Rigenerare i luoghi per rigenerare le comunità: la cura dei beni comuni come strumento di partecipazione
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Rigenerare i luoghi per rigenerare le comunità: la cura dei beni comuni come strumento di partecipazione
La partecipazione attiva dei cittadini trova una espressione tangibile nel recupero degli spazi pubblici e di socialità. Vere e proprie agorà per l’esercizio della cittadinanza democratica. Questi processi rigenerativi, i beni pubblici e l’accessibilità a essi hanno un ruolo fondamentale per Trento Capitale Europea del Volontariato 2024. Eugenio Petz, Responsabile dell’Ufficio Partecipazione e Cittadinanza attiva del comune di Milano, sarà in collegamento da remoto.
Il patrimonio che è consistente, pubblico, non pubblico, abbandonato a rentiere di città che devono naturalmente rinascere e venire ricucite. Quindi volevo chiedere subito a Renato Quaglia, a partire un po' con lei, e cercare di capire in che situazione siamo oggi in Italia. Quanto è il patrimonio, qual è il patrimonio anche quello della Chiesa, abbandonato che non porta reddito? E quali possono essere i progetti, le visioni per cambiare questa situazione? Intanto, buongiorno a tutti, intanto. Grazie per l'ospitalità. Intanto, dobbiamo dire che dietro al termine della rigenerazione urbana c'è, o meglio, è uno di quei termini, il cui uso in questi anni, si presta a delle declinazioni tra loro diversissime. si presta a delle declinazioni tra loro diversissime. A me interessa particolarmente, vorrei proporvi questo punto di vista, a me interessa quella rigenerazione urbana che è una conseguenza del determinarsi di vuoti all'interno della città, ma soprattutto di parti di città che sono particolarmente fragili. Parti di città che definiamo anche qui genericamente periferie, ma che rappresentano parti risolte, oppure per le quali la trasformazione di questi decenni ha determinato una condizione di difficile vivibilità. Partite da presupposto innanzitutto che, certo, avrete letto, io vengo dai quartieri spagnoli di Napoli. Non sono napoletano, come comprendete dal mio accento, ma quell'esperienza dentro, a quella che è definita una periferia anomala, perché nel centro storico del cuore della terza città d'Italia è di fatto un'anomalia particolare. Ma i quartieri spagnoli, che in questo caso rappresentano un'area con i maggiori tassi di illegalità e di criminalità, soprattutto giovanile, o dove vive il 10% dei bambini in tutta Napoli, pur essendoci una condizione di disoccupazione e inoccupazione tra le più alte d'Europa per quello che riguarda un quartiere, non sono una eccezionalità. Quartieri come Corviale, come Lediga, Genova, come la città vecchia di Bari, non dobbiamo pensare che siano delle eccezionalità che non ci riguardano, perché il 90% degli abitanti delle città in Europa vive nelle periferie. E queste periferie più o meno rappresentano quello che Shakespeare definirebbe l'inverno del nostro scontento, dove si tratti di illegalità, di insicurezza, di dispersione scolastica, si tratti delle molte povertà in cui si declina quello che normalmente definiamo una fragilità sociale ed economica, quelle molte povertà sono di fatto una condizione a cui dovremmo abituarci tutti, ovvero siccome non saremo disposti ad abituarci dovremmo essere tutti capaci di contrastare. Quindi quando parlo di rigenerazione urbana, io mi riferisco a questo tipo di rigenerazione, che quindi assume un significato sociale, educativo, informativo, perché un grande edificio, nel nostro caso Napoli era un ex monastero, ma qui come giustamente lei accennava, anche questo sarebbe un altro tipo di approccio, un terzo del patrimonio dei centri storici, il patrimonio di Lizzo dei centri storici italiani, appartiene alla Chiesa. La Chiesa è la più antica organizzazione del mondo che subisce uno dei fenomeni più gravi, per un'organizzazione, la mancanza di ricambio generazionale. Vuol dire che in particolare in questi decenni il personale della Chiesa che gestisce questi edifici, spesso con funzione educative, con funzione aggregative, con funzione sociale, ovviamente segnate da un approccio religioso, queste persone stanno continuando a fare una ricerca di rigenerazione, di rigenerazione, di rigenerazione, e ovviamente queste persone stanno continuando, non avendo avuto ricambio generazionale, continuano a offrire dei servizi con lo sguardo che però è legato ai decenni scorsi in cui avevano invece una capacità certamente molto significativa, importante per le comunità. Vengono quindi abbandonati, non vengono seguiti, non c'è più una partecipazione, il monastero di Napoli, a cui faccio riferimento, su cui abbiamo esercitato questa rigenerazione urbana, le anziane suore propongono dei corsi di ricammo e di cucito per le ragazzine del quartiere. La