Quo vadis Cina
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Quo vadis Cina
Intervengono esperti di Cina, tra cui un ex ambasciatore e accademici, che offrono diverse prospettive sul ruolo dominante della Cina nell'economia globale, il consolidamento del potere di Xi Jinping, e le implicazioni per le relazioni internazionali, in particolare con l'Italia e l'Unione Europea. Il dibattito affronta temi come la "peak China", l'overcapacity produttiva, la competizione tecnologica e le strategie di investimento cinesi in Africa. Vengono inoltre discusse le possibili conseguenze di un ritorno di Trump alla presidenza americana sulle relazioni tra Stati Uniti e Cina e il futuro di Taiwan.
Sami 여기 Rubio răbarka in partita! Foreman, Vittoriaيرة, Tumbleremporanea, Ognuno mo che ne vuoi acá qui small by la vanca paje, Infatti, quando stiamo baptized, c'era di male nel tavale, più ouro da Tur calf, per fortuna, cosplay, in backed same? Per cy scrap port, qualsiasiurs surely want these kind. C PI N OUT, We would really like to smartphone the sponsored brand M Zero. No, giusto, io quattro. Sei Mario, Livia. Io quattro, sei vicino a lui, o come era? Bene, sta funzionando. Sì, buongiorno a tutti. È incredibile. In the early morning doveva la Cina alle 9.30 di mattina del sabato, una giornata piovosa, ci commuovete. Non ci stupite, non ci stupite perché abbiamo un panel ricco e abbiamo un tema ricco, ma molto piacere, diciamo. L'ho detto già con l'accento di Forchielli. Noi cercheremo, in questa ora che abbiamo insieme, cercheremo di ragionare paccatamente, sobriamente, senza partito preso, su dove va la Cina. Perché insisto su tutti questi enti, paccatamente, sobriamente, senza partito preso? Non certo perché il panel che ha qui, che vicito, non dico vi presento perché li conoscete, che vicito Ettore Forchielli, uno degli uomini che conoscono la Cina in Italia, consiglieri particolari di Ministri, World Bank a Washington e poi European Investment Bank, fondatore di Meanful Capital Partner, Sofia Graziani, professoressa di lingua cinese qui in casa all'Unità di Trento e una attiva prolifica scrittrice sulla Cina con sue monografie. E poi Ettore Sequi, posso dire il mio amico Ettore Sequi, ambasciatore in Cina per 4 anni e poi segretario generale della Farnesina e poi ora tantissime cose, vicepresidente di Sacce, presidente di Sorgenia, insomma, persone informate dei fatti. E noi dicevano, non dico paccatamente, sobriamente, perché loro devono essere invitati alla sobrietà e alla pacatezza, ma perché quando si parla di Cina, voi lo sapete, da decenni ma soprattutto negli ultimi anni c'è un dibattito crescentemente polarizzato, ci sono i falchi anti-cinese e ci sono quelli che abbracciano la Cina e il Panda in ogni caso, ad ogni costo. Sull'economia c'è chi descrive ora la Cina sull'orlo del collasso e chi presenta ancora la Cina come di fatto il dominatore economico del presente e del futuro. Sulla politica c'è chi presenta Xi Jinping come la possibile soluzione, pensate alla guerra russo-ucraina, la possibile soluzione anche di mediazione di quella guerra e c'è chi lo presenta come il dannatore del mondo, quello che con l'economia ci sommergerà con l'eccesso di capacità produttiva cinese e quello che distruggerà il mondo invadendo Taiwan. E anche sull'ambiente, se ci pensate, c'è chi presenta la Cina come il problema, cioè il paese che inquina ancora pesantemente, e chi presenta la Cina come la soluzione del problema, cioè chi produce i pannelli solari e tutte le tecnologie per evitare il climate change. Ma anche chi la presenta come una soluzione dice che anche la soluzione cinese è un problema perché noi diventeremo dipendenti dai pannelli cinesi dopo essere lo stato del gas e del petrolio russo. Quindi tifoseria da stadio quasi, ma noi cercheremo, dicevo paccatamente, sobremente, senza partito preso di discutere, di parlarne in questa ora assieme e lo faremo, dicevo, con i nostri tre ospiti. Io inizierei subito da Forchelli, da Alberto. Con una domanda secca e molto semplice, che ne è davvero dell'economia cinese in questo momento, tra catastrofismo e tutto bene, madama la Marchesa? No, l'economia cinese va male, ha un indebitamento secondo il fondo monetario del 140% sul PIL, l'individuamento pubblico pari a quello italiano, la crescita del 5% è tarocata, non è il 5% perché le imprese multinazionali in Cina non vanno bene, non crescono, ci sono tutte le indicazioni che ci dicono che quel 5% non è così. Però questo non impedisce alla Cina di rappresentare il 60% della capacità produttiva mondiale e il 33% della produzione mondiale. Quindi ha acquisito una posizione dominante sulla produzione dei beni industriali e dei beni di consumo in tutto il mondo. Quindi a chi mi dice che... Antigipo la tua seconda domanda Paolo? No, perché mi fai saltare la scaletta. Quindi non... Né? No, elaboro ancora un po' sulla prima. E' bello della diretta, scusate. Sì, ma no, ma allora niente, sì, siamo a peak China, siamo sostanzialmente a peak China. La Cina non crescerà più tanto, s'adaggerà su una crescita del 2-3%, anche dovuto al declino demografico, ormai non ha più tanti operai da portare via dalle campagne e compagnie, per cui questo non vuol dire che non sia pericolosa e minacciosa per noi però. Non dobbiamo adagiarci su questo concetto che il peak China sia tutto finito con la Cina, anzi, questo ammorbidimento della Cina su tasse di crescita bassa la renderà sempre più aggressiva sui mercati dell'export. Grazie mille, grazie mille. Un aspetto della pericolosità, prendo il termine che hai usato, e della possibile aggressività della Cina ha a che fare nel dibattito degli ultimi anni, accelerato negli ultimi mesi, o perlomeno dalla guerra in Ucraina, sul ruolo di Xi Jinping e sull'evoluzione del suo ruolo e all'interno della società cinese, della politica cinese. La