Microcosmi. Saggi brevi sullo sviluppo territoriale
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Microcosmi. Saggi brevi sullo sviluppo territoriale
"Microcosmi" esplora le realtà territoriali italiane, analizzando come distretti e città medie affrontano cambiamenti come digitalizzazione e migrazioni. I saggi evidenziano l'impatto della pandemia, che ha portato a una riscoperta della comunità ma anche alla necessità di una "comunità di cura larga". Centrale è il concetto di "capitalismo molecolare", tessuto di microimprese contrapposto al "capitalismo delle reti". Le città medie sono cruciali come giunture di piattaforme produttive6, ma devono evitare di snaturarsi. La transizione ecologica richiede una "coscienza di luogo" e un impegno sociale. Il libro offre speranza nei soggetti che creano buone pratiche ai margini, sottolineando che la coesione sociale è fondamentale per affrontare le sfide contemporanee.
Buongiorno, benvenuti a tutti, benvenuto al professor Aldo Bonomi, sociologo e fondatore del consorzio Aster. Siamo qua per celebrare quasi un anniversario, quasi vent'anni dalla rubrica microcosmi sulle 24 ore. Sono quasi vent'anni che il professor Bonomi racconta andando in profondità le tante realtà territoriali che compongono l'Italia, che è fatta soprattutto di distretti, di città medie, di comuni piccoli, addirittura comuni polvere. Sono realtà che sono state toccate da grande discontinuità, dalla digitalitazione, alle migrazioni, a montate regole del lavoro e dello stare insieme, che però tendenzialmente sono sempre riuscite a non bloccarsi di fronte all'innovazione, ma a incamerarla, a farla propria e confrontandosi con un evento, il codidetto evento cigno nero che è stata la pandemia, sono riusciti quasi a capovolgere un po' la clessitra, a essere capaci di insegnare loro qualcosa a realtà più grandi. Dallo scorso mese microcosmi anche un libro che abbiamo qui e raccoglie in particolare gli articoli che il professor Bonomi ha scritto dalla pandemia fino al mese scorso. Uno dei messaggi che per va del libro e ne andremo a scoprire tanti è che non c'è transizione socioeconomica senza che ci sia una coesione sociale comunitaria e partirei proprio da qui per farti anzi la prima domanda. Durante l'emergenza Covid appunto vedi una riscoperta del concetto di comunità di cura, oggi quattro anni dopo cosa è rimasto di questa spinta e se è rimasto qualcosa prendersi cura di che cosa? Allora prima di tutto buonasera, un buon pomeriggio, ma vorrei spiegare a loro soprattutto poi dopo. La difficoltà di trovarsi ogni 15 giorni, perché la rubricano è una quindicinale, a dovere scavare nei racconti del territorio per trovare diciamo così tracce di coesione sociale o di voglia di andare avanti è difficile perché l'impianto su cui è costruito il libro ma ci capiamo e arrivo poi alla pandemia e che io ragionò in maniera molto semplice, ci sono i flussi, i grandi processi di cambiamento e arrivo poi alla pandemia, la finanza è un flusso, le grandi imprese sono un flusso, le internet company sono un flusso, le migrazioni sono un flusso, tutte queste cose sembrano sorvolare il mondo ma poi alla fine precipitarò sulla terra per capire il territorio e quindi io vado a capire ogni volta, a cercare di capire come i territori reagiscono a questi processi e devo dire che quando poi con un collega che mi ha assistito nella cura del libro anche e con te ne abbiamo parlato, io faccio questo lavoro tra virgolette perché mi diverto ancora da questo punto di vista, dal 2004 e quindi ho dovuto scegliere perché sennò veniva fuori un tomo ammorbente da questo punto di vista, troppo grosso e quindi ho detto beh si deve cominciare a scegliere dove collocare i microcosmi ho pensato a due altri flussi che sono arrivati ci sono precipitati dentro addirittura non solo nel