Next generation Eu: quali prospettive dopo il 2026
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Next generation Eu: quali prospettive dopo il 2026
Paolo Gentiloni affronta le prospettive del Next Generation EU dopo il 2026, le sfide finanziarie future dell'Unione Europea, la necessità di fondi comuni per obiettivi comuni, e le possibili soluzioni per finanziare la transizione energetica e la competitività europea. Vengono analizzate le implicazioni del nuovo Patto di Stabilità per l'Italia, con particolare attenzione alla gestione del debito pubblico e agli investimenti necessari. Infine, riflette sul ruolo dell'Unione Europea nel contesto geopolitico attuale.
Buonasera a tutti. Il Presidente Gentiloni è qui, in cui non sono coperti, dove mi sembra che si siano fatti progressi sulla vexata a questio dei famosi asset russi. Volevo chiederle questa idea che hanno lanciato gli americani di fare un prestito per l'Ucraina da 50 miliardi usi di lì, usando appunto gli asset congelati della Banca Centrale Russa. A che punto siamo? Secondo lei siamo quasi al capolineo? O come dice la Jelena Calma che ancora non abbiamo la pelle dell'orso nel sacco? Sì, grazie veramente e buonasera a tutti. Ho capito che c'è stata qualche difficoltà ad entrare, però i controlli bisogna farli e spero che tutto vada per il meglio. Fatemi ringraziare il Sole 24 Ore, la provincia di Trento e tutti gli organizzatori del festival. Mi sembra che il festival stia crescendo, c'è un sacco di gente, molto riscontro. E poi è sempre bellissimo essere in questa sala, c'è De Pero, tantissime tradizioni di Trento. Vengo dal G7 di Stresa. Direi bene sul tema che Cerretelli citava, perché il concetto è che noi dobbiamo sostenere l'Ucraina, perché l'unico modo per arrivare a un negoziato e a una pace è che Putin si convinca che non può vincere la guerra. E quindi il sostegno innanzitutto economico, perché di questo principalmente si trattava, è fondamentale. Sappiamo tutti che ci sono delle incognite sull'evoluzione delle posizioni politiche dell'amministrazione americana, e quindi dare un segnale di continuazione del sostegno era molto importante. Ci era stato 15 giorni fa il fatto positivo che dopo molte fatiche il congresso degli Stati Uniti aveva approvato la sua parte, l'Unione Europea nonostante le complicazioni dei nostri processi decisionali aveva fatto prima. Dopodiché c'è stato un periodo di discussione. Per semplificare la discussione, la discussione era tra ipotesi che noi europei consideravamo molto difficilmente compatibili con le regole giuridiche internazionali di confisca o utilizzo diretto di questi asset sovrani russi. Direi che questa ipotesi è stata accantonata e adesso si lavora a sviluppare qualcosa che l'Unione Europea peraltro ha già fatto e deciso, perché noi, il processo si è concluso cinque giorni fa, abbiamo deciso di utilizzare gli extra profitti generati da questi asset sovrani russi congelati che sono degli extra profitti che non sono di proprietà della Russia, appartengono a una società di clearance che si chiama Euroclear che ha sede in Belgio, perché gran parte di questi asset russi di cui parliamo sta nell'Unione Europea e quasi tutti sono posseduti, gestiti da Euroclear. Per darvi un'idea, più o meno 230 miliardi sono gestiti da Euroclear e l'insieme degli asset russi congelati in paesi occidentali che hanno condiviso la decisione delle sanzioni saranno circa 300 miliardi, quindi 230 su 300 sono gestiti da Euroclear. Quindi quello su cui si sta lavorando è uno sviluppo di quello che l'Unione Europea ha già deciso, cioè l'utilizzo di questi extra profitti che non sono di proprietà russa ma non a caso erano tassati dal governo belga, e su questa logica di utilizzare gli extra profitti si sta ragionando di come costruire un prestito. Non è ancora chiaro le caratteristiche che questo prestito avrà, per questo fa benissimo Gianna Thiellen a dire che dobbiamo lavorare ancora qualche settimana e penso che per il G7 di metà giugno questa ipotesi sarà molto più definita e quindi un annuncio più compiuto potrà essere dato. Ma nell'insieme, io credo, si è trovata una strada anche per rassicurare tutti quelli che giustamente in Europa erano preoccupati che si arrivasse poi a decisioni che potessero... È chiaro che poi quando finisce la guerra ci potranno essere probabilmente degli accordi internazionali che potrebbero imporre al paese aggressore, come è accaduto tante volte nella storia, di ricostruire e ripagare. Ma farlo senza una base giuridica internazionale solida oggi presenterebbe dei rischi e per questo si lavora invece su gli extra profitti e sulla possibilità su questi extra profitti di costruire un prestito. Buon passo avanti in un G7 che certamente poi ha affrontato anche questioni complicate e spinose, tipo quella dei rapporti con la Cina, ma ne parliamo un'altra volta. Assolutamente. Veniamo al nostro tema, che