Nuovi modelli educativi, formazione e sostenibilità
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Nuovi modelli educativi, formazione e sostenibilità
L'alto tasso di abbandono scolastico, la necessità di aggiornare i modelli formativi per affrontare le sfide dell'innovazione tecnologica (soprattutto l'intelligenza artificiale) e il superamento degli stereotipi di genere. Intervengono diversi relatori che evidenziano l'urgenza di un piano nazionale a lungo termine per migliorare l'efficacia del sistema educativo, investendo nella formazione dei docenti, nelle infrastrutture scolastiche e nell'implementazione di modelli educativi più efficaci e personalizzati. Si sottolinea, inoltre, il ruolo cruciale delle aziende e delle istituzioni nel colmare il divario di competenze.
La Roma è la stessa che ha fatto la Romania. Abbiamo un tasso di abbandono, un tasso di permanenza scuola che è pari al 20,4%. La Romania fa il 19,7%. Già questi due dati vi fanno capire la situazione nella quale siamo. Dopo aver affrontato questa tematica però ci sono altre tre sfide importanti per l'educazione e la formazione. Uno è l'innovazione, la tecnologia, le competenze STEM e la rivoluzione dell'intelligenza artificiale. L'altro è quello della sostenibilità, che è un paradigma rispetto al quale tutti i settori devono prendere atto e fare i conti con la sostenibilità. E l'ultimo è quello del superamento, chiamiamoli così, degli stereotipi di genere. Il primo tema, senza il quale però non si può e non si riesce ad affrontare gli altri, è quello dell'abbandono scolastico. E rispetto a questo, chiederei subito e passerei subito la parola al professor Profumo. Grazie, grazie molto dell'invito, dell'iniziativa di grandissimo interesse. Vorrei cominciare con qualche numero. Spero di non traumatizzarvi troppo, ma la realtà è meglio presentarla così come è. Gli studenti che hanno sostenuto l'esame di maturità nel giugno del 2023, siamo quasi prossimi, sono stati circa 500 mila. La maggior parte di questi studenti sono parte della corte nata 19 anni prima, quindi nati nel 2004. E in quell'anno erano nati circa 800 mila studenti. Di questi 500 mila quasi tutti hanno ottenuto poi un risultato positivo dell'esame di maturità e di un risultato di sostenibilità. E quindi, per questo, per un risultato positivo dell'esame di maturità, circa 300 mila si scrivono all'università e di questi 300 mila il 60% si laurea. Quindi sono 180 mila che si laureano. Allora, un primo rapporto che ci deve far pensare è quello tra il numero di laureati e i nati nella corte corrispondente. Questo numero, 180 mila diviso 800 mila, dà purtroppo un risultato estremamente negativo, che è poco meno del 22%. Questo significa che abbiamo solo un laureato, circa, su 5. Ma la situazione sta peggiorando perché a fronte degli 800 mila nati nel 2004, nel 2023, sono nati 372 mila bambine. Il che significa che, con un sistema così inefficiente, rischiamo di avere, tra 20 anni circa, un numero di laureati che è circa 80 mila. Questi sono numeri da terzo mondo. Sono numeri che dovrebbero farci riflettere. Farci riflettere purtroppo in fretta e con delle azioni che abbiano un impatto vero. Su questo che è la priorità numero uno del Paese. Non siamo capaci, non siamo stati capaci in questi anni, ad affrontarla nel moro dovuto. Perché? Perché i risultati, se ci sono, sono lunghi. Sono circa 20 anni. Se voi pensate che i bambini che hanno iniziato le scuole elementari nell'anno scolastico 2023-2024, finiranno le loro scuole primarie, quelle che chiamavamo le elementarie, nel 2029. Le scuole secondarie di primo grado, cioè le scuole medie, nel 2032. Le scuole secondarie di secondo grado, quindi le scuole superiori, nel 2037. Io mi auguro che molti di questi si laureano, però purtroppo i numeri sono quelli che vi ho detto, nel 2042 si laureano. Quindi sono circa 20 anni. Qui abbiamo un tema, un tema, lasciatemi dire, che deve essere affrontato, renderelo veramente per le corna. Nel senso che c'è questa situazione evidente, che non cambia, tende solo a peggiorare purtroppo. Abbiamo una situazione anche di difficoltà strutturale. Noi negli ultimi 20 anni abbiamo avuto quindi 12 presidenti del Consiglio, 12 ministri dell'Istruzione. E naturalmente questa frammentazione è una frammentazione che non aiuta in questa direzione. Però si può affrontare il tema, io credo di sì. Nel nord Europa, che è probabilmente l'esempio più positivo da questo punto di vista, un piccolo paese, che è la Finlandia, era un paese anche relativamente povero, in una situazione anche non semplice, ebbe un presidente del Consiglio che si chiamava Ejo Asko, che è un signore che viene spesso ancora in Italia, un signore molto piacevole. Lui era un giovane leader del Partito Conservatore e quando fece la campagna elettorale disse queste parole, che era necessario un investimento ventennale per un progetto educazione. Naturalmente ci furono molte persone che pensavano che questa cosa non fosse possibile e poi lui la cominciò a declinare dicendo, il primo elemento è certamente la formazione dei docenti, pensate che cosa dovranno utilizzare, i nostri bambini e le nostre bambine tra vent'anni, in cui non sappiamo che cosa succederà. Nello stesso tempo disse anche che una scuola diversa, una scuola che avesse le caratteristiche di essere adeguata per formare le nuove generazioni in questi termini doveva avere spazi diversi e quindi ci fu un grande piano sull'edilizia scolastica. E poi ci fu lo sviluppo di un modello educativo che oggi è un riferimento di tutto il mondo che è il modello organizzativo finlandese che si chiama MOF, anche in Italia abbiamo un centinaio di scuole che lo stanno sperimentando. Quindi fece un patto politico. Il patto politico prevede, prevedeva che indipendentemente poi dalle elezioni, dai presidenti ci sarebbe stata una continuità dal punto di vista della modalità con cui gestire questa operazione che era un'operazione che aveva bisogno di tempo. Credo che il tempo sia una cosa che non si possa comprimere e ve l'ho dimostrato attraverso il fatto di quel bambino, quella bambina che hanno incominciato le scuole elementari. E allora è un bel pasticcio. Noi siamo un Paese che ha delle premesse non positive. Abbiamo