studenti si sono chiaramente impadroniti dell'argomento di giusto coinvolgere i giovani fin da subito, perché i giovani sono gli stakeholders più titolati ad avere un domani, un tessuto economico sostenibile. Quindi noi quello che possiamo fare lo faremo, ovviamente, ma sono loro i principali soggetti che un domani dovranno pretendere giustamente un comportamento responsabile da parte delle imprese. E questo voleva dire anche rispondere a un altro importante requisito della sostenibilità. La sostenibilità vuol dire intergenerazionalità. Quindi era giusto mettere a confronto i signori, le persone già apermate sul mondo del lavoro con i giovani che sono naturalmente alla ricerca, disperata di un ambiente di lavoro il più possibile gratificante. Ma io le chiedo, a suo avviso, qual è stata invece la risposta da parte delle aziende a questo suo progetto e a questo interessamento e voglia di coinvolgimento? È stata una risposta positiva o no? È stata una risposta positiva e innanzitutto ho notato un loro desiderio di voler comunicare quello che già fanno in azienda e non attraverso il linguaggio magari un po' arido, un po' tecnico dei principi contabili internazionali, ma usano un linguaggio molto diretto, molto agile come quello delle interviste aziendali. Ed è interessante anche l'aspetto che le interviste siano state condotte da studenti e studentesse di diversi costi di studio, perché la multidisciplinarità è altrettanto importante. A mio avviso ogni studente, ogni lavoratore, ogni cittadino, a prescindere da quello che è proprio il background formativo, della propria esperienza professionale, del proprio status occupazionale, deve presidiare questi temi perché, ripeto, la sostenibilità è una responsabilità collettiva. Ovviamente è impensabile poter riportare tutte le interessanti osservazioni che sono emerse da questo progetto, che tutura in itinere, perché siamo aperti a coinvolgere l'altra azienda e siamo aperti come un'università anche ad accogliere altri studenti, perché inclusione vuol dire anche aprire le porte e i portoni della propria università per confrontarsi con altri ambiti universitari. Quindi chiunque voglia farsi portatore di questa esigenza sarà da me seguito e insieme ai colleghi appartenenti a ben sei dipartimenti. Ecco, quello che volevo dire è che ognuna di queste grandi aziende ha usato la sua strada per risultare inclusiva e sostenibile, è giusto che sia così, perché standardizzare tutto probabilmente è controproducente. Ma al di là di questa diversità ho riscontrato dei tratti comuni. Queste aziende avevano le seguenti caratteristiche, i seguenti meriti. Hanno avuto la capacità di ascolto, capacità di ascolto che hanno declinato attraverso delle survey, attraverso delle indagini interne di clima aziendale per capire quale fosse il livello percepito di inclusione da parte dei dipendenti. Hanno soprattutto garantito la possibilità di crescere, di fare carriera all'interno dell'azienda, attraverso una buona formazione, attraverso dei corsi di leadership diffusa, attraverso strumenti di mentoring. Hanno poi garantito ai dipendenti una buona conciliazione vita-lavoro attraverso gli strumenti del work-life balance. Hanno creduto nell'operosità dei propri dipendenti, nella capacità di questi dipendenti di essere responsabili, perché attenzione, la responsabilizzazione aiuta molto le persone a motivare a dare il meglio per la propria azienda. E non da ultimo quello che ho notato, che queste aziende non si sono limitate ad accettare o a tollerare la diversità, anzi l'hanno valorizzata. Attenzione perché la diversità è la fonte dell'innovazione e dell'innovazione le aziende hanno bisogno come il pane. Lei ha parlato di ascolto, qui come dire io sono un giornalista, la cronaca come sempre ci sopravanza, sopravanza anche nei giornalisti e pensiamo solamente alla cronaca più recente, alla storia di Franco Di Mare che era un nostro collega, a quanto come dire, tutto ciò ci sopravanzi e però ci riguardi anche poi direttamente, anche se noi non ce ne rendiamo conto, però sostenibilità, attenzione all'ambiente, ascolto, ascolto tantissimo ascolto che deve esserci nelle imprese, diventa poi una necessità che ci tocca davvero da vicino. Concluderemo perché il tempo è tirando, perché vi vorrò chiedere, poi lo chiederò a tutti e tre, di fare il focus su quelli che sono i vantaggi della sostenibilità. Magari brevemente solo su uno o due punti, ma approfitto di questa sala piena per chiedere a voi se ci sono delle domande perché qualche minuto riusciremo ad impiegarlo per rivolgere qualche domanda ai nostri ospiti, come vedete, come dire, gli argomenti non mancano. Prego. Sì, se cortesemente ci date una mano con un microfono, arriva. Prego, qua davanti. Il signore è qua davanti. Volevo chiedere alla professoressa Siangeloni che Demartini se il motivo per cui, mentre nell'accesso al credito sia abbastanza riconosciuto in ambito accademico che è più semplice per le aziende sostenibili accesso e ripagare, non avvenga la stessa cosa per il profitto e quindi il rendimento sul mercato. Se può dipendere da periodo di tempo considerato il fatto che i valori ESG sono soggettivi sia nell'applicazione che in chi li va a determinare su che scala, se può essere il settore di mercato. Ottima domanda. Ottima domanda e lei ha centrato un nervo scoperto, nel senso che, attenzione, al momento siamo ancora in un faro est, esistono diverse società di rating che rilasciano degli scoring di ESG, utilizzando però delle proprie metriche, metriche che non sono sempre così chiare e note. Quindi c'è una specie anche di rincorsa delle varie aziende a chiedere