camorra da 500 euro netti a settimana, a nero, a chi porta solamente dosi di droga e motorino da una parte e dall'altra alla città. Comprendete che non c'è partita tra il corso di ricammo e cucito e questo tipo di immediato riconoscimento economico. In questi contesti intendo dire la rigenerazione dato questo tipo di problemi di cui noi siamo uno dei casi di colla bolla del sistema immobiliare della Chiesa che sta perdendo funzione, che è destinato o a rimanere vuoto o a trovare soluzioni. Lì noi, come altrove in Italia, siamo tra le molte organizzazioni civiche che si stanno impegnando nella rigenerazione urbana. Quindi, per rispondere alla sua domanda e poi approfondire in un'altra direzione, è vero, esiste in questo momento un fenomeno in nostro Paese, organizzazioni civiche, che si stanno organizzando per sformare la condizione sociale, educativa, culturale. Sono casi a volte puntuali, micropiccoli, a volte sono sistemici più importanti, strutturati, ma è in atto un cambiamento, un profondo cambiamento, una nuova stagione di impegno da parte dei cittadini che si incaricano, si assumono una responsabilità sociale e collettiva. Grazie. Questo anche perché forse è venuto meno o non ha avuto capacità di assumere un nuovo tempo. Vi ricordate, molti di voi avranno visto quel film in cui Toto e Pepino sono in Piazza Duomo a Milano e parlano a un vigile urbano e Toto dice, scuse-moi, volevamo savoir perché l'ho visto, ma non ho capito che era un film scuse-moi, volevamo savorre perché lo confonde con un... Toto a quel vigile chiede in un certo punto, dove dobbiamo andare per andare dove dobbiamo andare? E quello è un momento in cui tutti noi sorridiamo o ridiamo alla battuta. In realtà, se la guardiamo a un altro punto di vista, quella non è una battuta perché ogni cittadino vorrebbe sapere dove dobbiamo andare per andare dove dobbiamo andare. Ogni cittadino chiederebbe al proprio ente pubblico una visione. Che città vogliamo? Diceva Calvino. Una città cresce in relazione ai deserti a cui si oppone. I deserti li conosciamo, ognuno conosce quelli della propria città, del proprio quartiere. Io posso dirvi che a Napoli un deserto è quello educativo. In mio quartiere, io sono veneto tra l'altro, ma dico che nel quartiere dove lavoro, i quartieri spagnoli, il 33% dei ragazzini tra gli otto e quattordici anni abbandona la scuola. Vuol dire che uno su tre tra gli otto e quattordici anni non va più a scuola. Voi comprendete che in un luogo che non offre lavoro l'alternativa è... O sarebbe la cosa migliore, la perdita verso una vita fatta di precariato, di lavoro occasionale, o peggio, naturalmente, andare a ingrossare le file della mano d'opera della camorra. Ora, rispetto a questi contesti, a questi deserti, io mi oppongo alla dispersione scolastica, ma per quale forma di città? E' il rischio vero di queste molte esperienze a cui lei faceva riferimento prima che ci dicevamo stanno attraversando il Paese, dico da Milano a Siracusa, di rigenerazione urbana, di forme di cittadinanza attiva che partecipano al cambiamento, quello che manca all'ente pubblico, non nel senso di mancanza di finanziamenti. Ad esempio l'esperienza napoletana a cui sto facendo riferimento è un'esperienza esclusivamente privata, che ha lavorato quindi su interventi di alcune industrie. Questo sarebbe anche interessante poi da approfondire come ruolo e nei modi, ma è un'esperienza che non ha avuto bisogno di risorse pubbliche, però avrebbe bisogno di collocarsi in un contesto più ampio, in politiche pubbliche, per non rimanere delle singolari eccezionalità, un po' come degli acquari dentro ai salotti. È bellissima la vita che c'è dentro quell'acquario, ma la vita vera è fuori, e quindi quello che manca all'ente pubblico è la capacità di leggere queste esperienze, trarne il meglio, capire quali interventi hanno funzionato, quali no, e attraverso la lettura di quegli interventi, insieme a quella parte di cittadinanza che si è impegnata compreso, fare quello che in un certo senso si sta cominciando ma troppo poco lentamente in Italia, e molto meglio, invece, sta accadendo, ad esempio, in Germania, co-progettare, per trasformare, effettivamente, cambiare la città, portarle nel nuovo secolo. Sloterdijk diceva che il 900 è stata l'epoca dei progetti, il nostro secolo è l'epoca delle riparazioni. Queste riparazioni dobbiamo farle insieme, ma insieme anche all'ente pubblico. Grazie. Eugenio Pez, con lei vogliamo parlare di un esempio di partecipazione della cittadinanza attiva. Non lo vedo, credo sia ancora collegato. Per me, perfetto. Ci racconta cosa sono i pati di collaborazione, che sono un nuovo strumento amministrativo nato a Milano, che però esiste anche in molti altri comuni d'Italia, sotto diverse forme? Sì, molto volentieri. E' un strumento amministrativo che, in