è un tema altrettanto cruciale, perché riguarda la nuova Europa, quella del prossimo quinquennio, che sarà decisivo per vedere in sostanza, come diceva ieri qualcuno, o la spacca anche per l'Europa, perché siamo di fronte a una sfida immensa dal punto di vista della ricostruzione dell'economia europea cominciata con il mega prestito del mega fondo europeo del Next Generation EU, che si è tradotto per l'Italia in una pioggia di oltre 200 miliardi, e che è arrivato a metà strada. Nel 26, secondo le scadenze, verrà meno, dovrà essere stato utilizzato, e bisogna però pensare al domani. Pensare al domani perché la transizione energetica, la transizione climatica, il rilancio della competitività europea, la difesa europea, che dopo le guerre si impone come una delle grandi priorità del prossimo quinquennio, tutto questo, secondo i calcoli, costerà tra i 650 e i 1000 miliardi all'anno aggiuntivi, a quanto già si spende in Europa. Quindi è una cifra mastodontica. Come finanziarlo? Come andremo oltre il 26, tenuto conto che per il momento, almeno fino a poco tempo fa, non c'era aria di sganciare molti più soldi a livello di solidarietà europea. Quindi, che cosa si farà? Le soluzioni sono varie, ma come prima domanda la sua sensazione, qual è? C'è un clima costruttivo su questo oppure no? Il clima non è facile, naturalmente. Ci sono anche episodi limitati che potrebbero avere influenza. Per esempio, mi viene in mente il risultato elettorale che c'è stato in Olanda, la possibilità che la forza politica che fa capo a Gert Wilders diventi un'opera. C'è la forza determinante del governo ndese e certamente non si tratta di posizioni aperte a quei meccanismi di fondi comuni per obiettivi comuni. Detto questo, però complessivamente io penso che c'è ragione per essere abbastanza ottimisti. Cioè, io penso che la cosa avrà un seguito. Perché abbia un seguito bisogna innanzitutto completare bene questa parte della storia, quello che è stato fin qui, next generation EU. Il tempo è limitato, è molto difficile estendere la scadenza di next generation EU, che è alla fine del 2026. E' un meccanismo fondamentale di questo fondo, che è stata la possibilità per la commissione di un'opera. E' una possibilità di andare sui mercati finanziari e raccogliere un sacco di molte centinaia di miliardi. Questa parte della decisione è legata a un accordo unanime. E' non solo un accordo unanime tra i paesi europei, ma anche alla ratifica da parte dei parlamenti di questo accordo unanime. Quindi, in altri termini, una parte fondamentale della decisione di next generation EU, se vogliamo essere realisti in termini politici, non è prorogabile. Poi c'è, uno può dire, e questo se ci fosse un'intesa, perché qui ci sarebbe la maggioranza qualificata, ci diamo tre mesi in più, ma comunque sempre con i quattrini che vengono raccolti entro il 2026. Perché la possibilità di raccogliere quei fondi non può andare oltre il 2026, se non attraverso un nuovo giro di ratifiche di tutti i parlamenti. È una cosa enorme questa della raccolta di fondi comuni. Pensate che la Commissione Europea nel 2019 la raccoglieva sui mercati finanziari, ha raccolto sui mercati finanziari nel 2019, 400 milioni di euro. Nel 2021 ha raccolto 124 miliardi di euro. C'è un soggetto che passa da 400 milioni a 124 miliardi in due anni, non l'hanno fatto solo funzionari della Commissione, molto bravi, ma si sono anche appoggiati al tesoro di 3 o 4 grandi paesi, tra cui l'Italia, che hanno grande esperienza di emissioni di questo livello. Però una svolta enorme. Ora, come siamo messi, fin qui la Commissione ha erogato 234 miliardi, del totale che è tra i 6 e i 7 cento. Stiamo valutando richieste, tra cui anche la quinta richiesta italiana, per 33 miliardi, mi pare. Ce ne sono 10-12 in ballo per 33 miliardi. La nostra previsione è che entro la fine dell'anno arriveriamo ad aver erogato 300 miliardi. Quindi siamo a 230, errotti, entro la fine dell'anno a 300, che è quasi la metà dell'insieme dell'operazione. Quindi io penso che sia tuttora realistico immaginare che con uno sforzo notevole e guai a pensare che lo sforzo, per esempio, da noi per il PNRR è tutto sommato andato perché siamo ok con la tabella di marcia, bisogna lavorarci moltissimo. Però se ci si lavora moltissimo, io penso che questa scadenza sia realistica. Dopodiché, che facciamo? Aspettiamo la fine del 2026, o come dice qualche paese europeo, l'assessment post del 2028, è prevista una valutazione ex post sull'impatto, come sono andate le cose, eccetera. Oppure ci poniamo questo problema subito? La mia opinione è che la Commissione europea nuova, il nuovo Parlamento, il nuovo ciclo politico dell'Istituzione europea, dovrebbe, tra le primissime urgenze, porsi il problema di come di nuovo affrontare l'importanza di avere fondi comuni, strumenti comuni per finanziare obiettivi comuni. È possibile, ma in questo momento che siamo anche