visto dal punto di vista politico questa fermentazione non aiuta, abbiamo questa situazione molto complicata, però qualcuno di voi forse non direttamente ma indirettamente lo ricorda che nel primo dopoguerra ci fu una priorità sul Paese che era la casa. La casa era un problema veramente molto serio e anche in quel caso sono investimenti che hanno bisogno di tempo sono investimenti lunghi, sono investimenti anche che hanno bisogno di una programmazione, che hanno bisogno di elementi di base che siano. E ci fu un presidente del Consiglio che era Mintore Panfani che fece un piano casa, un piano casa ventennale forse lo ricordate, c'era un piccolo prelievo dei salari nelle persone e questa cosa consetti di risolvere il problema della casa nel nostro Paese. Quindi un piano scuola ora serve? Io credo che ci voglia un piano scuola un piano scuola lungo, un piano... il tempo guardate è uno di quegli elementi sui quali non si può deviare il tempo è necessario ci vuole continuità, la politica deve rendersi conto che i risultati non saranno per loro ma saranno per il Paese. Dovremmo avere un po' meno politici, un po' più statisti come probabilmente avevamo a quel tempo in cui veramente dalle difficoltà che c'erano state nel primo dopoguerra il Paese ha avuto la possibilità di crescere grazie a scelte, forse anche in qualche caso non proprio popolari, ma che hanno dato risultati. Quindi io credo che questo sarebbe il momento di pensare ad un vero grande piano plurinale sul tema dell'educazione io non credo che sia necessaria una legge. Le leggi su queste cose, solo nel nostro Paese si fanno leggi generali. In quei Paesi di cui vi ho parlato si fecero delle piccole sperimentazioni per qualche tempo, molto lungo, però in cui si definirono quali erano le competenze che dovevano avere i docenti, quindi la formazione relativa a questa o quale poteva essere un piano di edilizia che non avesse... come ce le abbiamo noi noi abbiamo un corridoio, a destra e a sinistra adesso voi il Trentino, siete particolarmente bravi non è tutta l'Italia così, però dobbiamo prenderlo come riferimento in positivo sono delle esperienze già a questo punto di vista e naturalmente il modello formativo poi se mai andiamo un altro giro vi posso dire qualcosa rispetto a questo genere, che ha una priorità che è quella da cui siamo partiti, della dispersione scolastica cioè riuscire ad anticipare se ci sono delle fragilità che poi si consolideranno durante la fase dell'adolescente questo è il vero tema che abbiamo perché se non risolviamo il fatto che solo uno su cinque dei nostri bambini e delle nostre bambini si lavoreranno, cioè nessun sistema al mondo è così inefficente noi dobbiamo veramente mettere le mani in pasta e cercare di risolvere il problema poi c'è il problema delle nascite c'è il problema demografico, certamente, c'è il problema dell'inserimento di bambini e bambine che vengano d'altra cultura e d'altro paesi, ma tutto questo in un sistema come il nostro ha un valore di secondo livello il primo livello è riuscire a trasformare l'efficacia e l'efficienza del nostro sistema educativo come quello dei paesi mi perdoni, abbiamo qui il sindaco di Trento e non intendo sparare sulla politica magari sui tempi della politica un po' sì i tempi sono comunque normalmente un fileno più dilattati rispetto a quelli del settore privato o anche se non delle entità territoriali lei rappresenta anche un'entità territoriale non c'è qualcosa che si può fare nel mentre per provare a tamponare questa situazione? Il esempio di Trento è un esempio estremamente positivo perché loro, in modo adesso non così esplicito come l'ho detto io, però hanno nella realtà un piano pluriennale che ha come primo elemento la formazione dei docenti, hanno fatto un piano di edilizia scolastica che è probabilmente uno dei piani più interessanti in assoluto e hanno un modello educativo sul quale lavorano da anni loro hanno un centro di ricerca che lavora su questo tema quindi nel nostro Paese certamente il sistema educativo trentino è un riferimento da cui si potrebbe partire non so adesso se... quindi il nostro Paese ha bisogno però di quegli elementi di cui vi dicevo, cioè avere il coraggio di dire che l'educazione è la priorità numero uno e che deve essere fatto un piano che è indipendente dalle cadenze elettorali, delle cose di questo genere cioè riuscire a declinare un piano con un project management lasciatemi dire una cosa che a molti non piace che definisca degli obiettivi delle azioni e che abbia attenzione e che abbia tempi e metodi che sono veramente mantenuti perché altrimenti è una partita persa veramente è una partita terribile io passerei la parola anche a Raffaella Temporiti per farla parlare di questo e anche so che Accenture in qualche modo però cerca di provare a muoversi per tamponare questa situazione colmare il gap E' un tema molto importante, credo che i temi toccati da Professor Profumo siano temi molto attuali che interessano anche in primo luogo le aziende perché i bambini di oggi saranno le nostre persone di domani e quindi ha toccato un tema che a me è molto caro che è quello del purpose, questo richiede un proposito comune condiviso, una forte intenzionalità il tema della legacy è un tema che noi in azienda trattiamo molto spesso, quindi di quello che trascende i risultati che ci guida, ma lascia qualcosa che poi a futuro porta dei grandi risultati per il sistema Paese, quindi credo che le istituzioni non debbano essere assolutamente lasciate sole è un tema che riguarda tutto l'ecosistema, le aziende in primo luogo hanno il dovere anche la possibilità di intervenire e come intervenire? Forse è più difficile per un'azienda intervenire su quelle fragilità a cui faceva riferimento ma possibile e doveroso per le aziende Per esempio, per un'azienda che può intervenire in modo attivo e proattivo, su quella fase in cui i bambini e gli adolescenti sono più a rischio e come intervenire, può essere fatto in molti modi l'intervenanza ci offre un'opportunità esempio di Accenture con JobLab in una seconda media dove cominciano a crearsi anche le vocazioni, a crearsi i primi interessi e andare ad insegnare cosa sono le competenze digitali Per esempio, oggi i bambini sono digital