qualche modo, offre una soluzione ai grandi dilemmi di cui ci parlava il professor Qualia, alla ridotta scala di capacità che si consente. I pati di collaborazione sono stati introdotti nel Cogli Milano da un regolamento per l'amministrazione condivisa e la cura dei beni colpani, sulla scorta di un lavoro più linearistico e che si è costruito in un modo che non è un problema di giudizia, ma è un problema di giudizia che non è un problema di giudizia. La città che è stata antesegnata in questo movimento è stata a Bologna. Abbiamo tutto imparato da Bologna. Oggi sono molto attive altre città, per esempio Verona, in Bologna, in Cogli Milano, e così via. Il pato di collaborazione è uno strumento giudidico di tipo nuovo, sostanzialmente uno strumento di common law, in situazione dove si dovrebbe dire, cioè uno strumento mediante il quale l'amministrazione non si svolge più, mediante quel ruolo autoritativo che è tipico da nostro dinamento degli enti locali o comunque di tutte le autorità paniche. Poi si, ponendo l'attualizzazione sul piano di parità che cittadini, ovvero in sostanza è anche questa una forma di coprogettazione di interventi che vengono promossi, ispirati dalla cittadinanza attiva, che il comune discute il sim a loro e che accetta di svolgere il sim. È fondamentale il tema della collaborazione. Collaborare significa evidentemente sposare e mettere per quanto possibile da parte di tutti delle risorse a fattore comune per poter realizzare gli obiettivi che sono oggetti in questo caso di fatto. È una forma di collaborazione molto, forse la più alta che sia possibile realizzare oggi, e va molto di là di quello che normalmente che sono un patrocini, perché con un patrocini ad esempio la Settizia pubblica ha fatto che riconosce il valore collettivo di una iniziativa privata, ma non la fa propria, non scendeci dal punto di collaborare. Che cosa abbiamo fatto a Milano con i pati di collaborazione? I pati di collaborazione sono stato uno strumento sposato, compreso sposato quasi immediatamente da un terzo soggetto molto importante per la comunità milanese, che è un'attività negli operazioni di rigenerazione e comunque partner del comune in quel caso, questo tipo di attività che è la comunità delle fondazioni. In particolare è stato un strumento apprezzato subito da Fondazione Carbillo, che lo ha fatto alla chiave di volta di un suo programma mai concluso, mediante il quale ha finanziato le interventi di rigenerazione urbana sulla scala, come avrebbe detto Renzo Piano, della ricocitura delle ferite del tarito. Questo è stato lo spazio nel quale i pati di collaborazione hanno avuto la prima fase di espansione ed ancora attiva l'intervento, con ottimi risultati. Perché? Perché il cittadino conosce il territorio urbano anche nel periodo di conoscenza del colore. E soprattutto, poiché vive in quella zona, ha forse la capacità di ideare un volare di un'attività che è un'attività che è un volare di un'attività che è un volare di un'attività che è un volare di un'attività che ha forse la capacità di ideare un volare di rivitalizzazione in uno spazio estraendolo dallo sfondo, per così dire, un poco in dissolvenza sulla quale si svolge l'esistenza del cittadino, per rissinificarlo profondamente. Questa rissinificazione in che cosa è che un po' consiste? In attività di diverso tipo, vuoi a carattere che sono io, quindi in ogni patto noi assistiamo alla presentazione di un ventaglio di attività diverse che vanno sia dalla cura del verde, per esempio, ma anche dall'utilizzo dello spazio per l'attività di che sono io, rivolta al benessere dei cittadini, particolarmente quegli anziani, oppure attività verso i giovani, verso i bambini, e altre cose di quel tipo. Sono tutte attività che il comune di presse non avrebbe avuto il modo di fare. La rissinificazione in cui si tratta di un ventaglio di attività che questo è fondamentale dirlo, vanno al di là delle soglie che il comune si pone nell'erogare i propri servizi, date le risorse che ha a disposizione. È un contributo aggiuntivo che ci adinifondiscono alla qualità dell'abitare collettivo, dell'abitare città. Sarà anche interessante, secondo me, valutare quanto sarebbero costate queste attività al comune per l'equivalente, valutando quanto avrebbe dovuto spendere per svolgere l'improprio mediante gli strumenti contattuali di affidamento usuale, per capire che in realtà questa attività autoprodotta dai cittadini con la collaborazione del comune hanno un valore anche economico importante. La cosa più interessante, forse per me non più è seriosa a Milano, è che queste iniziative possono raccogliere e mettere a fatto al comune le risorse di altri soggetti, soggetti privati, per esempio anche le aziende, che sono spesso a ricerca di occasioni per poter esprimere proprio, possiamo chiamare, un piatto