vulgata, a te argomentarla, è che Xi Jinping è il nuovo Mao, il Mao del XXI secolo. Quanto è semplificazione, quanto c'è di vero, quanto c'è di minaccioso in questo aspetto in ambito politico come nell'ambito economico ci ha descritto Forchelli poco fa. Prego. Allora, sì, grazie. Intanto prendo tre secondi per ringraziare gli organizzatori del festival e poi in particolare appunto Paolo Magri, però anche Elispi, per avermi invitato a partecipare a questo incontro. Cercherò di essere breve. Intanto, in quanto sto principalmente storica della Cina contemporanea, il paragone Mao e Xi Jinping diciamo, lascia un pochino perplessi. Parliamo di due personalità molto importanti, ovviamente dei leader forti, importanti nella storia della Cina contemporanea, ma due personalità diverse, soprattutto che operano e si formano in contesti storici molto diversi. La vulgata, la moda, c'è questa idea di questa narrazione poi, sì, uguale a Mao Zedong, di fatto è parte poi di una narrazione dominante che è quella della nuova guerra fredda sostanzialmente, da cui poi discendono tutta una serie di sotto-narrazioni, la minaccia cinese, la cinea necolonialista in Africa, etc., etc., la depth trap diplomacy, etc., etc., che di fatto cosa ha un po' l'obiettivo, è semplicistica, semplifica come si diceva, certamente semplifica e soprattutto collega una personalità come Xi Jinping a Mao, in particolare nella fase Maoista, cioè successiva alla fondazione del RPC e cioè al totalitarismo. Quindi di fatto parte integrante di una nuova narrazione secondo me, perché di fatto ci fa vedere questo lato, che è il lato totalitario della Cina richiamando un passato che è un passato, soprattutto quella della fase post presa del potere, dopo il 49 e in particolare nella fase finale del Maoismo, anche tragico per tutti, una serie di errori e commessi a causa, chiaramente, importante anche della leadership di Mao Zedong. Allora, chi è Xi Jinping? Molto velocemente, un leader che ha una lunga esperienza amministrativa, che viene da una lunga esperienza amministrativa nell'apparato del Partito Comunista cinese, nell'amministrazione, ha un'esperienza, in realtà lui è il primo della generazione, la quinta generazione nasce nel 1953, quindi dopo la fondazione della Repubblica Popolare cinese, viene travolto in qualche modo, diciamo, il padre, data lui è un figlio, un principino rosso, cioè si dice, cioè figlio di un veterano della rivoluzione cinese, cioè di un altro quadro che è Xi Junxun, che però viene tra l'altro anche perseguitato durante la rivoluzione culturale, Xi Jinping viene mandato anche in campagna, a farsi reducare dai contadini come tanti giovani di quell'epoca, un'esperienza che poi nella sua autobiografia, ovviamente autocelebrativa, eccetera, eccetera, richiamerà come anche un'esperienza, diciamo, di sacrificio del mangiare amaro, no, che l'ha rafforzato, temperato, diventa anche, appunto sta diventando, diventa anche un messaggio da veicolare le nuove generazioni. Ascende al potere nel 2012 per essere sintetica, ecco, elementi dopo un'esperienza importante in varie province, come governatore anche dello Zhejiang, una provincia importante, molto ricca, sviluppata dalla Cina, e quando sale al potere, in realtà 2012-13, quindi lui c'è una successione, no, una transizione della leadership piena a Xi Jinping, il quale cumula immediatamente le tre cariche più importanti del sistema politico cinese, cioè quella di segretario del Partito Comunista Cinese, che è la carica assolutamente più importante, e quella di presidente della Commissione Militare Centrale, sempre nell'autunno del 2012, poi nel 2013 l'Assemblea Nazionale del Popolo lo eleggia, appunto presidente della Repubblica Provincia Cinese, quindi nel giro di pochi mesi si conclude in modo completo un passaggio di poteri che è la prima volta, diciamo, poi dagli anni 80, 90, che sia che avviene in maniera così completa. Quindi capo delle Forze Armate, sono i tre pilasti del sistema politico cinese, capo dell'esercito, presidente della Commissione Militare Centrale, capo dello Stato e del Partito. Sotto la sua leadership avviene una centralizzazione progressiva, lui opera una centralizzazione dei processi politici, cinesi, del potere, e si mette a capo di una serie di piccoli gruppi ristretti, dirigenti, che fanno capo direttamente al Comitato Permanente del Politburo del Partito Comunista Cinese, e sotto di lui c'è un processo di reidologizzazione della società, di ritorno del primato della politica che fa appunto a fatto pensare, ci fa... Al nuovo Mao, ma io voglio chiedere, scusa, piccolissima introduzione, ma torno a te subito, sia a te che ad Alberto, prima di passare una domanda a Ettore. Voi siete cultori della materia, nel senso siete attenti frequentatori anche, avrete un network di persone, avete un network di persone in Cina nei rispettivi ambiti. Quanto questa trasformazione di sci del sistema politico, dell'accentramento, si percepisce dalle persone che voi conoscete? Quanto questa narrativa che noi raccontiamo dell'accentramento, dell'aumento della repressione interna, del divieto sempre più attacco al dissenso, si percepisce? Perché dai miei contatti io un po' lo sento negli ultimi anni, però il mio è un osservatorio molto particolare, sono quelli che vanno all'estero, i thin tank che girano il mondo, e sono molto... Cosa hai in due battute? Che cosa? Partiamo da Alberto e poi da Sofia. No, pesantissimo, io sono in contatto con i prenditori cinetri, sostanzialmente, perché appartengo alla sfera economica, però gli imprenditori mi dicono, vorremmo che scimorisse. Cioè, per sintetizzarla. Credo che siamo in streaming. Per sintetizzarla. Questa è l'ultima edizione del festival. Approfittatene oggi, seguite tutti gli eventi. Ma non diciamo quali imprenditori. C'è una fuga, l'avete letto tutti i giornali, gli