native ma cosa sono, come vanno utilizzate, quali sono le altre competenze che possono venire loro in aiuto ed orientarli sulle scelte future credo che sia qualcosa che le aziende possono e debbano fare per poi beneficiare di quei risultati di cui parlava il professor Profumo, quindi credo sia uno sforzo che va fatto dall'ecosistema Passo la parola a lei, immagino che sia concorde nella necessità di uno sforzo, ma in che direzione secondo lei che se lo sforziamo prioritariamente dovrebbe essere acceso, sì Diciamo che concordo con quello che è stato detto e concordo sull'urgenza concordo sull'urgenza perché una delle questioni fondamentali che sono alla base degli abbandoni è proprio il fatto che sono un fenomeno assolutamente multidimensionale complesso da affrontare e da gestire che deve essere, ovviamente, affrontato un po' più nel lungo periodo, come si diceva cioè, avviare un progetto per riuscire a contenere fino all'eliminazione di questo fenomeno degli abbandoni scolastici richiede molto tempo semplicemente perché, essendo un fenomeno multidimensionale dietro questo fenomeno si nascondono diverse determinanti con le quali dobbiamo fare i conti che si cumulano una con l'altra la prima caratteristica, la prima cosa che emerge è che là dove noi abbiamo come zone i livelli più alti di abbandoni scolastici guardando appunto gli indicatori sono anche quelle zone dove maggiormente il livello di competenze è più basso cioè si concentrano le due criticità guardando i dati in valsi, in particolare su il secondo anno delle superiori i risultati in valsi se si va a vedere le quattro regioni che sono più critiche che hanno la percentuale più alta di ragazzi che non raggiungono le competenze di base sono anche le regioni, che poi sono tutte al sud sono anche quelle regioni in cui si concentra di più una percentuale elevata che arriva alla metà degli studenti che non raggiungono le competenze minime quindi questa complessità fa sì che bisogna mettere in atto dei percorsi che riescano a interrompere il percorso di sfiducia anche del ragazzo, cioè l'abbandono arriva alla fine di un percorso di insuccessi che provoca sfiducia nello stesso ragazzo e che si determina, dall'analisi dei risultati fatti si determina spesso in famiglie in difficili condizioni sociali ed economiche e che quindi ha bisogno di essere affrontato con progetti di grande contestità E il fatto che questa cosa si stia trascinando nel tempo così a lungo, è un fatto molto negativo perché vuol dire che una strategia non c'è cioè gli interventi sono troppo parcellizzati sono troppo frammentati a livello territoriale e anche molto legati a tradizioni di alcune scuole di particolari aperture o tradizioni anche scolastiche ci sono regioni di eccellenza che su questo perseguono e proseguono su questa strada laddove invece ci sono regioni più critiche situazioni più critiche, la situazione più complessa però purtroppo questa è giusto quello che dice Profumo non è mai stata una priorità vera e è ora che lo diventi è un modo, diciamo, è un approccio fondamentale quello di mettere, che poi significa mettere al centro i nostri bambini con tutti i loro bisogni le difficoltà anche che incontra Faccio fare una battuta anche al Presidente Boccia parliamo di urgenze, parliamo di priorità e anche di strategie Quando diciamo futuro dei nostri bambini parliamo del futuro del paese non sono dei soggetti come dire a sé e quindi mi sembra c'è un filo rosso molto chiaro negli interventi che sono ascoltato a partire dal Prof. Profumo il primo è quello di avere una visione di lungo termine del paese essere nella condizione di definirla anche come paese, come comunità tutta cioè politica in senso lato, ma anche cittadini, anche le famiglie italiane cioè capire che la formazione è determinante non solo nella definizione delle competenze e dei mestiri del futuro ma del seto del genere Qui abbiamo un problema grande che non è solo la formazione tecnica per le imprese ma è la formazione complessiva di un ceto di cento del paese che è fatto di mestiere e di competenze Se questo è vero e se i numeri che dice Profumo sono chiari come di fatto sono evidentemente noi dobbiamo fare uno sforzo considerando la formazione la priorità del paese che non significa non affrontare altre questioni ma avere ben chiaro che cosa è urgente e che cosa è importante ed è importante questo perché altrimenti tra venti anni noi abbiamo un vuoto di classe dirigente del paese che riguarda le imprese, che riguarda la politica, che riguarda la rappresentanza che quella è fatta di mestiere e di competenze e allora gli interventi che vengono preceduti in realtà toccano un filo che va al di là della questa formazione Se posso fare questa consigliazione che è quella di un ritorno ai valori fondamentali del dopoguerro cioè passare dagli interessi alle esigenze del paese Profumo ha ricordato Fanfani piano casa ma ancora prima del piano casa c'è stata una bella frase che io ricordo spesso di un sindacalista di Vittorio con un Presidente di Conviduscia si chiamava Koster negli anni 50 bisognava ricostruire l'Italia, pensate E la frase dei due, pur nelle loro divergenze, fu prima le imprese e poi le case, le imprese e il luogo del lavoro Ora potremmo dire prima la formazione per i nostri bambini, per i nostri studenti e, chiudo, attenzione perché c'è un legame tra l'abbandono scolastico e le condizioni socio-economiche dei territori Quindi le cose poi vanno insieme, e torno ai fondamentali d'Europa, tra l'altro abbiamo la campagna elettorale Robert Le Porte che sono i valori della convergenza e della coesione che abbiamo perso dei valori della convergenza e della coesione significa portare con sé le aree tra le reglette d'Europa più debole se noi analizziamo il voto inglese di Brexit, a Manchester votano per Brexit, a Londra votano per Remain a Londra stanno bene, a Manchester ci sono i disoccupati e considerano il problema Europa anche gli inglesi confondendo le questioni nazionali con le questioni europee quindi questi intrecciano una serie di cose, ma io sono d'accordo con tutti loro che, a mio avviso, la formazione è un patto per il futuro è un patto di generosità verso il Paese, è un patto di inclusione per i giovani del Paese di