spirito di responsabilità sociale, ciò che si chiama CSR in Sile, oppure per esprimere proprio volontarie al ZIDA. Le aziende che sono indacaneanizzate a questo tipo di percorso sono alle ricerca di opportunità. Questa volta, anziché che tra direttamente al comune possono allearsi con i cittadini per le realizzate assieme mediante la collaborazione del comune. Ora, tutto questo è un mondo invenire molto interessante. Posso citare due esempi, diciamo due che mi sembrano molto significativi, grazie a questa collaborazione con la fondazione del comune del quartiere di Bruzzano, un'area verde non particolarmente valorizzata, non abbandonata a sé stessa, ma in qualche modo molto limitrofa e poco utilizzata, è stata convertita in un campo, anzi, in un campo da gioco di calcio con altre installazioni sportive a beneficio della comunità. Questa è la cosa che mi... l'essenza sta in un campo di gioco di calcio e questo è la cosa che mi... l'essenza stessa del patto di collaborazione sul piano giuridico sta proprio in questo. Le aree, quando vengono prese in cura dei cittadini, non sono date ai cittadini. I cittadini non hanno... su un luogo di atteggiamento ne possono avere un atteggiamento proprietario verso queste aree. Se così fosse, cioè se i cittadini potessero utilizzare quelli aree e quindi i cittadini potessero utilizzare i cittadini per i loro attività, i loro attività, i loro attività, e quindi non sono state con le loro amiche corrette per caso di questo giro. Faccio un esempio per tutti che sono le concessioni o cose di questo giro. Il cittadino, mediante il patto di collaborazione, riceve, per così dire, un titolo per accedere a quell'area a svolgevi la propria attività, e quindi si sono state con le loro amiche corrette per caso di questo giro. Un altro fatto di collaborazione che mi sembra molto interessante anche per il sviluppo di centrisimi che ha avuto è questo. Esiste un'area in città che è molto grande, che era un concetto di un insediamento industriale per il rettamento di idrocarburi, e aveva subito nel tempo un pesantissimo inquilamento. Proprio per questo l'area, a metà comunale, era stata in qualche modo lasciata a sé stessa in un processo spontaneo di rinaturalizzazione. Oggi, quell'area è oggetto di uno studio sistematico da parte di una comunità di studiosi che si è costituita a posta, che collabora con il Comune in particolare, con la nostra area che si occupa delle bucce urbane, con la comunità di CNR, con il Città, con l'Istoria Naturale, e con una serie di associazioni civiche del bordo per aiutare a creare un'area di rinaturalizzazione e di rinaturalizzazione. Proprio per capire, nei meccanismi biofigici per cui è costituita, viene rinaturalizzata. Ci sono portate a condizioni per cui la diversità biologica, sia fonistica che vegetale, aumenta costantemente e riporta a uno stato di ricchezza biologica un'area che in verità era disertificata. Quindi funzioni molto diverse si possono poi realizzare. Sì, molto diverse. Volevo concludere dicendo che questo patto ha ottenuto da la comunità europea un finanziamento molto cospicuo di recente per poter crescere e svilupparsi. Le finanze che sono realizzate in una situazione a tutti i livelli possono essere un fortissimo magnete per aggregare intorno alle loro circostritte operazioni risorse che sono del contesto e che altrimenti non troverebbero una chiave per andare a futuro comune e le serviremo davanti agli altri. Grazie. Teresa Pedretti, con lei vorrei parlare della cittadinanza in maniera diretta per capire quelli che erano i bisogni della cittadinanza stessa sull'area in questione che riguarda Trento. Ce lo racconta come vi siete mossi e come avete coinvolto i residenti? Molto volentieri, grazie. Per raccontare questo percorso partirei da un ragionamento con la visione. A me piacerebbe parlare di visione di città più che di bisogni che ha la città. Ovviamente il contesto di cui noi parliamo è molto diverso da Napoli. Parliamo dell'occasione che ha la città di Trento di ripensarsi e di ripensare al proprio futuro un'occasione aperta dalla possibilità di realizzare quello che nel piano regolatore del 2001 aveva previsto l'architetto catalano Juan Busquets, cioè l'interrare la parte che attraversa il centro per chi è di Trento dall'ex Scalo Filzi al Muse, quindi a questa zona, interrare la ferrovia. Ferrovia che naturalmente divide, crea delle divisioni nella città. Allora l'amministrazione comunale si trova alle prese un po' con un cambiamento rispetto a come si realizzano oggi questo tipo di progetti. Nasce un po' all'interno dell'amministrazione, sia la parte politica che la parte più amministrativa, la consapevolezza che questi progetti, questi processi, mi verrebbe da dire, è il momento di affrontarli in maniera diversa. Ed è qui che trova un po' spazio il