imprenditori cinesi verso Singapura, e Singapura è esploso. Hanno aperto mille, solo l'anno scorso, hanno aperto mille new family offices, ossia uffici per gestire la ricchezza degli imprenditori cinesi che scappano. Il prezzo degli immobili è andato alle stelle. Questa fuga cinese è anche verso Tokyo, molto forte. Anche verso Dubai. Ossia c'è veramente la delusione, anche la paura di vivere in un sistema che tutela parzialmente l'initiativa privata, che privilegia le imprese pubbliche, che ti fa scomparire da una sera alla mattina senza che nessuno sappia per tre anni dove ti trovi. Insomma, è una situazione molto, molto pesante per le imprenditorie cinesi. Sofía, professora Sacaziano. Sì, certamente c'è l'impressione, perché sono impressioni, sensazioni. No, no, sono hard data. Nel mio caso, voglio dire il contatto con la Cina, con le persone, è anche limitato a un certo settore che non è quello dell'imprenditore. E poi è difficile anche generalizzare. Tu parli con persone che producono idee. Sì, no, certamente c'è un controllo molto maggiore anche sulla produzione della accademica. Occupandomi in maniera particolare di storia, certo posso dire, ad esempio, che la storia è un argomento, la storia in generale. Nell'ambito di quello che è stato il rafforzamento di un conformismo ideologico, c'è tutto il discorso sul nichilismo storico. Cioè il fatto che non si possa criticare o rivedere la posizione ufficiale dei PCC rispetto a alcune questioni importanti storiche, ad esempio l'evoluzione culturale. Quindi chi lavora, a parte che non è solo, scusate, però non è soltanto, ecco, questo lo devo dire perché lavoro sulla Cina da anni ormai, non è solo una questione della LIDCBCGMP. Non è che prima in Cina si potesse ad esempio parlare dell'evoluzione culturale in maniera... C'è una... Ambasciatore, grazie, con l'ambasciatore Ettore Sequi cerchiamo di approfondire anche qui pacatamente, serenamente, senza partiti presi, la questione del rapporto fra l'Italia con questo Paese. Perché noi facciamo più o meno le cose che fanno i francevi tedeschi, anzi a volte meno di quello che fanno i francevi tedeschi e ci troviamo sempre col dito puntato, dicendo agli italiani sono l'allenno debole della alleanza occidentale confronti alla Cina. Io ricordo benissimo quando Schimpin venne e firmò la via della Seta, la divisione italiana, e il giorno dopo andò a Parigi e a Parigi incontrò la Fonderlion e Macron e la Merkel e firmò accordi bilaterali dei due paesi, non dell'Europa, dei due paesi tutti insieme con la Fonderlion per qualche multimo di quello che non avevamo firmato, però tutti i giornali parlavano dell'Italia. Pochi giorni dopo, si parlava dell'Italia che era il canale della via della Seta, il Financial Times faceva un bellissimo pezzo che tu avrai stampato nel tuo ufficio che dice che lo sbocco della via della Seta in Europa è il porto di Hamburgo, è la Germania. Perché l'Italia fa fatica a ritagliarsi un ruolo di dialogo assortivo e si trova sempre un po' in difficoltà apparendo come l'amico del jaguaro? Un paio di brevi punti, un'informazione. L'informazione che il provvisor Magri ha detto che siamo amici da tanto tempo, allora lui non vuole che io lo dica, però lo dico lo stesso. In realtà lui è stato mio professore. Alt, perché se non mi fai sembrare che... novantenne. Fammelo precisare, i diplomatici hanno un punto nella loro carriera in cui diventano consiglieri. Quando fanno questo corso consiglieri i diplomatici hanno un passaggio all'ISPI e c'è un periodo, c'è anche una tesina che devono fare. Ci siamo incrociati lì, non ero suo professore quando aveva 12 anni. No, perché sennò... vai, scusate, sdramatizziamo un po', dopo visto che l'ultima dezione è del festival, godetevela anche in modo divertente. Intanto direi che c'è un aspetto di percezione, cioè a luogo dei cinesi noi siamo un paese che nel loro ministero degli esteri categorizza come un paese dell'Europa meridionale, c'è un vesco, Europa meridionale, e noi siamo lì. È chiaro che la Francia è un membro permanente del Consiglio di Sicurezza, all'Arm Atomica, etc. La Germania, la prima manifattura europea, etc. Quindi c'è una certa percezione differente. Poi c'è un altro aspetto. Noi effettivamente offriamo una percezione di minore continuità. Cinesi guardano al prossimo centinaio d'anni. Ecco, noi abbiamo dei governi che cambiano spesso. Infatti l'elemento di continuità, e questo è molto interessante, agli occhi dei cinesi, è rappresentato dal Presidente della Repubblica. Due mandati di sette anni, quindi direi c'è una continuità che loro individuano molto per il Presidente Mattarella. Poi c'è un altro aspetto. La tendenza dei cinesi a giocare i paesi dell'Europa l'uno contro l'altro, in qualche modo. E questo parte colpa nostra, e parte, direi, una tradizione che loro hanno sviluppato. Io direi, per rispondere brevemente alla tua domanda, perché noi siamo sempre, ci viene puntato il dito anche quando facciamo molto meno. E' chiaro, noi abbiamo una particolare sensibilità a una legittimazione che ci viene dagli Stati Uniti. Quindi su questo tendiamo a essere molto più attenti. La prova è che, alla fine e fine, l'accordo sulla nuova via della SETA non ha portato risultati che speravamo, perché subito dopo abbiamo fatto tre leggi, giustamente, che mancavano, e quindi ci volevano, sulla perimetrazione dello spazio di sicurezza cibernetica. Abbiamo cominciato ad utilizzare, molto più di quanto non abbiano fatto i nostri più scaltri, forse, o incoscienti partner, la golden power. Quindi, direi che in sintesi estrema si può dire questo. Grazie mille, grazie mille. Alberto, il tema del giorno da alcuni mesi nel nostro rapporto con l'economia cinese è quello della overcapacity. Cioè, la Cina, che è diventata la fabbrica del mondo, non parte nei consumi interni, produce molto di più di quello che, lo