cui nessuno ne parla perché questi ragazzi che poi abbandonano gli studi o comunque che non hanno la cultura della formazione non gli facciamo un regalo né al loro né al Paese del futuro io penso che dobbiamo cominciare a immaginare e a sognare il Paese del futuro che però è fatto di sogni ma anche di competenze ne ha la detta lei l'ultima parola competenze che è l'altro tema centrale l'innovazione, l'intelligenza artificiale, tutte le nuove tecnologie stanno cambiando il modo di formare sia gli studenti sia chi lavora e qui chiedo l'intervento di Raffaella Temporiti per fare un po' il quadro certo, questo è un tema sicuramente centrale, ed è centrale perché siamo vivendo ormai da anni un clima di forte perturbazione che sta coinvolgendo il mondo del lavoro, il mondo dell'occazione, della scuola e che porta le aziende a dover intervenire sul modo in cui le persone vivono in azienda ma anche ad impegnarsi con la tecnologia per migliorare il modo in cui le persone lavorano, il modo in cui le persone apprendono, imparano che ha bisogno in questo momento di una forte intenzionalità perché per sopravvivere a questi momenti di forte perturbazione è necessario cambiare la progettualità intorno al modo di fare formazione, di preparare le persone e occorre farlo con un senso di urgenza e con un senso, una visione che va oltre le esigenze immediate e quello che noi vediamo nelle aziende oggi è questa forte necessità di adottare le tecnologie, le nuove tecnologie per rimanere competitivi per rimanere attivi sul mercato attuale e per farlo è necessario farlo su tutta la catena di valore, quindi sul cloud, sui dati e sulle persone quindi anche sulla formazione e non è qualcosa di nuovo, attenzione, perché se ricordiamo 10 anni fa è iniziata l'ondata dell'era digitale è un momento in cui ci siamo trovati tutti ad osservare un mismatch, un divario tra le competenze richieste e le competenze attuali Accenture è una delle realtà che sicuramente si è trovata a dover affrontare per prima questa necessità perché di questo ci occupiamo, è il nostro core business All'epoca non avevamo 700.000 persone come oggi, ma ne avevamo quasi 350.000 e non avevamo un inventario di competenze e per cui non sapevamo da dove iniziare abbiamo iniziato quindi a creare un'antologia di competenze universali che potessimo leggere tutti nello stesso modo e nelle quali tutte si riconoscessero e introdotto un concetto molto importante che va oltre quello che le aziende possono e devono fare, che riguarda anche per esempio come facciamo formazione nelle istituzioni le competenze devono essere considerate una sorta di valuta sulla quale poi investire in modo continuo per il proprio futuro Quindi abbiamo creato 8.000 competenze che oggi ancora abbiamo in un'antologia che attualizziamo costantemente perché da allora in poi le ondate di innovazione tecnologica hanno solo accelerato questo processo di rinnovamento e di formazione continua e le nostre persone sanno riconoscere il loro valore in funzione delle competenze che hanno ma anche di quelle che poi sviluppano e questo è fondamentale perché le nuove tecnologie creano forti timori nelle persone Noi abbiamo parecchie ricerche che dimostrano per citare qualche dato che il 58% delle persone oggi in azienda teme di perdere il proprio posto di lavoro in funzione dell'avvento delle nuove tecnologie ma solo un terzo, il 30% della leadership oggi in azienda considera che questo sia un problema che riguarda la sua azienda quando in realtà i dati ci dicono l'opposto e per citarne altri due di dati interessanti in questo senso e di spiegare perché è importante innovare anche in termini di formazione di modelli formativi il 94% quindi la quasi totalità delle persone in azienda ritengono di essere assolutamente disposti e aperti ad essere formati sulle nuove tecnologie sulle competenze strategiche necessarie per crescere ma in me solo e unicamente il 5% delle aziende sta investendo in modo significativo sulla formazione sulle nuove competenze strategiche quindi c'è un divario incredibile no? C'è un gap pazzesco tra chi vuole e chi poi fa un problema chiaro e non un senso di urgenza per investire sulle nuove competenze e questo porta ovviamente a dover investire su un piano formativo a lungo termine che come per il sistema paese non può esaurirsi nella formazione delle competenze necessarie e che va attuato a sistema e queste competenze sono oltre a quelle tecnologiche digitali che conosciamo anche competenze non solo soft, quelle che si chiamano competenze soft quindi la creatività, l'imprenditorialità, il pensiero, il modo di fare inclusione in azienda queste sono le competenze che anche la commissione europea ha definito come le competenze fondamentali e sulle quali il nostro paese su quelle soft ha dei vantaggi credo rispetto ad altri paesi europei, perlomeno questo è quello che io vedo dal mio osservatorio mentre su quelle digitali siamo ai me secondo gli ultimi datisti ancora nei fanellino di coda e quindi occorre sicuramente una forte intenzionalità sugli investimenti in questo senso quindi direi che questa è la call to action il senso di urgenza sicuramente nasce da un'esigenza specifica che soprattutto viene dettata da queste nuove tecnologie che cambiano anche il modo di lavorare, se pensiamo per esempio all'intelligenza artificiale generativa che rispetto all'intelligenza artificiale viene da dire tradizionale quindi quella di un'ondata fa richiede una competenza, una comprensione della tecnologia da parte della leadership che non avevamo mai visto prima e per questo è molto diversa perché poi l'intelligenza artificiale generativa e da studi che abbiamo fatto nella nostra technology vision nel 2023 che però nel 2024 si sono poi confermati creerà a livello mondiale 9 milioni di esigenze, 9 milioni di lavoratori a livello mondiale dovranno fare upskilling, re-skilling e quindi rinnovare le proprie competenze tecnologiche e digitali e creerà 2 milioni di posti di lavoro e avrà un impatto potenzialmente sul 40% delle attività nei diversi settori d'azienda, nel settore dei servizi probabilmente qualcosa di più ma se pensiamo per esempio al settore retail che è uno molto diffuso e come le intelligenze artificiali possono