percorso super Trento, che è un percorso che si basa su tre parole principali, che sono informarsi, immaginare e partecipare. Perché? Perché oggi la visione della città che chiedono i cittadini è una visione che si deve basare necessariamente sul loro coinvolgimento. E quindi non solo sulla co-progettazione come la immaginiamo, che è molto spesso invece la fase finale, quella dove decidiamo che cosa fare, ma più che altro anche il coinvolgimento in quello che si può chiedere, in quello che la città può effettivamente diventare. Penso che questo tipo di percorsi abbiano senso e, con il sino del poi, devo dire, sono anche abbastanza convinta, che debbano innanzitutto trovare la capacità di coinvolgere i cittadini, che sono dopo la pandemia, devo dire, sempre più difficilmente coinvolgibili perché abbiamo tutti delle vite sempre più complesse, la capacità e la voglia di ritornare ad immaginare che una città diversa, una città più giusta, una città più inclusiva sia effettivamente possibile. Allora, per fare questo credo che quello che è importante è innanzitutto coinvolgere la cittadinanza e quello che abbiamo cercato di fare con Supertrendo nell'informarla su che cosa sta succedendo, e che si possa capire che cosa c'è in ballo, di che cosa si parla. Nello specifico, quando in una città come Trento si parla del rimaginare un'area di 16 ettari, vuol dire parlare di tutta la città, perché Trento è una città tutto sommato piccola. E allora vuol dire coinvolgere tutti e tutte le persone nel capire questo, ma anche coinvolgerle in un percorso che le porti a costruire un'immaginazione, a capire che cosa si può chiedere. Perché io penso sempre che nel momento in cui noi realizziamo percorsi partecipativi, chiedendo alla città di che cosa ha bisogno, la città risponderà di un parco. Quindi quello che servono questi percorsi è anche aprire l'immaginazione, coinvolgere le persone nel capire che cosa possono osare chiedere. E poi arrivare sia a una fase di progettazione che a una fase di coprogettazione più specifica, più puntuale, ma che nel nostro caso ha dato anche l'occasione di far emergere quelli che poi abbiamo chiamato nel lavoro finale, che è questo volume tascabile che pesa quei 4-5 chili che trovate fuori eventualmente all'ingresso, nel capire, nel far emergere quelli che sono dei principi per una città, per una visione di città futura, che sono dei principi che non trovano indicazioni solo in quest'area, trovano indicazioni in una città che è tutta la città di Trento e che forse in realtà sono un po' i principi che possono essere utili e pensati anche nelle altre città che hanno questi processi in corso. Qual è il risultato di questo percorso? Il risultato? Il risultato di questo percorso a livello pratico e, diciamo così, tecnico sono delle linee guida, cioè significa quello che poi è emerso da questo percorso che farà da base a quelli che sono le future fasi che porteranno poi alla concretizzazione delle varie cose, cioè banalmente faranno da documento strategico e preparatorio dei concorsi per il master plan per la progettazione vera e propria dell'area. Quindi questa è la prima risposta che mi viene. Gli altri risultati che hanno portato forse meno tangibili sono però secondo me forse altrettanto più importanti, cioè che è il fatto di aprire di nuovo una discussione sulla città e una discussione che mi viene da dire è finalmente aperta, non è più una discussione che viene portata avanti da persone che si occupano tradizionalmente di città, ma è una discussione essa stessa porosa, quindi aperta a diversi contributi. Allora, avere la possibilità di avere un processo che è e può essere definito, passatemi un po' la metafora, un bene comune, può essere uno dei risultati di questo anno, che poi è diventato anno e mezzo di percorso, è un risultato di cui ovviamente c'è oggi, ma un bene comune anche nel senso che poi bisogna prendersene cura, perché questi processi sono molto fragili e è molto facile che poi si disgreghino, però una volta che c'è una specie di legacy, di eredità di questo tipo di processi, è possibile andare avanti ad aprire delle nuove visioni. Nello specifico ancora di più, quello che è risultato un po' di supertrento, a livello di divisione specifica poi delle aree che intercetta, penso che la cosa più grande, il cambiamento più grande rispetto a quello che magari era stato immaginato con il piano regolatore nel 2001 sia attraverso un evidente cambio di sensibilità, sia la trasformazione di questo asse che avrebbe dovuto, diciamo così, rimpiazzare la ferrovia, un asse pensato nei primi anni 2000 come un asse per la mobilità privata, quindi per le automobili, la trasformazione di quest'asse in un asse che possa collegare da nord a sud, insomma, l'area, però fatto da una mobilità pubblica, fatto da una mobilità che