hai ricordato anche tu prima, di quello che consuma e deve, come ha sempre fatto, esportare pesantemente, e esportare addirittura al costo, sotto costo, comunque a prezzi di produzione più bassi. E questa cosa sta espandendosi, questa lettura, ed è una lettura che, da un lato, avrà sicuramente, e questa è una domanda che faccio a te, degli elementi di verità, dall'altro è altrettanto chiaro che è molto utile a chi vuole ostacolare i rapporti con la Cina. Cioè, nel senso, finché la Cina è soprattutto un mercato dove noi vendiamo, andrà a dire un imprenditore italiano, guarda che noi dobbiamo chiudere con la Cina, chiamalo The Caplin, The Risking, bentrati tu i nomi che vuoi, l'imprenditore italiano ti dice, ei ferma un attimo, io li vendo. Se cominci invece a dire che la Cina non è un tanto un posto dove vendi, ma un posto dove si produce e che ti invade, ti compete qui sotto prezzo con il dumping, è chiaro che l'imprenditore italiano, orandese, tedesco, francese, comincia a dire, eh no, ma anche noi come gli americani dobbiamo proteggerci. E il tema del giorno è la protezione. Come guidaci su questo tema? Come hai detto giustamente tu, Paolo, qui siamo quel fighi bellini, destra e sinistra, c'è chi dice molti dasti, c'è chi dice pochi dasti. Io sono un tariff man, alti dasti, 100%, sono molto a destra. Il problema non è proteggerci, il problema è ricostruire una capacità industriale dell'Occidente. Siamo tutti sulla stessa barca, Italia, Europa e Stati Uniti. Il nostro pilo industriale è fortemente minacciato perché i cinesi hanno fatto una politica industriale eccezionale. Lasciate perdere i sussidi. Hanno fatto dei piani industriali, erano eseguiti alla grande, hanno un'imprenditoria di primordine. Le province sono in concorrenza l'uno con l'altro, per cui c'è una concorrenza interna molto sana e funzionale. Pensate che ci sono più di 100 produttori di veicoli elettrici, è una roba incredibile. E devo dire Paolo, ti devo anche disattendere, perché in realtà loro non vendono a dumping sui mercati internazionali. Perché i prezzi interni sono più bassi che i prezzi internazionali, quindi loro lucrono qualcosa. E' che veramente questa enorme capacità produttiva in eccesso li porta a cercare a tutti i costi mercati all'estero, ma i prezzi in Patria sono stracciati con 5.000 euro comprato un veicolo elettrico in Cina. Questo cosa vuol dire? E' un problema. Quando noi ci siamo trovati col Covid a non fare le mascherine, ma ragazzi non riusciamo a fare le mascherine neanche. Non c'era abbastanza elastico in Europa, oh, ma ci rendiamo conto. Vogliamo parlare di medicinali. Il 60% delle materie prime per fare i medicinali viene dalla Cina. La maggior parte dei componenti viene dalla Cina, dei componenti elettronici, componenti meccanici. Anche il settore delle macchine da packaging, di cui Bologna è la capitale mondiale, dove c'è Coesia, leader nel tabacco, IMA, leader nel farmaceutico. Ma in Cina hanno dei concorrenti formidabili, hanno imparato da loro, dopo 40 anni fanno delle macchine straordinarie. E' questione di tempo che i produttori internazionali si fidino di queste macchine, si fidino dei service cinesi e che i cinesi ci portano via numeri da export. Il problema è veramente quello di ricreare una capacità industriale. Siamo al di là del proteggerci. Quindi dazi, dazi, dazi. Dazi, dazi, dazi, quote, quote, quote. Perché i dazi possono non bastare. Però la mia, ammetto che la mia è una posizione estrema, eh. Però la prendo, io 10 anni fa già dicevo a noi italiani, e la gente mi rideva addosso, finiremo tutti col fare i camerieri dei cinesi. Chi si ricorda cosa dicevo 10 anni fa, e così è andata a finire. Perché io li vedevo 10 anni fa dove andavano a parare. E vendere in Cina ormai non c'è neppiù. Non c'è neppiù, anche perché i consumatori cinesi non hanno più il senso di chip on the hard shoulder del prodotto internazionale. Ci sono le nuove leve, ci sono i giovani che hanno visto la Cina grande. Non si ricorda neanche la Cina della rivoluzione culturale. Loro pensano che i prodotti cinesi siano superiori. È difficilissimo vendere in Cina. Io ho 12 aziende, quindi ho 12 partecipate nel mio portafoglio. Vedo le fatiche che facciamo a vendere in Cina. Sempre ogni anno è più difficile vendere in Cina. Difatti le esportazioni italiane sono inchiodate da anni. E per aggiungere un aspetto di solarità a questa immagine, io aggiungerei che per evitare di fare i camerieri dei cinesi, noi finiremo con fare i badanti degli indiani. Questo è un altro tema. Per evitare la Cina, stiamo sempre più chiudendo gli occhi su un'India che è troppo grande, too big to fail, too big to handle. E stiamo facendo forse dei rischi. Ma io tornerai dalla professoressa Graziani. Il tema che non trattiamo in modo accademico, ma che tu ci renderai in modo pimpante, è quello del rapporto tra economia e crescita dell'economia e trasformazione del sistema politico. Per noi sulla Cina ci siamo per i primi decenni, come un po' con la Russia, con altri paesi, convinti che il capitalismo, l'economia di mercato, avrebbe alla fine portato alla trasformazione della politica. Cioè, il capitalismo, prima o poi democrazia. Poi abbiamo scoperto, e ci ha messo molto in crisi, che non solo non c'è la trasformazione della politica, ma il capitalismo poteva prosperare come ha prosperato in Cina anche senza democrazia, la prima volta al mondo. Che succede? Perché non avevamo precedenti, ci ha messo molto in crisi. Noi siamo cresciuti fra democrazia economica e democrazia politica. E poi abbiamo scoperto addirittura che il capitalismo può portare, l'abbiamo appena detto, a maggior autoritarismo, a maggior chiusura del sistema politico, ma ecco qui, che questa maggior chiusura può anche portare, secondo alcuni, alle difficoltà del sistema economico. Perché secondo alcuni le difficoltà del sistema