impattare la cosa fondamentale per chi gestisce e guida le aziende è capire quale tipo di impatto avranno e un key account che segue un cliente del settore retail oggi necessita di un back-office che prepara una serie di dati anche con gli analytics, domani con le intelligenze artificiali di tipo generativo avendo la possibilità di generare contenuto avrà bisogno di un back-office più ridotto e quindi la domanda è cosa faccio con il back-office? Bisogna resistere alla tentazione di fare semplicemente efficienza e reinvestire l'efficienza che può generarsi a valle dell'uso delle tecnologie per rischillare il back-office ad esempio e fare training delle macchine delle nuove tecnologie in parte e in parte per riconvertire quelle competenze in competenze di vendita andando quindi a incrementare la produttività, quindi resistere alla tentazione di fare semplicemente efficienza con una progettualità che richiede un nuovo processo di formazione torniamo sul tema delle competenze che come sottolineava anche Temporiti sono fondamentali, eppure però si assiste quasi a un ritorno delle materie classiche rispetto alle materie STEM, perché questo? O come si può invertire? Perché si cerca di tornare spesso si ritiene anche che la scuola italiana abbia una struttura e un processo formativo non adatto ai tempi che stiamo vivendo? Questo è vero, tra l'altro noi abbiamo un problema che anche là dove si sviluppano le competenze nelle nuove generazioni, diciamo questo aspetto delle competenze tecnologiche più presente, sono sempre competenze molto di livello minimo Anche tra le nuove generazioni, i dati che sono a disposizione, l'indicatore d'ESI, ma i dati di base che vengono raccolti dagli istituti statistici dei vari paesi, ci dimostrano che il nostro Paese è indietro anche per le giovane generazioni, non soltanto per le generazioni più avanzate dove il gap diciamo di competenze e la competenza tecnologica è più accentuato e questo è un problema serio perché anche qui si rivela una disattenzione cronica nel tempo, cioè questo è un percorso che c'è stato nel tempo, che si è consolidato Noi siamo sempre stati un Paese in fondo alla graduatoria degli utilizzatori di internet per esempio, no? E essendo meno utilizzatori avevamo anche meno competenze in questo senso, eppure su questo si è investito poco Quello che si era detto che attraverso anche il PNRR la grande sfida che si era dato era quello proprio di puntare fortemente sul fronte della formazione Lo stiamo realmente facendo? Questo è un problema serissimo perché le competenze sono veramente elementari, cioè le giovane generazioni sono sicuramente più avvezze all'utilizzo, quindi il terreno è più fertile Ma il terreno deve essere maggiormente coltivato e questa cosa considerando i livelli anche di sviluppo delle materie STEM non è ancora sviluppata a livello che servirebbe Soprattutto da un punto di vista delle tecnologie, non solo delle materie scientifiche in senso lato, ma sul fronte delle nuove tecnologie su questo piano, che ancora arranchiamo Ma quindi, professor Profumo, secondo lei, andrebbe cambiata anche la scuola? Andrebbe aggiornata non solo il calendario scolastico, ma proprio il tipo di modello formativo della scuola? Io vorrei fare un pezzettino di riflessione ulteriore. Credo che la maggior parte di voi lo sappia che i modelli educativi, i modelli pedagogici sono figli delle rivoluzioni industriali in cui si sono sviluppati La prima rivoluzione industriale è stata tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Otocento, che è stata caratterizzata da una nuova forma di energia, che è l'utilizzo del vapore A fronte di questo si sviluppò un modello pedagogico adeguato rispetto a queste cose. Quella rivoluzione industriale lì durò circa 90 anni e questo consentì di avere poi una modalità di vivere delle persone per cui quello che si era imparato a scuola era sufficiente per tutta la loro vita. Adesso non la faccio troppo lunga, però la seconda rivoluzione industriale è tra la fine dell'Otocento e il Novecento, in questo caso la nuova forma di energia è l'energia elettrica In entrambi i casi, attraverso la nuova forma di energia, cosa succede? Succede che una parte dell'attività muscolare dell'uomo viene sostituita. Anche in quel caso dura 60-80 anni e quindi c'è sempre questa connessione tra quello che si impara a scuola e quello che poi si può utilizzare nel corso della vita La terza rivoluzione industriale che tra la fine del Novecento e l'inizio degli anni duemila è quella che possiamo identificare attraverso l'automazione. Ancora una volta c'è una sostituzione parziale delle attività muscolari e in questo caso questa rivoluzione è durata 60-70 anni anche un po' meno. Che cosa ci troviamo adesso? Ci troviamo in una situazione che è caratterizzata da due elementi. Primo, la rapidità del cambiamento. Secondo, l'incertezza. Terzo, questa rivoluzione industriale che noi stiamo vivendo non durerà più di vent'anni. Il che significa che il modello educativo pedagogico che ne potrà derivare non sarà sufficiente per tutta la vita delle persone. Il che significa che il modello industriale attraverso il quale noi abbiamo vissuto, stiamo vivendo, cioè prima parte della nostra vita è la fase educativa, una fase lunga di lavoro, una fase finale della vita di di cui è scienza, che è un modello lasciatemi dire industriale proprio. Probabilmente non è più realizzabile. Noi ci stiamo rendendo conto che intanto in questa rivoluzione industriale per la prima volta non c'è una sostituzione dell'attività muscolare dell'uomo ma c'è una fase di attività connessa e in supporto all'attività cerebrale. Quindi questo cambia veramente le condizioni del contorno, cioè cambia il modo con cui pensare e il modello di vita cambia. Perché? Perché noi avremo bisogno di tornare tante volte a scuola. Tornando tante volte a scuola le cose si complicano. Intanto dal punto di vista della società ci sono alcuni esperimenti ancora al nord Europa, per esempio in Danimarca, dove quando nasce un bambino viene messo nel loro zainetto della vita un pacchetto di voucher per l'educazione. Cioè un investimento lungo, così come quando nasce un bambino noi gli assegniamo il codice fiscale in quel caso lì. Dopodiché in