sia accessibile a tutti. Questo non solo e non unicamente a favore della zona che viene attraversata, ma anche con la visione e l'idea tale per cui sia possibile collegare innanzitutto le aree più periferiche, perché se è vero che le periferie sono normalmente fuori dalla città, anche se come diceva anche il professore, non è sempre detto, ovviamente costruendo dei sistemi che possano collegare quelle che noi chiamiamo periferie a quello che noi chiamiamo il centro, è evidente che anche la percezione di esclusione tipica di queste aree può essere ridimensionata, quindi penso che questo sia uno dei risultati, e poi un po' più tangibili se vogliamo avere il quadro completo. Questo percorso, secondo voi, può diventare un modello anche in altri casi, perché quando si parla di rigenerazione non sempre si parla di coinvolgimento della cittadinanza, abbiamo alcuni casi in cui effettivamente si fa un sondaggio forse anche a volte un po' così semplicistico, e altri casi in cui invece la rigenerazione non coinvolge per nulla i residenti di quell'area. Questo potrebbe essere un modello, diciamo, un punto di partenza replicabile sul territorio? Sul territorio sicuramente. Se possa diventare un modello replicabile in altri territori questo, o per meglio dire scalabile, questo non sono in grado di dirlo, nel senso che penso che quando si vogliono avviare dei processi che siano di coinvolgimento reale della cittadinanza ci devono essere una serie di precondizioni che nel caso di Super Trento e della città di Trento c'erano, cioè il fatto che non siano dei percorsi fatti per un finto coinvolgimento, fare un sondaggio non è coinvolgere la popolazione. E semplicemente cercare di capire, anche perché sappiamo che i sondaggi dipende sempre da come le chiedi le cose, e ovviamente può essere, io penso che quello che può rappresentare, tra virgolette, un modello potrebbe essere proprio il fatto di pensare a dei percorsi che accompagnano ad informare, che accompagnano ad aprire l'immaginazione e poi a creare una visione, perché penso che quello che tutti abbiamo bisogno di fare è di costruire una visione che possa essere anche una visione di lungo periodo, come è nel caso di Trento l'interramento, non è una cosa che inizia domani, l'interramento naturalmente è un'opera che ha delle tempistiche che sono molto lunghe, ma quello che questi percorsi portano, segnando anche una specie di utopia, e poi la capacità di organizzare tutte quelle che sono le politiche o le azioni, le piccole aspirazioni quotidiane che ci avvicinano a quell'utopia, ecco io penso che questo sia un po' la cosa importante di questi percorsi e forse quello che può essere preso come modello. Grazie. Eugenio Pezza, torno da lei un istante per chiederle esattamente come parte il processo con lo strumento appunto della partecipazione attiva, cioè il cittadino singolo, l'associazione che si muove, il comune che sceglie un'area che va comunque ripqualificata, e poi si possono mettere in rete questi progetti per fare in modo che diventi una rigenerazione più estesa? Anzi lo stupo, lo sviluppo fondamentale potrebbe essere che si viva così. Oggi ovviamente l'arrivo in quanto di collaborazione è l'approdotto di un processo che parte mediante la presentazione di una posta di rigenerazione o di collaborazione da parte del cittadino, della celeranza attiva. Per quanto riguarda il comune di Milano, poi bisogna capire cosa viene anche nella diversità città, ma penso che anche in un processo in qualche modo in qualunque momento un cittadino può presentare un progetto le forme scandite dai regolamenti al proprio ente locale. Così come l'ente locale può, come il Milano lo fa, presentare delle opportunità di collaborazione alla cittadinanza mediante dei pubblici appesi. In realtà anche quando arriva la proposta di un patto da un'associazione o da un gruppo di cittadini, si sottopone questa proposta a una valutazione pubblica e a una visualizzazione, non per attivare una dinamica di concorrenza che non avrebbe alcuna racionalità in questo caso, ma per vedere se quella e quell'idea non trovano nel contesto delle risorse aggiuntive che possono agganciarsi a essa e rendere più fuori. Quindi per attivare una dinamica di alleanze contestuali. Il tema delle alleanze è molto importante perché è una delle idee chiave che sono dietro a tutta questa impresa. Tutto il rapporto con la cittadinanza cittadina, con la cittadinanza pubblica è un rapporto di alleanza, così come un rapporto di alleanza a quello che vorrei restaurare sempre intorno a queste iniziative e con il mondo dei soggetti privati. Il Comune di Milano presenta tutti i partiti di collaborazione sul sito particolare dove sono dettagliatamente illustrati e delencati, dove sono anche delencati tutti i soggetti che vi partecipano, di modo che quella possa