in campagna elettorale, è chiaro che le voci più critiche, più riluttanti, magari si fanno sentire anche un po' di più. Io ricordo però due cose. La prima è che la Presidente della Commissione, Fonder Layen, un anno e mezzo fa, nel suo intervento alla Unione di Davos, addirittura propose un fondo sovrano europeo. Quindi non è che è una teoria del Commissario Gentiloni, che è un po' fissato con i fondi comuni per obiettivi comuni, o di Macron, che certamente tra i capi di Stato e di Governo è quello che spinge molto in questa direzione. È stata la stessa Presidente della Commissione a proporre questa cosa. Seconda osservazione, ci sono alcuni campi in cui può dispiegarsi questa iniziativa comune per obiettivi comuni, sui quali la geografia dei favorevele e dei contrari è abbastanza diversa. Uno di questi, per esempio, è la Difesa Comune. Per tradurla in termini brutali, la prospettiva di un minore impegno da parte dei nostri alleati americani a sostegno della sicurezza in Europa, che qualcuno collega a possibili esiti delle prossime elezioni negli Stati Uniti, sta spingendo anche paesi che nelle nostre classificazioni erano i paesi frugali, quindi paesi baltici, Finlandia, paesi del nord Europa, a essere favorevoli a operazioni di questo genere. Voglio dire una cosa sola. Togliamo di mezzo l'idea che avere finanziamenti comuni per obiettivi comuni di per sé sia sempre un meccanismo di trasferimento e redistribuzione tra paesi europei ricchi e paesi europei con minore spazio fiscale, quindi più in difficoltà sul piano del bilancio. Può essere così, è stato così, la Next Generation EU, e quindi si è mossa alla geografia della crescita in Europa grazie alla Next Generation EU, ma non è detto che sia sempre così. Possiamo benissimo avere degli obiettivi comuni, non so, su alcuni progetti di punta sul piano delle tecnologie pulite, ma insomma si potrebbe spaziare sui punti sui quali un'economia di scala europea sarebbe vantaggiosa, che però sono nell'interesse sia dell'Ussenburgo che della Bulgaria. Non è che sono un trasferimento dai paesi ricchi ai paesi con meno spazio fiscale. Quindi io penso che sia giusto in queste campagne elettorale per lezioni europee che chi tiene a questa logica dica molto chiaramente vi batterete per avere dei fondi comuni, per obiettivi comuni in Europa, anche obiettivi sociali comuni, perché anche la lotta contro le diseguaglianze, oppure alcuni aspetti dell'Unione Europea in campo sanitario, potrebbero essere raggiunti molto meglio con una dimensione unica europea. Quindi io sono relativamente ottimista sul fatto che questa straordinaria novità prima del meccanismo SURE e poi di Next Generation EU non rimanga una parentesi da mettere nell'archivio, ma sia come tante volte è capitato nella storia dell'Unione Europea un primo passo che poi si ripete e che poi inevitabilmente si allarga e diventa permanente. Però bisogna lavorarci naturalmente perché nessuno ce lo regalerà nei prossimi anni. A parte la difesa europea che è una grossissima priorità, l'altra priorità che chiamerei quasi emergenza è la perdita di competitività dell'Europa in generale, della sua economia, della sua tecnologia. Noi rischiamo di essere schiacciati, lei citava appunto il G7, tra l'altro avete parlato di Cina, la Cina da una parte e gli Stati Uniti dall'altra dal punto di vista economico tra sussidi e interventismi, protezionismi vari, rischiano di prenderci mezzo. Proprio pensando ai fondi comuni, al Fondo Comune, al Next Generation EU, dove secondo lei si possono trovare i soldi a prescindere dall'idea del Next Generation che magari richiederà più tempo per rimettersi in marcia? Si è rilanciata per esempio l'idea di portare a termine questa Unione del Mercato dei Capitali che manca clamorosamente al mercato unico insieme al mercato energetico e che però da dieci anni se ne discute e non si è arrivati a nulla. Lei crede che di fronte alla necessità per l'Europa di lanciare un segnale che esiste davvero in economia e non è solo una comparsa o un mercato appettibile per gli altri, si riuscirà veramente a dare un segnale anche sul fronte finanziario che per noi è essenziale, perché noi vediamo sempre le nostre imprese che vanno, le start-up che vanno in America perché è più facile aprirle, si quotano perché è più facile a quotarsi a New York e quindi noi perdiamo 300 mila miliardi di risparmi europeo che migra altrove. Quindi è una vera emergenza anche quella del finanziamento oltre quella della competitività, però sull'Unione del Mercato dei Capitali segniamo il passo, almeno per ora, sull'Unione bancaria allo stesso, quindi sul bilancio europeo da potenziare siamo sempre all'1%. Quindi dove troviamo questi famosi 650 miliardi che serviranno per fare la Nuova Europa? Io direi due cose, primo il fatto che si siano realizzati questi obiettivi, prima quel meccanismo che si chiamava Schuher che ha salvato circa 40 