economico sono normali dopo vent'anni di crescita. Nessun paese al mondo è cresciuto per vent'anni con un tasso medio dell'8-10%. È normale che entrere in crisi. Secondo alcuni, invece, le difficoltà del sistema economico sono legate agli eccessi della chiusura del sistema politico. Guidaci con tre battute su questo tema. Come se fosse facile. Complesso, sì, infatti, complesso. Chiaramente, diciamo, il successo economico, la fase degli anni 90, il boom economico, quando la Cina, con l'approfondimento delle riforme successiva, tiene a men, la Cina ha liberalizzato ulteriormente l'economia, ha aperto le forze di mercato, eccetera. Anche il sistema politico si è evoluto. Nel senso che è ovvio che siamo in difunto al sistema politico che è rimasto monopartitico, cioè il PCC, ha il monopolio del potere. Però questo non significa che non ci siano stati dei cambiamenti. Ad esempio, diciamo, una minor controllo, minore controllo rispetto sull'economia, sulla società. Certo, con Xi Jinping, dicevamo prima, siamo di fronte a una tendenza di accentramento, centralizzazione, quindi di un controllo più stretto sullo stato, del partito sullo stato. Quindi c'è anche proprio questa sull'economia, sulla società. Allora, questa centralizzazione può essere un elemento che penalizza. Forse sì, io non ho la risposta, però se guardiamo sicuramente al passato, se pensiamo a come il PCC, il partito, si è adattato, il suo sistema di governo è stato molto flessibile dagli anni 90, in modo particolare nel rispondere agli input dal basso, nel lasciare, basarsi sulla sperimentazione locale, eccetera, in un sistema di governo che era molto più frammentato, meno centralizzato, meno verticistico, un'autorità anche orizzontale frammentata. Adesso il sistema è più rigido, è più verticistico, è più centralizzato, quindi ci si chiede, ci si può chiedere, certo se questo non penalizzerà l'economia, non ho la risposta. No, no, poriamoci anche dubbi. Alberto, prima di tornare da la macetore Sequi, noi dicevamo appunto, 30 anni fa, 20 anni fa, che con l'economia di mercato sarebbero diventati come noi, poi alla volta, come con la Russia lo dicevamo, entra nel G8, poi alla volta, al Cine entra il WTO, lentamente andiamola, quando eravamo ottimisti sul mondo, andiamola con l'Agenzia, ma non è che invece siamo noi che stiamo diventando come loro, parlo di economia, non di politica. Quando parliamo in Europa e negli Stati Uniti di politiche industriali, dello Stato che guida per sviluppare le terrarare, i microchips per le auto elettriche, le batterie, non è che stiamo 20 anni dopo facendo quello che i cinesi hanno fatto 20 anni fa? Con meno soldi e con più lentezza? No, no, assolutamente, è proprio così. Noi quando stiamo rivalutando il ruolo dello Stato nell'economia, perché ci siamo resi conto che la globalizzazione selvaggia ci sta danneggiando, ci abbiamo impiegato, perché abbiamo sempre detto la globalizzazione aumenta i consumatori, non c'è più inflazione, i consumatori possono comprare i merci cinesi a basso costo, un beneficio per tutti, però poi dopo nel 2016 ci abbiamo trovato Trump, Trump che è figlio di questa globalizzazione, figlio di questi centri industriali da una Rust Belt che sono rimasti senza fabbriche, più di 10.000 fabbriche americane hanno decentralizzato, ci siamo resi conto che questa delocalizzazione non funziona, il pio industriale dell'America è sceso al 12%, 12% di industria, l'America non può più fare una guerra, perché dopo due settimane non riesce più a rimpiazzare le munizioni, questo è il problema fondamentale, se vogliamo andarla a vedere. E quindi stiamo rivalutando anche in America, soprattutto il paese, il pio industriale, l'America è on the forefront di questo sviluppo. Quando dico dobbiamo ricostruire il pio industriale mi riferisco a andare a imparare dalla Cina come ha fatto, se uno mi chiede dobbiamo permettere ai cinesi di fare investimenti in veicoli elettrici in Europa, sì, ma in JV, ti rispondo io, in Joint Venture, non 100%. Come loro ci hanno ci credevo. No, quindi il tuo appunto è correttissimo. Ambasciatore, sei qui, Ettore. L'Europa, in principio fu Trump, Huawei, i cinesi, il virus, il Wuhan e tutti ci avevamo, ma questo è un problema americano, noi diciamo le difficoltà fra Cina e gli Stati Uniti è un problema degli americani, noi non abbiamo una sfida per la competizione, noi vendiamo, produciamo in Cina e chi se ne frega? Poi arriva Biden, il Trump dal punto di vista della politica cinese, il Trump dal volto umano, fa esattamente le stesse politiche, ma lentamente la posizione europea, ricordiamo tutti che nel 10, nel mese e mezzo fra le elezioni di Biden e l'uscita di scena di Trump, l'interregno, il presidente americano è eletto novembre e entra in gioco a gennaio, in quell'interregno Merkel e Macron sotto Natale firmano il famoso accordo di cooperazione industriale fra Cina e Europa che avrebbe facilitato gli investimenti, ma che era un segnale politico importantissimo, lo fanno mentre Trump se ne sta andando e quando Biden non è ancora arrivato, ma subito questo viene messo in discussione, viene messo in discussione e lentamente con Biden l'Europa capisce che la Cina è un problema anche per l'Europa, certo aiuta la guerra in Ucraina perché la Cina che sostiene in qualche modo la Russia diventa l'amico del mio nemico e mio nemico anche per gli europei, ma domanda, in questa nuova consapevolezza dell'Europa sulla Cina che Alberto ci ha descritto con motivazione oggettiva, quanto c'è di allineamento a una posizione americana che gli americani hanno molto sostenuto anche con minacce di sanzioni e a chi fa investimenti in C, il rischio del dual use, tutte queste cose che conosciamo? Europa autonoma o Europa un po' al seguito dell'amico americano, amico ritrovato americano? Raiori, partire con un esempio generale poi scendere al