funzione dello sviluppo queste risorse che sono soldi fondamentalmente possono essere utilizzate o nel modello industriale di cui abbiamo parlato finora oppure in modelli molto più evoluti che vuol dire questo fatto di utilizzarle nel corso della vita in una forma più efficace. Tutto questo naturalmente pone dei temi di un livello di complessità che oggi non siamo in grado di. Però ci sono alcune sperimentazioni, anche una in Italia. Io ho fatto il presidente della compagnia di San Paolo e dell'Acri per 8 anni. Qualche anno fa nel 2020 ci fu una norma provata per cui ci fu una riduzione di fiscalità alle fondazioni. Il motivo era che dal 2014 al 2020 l'imponibile su cui si pagava le tasse passò dal 5% al 100% e quell'anno su circa un miliardo di capacità erogativa pagammo 560 milioni di euro. Cosa successiva per un soggetto. Come le fondazioni che in realtà utilizzano le risorse per il bene comune. Non voglio entrare troppo nel senso. E quindi era allora ministro, l'attuale sindaco di Roma, io andai da lui e gli dicevo, guarda qui è una situazione un po' complicata, non credo che la raggiungiamo a lungo. Dicevo, ma che cosa vuoi fare? Dico io credo che sulla base un po' di quelle esperienze del nord Europa noi dovremo pensare ad attività di sussidiarietà orizzontale, cioè pensare che su alcuni grandi temi del Paese sarebbe opportuno che ci fossero delle fasi sperimentali con risorse pubbliche, private insieme, in modo tale da valutare o prevalutare modelli che sono più che possono essere poi scalati e possono portarli e possono essere tornati diciamo allo stato e lo stato farà quello, nella direzione naturalmente sulla base dei risultati. Questa cosa qua ebbe successo, ci fu questa riduzione, il presidente della Repubblica, il presidente Mattarella, mi chiamò e mi disse, ma senti, ma che cosa vuoi fare? Io credo che uno stato moderno dovrebbe lavorare sulla base dell'articolo 118 della Costituzione che dice queste cose, cioè che in alcuni settori ci sono attività che sono lo stato del famiglio e l'altro in cui un soggetto per esempio di privato sociale può essere. E allora lui chiamò questa cosa, sussidiarità anche fiscale, anche operativa di sé, lo stato rinuncia ad una parte di due risorse. Perché vi racconto questo? Perché sulla base di quello che ci siamo detti, la compagnia di San Paolo ha lanciato un progetto lungo che si chiama le città dell'educazione, che va nella direzione di creare le condizioni per cui si faccia una sperimentazione. Sono quattro città inizialmente, che sono i due capoluoghi di regione, i due capoluoghi di provincia in Liguria e in Piemonte. E l'idea fondamentale è quella di personalizzare l'educazione. Credo che voi lo sappiate, che uno dei, certamente degli esempi più positivi dal punto di vista di attività che hanno dato i risultati, sono i protocolli di chemioterapia. Ma i protocolli di chemioterapia che sono stati sviluppati in grandi centri, sono diventati alla portata di gente. È stata di tutti. E oggi nel piccolo ospedale si utilizza lo stesso protocollo che viene utilizzato nel grande centro di ricerca. Pensateci un po' al valore che ha questa cosa. Ebbene, oggi si ritiene che i protocolli che funzionano sui valori medi, così come la scuola funziona sui valori medi, non siano più adeguati. È necessario fare un passo ulteriore che è quello della personalizzazione attraverso il sequenziamento del DNA, perché la sola malattia, se tu hai una malattia, non la puoi, non puoi identificare qual è l'intervento terapeutico se non conosci l'ambiente in cui si è sviluppato, cioè la persona. Una cosa analoga avviene sul tema dell'educazione. Cioè le fragilità sono fragilità che naturalmente sono nella persona ma sono determinate dal contesto della famiglia, dal contesto della... E quindi oggi abbiamo tutti gli strumenti. La dottoressa parlava dei risultati delle prove in VALS, ma sono semplicemente un pezzetto. Oggi abbiamo dati che ci consentano veramente di capire dove sono i problemi e in forma anticipativa. Quello che io vi dicevo inizialmente, se invece di aspettare che le fragilità emergano a 14, 13, 14 anni, le vengono individuate con i primi test in VALS, cioè al secondo anno o al quinto anno delle scuole primarie. Tutto questo mette in moto un processo virtuoso per cui quello che ci siamo detti oggi probabilmente ha una strada che può essere percorsa. E quindi la Compagnia di San Balot fa questo tipo di, come dicevo, le città dell'educazione. Stiamo facendo questo anno zero in cui stiamo mettendo a punto il modello educativo. Abbiamo fatto insieme al Ministero una piattaforma per la gestione dei dati che verrà rilasciata, queste scuole, in via sperimentale. Quindi il Paese incomincia ad avviarsi verso questi percorsi. È chiaro però che i temi sono molto rilevanti, molto complicati e non si possono risolvere. Bisogna lavorarci col tempo, bisogna avere la forza di andare oltre un po' la spinta. La spinta è sempre quella diceva, vabbè, insomma, troviamo un po' una soluzione mediata. Purtroppo questi sono temi che hanno bisogno di avere una pianificazione, un progetto vero e lungo. Presidente Boccia, il tempo mi pare di capire e stringere però abbiamo ancora due temi chiavi da affrontare. Il primo è quello della sostenibilità, sostenibilità declinata sia a livello di concetto che deve passare, che deve essere compreso da tutti, ma anche sostenibilità dei processi di formazione. Sì, assolutamente, la sostenibilità intanto va guardata come un progetto organico, ricordiamolo, ambientale, sociale ed economica. Io ricordo sempre una bellissima frase di Jean Monnet che diceva, i miei obiettivi sono politici, le mie spiegazioni sono economiche. A volte si ha l'impressione che quando si parla di sostenibilità ognuno declina il riferimento alla sua sostenibilità prescindendo dall'altro. Cioè se noi immaginiamo la sostenibilità ambientale senza porci il problema della sostenibilità economica e sociale, evidentemente, come dire, c'è qualche problema che avremo nell'immediato futuro. Quindi prima questione, la sostenibilità va vista insieme in maniera organica con questi tre pilastri, insieme, non singolarmente presi. Il che non significa depotenziare la sostenibilità ambientale a danno di quella economica, ma