milioni di posti di lavoro in Europa, non poco, e poi Next Generation EU che tutt'ora, fino a ancora per due anni e mezzo, metterà a disposizione dei diversi paesi europei una montagna di quattrini per investimenti, al punto che alcuni paesi, in questo momento sono l'Italia e la Polonia, ne chiedono la proroga, perché i soldi sono talmente tanti, quindi il paradosso in cui siamo è che in questo momento risorse pubbliche per investimenti non solo non mancano, ma abbiamo qualche difficoltà ad assorbirle per quanto sono cospicue. Dopodiché i miei uffici fanno sempre queste proiezioni, che quant'è l'investment needs da qui al 2030, sono 620 miliardi l'anno sulle doppie transizioni verde-digitale e tutti si terrorizzano. Qui dobbiamo dirci prima, stiamo parlando ovvio, di un mix tra risorse pubbliche e risorse private. Allora per le risorse private, indubbiamente quello che dice Cerretelli è fondamentale, riusciremo a fare dei passi in avanti sulla unione dal punto di vista dell'interno. La unione del mercato dei capitali è una sfida. Io personalmente ho sentito molte differenze, ho visto differenze anche abbastanza forti tra i paesi europei su questo, paesi che vogliono andare avanti decisamente su questa unione del mercato dei capitali e paesi, come per esempio almeno in parte la Germania, molto riluttanti ad andare avanti, perché difendo le caratteristiche del loro sistema finanziario o bancario, però ho anche visto negli ultimi incontri a livello dei leader una spinta importante. E quindi nell'agenda della prossima Commissione Europea, voi sapete che in Europa l'unico soggetto titolato a fare delle proposte è la Commissione Europea. Non c'è una possibilità per i governi o per il Parlamento di avere un'iniziativa, di fare delle proposte. Quindi aspetta alla prossima Commissione Europea a mettere sul tavolo qualche passo avanti. L'Unione bancaria non so quanto interessi, ma è al limite più difficile, ma anche più semplice, nel senso che l'Unione bancaria non è andata avanti per la distanza di posizioni soprattutto tra due grandi paesi. Quindi mentre sull'Unione del mercato e dei capitali ci sono tante, ognuno geloso un po' di casa propria, l'Unione bancaria c'è da una parte l'Italia, dall'altra la Germania, se la vogliamo semplificare. Quindi chi mette l'accento su un deposito comune europeo, l'Italia, e chi contrappone a questo la ponderazione dei titoli sovranci, non è un po' di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di città di come i mercati dei capitali possono trovare vantaggioso investire in Europa e obiettivamente è molto vantaggioso investire in Europa. Io sono contrario al declinismo europeo. Mi piace moltissimo, penso di essere stato fortunatissimo a nascere europeo, mi piace quella statistica sull'aspettativa di vita forse che c'è una certa età, ma insomma che dice che l'aspettativa di vita in Europa è la più alta del mondo e mi piacciono le statistiche che dicono che abbiamo enormi problemi di diseguaglianze di cui giustamente ci occupiamo e su cui giustamente protestiamo, ma le diseguaglianze in Europa sono le più ridotte a livello internazionale, quindi abbiamo anche tante cose, poi la cultura e De Pero e quello che volete voi, ma abbiamo tante cose di cui essere contenti e per la fortuna di essere nati in Europa. Certamente l'attrazione c'è, ma lo svantaggio di un mercato dei capitali frazionato incide. L'altra parte del discorso riguarda invece le politiche pubbliche. Qui io penso che Bruxelles negli ultimi quattro cinque anni ha fatto dei passi da gigante innanzitutto Next Generation EU, ma anche passi da gigante sul piano concettuale. Se qualche anno fa qualcuno avesse parlato a Bruxelles di politiche industriali europee, diciamo che sarebbe stato accolto con qualche sorrisino un po' scettico. Che cosa è cambiato poi sostanzialmente in tutto il mondo il rapporto tra gli Stati e l'economia? E quindi anche il modello economico europeo non può più basarsi soltanto sulla concorrenza vista tra l'altro come concorrenza all'interno del nostro mercato, ma deve prevedere anche delle priorità sulle quali si mettono sul terreno risorse pubbliche. Allora andando all'osso, la questione è semplice. Ok, se tu ritieni che l'Unione Europea possa essere l'unico attore a livello globale a non avere bisogno di un sostegno pubblico per i grandi obiettivi, i grandi progetti, nonostante la Cina lo faccia, il Giappone lo fa, la Corea del Sud, gli Stati Uniti, tutti sostengono i propri obiettivi, però l'Unione Europea è superiore, sta in un'altra categoria. Va bene, se la pensi così io mi arrendo e va bene, ma la vera alternativa non è con questa tesi che è sempre più minoritaria. Tendiamoci, vent'anni fa non era così minoritaria, è rispettabilissimo dire no al ruolo pubblico, allo Stato, lasciamo lavorare da solo i mercati, eccetera, ma non c'è più questa idea perché il mondo è cambiato, perché c'è una competizione