diventare una sorta di biblioteca sia per le idee sia per chi vuole cercare dei partner. Su questa linea sarebbe importante costruire un ecosistema dell'amministrazione condivisa dei beni comuni, ed è questo lo sforzo che il Comune di Milano ha cercato di fare. Ovviamente è uno sforzo che richiede non tanto un ruolo torreggiante della pubblica amministrazione, ma un ruolo che la pubblicazione promuova le iniziative dei cittadini e le tenga un po' in fila di questo magmatico poverino. E' un movimento. Ovvero sia in qualche modo, ed è la sfida principale che tutte le città che sono state in questo percorso hanno di fronte, ancora creare una governance partecipativa di questo. Il volontariato disintermediato, così come il terzo settore, così come i soggetti privati del mondo economico, così come le fondazioni, secondo me, potrebbero collaborare in modo molto più fattivo se fossero capaci di creare un ambiente che possa guidare tutto questo ecosistema in cui il Comune faccia un pochino da coordinatore, ma non certo da decisore unico e esclusivo delle sorti di tutte queste iniziative. Grazie. Renato Quaglia, torniamo al titolo del nostro panel Rigenerare i luoghi per rigenerare le comunità. Prima lei parlava di abbandono scolastico, di problemi che riguardano giovani. In che modo questi cambiamenti di rigenerazione che partono a livello di mobiliare, di aree, etc., possono portare posti di lavoro, possono riportare sui banchi di scuola chi se n'è allontanato, come possono poi avere un indotto anche nell'economia importante? E come i privati intervengono e magari qualche progetto ci può essere un'altra? Come entrano dipende dalle esperienze che vengono portate dentro questi progetti di rigenerazione. Queste forme di cittadinanzativa sono delle modalità spesso che hanno una forte componente di spontaneismo, che non vuol dire dilettantismo. Inoltre, in cui le progetti di rigenerazione sono molto spesso spesso spostate sulle qualità di rigenerazione, è una modalità di spontaneismo che, attenzione, non vuol dire dilettantismo, perché spesso i problemi che incontra un certo modo di agire anche sociale di certa parte della città vede prevalere la generosità sul professionismo. Questo fa sì che non sempre i risultati siano, come dire, strutturati e capaci di portare cambiamento che comunque si è trattato di un dono offerto alla comunità. Tra l'altro dobbiamo dircelo, il nostro il paese che ha teorizzato per primo il diritto alla felicità. Dragonetti, Antonio Genovesi, Filangeri, sono i filosofi dell'illuminismo che nel settecento teorizzarono da primi economisti il diritto alla felicità che poi è arrivato nella Costituzione americana che sapete ha preso spunto dall'elaborazione dei nostri filosofi illuministi. E quel diritto alla felicità è quello a cui pensano coloro che lavorano su rigenerazioni urbane che vogliono diventare sistemi, cioè portare trasformazione. Prima, il Pez che tra l'altro sta facendo un grandissimo lavoro, io mi complimento con lui perché Milano è una delle città che se Bologna ha cominciato diciamo che Milano è riuscito a strutturare molto bene i propri interventi. Pez citava il rammendo di piano, purtroppo il grande piano ha avuto l'infelice idea di utilizzare quel termine per un singolo progetto che subito la politica ha fatto diventare una delle parole mantra per quello che riguarda le relazioni. Io penso delle relazioni con l'interno della città. Io penso che non si debba parlare di rammendo perché il rammendo è il modo per dissimulare uno strappo nel pantalone, nella giacca cioè cucendo in maniera tale che non si veda quello che effettivamente è caduto, cioè quello che è lusura quello che è una cattiva gestione, quello che un movimento sbagliato ha determinato. Io preferisco parlare di fratture perché di questo si tratta in molte parti della nostra società. Queste sono fratture che devono essere non ricomposte ma di cui bisogna comprendere la ragione per trasformare i contesti. È più interessante il kinshūji giapponese. Sapete quando si rompe un oggetto in Giappone vengono riconnessi i pezzi utilizzando l'oro per mostrare la frattura. Non va dissimulato l'errore e il difetto. Allora in questi contesti quello che può fare il privato, è la domanda che mi stava facendo, è importante quanto quello che può fare il cittadino. Per privato intendo dire le aziende, nel nostro caso quello dei quartieri spagnoli a Napoli, un grande gruppo, il gruppo Bolton, è un gruppo industriale, una multinazionale che assede a Milano, sta intervenendo e sostenendo un esperimento educativo che stiamo facendo in quel quartiere. Cioè lì è partita lo scorso anno, è partita e iniziata lo scorso anno, la prima scuola a vocazione ambientale. Si tratta di una scuola che dal nido fino alla secondaria di primo grado, quindi da un anno fino alle