corpo, la pandemia, la pandemia non solo nel territorio, nel corpo, la pandemia è arrivata nel corpo, la pandemia e l'altra è la guerra, fate il libro è collocato da quando inizia ho scelto i microcosmi da quando iniziava la pandemia a quando è riapparso nello scenario mostruoso della guerra per capirci e in mezzo ho poi collocato qui e quindi arrivo alla risposta, quando è arrivata la pandemia abbiamo scoperto e abbiamo incominciato a usare una parola molto importante, la comunità e qui ho solo una cosa da dire a fronte di questi grandi cambiamenti i flussi che arrivano sul territorio arrivano nei luoghi e li cambiano culturalmente, socialmente, economicamente, antropologicamente, c'entrano dentro, io ho trovato tre comportamenti comunitari, un primo comportamento comunitario è i soggetti sociali hanno paura, c'è incertezza, i flussi fanno paura, non tutti capiscono la finanza che sta in alto, le borse, i grandi gruppi, le internet company, le migrazioni e quindi ad esempio io ho trattato nel mio libro ho scelto anche alcuni microcosmi che dicono la comunità del rancore, la comunità che si impaurisce e si rinserra, per fortuna non c'è solo paura e rinserramento, che poi anche implicazioni politiche culturali ma non è qui il punto da discuterne, per fortuna non c'è solo rancore, c'è nei territori, nei piccoli comuni, nelle città un grande tessuto di comunità di cura, volontariato, associazionismo, le caritas cioè quelli che si occupano degli ultimi, del margine e attenzione, quella comunità di cura è partita, si è immobilitata durante il covid, in due modi, cito solo due esempi, c'erano quelli giovani come voi, sbanettoni, che andavano dagli anziani, dalla nonna, dalla zia, che non sapeva come comunicare rispetto a questo e gli insegnavano, cioè quindi diciamo così quelli che portavano la conoscenza per mettere in rete e quelli che portavano le medicine, quelli dell'ultimo miglio, la comunità di cura, ma il vero problema è ho finito ragionando non è solo un problema della comunità di cura che abbiamo esaltato, vi ricordate viva gli infermieri, vivi i medici, per fortuna che ci sono e oggi è ripreso il dibattito su sanità che non funziona o non funziona o meno, se ne siamo già dimenticati per tornare al covid, ma attenzione, il vero problema è che bisogna fare una comunità di cura larga, non basta il volontariato, lo solstituzionismo, bisogna fare una comunità di cura larga e se posso dirlo visto che siamo in casa vostra, anche questo festival è un esempio di comunità di cura larga, ci si occupa dei grandi temi, la guerra, domani c'è il dibattito, dove si andrà, i grandi temi della finanza, dei flussi, questo festival dice cuovadisi flussi, ma si chiede anche cuovadisi soggetti i giovani che verranno perché a loro tocca un discorso di questo tipo, quindi spero di averti risposto, ma il covid è stata sta roba qui, è entrata dentro le persone, dentro i luoghi e li ha mutati, è una cesura il covid da questo punto di vista, di cui bisogna assolutamente tener presente e ultima cosa sempre sul covid, ricordiamoci anche che quando eravamo chiusi nelle nostre case c'erano quelli che facevano i lavori dell'ultimo miglio, cioè quelli che hanno tenuto aperto le reti, eccetera eccetera, fondamentale, quindi il covid è stato un flusso che ha impattato nei luoghi e che ha prodotto tanti microcosmi, microcosmi di paura, microcosmi di volontariato, associacionismo cura, ma anche ci hanno insegnato che bisogna costruire una comunità di cura larga, non basta il volontariato, l'associacionismo, le imprese sociali, le coprative, i medici, gli infermieri, gli psichiatri, tutte professioni della cura, non basta questo. Dal mio punto di vista lo scrive alcuni microcosmi, io vorrei molto anche che il sindacato si facesse sindacato della cura degli ultimi, non solo di quelli che hanno la