significa guardarle insieme. Il secondo aspetto, e aggiungo un'altra dimensione di sostenibilità che è molto evidente oggi, è quella della equità generazionale. Io penso che quella sia una dimensione di sostenibilità che rientra nella sostenibilità macroambientale, chiaramente economica e sociale, ma è essa stessa una questione di sostenibilità. Noi abbiamo un Paese che dibatte molto di pensioni e poco di formazione. Non è equità generazionale. Occorre porre una questione di equità generazionale sul futuro del Paese e facendola rientrare una idea di sostenibilità. È evidente che in tutto questo, è molto chiaro, i modelli formativi cambiano e io penso che le scuole italiane, le università italiane siano molto avanti. Perché? Quello che dice Profumo è un elemento essenziale. Noi dobbiamo formare i nostri giovani alla cultura della complessità del cambiamento. Perché tra 20 anni questa rivoluzione industriale poi ce ne sarà un'altra che forse durerà 10 anni o 3 anni. Questo significa interdisciplinarietà, questo significa uso anche dello strumento digitale, che è uno strumento, non è un elemento di formazione, perché fino a qualche anno fa, prima del Covid e nelle università, a partire da quella che ci abbiamo rappresentato fino a qualche anno fa, c'era l'idea che il digitale è pessima qualità. Il digitale è uno strumento, non è qualità, non è zero qualità, il che non significa che devi solo costruire ambienti digitali perché ha bisogno anche di relazioni sociali degli studenti. Tutto questo comporta un altro aspetto, che è quello che abbiamo avuto qualche distrazione, se così posso dire, sulla questione industriale italiana. Siamo la seconda manifattura d'Europa e dagli istituti tecnici specializzati italiani ogni anno, se non ricordo male, escono 7000 o 70.000 studenti, in Germania 700.000. Ora è evidente che questi avranno più facilità a individuali lavoratori del futuro tecnici rispetto a noi. Quindi dentro la questione formazione c'è la formazione dei mestieri, c'è la formazione delle competenze politico-sindacali, partitiche, dirigenziali e d'impresa, c'è il cuore del ceto dirigente responsabile futuro del Paese. Per questo noi dobbiamo far sì che insieme la idea di formazione sia la idea di priorità del Paese, non di un partito, non della politica, ma di tutti, anche delle famiglie italiane, che devono capire che investire sui profili significhe un investimento sul futuro, ma questo penso che sia abbastanza facile. Perché spiegare a un nonno e a un genitore che investendo sulla formazione del figlio di fatto stia costruendo le premesse per la garanzia del suo futuro, alla fine come partito ti prende anche il voto di quelli. Mi sono permesso di contribuire anche a una idea di consenso altrimenti rimaniamo solo le 4 a parlare e diventa un po' difficile. La Luiz sta facendo qualcosa di specifico in proposito? Durante il Covid la Luiz è stata anche premata a livello mondiale da Cisco, perché in un giorno ha switchato le aule reali nelle aule digitali, quindi abbiamo scoperto che il digitale, i nostri docenti hanno scoperto che il digitale è uno strumento e quindi si può fare anche formazione di qualità attraverso lo strumento digitale. Questo comporta un aspetto importantissimo nella formazione, perché ha fatto sì che abbiamo compreso che la formazione italiana, come tutta quella delle altre università chiaramente, può diventare globale, perché il digitale ti apre il mondo, ma il paradosso è che la formazione, che era una questione solo dei paesi, diventa un elemento globale. Il secondo elemento di Luiz è la interdisciplinarietà. Noi da anni che investiamo su questi aspetti attraverso i nostri docenti, a fine di formare ragazzi che vadano verso la cosiddetta cultura della complessità, e questi sono i grandi assi su cui abbiamo immaginato di investire. Sapete dov'è che c'è l'elemento che ti fa capire che stai forse andando su una direzione giusta, al di là di quella culturale che è sostanziale per noi? I fondi di investimento. I fondi di investimento fiutano il futuro, il digitale, l'innovazione, l'intelligenza artesciviale. I fondi di investimento ultimamente stanno intercettando le grandi università italiane, a partire da quelle private, cercando di investire in esse le grandi università di eccellenze italiane, non le grandi università solo di qualità media, media o bassa. Questo significa che come la finanza va verso elementi di finanziabilità, di sostenibilità, la finanza si rivolge al mondo della formazione facendo capire a chi non l'ha capito che chiaramente questo è un momento in cui si può investire in maniera totale. Per esempio questa cultura negli Stati Uniti d'America è molto più avanti, le famiglie americane investono molto nelle rette per i loro figli, nelle università private e statali. Al di là di questo occorre una cultura del Paese che dica, passiamo all'esigenza del Paese, e come si diceva tanti anni fa, prima le imprese, poi le case, poi il piano casa, oggi dovremmo dire un grande piano per il futuro, per la formazione dei nostri giovani e dei nostri bambini, per una garanzia non solo per loro, che penso che sia un atto di generosità dovuto come centro responsabile del Paese, ma per il Paese, perché senza una classe dirigente è inutile che parliamo, senza la competenza diventa difficile. Poi esce qualcuno che vuole farci uscire da Europa e fare cose semplici, ma le cose semplici purtroppo non esistono in una cultura di complessità. Abbiamo parlato fino adesso di competenze, di tecnologia, di intelligenza artificiale, eppure la scuola continua ad avere una tematica in sé per sé, che onestamente confidavamo di aver superato ancora 15-20 anni fa, che sono gli stereotipi di genere, e invece ancora adesso ci troviamo a dover combattere con un certo tipo di dinamiche. Che orizzonte abbiamo? Dobbiamo aspettare ancora altri 50 anni per vederli archiviati, ma a te lo possiamo sperare in un passaggio più veloce. E qui questo è un problema complesso, stiamo parlando di complessità, e è complesso anche questo. No, non dobbiamo aspettare altri 50 anni se prendiamo coscienza che è necessario dotarci di una strategia per combatterli, perché poi gli stereotipi di genere in realtà si trasmettono in gran parte