medie, propone una pratica educativa attiva dove però, rivolta a 500 bambini, dove però gli 80 insegnanti che lavorano per tre anni, e questo ne hanno già fatto 1 e mezzo, quindi devono farne ancora 1 e mezzo, seguono dei particolari corsi di formazione sui temi della crisi climatica, della sostenibilità ambientale, dell'economia circolare. Vuol dire che l'insegnante di matematico di italiano che tu avrai alle elementari piuttosto che alle medie, farà italiano e matematica, ma sarà un grandissimo esperto, perché se è formato seguito dai ricercatori del CNR, dell'Istituto di Bioconomia, e dai principali esperti delle Università italiane o di altre fondazioni europee, sarà un grandissimo competente rispetto ai temi che quei bambini, perché il bambino che si è scritto lo scorso anno da noi al nido, per quel bambino la questione ambientale sarà la questione, per noi è una delle adesso, e ne stiamo prendendo consapevolezza, ma per quella generazione sarà la questione. Stiamo provando a sperimentare una modalità per cui quel tipo di educazione sarà una educazione consapevole, a partire dall'insegnante. Ora, il gruppo Bolton ci sta seguendo su un progetto decennale, cioè che una multinazionale che ha seduto in Milano, abbia deciso di seguire per dieci anni con un impegno finanziario molto significativo, perché su un programma che noi stiamo affrontando che vale sui dieci anni 23 milioni di euro, sei e mezzo sono della fondazione Bolton. Un intervento simile, tendo a dire, che non punta ad avere la scritta del loro prodotto sul banco, ma una scelta proprio profonda da parte della proprietà di questo gruppo. D'intervenire per modificare, trasformare, non quindi aiutare economicamente, ma proprio partecipare alla trasformazione, questo è un segno che qualcosa sta cambiando in questo Paese. Ed è quel tipo di cambiamento che noi dobbiamo seguire. Qui siamo nella condizione davvero molto particolare, perché quando leggiamo sui giornali delle banliege parigine, vi ricordate, ciclicamente succede qualcosa nelle periferie di Bruxelles piuttosto che di Parigi, e noi ne abbiamo delle eco mediatiche. Voi avete avuto delle eco, ad esempio nel caso di Caivano, cinque ragazzini minori che stuprano o uccidono due loro coetane molto piccole. Sono dei casi, sono delle punte d'iceberg. Mi permetto di credermi che sono punte d'iceberg che diventano dati mediatici, ma che sono la punta di masse di ghiaccio davvero molto significative, molto più di quanto si immagini. Anche se noi, stando, direbbe Ghiglier, Ghiglier dice che ci sono due mondi, c'è il mondo di sopra e il mondo di sotto. Noi che ci permettiamo di essere qui a dei convegni, a un festivo dell'economia, appartenevamo al mondo di sopra. C'è un mondo di sotto. Dal mondo di sotto, che mi trovo frequentare da una decina di anni, vi assicuro, vi posso sicurarire che sono delle condizioni che noi del mondo di sopra non possiamo neanche immaginare se non scendiamo sotto. In un certo senso, avete presente qui i cartoni animati dove c'è un personaggio, lo stesso personaggio che muore più volte. Quel personaggio normalmente corre e a un certo punto supera un precipizio e continua a correre, apparentemente nel nulla. Noi lo vediamo correre nel nulla e non precipita. Quando precipita? Quando si rende conto della condizione in cui si trova. Quando guardando giù capisce che non è possibile fisicamente continuare a correre. Noi siamo in quella situazione. Ci sarà un momento in cui, progressivamente, e differentemente tra città e città, voi comprendete lo sguardo che vi posso avere su Napoli o quello che ci può essere su Bari, piuttosto che su certe periferie torinese, è diverso da quello che invita Trento a pensare in prospettiva un cambiamento del proprio master plan, ovviamente. Ma ci sarà un momento in cui ci renderemo conto che questo modello, così come abbiamo ereditato dal Novecento, non va più bene. Dobbiamo modificarlo. In quel momento allora avremo modo di cambiare modus vivendi, paradigma, atteggiamento mentale, tutti noi. E forse comprenderemo perché anche in questo momento sul rio Grande, nel confine tra Stati Uniti e Messico, dove una parte dei Stati Uniti non vorrebbe che ci fosse più l'immigrazione clandestina, di messicani che cercano di, disperatamente, di arrivare dall'altra parte, comprenderemo perché guardandola dalla parte dei Stati Uniti, c'è un certo punto un ex carcere che proprio confina con il rio Grande. C'è un lungo muro bianco su cui qualcuno ha scritto, anche da questa parte ci sono sogni. Grazie. Grazie. Io chiederai se magari dal pubblico c'è qualche domanda per i nostri ospiti. Va bene, grazie di essere stati con noi e grazie a voi. Grazie molte. Saluto anche Eugenio Pez che ci sente ancora, immagino. Grazie molte. Grazie. Grazie.
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