rappresentanza. Oso dire, parlando in casa, anche Confindustria dovrebbe avere, incorporare un po' da questo punto di vista, di comunità di cura larga e c'è, sono le imprese, se ne discutere anche a Trento, che fanno ad esempio o al fraaziendale, se ne sono rese conto, perché se non si tiene conto delle economie fondamentali, che sono quelle raccontate nei microcosmi, le economie fondamentali sono casa, lavoro, salute, ambiente. Assolutamente sì, andiamo a toccare un altro tema che emerge tante volte al tuo libro, l'idea di sviluppo molecolare, non sviluppo che è quello comunque legato ai singoli territori, che non li deve non li deve snaturare e suggerivi che una delle formule per sostenere i territori appunto senza snaturarli, senza doverli abbandonare, è quello di investire nella nicchia e nell'artigiannalità evoluta. Se puoi spiegarci un po' meglio come, cosa intendi, come si fa per costruire questo. Qui devo spiegare come sono arrivato a scrivere su Sole 24 Ore, ma perché io non sono un esperto di macroeconomia, il Sole 24 Ore è il giornale, aggiungo io della scienza triste, l'economia fredda, triste, no? È questo, Sole 24 Ore è questo. Io sono arrivato a scrivere su Sole 24 Ore perché mi chiamò De Bortoli quando era direttore, perché avevo scritto un libro e il libro era il Capitalismo Molecolare. Questo libro diceva fondamentalmente che il capitalismo italiano, se ne discuterà anche qui ovviamente, è fatto, adesso vado in maniera molto accelerata, certamente da alcuni grandi gruppi che io chiamo del capitalismo delle reti, sono quelli che sponsorizzano qua, Enel, Eni, sono i capitalisti delle reti, sono le grandi strutture che stanno, reti lunghe, capitalismo delle reti, che si chiama del'energia, del trasporto, le autostrade sono il capitalismo delle reti, l'alta velocità è il capitalismo delle reti, le grandi strutture. Poi c'è ovviamente un gruppo di grandi imprese, molto spesso a partecipazione pubblica, andiamo veloci, insomma, il cambiamento dalla fiat lo sappiamo tutti, da fiat a Stellantis se ne discuterà in questi giorni a Trento. Poi è fatto da un tessuto di medi imprese, ma le medi imprese che sono quelle del Made in Italy, per i capiriti, che hanno tenuto, attenzione non sono solo queste, voi venite da Varise se non sbagliono, Provincia di Varise, allora ho dedicato microcosmi da questo punto di vista, se voi prendete l'Appede Montana Lombarda che va da Malpensa a Orio al Serio, non ci siamo capiti, e magari anche fino a Verona, ci troverete il capitalismo molecolare, che è quella roba lì, e basta che quando voi siete nei vostri territori o a scuola, alzate lo sguardo e guardate fuori, non c'è mica bisogno di capire se uno va in orizzontale da Varise a Bergamo, cosa si trova come panorama? Certamente ci sono i grandi gruppi, le reti, eccetera, Malpensa è un nodo di reti da questo punto di vista, ma attenzione, il panorama e la geografia dal punto di vista produttivo è fatto da capannoni, capannoni, capannoni, villette, villette a fianco ai capannoni, nanetti nei giardini davanti a casa e bimbu in garage, scusate se non lo avete capito, non c'è mica bisogno di, basta alzare lo sguardo dalla scuola per capire, e ovviamente senza offendere, molti di voi sono figli di quello sviluppo, non c'è dubbio, quello è il capitalismo molecolare che rimanda al tessuto delle microimprese, piccole imprese, quando noi diciamo artisanato, artigiania, abbiamo in mente quelli che fanno la scultura del legno, sì c'è anche quello di artisanato lì, artisanato di qualità, artisanato artistico, ma artisanato è sta roba qui, e tutte quelle imprese, quei capannoni che vedete, in quelli che chiamano la città infinita, non finisce mai, sono i cartelloni che ti dicono quando passi da un paese all'altro, ma la continuità è sta roba qua, e nella città infinita, per