dettaglio, prendiamo l'intelligenza artificiale, quello che sta capitando oggi è che Cina e gli Stati Uniti stanno molto investendo sull'intelligenza artificiale, l'Europa in realtà fa il suo mestiere, che in questo caso è sbagliato o quantomeno è incompleto, che è quello di essere una potenza regolatoria, noi ci accontentiamo di cercare di essere l'arbitro, i due giocatori sono quelli che in realtà giocano indipendentemente all'arbitro, quindi sto già suggerendo una prima risposta. Noi dobbiamo capire che questa disillusione nei confronti o questa percezione di pericolo in Europa nei confronti alla Cina nasce nel 2016, quando c'è lo shock dell'acquisizione da parte dei cinesi di un'azienda che era un'azienda leader, KUKA tedesca, poi prosegue con l'acquisizione di un'azienda svizzera, singenta per una transazione molto molto più grande. Quindi a questo punto si comincia a capire un concetto, e qual è il concetto? La Cina è come uno squalo, nel senso voglio specificare, se no poi non arriviamo neanche alla fine di questa edizione, che deve continuare a nuotare perché sennò smette di respirare, perché le branche funzionano in questo modo. Oggi la Cina ha un problema esistenziale, che è quello di entrare nella cosiddetta trappola del medio-reddito, quindi smettere di crescere a un certo livello sostenuto e entrare nella stagnazione. Per questo fa cadere la base su cui si basa per l'appunto il patto sociale tra partito e popolazione. Quindi i cinesi hanno studiato molto attentamente cosa è successo in Unione Sovietica e non vogliono ripetere questo. Quindi la prorompente, direi l'aggressiva politica cinese, politica economica e direi la politica di controllo del partito verso l'economia nasce da questo. Quindi noi questo abbiamo cominciato a capirlo progressivamente al 2016 e adesso ci è chiaro. Ed è anche chiaro che i tentativi della Cina di porsi, ad esempio, a capo di quel complesso di soggetti che chiamiamo sud globale, ma meglio ancora dei BRICS PLUS 2.0, li chiamo io, nasce proprio dalla necessità di sovvertire, per così dire, o di cambiare un ordine, che è quello nato scaturito dalla Seconda Guerra Mondiale, in cui un elemento di fondo è la preponderanza del dollaro. Quindi questi concetti del dollarizzazione, che tra l'altro, e qui chiudo, sono molto molto vicini a una cosa che tu hai fatto scivolare, sanzioni. Perché oggi il vero problema delle così dire sanzioni secondarie è che il rischio di attivare delle transazioni finanziarie che possono essere poste in questione dagli Stati Uniti e quindi l'esclusione dal circuito finanziario globale, alla fine questo da parte degli Stati Uniti, è quello il rischio mortale che la Cina corre. Quindi dei dollarizzazioni, utilizzo del grimaldello dello strumento, i BRICS 2.0 più in generale il Global South, l'Europa in tutto questo? Beh, l'Europa in tutto questo sta seguendo perché siamo frammentati, non abbiamo una politica comune e quindi in qualche modo siamo a traino. Sì, c'è da dire, e vengo alla domanda che ora faccio ad Alberto e a Sofia, perché stiamo parlando delle competizioni di fatto fra sistemi e stiamo dicendo sulla politica industriale che noi stiamo un po' copiando quella cinese, dobbiamo capire quanto tempo ci vuole e quanti soldi ci vogliono per fare ciò che i cinesi hanno fatto in vent'anni. Penso ai microprocessori, ma penso anche ai pannelli, alle autoelettrica, tutte queste cose. Alla stessa lentezza però la avranno e ce l'hanno i cinesi dentro i BRICS per arrivare a forme alternative al sistema di pagamenti, perché noi descriviamo questo BRICPLEX come un possibile gruppo omogeneo, ma le divisioni interne, vuol dire ai BRICS ci sono l'India, la Cina, che non si sono neanche allo stesso tavolo, quindi altro che difficoltà fra frugali e Sud Europa in Europa. Quindi ci sono anche per loro dei tempi lunghi. Però vengo a una domanda, abbiamo pochi minuti, so che ci sono due domande dal pubblico, quindi due domande veloci con risposte veloci. Alberto, abbiamo risposto, come il resto del mondo, alla via della seta con il progetto Global Gateway. È sufficiente o è un'arma spuntata? Chiedo invece a Sofia, al professor Sagraziani, la Cina viene spesso descritta per la sua politica molto attiva anche sull'Africa. Anche qui noi stiamo rispondendo in qualche modo noi Europa, noi Europee americane, in qualche modo alla presenza della Cina in Africa, o ne continuiamo a parlare con vari nomi, ma di fatto non è cambiato nulla. Alberto. La Cina appunta moltissimo alla leadership del Global South, quello che una volta si chiamava Paese di Mio Disvolupo si chiama Global South, che è tutto quello che c'è nel mondo, tranne l'Europa, l'America, il Giappone, la Corea, l'India e l'Australia. No, l'India lascia la Global South. L'India la lascia però dal punto di vista cinese non vuole quella leadership lì. Però ci sono due problemi che sta avendo la Cina, per fortuna ogni tanto ha qualche problema. Primo, l'eccesso di capacità industriale la contrappone al Global South. Il Brasile sta mettendo d'assi contro la Cina perché non riesce a sviluppare base industriale. Il secondo problema, fortunatamente, è che la Cina sta finendo i soldi. 