soprattutto sulle tecnologie pulite micidiale a livello internazionale perché c'è una sovracapacità di produzione cinese che rischia di mettere in crisi i nostri mercati di tecnologie di punta, insomma non bisogna fare copia in colla delle decisioni che prendono gli Stati Uniti, mi riferisco per esempio alle ultime misure tarifarie, ma bisogna porsi il problema. Allora il punto vero della discussione è ok, detto che adesso anche in Europa abbiamo capito che bisogna sostenere i nostri obiettivi, le nostre priorità, eccetera, lo facciamo soltanto ciascun Paese con le proprie risorse, quindi buttando un po' a mare le regole e i limiti che abbiamo nella legislazione europea sugli aiuti di Stato, oppure lo facciamo, certamente ritoccando anche le regole sugli aiuti di Stato, con una logica che gradualmente replicando iniziative di fondi comuni per obiettivi comuni arriverà tra 5 anni, tra 10 anni, tra 15 anni, ad avere delle capacità fiscali, delle capacità di bilancio più forti a livello europeo. Sono due strade diverse, io l'unica cosa che vi posso garantire è che la prima strada, e cioè basta con i limiti agli aiuti di Stato, ognuno per conto proprio si finanzia gli obiettivi di politica industriale a livello pubblico, questa strada porta a uno squilibrio interno del mercato unico europeo quasi ingestibile. Ogni volta che durante la pandemia abbiamo allentato le misure sugli aiuti di Stato, le richieste dei nuovi schemi più liberi sugli aiuti di Stato venivano grosso modo per i due terzi, i due terzi del totale, da un solo paese, dei 27, la Germania, e per il restante terzo da tutti gli altri paesi, anche perché il primo paese, che è la principale economia europea, come sapete ha qualche auto-limitazione per quanto riguarda la possibilità di spendere, di investire e quindi tutti questi margini possono essere utilizzati. Se invece scegliamo l'altra strada, scegliamo una strada che rafforza il mercato unico e il rafforzamento del mercato unico è nell'interesse di tutti, nell'interesse di quelli che hanno meno spazio di bilancio come noi italiani, ma anche nell'interesse della Germania di quelli che hanno più spazio di bilancio, perché un mercato unico senza enormi squilibri, che è forte, che è florido e che funziona, è una delle caratteristiche che crea benessere e margini per tutti. Quindi questa è sempre più l'alternativa. Vuoi scardinare il meccanismo europeo, lasciando tutti liberi di lavorare senza limiti agli aiuti di Stato, o vuoi mantenere, sia pure con qualche innovazione, le regole comuni e puntare a finanziare beni comuni con strumenti comuni. E questa è l'alternativa. Mi rendo conto che ne parliamo poco in questa campagna elettorale per le elezioni europee, ma sono cose gigantesche che determinano il nostro futuro. Vedo che il nostro tempo corre. Le volevo fare una domanda proprio sull'Italia. Vista questa situazione in cui, ammesso che si arrivi ai fondi comuni per obiettivi comuni in un futuro che però non sarà prossimo nella migliore delle ipotesi, c'è bisogno di finanziamenti e investimenti. Parlo dell'Italia in particolare a tempi relativamente brevi. Le chiedo, alla luce del nuovo patto di stabilità e allo stato del debito italiano, delle regole, sia per procedura antideficit eccessivo, sia per quanto riguarda il rientro graduale dell'Italia. Quali margini, visto che non ci sono state eccezioni dal punto di vista della deduzione, dal calcolo del deficit, di questi investimenti verdi, di cui ci sarebbe necessità, lei vede per l'Italia dei margini di manovra possibili per riuscire a fare degli investimenti al di là del PNRR, per esempio nella difesa, tanto per dirne una, o in altri settori, oppure ritiene che questo patto sostanzialmente ci imbriglierà in un'unica riduzione degli squilibri finanziari che tuttora abbiamo? Forse sono troppo ottimista, ma spero che gli italiani, chi governa, chi è in Parlamento, chi ha delle responsabilità in generale, pensino che una graduale riduzione del nostro debito sia nell'interesse nazionale, non sia perché le regole di non so chi ci imbrigliano, perché veramente se un paese come il nostro, che è il paese in Europa dopo la Grecia che ha il debito più alto e purtroppo se guardiamo allo stato attuale le proiezioni del debito italiano e di quello greco nei prossimi cinque anni, può darsi che le due curve si incrocino, ma io sono convinto invece che l'Italia farà meglio e che quindi non si incrocino a breve, però questo è un obiettivo, è un'esigenza, come posso dire, democratica, non è un problema di imbrigliamento delle regole o quel che è. Le regole, ok, noi il 17 marzo del 2020 abbiamo sospeso le regole del patto di stabilità, non era mai successo nella storia dell'Unione Europea da quando aveva quelle regole, però non c'era mai stata una pandemia e la sospensione è durata quasi quattro anni alla fine, perché è cominciata il 18 marzo del 2020 ed è finita il 