capirci, do i numeri, ci sono mezzo milione di imprese, milione di addetti, che tu per capire deve andare fabbricetta per fabbricetta, poi ci sono le medie imprese che fanno gerarchia e filiera, sono in su fornitura, eccetera, e attenzione, tutti quelli che lavorano nella città infinita hanno le reti lunghe per fare i su fornitori con la meccatronica in Germania, eccetera, eccetera, questo è il nostro capitalismo, e quindi mi ricordo ancora che quando De Bortoli mi chiamò, mi disse Aldo, vieni lì perché almeno tu racconti il capitalismo molecolare, nel giornale ci occupiamo molto dei grandi giustamente della macroeconomia, ma occupiamoci anche della città infinita, del capitale, delle piccole imprese, eccetera, questo è il punto vero, aspetto a questo, e ovviamente, se vogliamo fare un po' più sofisticata, tutti questi processi producevano i distretti produttivi, distretto produttivo si metteva tutti assieme e allora c'è, sempre per fare gli esempi da voi ovviamente, il distretto della avionica ovviamente, certo c'è Leonardo che fa gli elicotteri, ma c'è una filiera rispetto a tutta roba, c'è Leonardo che fa gli elicotteri, ma c'è una filiera rispetto a queste cose qui, c'è la Ervacchi, ma c'è una filiera, è chiaro? Sto citando le imprese del vostro territorio, e qui la filiera e ovviamente tutto è una grande piattaforma, è evoluto questo sistema del capitalismo molecolare, si è evoluto in piattaforme produttive e per stare con voi la pede montana lombarda è un'enorme piattaforma produttiva e se voi ci pensate, la pede montana che l'incompiuta è la catena di montaggio di un sistema produttivo territorializzato, quindi quando io ho detto questo è che andare a capire come il territorio, uso una parola pesante, si fa da un punto di vista fabbrica, quando dico questo però attenzione, il territorio che si fa fabbrica vuol dire che abbiamo mangiato territorio dal punto di vista dell'ambiente, da altrua che ci sono altri temi, e quindi se io fossi studente collocato nella piattaforma che va da Varese a Bergamo, anche più lontano, la pede montana, darei un'occhiata a questa composizione sociale in cambiamento e ovviamente il cambiamento dipenderà molto da come si metteranno dentro le università, i saperi, le competenze, l'innovazione. Sviluppare quella diciamo nittia, no? Quella artigianalità evoluta 2.0 4.0 che alimenta poi tutta la filia. Abbiamo parlato del piccolo, del micro, andiamo un po' alla media grandezza. Nel libro dici sempre che bisogna guardare le città di media grandezza per capire anche come sta mutando la società italiana, sono un po' un termometro. Volevo chiederti che trasformazioni sono in atto e quali sono anche i rischi che il modello si snaturia. Vediamo sempre di mettersi un po' in sintonia con loro. Dico una cosa di metodo, ma poi la spiego. Se io fossi uno studente del Varesotto o Varesino, applicerei, avendo scritto i microcosmi e essendo andato sul territorio, due categorie. La prima, io credo che ognuno di noi debba collocarsi nel suo spazio di posizione, che vuol dire di dove sei, da dove vieni. Detto in maniera poetica, diceva Pavese, resta sempre lassù il paese, chiaro? La mia compagna che mi segue mi prende sempre in giro. Essendo io un montanaro valterinese di un piccolo paese, quando andiamo in giro mi dicono, e si chiedono di dove sei, io rispondo di Milano, lei mi dice no, ma che ti vergogni di dire che sei del tuo piccolo paese, però a Milano ci lavoro, vivo, eccetera, è chiaro? Quindi, punto primo, di dove sono, dove sono le mie radici? Spazio di posizione. Lo spazio di posizione significa scomporre e ricomporre il territorio. E quindi il territorio del Varesotto si può scomporre, come tutti i territori, in cinque categorie. Uno, i comuni polvere. Non lo so se c'è qualcuno di voi che viene da un micro comune in cui gli abitanti non sono più di 500, quelli che stanno comunque sulle Vallate, a Mediacosta, quelli dell'abbandono, di chi viene, comuni polvere. I piccoli comuni sono 2500 in Italia, sono quelli che arrivano fino a 5000 abitanti, e qui credo che le mani si alzerebbero di più ovviamente, poi ci sono, attenzione, 5.000 abitanti, in Dunolona, che ne so, poi a Bustar, sì, c'è, chiaro? 