140% di indebitamento picchia e quindi i finanziamenti per la via della seta stanno scendendo. Noi abbiamo risposto con quello che chiamiamo Global View, Global Gateway, che però è una struttura senza braccio operativo. Quindi abbiamo destinato 300 miliardi di euro per una serie di opere che fra l'altro erano già finanziate, ma non c'è braccio operativo. Io ho lavorato sia in Banca Mondiale che in Banca Europea di Sviluppo. Ragazzi, per andare a fare dei progetti nel Global South serve una struttura operativa. La Banca Mondiale c'aveva struttura operativa. La Banca Europea di Sviluppo, che è anche più grande della Banca Mondiale, che forse molti di voi non sanno, non poteva altro che finanziare i progetti che venivano istruiti dalla Banca Mondiale. Io ho avuto commercialisti nel Mandarin, ho avuto CDB, China Development Bank, Exim Bank, China Import-Export Bank, che sono l'architrave dei finanziamenti cinesi al terzo mondo. Accidenti, ma lì nessuno faceva carriera senza passare a meno cinque anni in Africa. È talmente embedded nelle strutture delle banche di sviluppo e delle società cinesi, società industriali cinesi che poi devono fornire beni. Che è una cosa che da noi non esiste. Se chiedi a un italiano di andare in Togo, andavi a Togo, ci vado due settimane e poi torno un mese a casa. Se dice un cinese, vai in Togo, dici, ho tre anni in contente, faccio una festa in casa, e non so quanto che sono contento di andare in Togo. Manca quella roba lì, manca uno strutturo operativo e anche una preparazione a livello di persone. Hai già in parte risposto, Sofia. Quindi non vogliamo andare in Togo, come possiamo fare una politica sull'Africa. Però due battute e poi chiudiamo con Ettore e prenderemo le domande dal pubblico. Non so, velocemente, ecco sull'Africa. In particolare l'Africa è chiaramente un continente importante nella politica estracinese, lo è stato, lo è dal 2000 sostanzialmente. Quindi quello di cui parliamo è poi il frutto di un processo che si è sviluppato di espansione economica cinese e della presenza cinese, non solo economica, in Africa, anche di migranti, di persone che vivono lì, che sono tantissime, un altro continente. Da partire dal 2000, con la cosiddetta strategy going global, che aveva già nel 2000 portato le aziende appunto cinesi, soprattutto le state-owned enterprises, le aziende di stato, a investire all'estero. E questa presenza si è consolidata negli ultimi vent'anni. Quando è arrivata la Cina, eravamo nel periodo posco, era fredda, gli anni 90, gli Stati Uniti c'era stato un disinteresse rispetto all'Africa. La Cina ha colmato un vuoto in quella fase storica. Siamo alla fine degli anni 90, cioè prima nel 2000, ora siamo nel 2000. Nel 2006 si tende a Pechino il summit Focac, che è la piattaforma di cooperazione multilaterale che ha creato la Cina, di cooperazione Cina-Africa. Nel 2006 io ero a Pechino e vivevo lì e mi ricordo questo grande summit. La città era in parte chiusa al traffico perma, e noi sapevamo ancora poco di quello che stava succedendo, ma c'erano quasi tantissimi leader africani. Già nel 2006 gli investimenti cinesi, gli impegni finanziari nello sviluppo, negli investimenti in Africa, sono cresciuti sempre di più. Adesso siamo in una fase, e vero, lo sono d'accordo, una fase, sembrerebbe, secondo alcuni analisti, non di disimpegno, non è un assolutamente un abbandono, ci mancherebbe, perché ha un significato anche politico molto importante l'Africa, nel contesto della politica estracinese e della sua proiezione globale, a livello internazionale, ma siamo in una fase dove il grande impegno finanziario è diminuito un po'. Non che noi ne abbiamo tanti i soldi a mettere sull'altro. Ma ci sta, nel senso ci sta. Ambasciatore Sequi, non possiamo che chiudere con la domanda dell'anno, su tutti i temi di cui discutiamo qua, poi ci chiediamo cosa succede se torna Trump? Quindi, c'è da dire che, credo che Alberto e Sofia siano d'accordo, se c'è una cosa in cui Biden ha fatto Trump, è la politica sulla Cina, se c'è un tema che è bipartisan nei statuti in questo momento, è dagli al cinese per i motivi che sono attieti in questa occasione, ma cosa, che scenari, rapidamente, possono emergere con un ritorno di Trump eventuale alla Casa Bianca? Allora, direi che, nella sostanza, entrambi sono... direi che c'è una percezione comune che la Cina è in pericolo. Detto questo, Trump ha fatto, quando è stato Presidente, uno scontro diretto, misure unilaterali, eccetera, eccetera. Biden, noi vediamo, è un po' più educato una costruzione, diciamo, di una strategia sistematica, riduzione dei rischi, friend sharing, tentativo, naturalmente, di gestire la relazione. Invest, quindi investire in settori strategici, align, cooperare dove si può, ad esempio, un settore ambientale, global warming, eccetera, e compete. Competizione tecnologica, quindi bisogna proteggere a questo punto le capacità, sviluppare le capacità tecnologiche, perché quelle della Cina sono pronrompenti. Più un aspetto ideologico che Trump non aveva e che Biden ha, autocrazia versus democrazia. Un'osservazione finale, perché penso che sia interessante. Qui c'è un rivolgimento, in qualche modo, di alcuni canoni logici su cui noi lavoriamo, perché il principale paese capitalista, per motivi elettorali, ma non solo, cerca di proteggere i lavoratori, quindi l'occupazione. Il principale paese comunista cerca di proteggere il consumatore, cioè il mercato. Ragioniamoci. Bellissimo esempio, grazie mille. Noi abbiamo pochissimo minuti, però visto che l'ultima edizione del festival sforiamo di due minuti. So che ci sono due domande, mi riferisco a due domande, di due giovani, mi dicono che sono già previste non approvate dalla censura, ma previste dalla regia del festival. Ci sono due persone che sono iscritte per fare le domande o mi hanno dato un'informazione sbagliata. Tu sei l'iscritto, vai. Prego. Grazie per questo panel. Io avrei una domanda rispetto alle relazioni tra Cina e Taiwan e volevo chiedere, alla luce di queste difficoltà economiche, quanto può essere più possibile uno scontro, una maggiore aggressività della Cina nei confronti di Taiwan? Molte grazie, bravissima. Domanda precisa e chiara. C'era un'altra mano che ho visto di qualcuno, eccola. Bravissimo. Buongiorno a tutti, sono Bruno Belò. La domanda che volevo fare è relativa al mercato dell'auto. Cosa ne pensate del fatto che alcuni governi europei, ma soprattutto il governo italiano, sta pensando di portare la produzione di auto elettriche in Italia, cinesi? Ho visto alla