31 dicembre del 2023 e vi assicuro, c'è qui Marco Budi che è stato per un certo periodo il mio capo di gabinetto a Bruxelles e adesso scrive importanti libri con un altrettanto autorevole economista che è Marcello Messori, un po' di pubblicità che è fondamentale, cioè per noi tenere la sospensione di queste regole fino alla fine del 2023 è stata una battaglia, perché un pochino nella commissione e molto tra i Paesi membri c'era qualcuno che voleva che tornassimo alle regole del patto di stabilità precedenti già nel 2022, perché le vuoi prolungare, ma forse c'è una guerra, c'è l'inflazione, quindi alla fine questa battaglia è finita tutto sommato bene, penso che sia stato giusto nonostante le critiche prolungare la sospensione fino alla fine del 2023, dal 1 gennaio 2024 sono tornate alle regole precedenti, dopodiché due o tre mesi dopo si è conclusa la revisione di quelle regole precedenti, quelle che abbiamo adesso non sono le regole dei miei sogni, devo essere onesto, perché sono state un po' complicate dal percorso di negoziato tra i diversi governi rispetto a quelle che erano state le proposte della commissione. Se ho imparato una cosa in questi 4-5 anni a Bruxelles è incredibile come la scuola europea sia una scuola di compromessi, cioè alla fine ti devi mettere d'accordo verticale-orizzontale nel senso tra forze politiche, tra Paesi nord-sud, destra-sinistra, perché comunque ci vuole una regola comune. Se qualcuno pensa che un'unione di 27 paesi, 20 dei quali condividono la stessa moneta, possa campare senza regole comuni secondo me prende un gigantesco abbaglio. Dopodiché c'è margine per l'Italia in termini di investimenti, non solo c'è margine ma c'è un sovrappiù di investimenti. Per favore, non è che vengo dalla luna, no? Quindi scusate, non voglio neanche fare il maestrino, perché so benissimo che è sempre stata una grossa sfida realizzare gli investimenti, le opere, le strutture. Ho partecipato a non so a quante riunioni del Cipe e le riunioni del Cipe normalmente si concludono con un comunicato che dice che si farà di solito una strada, si farà quella opera, quell'investimento. Poi l'autorità locale che è coinvolta in questo fa un bel comunicato e dice abbiamo l'alta velocità da Napoli a Baria e non so che e non sempre, mettiamola così, queste decisioni annunciate poi si traducono in cose che si fanno per terra, seriamente. Quindi lo dico essendoci passato e avendo la mia parte di responsabilità in questo difetto, in questo limite, non è che appunto faccio il professore che viene dalla luna. Però detto questo, il problema nei prossimi anni per l'Italia, guardate anche ai tassi di assorbimento dei nostri fondi di coesione strutturali europei, non è la mancanza di risorse per gli investimenti. Certamente c'è un problema di bilancio per la spesa corrente dove ci verrà un certo equilibrio da parte del governo. Penso che il governo abbia fatto bene a prendere alcune misure di prudenza su alcune materie, il famoso dibattito sul famoso eccetera. Però insomma il limite alla crescita non deriva dalle regole di bilancio. Il rischio, se non mettiamo, diciamo così, in un percorso che le nuove regole consentono, graduale, ragionevole, per niente drammatico, se non mettiamo in quel percorso il nostro debito, il rischio è che la reazione arrivi non dal mio successore come Commissario dell'Economia a Bruxelles, ma dai mercati. Penso che l'Italia non lo merita e non se lo può permettere. Quindi bisogna gradualmente adattarsi a questi percorsi di aggiustamento che hanno il grandissimo vantaggio di poter essere ritagliati, diciamo, paese per paese e quindi che succederà nei prossimi mesi che ogni paese farà il suo piano per riforme, investimenti e graduale aggiustamento dove necessario del debito. Dal mio punto di vista è non solo perfettamente gestibile ma è anche un grande passo avanti, perché si discute un po' meno meccanicamente anno dopo anno, ma si discute un po' più sul medio termine che succede nei prossimi quattro, sette anni, che investimenti per rileggiare. È chiaro che bisogna vivere questa cosa come una grande sfida per il paese in cui le forze sociali, sindacali, imprenditoriali, parlamentari, siano coinvolte, perché se una cosa così strategica viene fatta dentro quattro mura da tre persone allora l'animus, diciamo lo scopo di queste regole non credo che sia raggiunto. Però io penso che ci sia grande prospettiva per crescere, per fare investimenti, ma al tempo stesso che sia un grandissimo errore per un paese come il nostro ignorare la necessità di un percorso sia pure graduale, flessibile, quanto vogliamo per affrontare l'alto debito che abbiamo. Non ce lo possiamo permettere. È successo nel secolo scorso, poi fondamentalmente, abbiamo avuto un paio di decenni tra gli anni 70 e gli anni 80, lo dico da grandissimo apprezzatore della politica di quei tempi per certi versi, però ogni tanto ci dimentichiamo