inconsapevolmente. Quindi il meccanismo fondamentale che dobbiamo innescare è innestare la capacità delle persone di diventare consapevoli del pericolo che questo comporta nella loro azione sistematica quotidiana, nel loro lavoro. E allora come si può fare per fare tutto questo? Si può fare dotandosi di una strategia che ha a che fare con la formazione, per esempio, fin da quando i bambini sono piccoli. Alle primarie noi ancora abbiamo dei libri di testo delle primarie che alcuni pedagogisti hanno analizzato nelle parole, nelle immagini che vengono utilizzate per dare l'immagine della donna e dell'uomo che ancora hanno un'immagine della donna e dell'uomo che è quella degli anni 50 che è superata dalle trasformazioni sociali che sono in atto, per cui la donna è la casalinga, l'uomo è il potere, lo scienziato Queste cose purtroppo sappiamo perché ci vengono spiegate da psicologi dell'età evolutiva, da pedagogisti, ecc. Queste cose proprio negli anni della primaria sono criticissime perché creano quel meccanismo per cui non si capisce perché le ragazze che investono di più in cultura, investono di più in formazione, hanno voti più alti, eccetera, in matematica no. Adesso, cioè, è un po' strana questa cosa, no? In matematica no, semplicemente perché vengono educate a che quelle non sono le materie femminili fin da quando sono piccole, per cui alla fine quello diventa sostanzialmente un blocco e difficilmente tu poi lo vai a recuperare nel momento in cui fai la formazione l'ultimo anno e magari, che ne so, abbatti dai anche dei bonus per le donne che si scrivono alle materie, no? Alle facoltà scientifiche, ai corsi e laurea scientifici Non è questo il meccanismo che ci può permettere di fare un vero balzo culturale perché noi abbiamo bisogno di una rivoluzione un po' copernicana da questo punto di vista, di mettere in atto tanti strumenti che facciano crescere la consapevolezza Quali possono essere questi strumenti? Uno può essere quello dei libri di testo quindi avviare un grosso lavoro con le case editrici per fare in modo che questi libri di testo si svecchino anche perché normalmente quello che succede se andiamo a vedere l'editoria dei bambini è meravigliosa, ci sono moltissime cose più avanzate che stanno venendo fuori però questo si riflette molto poco all'interno dei libri di testo le primarie ci sono primi tentativi, ma ancora non è sistematico Secondo aspetto tutti gli studenti che frequentano l'università devono avere la possibilità indipendentemente dal corso di laurea che scelgono di poter studiare che nel loro lavoro in qualche modo possono essere trasmettitori di stereotipi un informatico, un esperto di comunicazione è fondamentale che studi queste cose invece queste cose chi le studia? Non può essere studiato solo dagli psicologi perché se io devo costruire un algoritmo devo sapere che poi ci sono dei meccanismi in base al quale io dopo scontate determinate cose che mi portano a trasmettere degli stereotipi di genere inconsapevolmente senza saperlo ma come faccio a combattere l'inconsapevolezza? La combatto attraverso lo studio, attraverso la conoscenza e quindi perché non mettere una materia stereotipi all'interno di tutti i corsi di laurea oppure dei crediti formativi non è detto che debba essere una materia però studiamo, cioè diamoci una strategia perché questo possa essere fatto analogamente questo deve significare anche che c'è bisogno di fare un grandissimo lavoro su quelle che sono figure che agiscono da multiplier cioè che hanno dei ruoli che gli permettono di incidere fortemente su tante persone, no? Un pubblicitario per esempio, un giornalista cioè è una persona che si rivolge a tanti allora queste figure devono essere formate e quindi c'è tutto un lavoro che deve essere fatto di formazione dei formatori che possa portare a una rivoluzione su questo fronte quindi io non credo che ci vogliono 50 anni è chiaro che sui processi culturali non si risolvono dall'oggi al domani però certo quello che non mi convince è che su queste cose si spendano soldi in modo parcellizzato, frammentato e non in un'ottica di sistema dotandoci di una strategia adeguata la strategia la possiamo fare bisogna mettersi a tavolino bisogna che ovviamente parta dal ministero dell'istruzione e dal ministero dell'università ma con l'aiuto i specialisti su vari fronti effettivamente venga una volta per tutte varata perché sennò continueremo in eterno a parlarci perché guardate dalle indagini Istat che gli stereotipi di genere nel nostro Paese sono purtroppo molto presenti esce fuori pesantemente e esce fuori non soltanto sulle generazioni più anziane esce fuori e anche sulle generazioni più giovani quindi c'è un lavoro a proposito di urgenze purtroppo il nostro Paese ha lasciato un po' indietro una serie di tematiche troppe cose questa delle donne è fondamentale perché poi il risultato qual è che se non ci si investe mettendole al centro seriamente il risultato è che metà della popolazione femminile non lavora e gli stereotipi centrano molto anche su questo quindi non è autonoma economicamente quindi è più esposta non solo a rischi di povertà economica ma anche di violenza ma anche di violenza domestica perché se una donna non è autonoma economicamente quindi stiamo parlando di un tema criticissimo su cui la questione formazione è cruciale e allora qua poi c'è la Bocconi quindi c'è la Luis però si, anche la Bocconi entrambi stanno facendo dei percorsi per ludicazione finanziaria femminile però questo ho capito sperimentare anche delle cose che possano diventare avanguardia per tutti gli altri non ha sbagliato anche la Luis si occupa di educazione finanziaria femminile educazione finanziaria è uno degli aspetti la cosa fondamentale sarebbe far studiare proprio gli stereotipi in modo che il balzo lo fai sull'educazione finanziaria anche su tutto il resto ovviamente l'educazione finanziaria è fondamentale allora il mio tempo è finito nel senso che non ho più tempo per farvi domande però se dalla platea qualcuno ha voglia di alzare la mano ancora qualche curiosità c'è qualche minuto direi che ci siamo e allora ringrazio non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo non si può farlo
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