fine che ha fatto la FIAT con un accordo a Stellantis in cui è subalterna alla Peugeot. Quindi non ha più nessun potere nell'ambito gestionale. Grazie mille. Darei questa domanda in primis ad Alberto. Mentre chiederei, in modo... All'altra domanda, su Taiwan, una risposta molto... sbilanciatevi. Prevedete che nel prossimo anno, nel prossimo anno, possa succedere qualcosa di serio su Taiwan o no? Prego Alberto sulla prima domanda. Niente, l'idea che si mettono i dazi in Europa sui veicoli cinesi fa sì che i cinesi stiano puntando di investire in Europa. I cinesi sono convinti che metteremo dazi e stanno attivamente cercando location in Europa dove investire. Principalmente la location privilegiata, l'Ungheria o comunque l'Est Europa per una serie di ragioni anche politiche. Cosa penso? Penso male di questa cosa qui. Perché io non vorrei neanche avere i cinesi investiti nel nostro Paese personalmente. Però capisco anche il punto di vista italiano di non voler dipendere solamente da Stellanti, smistire i risultati che Stellanti sta dato. Purtroppo l'Italia non ha grande valenza competitiva per poter attrare un produttore di auto. Perché tragicamente in quel settore siamo high cost rispetto ai Paesi dell'Est Europeo. Però personalmente io vorrei che fossero filtrati gli investimenti cinesi in Europa perché questo investimento in massa cinese comporta anche con i soldi viene anche potere politico, capacità di influenzare il processo decisionale politico dell'Europa che è così fragile. Quindi sono un po' preoccupato. Li vorrei in venture i cinesi, non al 100% delle le iniziative. Siamo attenti che se comunque noi non li prendiamo perché diciamo che è una cosa negativa e li prendono i quelli della Repubblica CECA il risultato è che sul mercato europeo ci sono auto senza dazi. Quindi noi non abbiamo né occupazione né mercato per le nostre auto perché abbiamo una concorrenza interna. E trovo bizzarro che noi abbiamo un Paese in eccesso di capacità. La Cina fino adesso andavamo tutti a produrre in Cina. Adesso il Paese con eccesso di capacità aggiunge capacità venendo a produrre da noi. C'è qualcosa che non torna nell'economics. Ma veniamo alla domanda, quella sulle elezioni americane dell'anno, cosa succede a Taiwan? La domanda è che vedremo questa volta dall'ambasciatore Sequi e poi dalla nostra professora Essa Graziani. Premesso che non sono al Nostradamus. Tre velocissime considerazioni. Numero uno, concettualmente il recupero di Taiwan è previsto entro il 2049. I miei colleghi americani mi dicono molto, molto prima perché, entro il 2049, cento anni dal Partito Comunista Cinese, restituire alla Cina quello che era il suo ruolo una volta, e cioè al centro del mondo, che significa, tradotto, il primo Paese, il leader. Infatti l'ideogramma di cinema, a cui mi rivolgo alla professoressa, è un rettangolo tagliato a metà, che significa il Paese di mezzo. Numero due, aspetti di carattere economico. A nessuno sfugge che i microprocessori, l'80% di quelli più gregiati, sono fatti a Taiwan. Ora la Cina è in una situazione di, come dire, annegamento, o meglio, di asfissiamento riguardo all'accesso a quelli più pregiati, per i motivi che dicevamo prima. Quindi non sto a ripetere. Numero tre, l'assertività della Cina nei confronti Taiwan è evidentemente un messaggio che si riferisce al punto primo, cioè la predominanza geopolitica in quell'area. Senza questo evidentemente cade la prospettiva che citavo al punto numero uno. Dico anche, e con questo concludo, che un famoso generale cinese, Sun Tzu, riteneva che il più bravo generale è quello che vince senza combattere, o per meglio dire, crea le condizioni tali per cui non c'è bisogno della guerra. Sarà possibile questo? Ripeto, non sono uno stratamus. Voi avete visto in scena l'abilità diplomatica. Cioè, ho cercato di inchiodare su una risposta, succede o non succede, e lui, e l'abilità, beh signori, chapeau. Ma io con la... Certus ann in certus quando. No, con la professa Graziani torno alla carica mettendo in questi termini la domanda. No, capisco benissimo, Eto, so. Però, Sofia, ti rifaccio la domanda in questo modo. C'è chi dice che siccome ci sono abbastanza problemi interni alla Cina, e nel mondo altro che peaceful rise, cioè non c'è né rise né peaceful in questo momento, che la Cina non aggiunge un ulteriore problema. E c'è chi dice proprio perché ci sono problemi interni, e molti problemi nel mondo in cui tutti sono distratti, ci sono tre crisi, tre guerre, e direbbe agli americani siete pazzi, non potete avere l'Ucraina, la Palestina e poi la Cina. Proprio per questo è il momento di fare il colpaccio. Propendi per la A o per la B? Vincere la ultima edizione del Festival di Trento? Non lo so, non propendo. Eh no, no, la domanda è un po'... Ma c'è il sondaggio. Allora, lo giro alla platea. Voi che siete persone informate, infatti, al punto che il sabato mattina alle 9 siete qua a sentire noi. Chi crede alle ipotesi che, perché ci sono molti problemi nel mondo, la Cina non farà nel breve termine, 2049 dicono gli economisti, saremo quasi tutti a occuparci d'altro. Chi di voi crede che proprio perché ci sono tanti problemi la Cina non farà nulla di drammatico su Taiwan nei prossimi due anni sulla mano? Facciamo la prova del 9. Chi crede invece che proprio perché il mondo è confuso... Ecco, e con questo ottimismo espresso dalla platea, io vi chiedo di fare un applauso ai nostri... Alcuni di voi penseranno, ma pensa, sto magri con cose così serie, che fa lo spiritosino... Signore, io sono 4 anni, come tutti noi, che parliamo di un mondo che fa acqua da tutte le parti. O ci picchiamo la testa contro il muro, o anche su questi drambi del nostro mondo ci mettiamo un po' di ironia, eccetera, e una risata ci seppellirà. Signori, buon lavoro. Buon lavoro. Buon lavoro.
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