che oltre a una politica interessante abbiamo fatto qualche qualche guaio negli anni 70 e negli anni 80, accumulando i livelli di debito che poi con i quali poi abbiamo in un certo senso convissuto negli ultimi trent'anni, riducendoli per l'ingresso nell'euro e poi gestendoli a livelli troppo elevati e dobbiamo avere un percorso, ripeto, di riduzione graduale. Fa bene alla nostra economia, fa bene agli investimenti e guardate quanti esempi abbiamo in giro per l'Europa. Io finisco su questa cosa. C'era durante la crisi finanziaria quell'orribile acronimo che ricorderete, che metteva insieme Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna. I pigs, citazione generazionale, adesso volano, nel senso che hanno messo le ali. In genere i pigs crescono molto di più dei frugali e la Grecia cresce molto di più della Germania, per riferirci alla crisi finanziaria di 10-15 anni fa. Questo è anche frutto di Next Generation EU, è ovviamente anche influenzato dal diverso impatto della crisi energetica, dell'uscita dei combustibili fossili russi, però è una base importantissima. Alcuni di questi paesi, penso alla Spagna per esempio, hanno dei livelli di crescita assolutamente notevoli e penso che l'Italia potrebbe assolutamente fare lo stesso e che sia questa una grande causa nazionale. A questo proposito, è assolutamente necessario che questo percorso di riduzione del debito all'Italia sia seguito con estrema attenzione e ha lasciato intendere che le misure che sono state prese per ridimensionare quel grande guaio che è stato il superbonus siano un'ottima cosa. Lei ritiene che per questo percorso di riduzione il redditometro che è risorto in questi giorni possa essere uno strumento utile oppure ritiene che ci siano altri strumenti utili. La Francia, nell'Eurozona lei citava appunto i pigs, i bravi e quelli che hanno problemi. La Francia mi sembra che tenda ad assomigliare sempre di più all'Italia dal punto di vista degli squilibri accumulati, penso al debito che è quasi raddoppiato da quando è entrato nell'Unione monetaria. Non è una bella consensuazione per noi perché noi invece l'abbiamo ridotto di poco ma fatto sta che si avvicina oramai è oltre il 110%. Non è che rischia di rubarci il posto, anche perché mi sembra che ogni volta che Bruno Le Mere, il ministro delle Finanze lancia piani e compagnia, lo fa in un Paese il racconto dal punto di vista delle misure di governo che in qualche modo tendano a ridurre lo stato sociale, le pensioni, abbiamo visto i gilets jaunes e le piazze, eccetera. Quindi non è che la Francia possa diventare un grosso problema per l'Unione monetaria oppure lei ritiene che sia un problema controllabile? Sul redditometro non faccio commenti neanche sotto tortura. Mi avvalgo della condizione di commissario europeo. È chiaro che la lotta allevazione fiscale, la riduzione allevazione fiscale è un obiettivo fondamentale per l'Italia e questo è considerato tale nel PNRR. Si è fatto un gran lavoro negli ultimi 5-10 anni, ogni volta con molta fatica, perché anche se introduci delle cose minime tipo la digitalizzazione di questa o quell'operazione, questo provoca comprensibilmente resistenze, ma bisogna andare in quella direzione. Nel dibattito internazionale oggi si discuta di intelligenza artificiale e l'otta allevazione fiscale. In che modo le due cose possono combinarsi e ne discutono la Presidenza brasiliana del G20, non qualche scienziato pazzo in California. Cioè è un tema. Per quanto riguarda i diversi paesi europei, il 2024 secondo le nostre previsioni funziona così. Germania in stagnazione, 0,1% di crescita, Francia-Italia crescita comparabile, l'Italia leggermente meglio, quindi 0,7% Francia-Italia, 0,9% Italia, lo 0,9% italiano è esattamente la media dell'eurozona, Spagna 2,1%. Quindi queste sono le quattro maggiori economie europee. Penso che senz'altro la Francia, che attenzione, trent'anni fa aveva un debito inferiore a quello tedesco, ha avuto nell'ultimo periodo un incremento del debito. Non penso che bisogna da questo trarre delle conseguenze di sottovalutazione della forza dell'economia francese, perché su tanti aspetti questa forza è notevole e basta guardare le agenzie di rating che sono americane, tendenzialmente non francesi, per capire che è una valutazione. Ma senza dubbio, e il governo francese ne è consapevole, il ministro Le Mer che Cerretelli citava ha proposto ripetute interventi di riduzione della spesa per far fronte a questo problema. Il problema, penso che la Francia lo abbia chiarissimo, ma al tempo stesso ha chiarissimo che siamo in un momento in cui bisogna crescere, investire, svilupparsi. Le due cose possono convivere, ma certo che possono convivere. Il ministro dell'economia del governo Renzi e del governo Gentiloni, Piercarlo Padoan, ci aveva questa storia del narrow path, non so se ve lo ricordate, il sentiero stretto. Il sentiero è stretto, ma è stretto per