un rating a diverse agenzie per poi andare, come diceva la professoressa Demartini, a esibire i punteggi e gli score più alti. D'altra parte è anche vero che c'è un atteggiamento abbastanza oppressivo delle banche che, attraverso dei questionari, che non alle piccole MI, senza averne in realtà a livello giuridico dei veri e propri requisiti, una serie di informative e di metriche per quanto riguarda la sostenibilità. C'è anche un problema di lag, di ritardo temporale, tra il momento in cui la valutazione dell'azienda risulta migliore e il momento in cui certe pratiche sono state adottate. Quindi esistono degli studi che sono in realtà un po' in contrasto con gli studi più maggioritari, che dimostrano l'esistenza di una correlazione tra valore dell'impresa, che vuol dire anche naturalmente valore delle azioni o valore economico delle società, e utilizzo dei criteri ESG. Ma esiste questa letteratura minoritaria che nota una senza di correlazione, ma gli stessi autori poi vanno a giustificare probabilmente questa senza di correlazione con un ritardo temporale, tra il momento in cui certe soluzioni sono state adottate, e il momento in cui il mercato andrà a intercettare questi cambiamenti. Ma io dico che è importante secondo me che noi tutti, studenti, giovani, non giovani, riusciamo a padroneggiare questi temi perché a questo punto saremo noi veramente in grado di intercettare quei fenomeni di greenwashing, che poi sono anche di socialwashing, pinkwashing, c'è la pintura di rosa, c'è la pintura di verde, insomma le pinture di valore. Ma se ognuno di noi ha trazzato nel modo giusto per sgamare e in qualche modo scoprire questi attivi di sonestà, credo che il rischio di queste distorsioni possa ridursi, ovviamente ci vuole una preparazione, ma ognuno di noi nel suo piccolo deve avere un ruolo, è un ruolo del cittadino, anche per riuscire ad andare verso il giudizio. Professore Sade e Martini. Allora, la domanda in effetti è rilevante. Ci troviamo in un contesto economico complesso, infatti se noi guardiamo le performance dei principali fondi ESG prima dei conflitti internazionali, noi vediamo che il loro ritorno è superiore agli altri benchmark, quindi prendiamo BlackRock, prendiamo Vanguard, vediamo che questi fondi hanno delle performance superiori rispetto a quelli che sono in generale. Quindi, non è un ritorno che si può fare con gli indici di mercato, diciamo, più generalisti. Viceversa, più recentemente l'effetto dei conflitti internazionali ha portato molti fondi a acquistare all'interno, ad avere dei propri costituenti che sono anche armi, quindi è inutile nascondersi dietro questo. L'altro aspetto da considerare è che gli Stati Uniti ha avuto una sorta di cambio di rotta, quindi mentre fino a qualche anno fa gli Stati Uniti, appunto i fondi che ho appena citato sono statunitensi, avevano un forte investimento in ambito ESG, più recentemente è emerso come la libertà dell'investitore possa andare in contrasto con l'investimento in sostenibilità. Quindi c'è questo conflitto che è emerso chiaramente recentemente negli ultimi 18 mesi che ha portato alcuni Stati, ad esempio il Texas, a introdurre delle normative per evitare che le società presenti all'interno del proprio territorio nazionale, federale, potessero essere come dire in qualche modo governate da fondi ESG. Quindi avere dei costituenti ESG all'interno di questi fondi, soprattutto in questi contesti, non è visto positivamente. Tuttavia, una recente ricerca, non mia, ma di colleghi americani, ha dimostrato che fondi ESG e fondi che hanno dei costituenti che includono maggiormente le energetiche, oil e gas, hanno un ritorno assolutamente paragonabile, nel contesto americano, che è quello attualmente un po' più controverso. Spostiamoci un attimo, andiamo in Cina, vediamo invece che qui l'attenzione nei confronti degli investimenti ESG è massima. Perché? Perché le aziende cinesi hanno capito che se vogliono far parte della catena di fornitura delle società europee o di mercati regolamentati dal punto di vista ESG, devono per forza essere compliant nei confronti appunto di tematiche ambientali, sociali e di governance. Ecco, le parole della professoressa De Martini ancora una volta sfatano altri miti. Ma mi pareva aver visto una mano levata anche in fondo alla sala, se cortesemente portate il microfono. Brevissima la domanda e ai miei ospiti devo dire che purtroppo la risposta dovrà essere brevissima anche essa, perché siamo per finire le possibilità di andare in streaming, vi ricordo che siamo in streaming sul canale del Festival di Trento. Prego, ci dica. Grazie, il 6 luglio scada il termine per adottare anche e recepire in Italia in tutti gli stati membri la direttiva sulla reportistica di sostenibilità. Qual è la vostra percezione di preparazione delle imprese, sia come consapevolezza dell'impatto che avrà nella rendicontazione, sia nella preparazione del personale, dello staff? Grazie. Con riferimento alle aziende che erano già obbligate, lista consub della non financial reporting directive, io direi che le aziende sono già pronte a implementare la nuova normativa. Le piccole e medie imprese che rientreranno nel periodo del perimetro della CSRD stanno cominciando a implementare tutte le misure necessarie per poter essere pronte a imparare le nuove normative. Quando sarà il momento di iniziare la rendicontazione? Bene, io ringrazio tutti voi per essere stati qua ad ascoltare i nostri ospiti, che ringrazio ancora una volta. Il sole è 24 ore, a nome del sole 24 ore, buona domenica e arrivederci al prossimo anno. Grazie. Grazie.
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