tutti, non è stretto perché in tutto il mondo si discute del rapporto tra spazio fiscale, debito, quindi non è che sono temi di cui noi italiani ci impadroniamo. Guardiamo a questi temi con ottimismo, questa è la mia sottolineatura, e cercando di non dimenticare un po' di buoni propositi che abbiamo fatto durante la pandemia. Io ricordo, durante la pandemia c'era quello slogan magnifico, build back better, dobbiamo ricostruire l'economia facendola meglio di quella che era prima. Ecco, un po' questo rischiamo di perderlo per strada, perché qualche frenata sulla transizione ambientale è di troppo secondo me, qualche sottovalutazione del tema delle diseguaglianze, questo io credo non è quello che l'Italia e l'Europa meritano dopo le tante sofferenze che abbiamo vissuto con la pandemia e con la sfida che abbiamo la guerra. Bisogna essere molto ambiziosi, perché se non lo siamo sulle diseguaglianze e sulla transizione climatica facciamo fatica, io credo a vedere bene il nostro futuro. Grazie, un'ultima domanda e risposta secca, tutti desidereremmo un'Europa ambiziosa e che riesca a realizzare i propri progetti, ma con la nuova mappa politica che rischia di delinearsi dopo queste lezioni, lei ritiene che ci saranno dei margini ancora più o meno come oggi oppure ritiene che l'aumento dei nazionalismi, dei populismi, delle destre che dovrebbero aumentare in Parlamento, anche se non si sa quanto riusciranno poi a governarsi insieme, possa diventare un freno alle ambizioni europee proprio per i nazionalismi di cui sono portatrici? Io dico che frenare le ambizioni europee vuol dire farsi del male, farsi del male con le nostre mani. Per un Paese come l'Italia è evidente che la possibilità che l'Unione Europea svolga un ruolo su temi cruciali, oggi abbiamo parlato molto dei temi economici, del debito, ma potremmo parlare dell'Unione sanitaria, potremmo parlare di difesa comune, come dovremmo parlare di più, di transizione climatica, l'alibi che noi abbiamo solo il 7% delle emissioni fa ridere, nel senso che il problema non è se hai il 7% delle emissioni, il problema è se vuoi essere, Unione Europea, tra quelli che guidano questo percorso a livello internazionale o no? E non è solo una dimensione etica, se sei alla guida vuol dire che avrai posti di lavoro, qualità e competitività imprenditoriale, con tutti gli accorgimenti del caso, il supporto a quelli che vengono danneggiati, eccetera. Se invece pensi che puoi rallentare e che il mondo si fermerà nella corsa alle tecnologie pulite, prendi un abbaglio colossale che potrebbe minare la nostra competitività molto a lungo. Quindi anche questa dimensione europea della transizione climatica è fondamentale. Tutto questo, l'Europa più forte ci serve, cosa mi fa essere ottimista? Ho visto oggi a Stresa il cancelliere, il ministro del Tesoro, chiamiamolo così, inglese, Jeremy Hunt, e abbiamo ragionato giustamente di come l'Europa e il Regno Unito, in questo contesto debbano sempre più lavorare vicini alla sfida del commercio internazionale, le sfide della sicurezza e c'è grande consapevolezza anche da parte di uno come Jeremy Hunt e, immagino, anche da parte dei laburisti che sono favoriti nelle imminenti elezioni inglesi. Fatto sta che il Regno Unito nel 2015 è uscito e io guardo ogni tanto le statistiche che gli inglesi chiamano del regret, cioè di coloro i quali avendo votato per la Brexit adesso lo regrettano, cioè diciamo così sono pentiti o comunque non lo rimpiangono e i regret stanno attorno al 60 per cento nel Regno Unito. È stato un affare uscire dall'Unione Europea? Fatemi dire questo, qualche anno fa non solo in Italia, in tanti paesi europei era forte la posizione di chi diceva vogliamo uscire dall'Euro o dall'Unione Europea. Io questa posizione oggi non la sento quasi più dire. Vuol dire che è tutto a posto, al contrario, vuol dire però che la sfida si è spostata su un terreno più intelligente, più importante, che è se vogliamo averla più forte questa Unione Europea per difendere le nostre libertà, il nostro stato sociale, la nostra competitività internazionale, o se la vogliamo indebolire pensando che ciascuno per sé a casa nostra riusciamo a risolvere i nostri problemi. Io sono stra convinto che la linea debba essere quella di avere un'Unione Europea più forte e lo dico da convinto patriota italiano. Ieri ci abbiamo avuto a banda della Guardia di Finanza a Stresa al G7 Finanza e quando la banda della Guardia di Finanza, dopo aver fatto O'Fellini, Morricone, Luciano Le Stelle, Nessun Dorma e quello che volete, ha suonato l'inno di Mamelli, io come sempre sento un po' il magone, magari perché fai lo riundo, sei all'estero e lo senti un po' di più. Quindi io sono assolutamente e convintamente un patriota italiano, ma un vero patriota italiano oggi scommette su Unione Europea più forte e non più deppole. Grazie. Grazie.
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