5.000 abitanti. Poi ci sono le città di stretto, città di stretto, io sono di Cantù, sono, chiaro, i Brianzoli, hanno una forte identità di stretto, scusate se la faccio dalla Lombarda, ma sono di Lombardi, quindi va bene, se fosse un altro territorio avrei altri esempi da fare. Le città di stretto. Poi ci sono le città medie. Città medie, Trento è una città media, senza offendere, Varese è una città media, ma non solo. Cantù, le città medie sono quelle che fanno... Poi ci sono le aree metropolitane, dove tutti vorremmo andare alla Milano da bere, ci siamo capiti, perché poi quello è il discorso, no? Tutti suo' Milan a far la festa il sabato domenica, questo è appunto il primo, bisogna collocarsi lì, per assumere che cosa? Un'identità in cambiamento. Non è che uno dice sono nel piccolo paese, mi rinchiudo qua e anche arriva, perché l'identità è fatta di relazioni, e quindi uno deve stare dentro questo processo, la modernità è sta roba qua. E ovviamente, capendo una cosa fondamentale, che il territorio è una costruzione sociale, ne parleremo dopo, perché c'è il suo sacco, c'è la domanda ambientale. Noi di solito usiamo la parola territorio in maniera indifferente, attenzione, una cosa è la terra, quella per cui oggi siamo tutti preoccupati, uno perché ci sono le frane, quella è terra che viene giù, due dice ma sta roba qui continua a piovere, c'è il cambiamento climatico, l'Olonna strarippa, il seveso, quella è la terra che rimanda alla questione ecologica, la crisi ecologica, la costruzione sociale. Quindi uno deve collocarsi dentro la filiera territoriale e costruire le sue reti di relazioni. E ovviamente, io spero, la scuola dovrebbe, osserve, per darvi le reti di conoscenza per percorrere questo percorso, fino alle reti lunghe dell'internazionalizzazione. Poi dici vabbè, fatto questo e poi vado anche a sperimentare in Germania e Inghilterra, perfetto, queste sono le reti lunghe. Ma questo è il punto. E quindi il pensiero critico serve a percorrere il territorio, partendo da sé. E da questo punto di vista, e ho finito e rispondo alla domanda, le città medie sono sempre più importanti. Le città medie sono sempre più importanti per tre ragioni. La prima, uno, perché stanno in mezzo alle piattaforme produttive. Varese sta più in mezzo alle piattaforme produttive anche transfrontaliere. Non mi dimenticate di mettere dietro la Svizzera, con tutte le significhe, eh. Ovviamente. Quindi, da questo punto di vista, si comincia a capire che le città medie sono l'ossatura delle piattaforme produttive. Nella introduzione al libro del mio maestro, di Rita, Rita dice, Monomi parla di piattaforme produttive, sono le giunture. Qual è il nodo vero? Quello che tiene assieme i processi. L'ultimo miglio sì, ma il problema sono le giunture. Vete il punto vero? Allora le città medie sono le giunture. E lo dico in una città dove io ho studiato, da quei tempi, ma attenzione, che oggi è diventata una rete, una città media che si permette, si permette, di ospitare il Giornale del Capitalismo Italiano d'una volta. Non volessimo dire. E' mica una roba da poco. E tenendo assieme le valli, il Brennero e la Padania che sta sotto. Questa è una città media, questa che ha un'identità. E anche Varese vuole un'identità. Non la state vendendo con una città turistica? La città dei laghi, la città del verde, l'ecologia, eccetera. Sono venuto una volta per un dibattito. Un po' di frequentazione con il territorio, un po' di microcosmi. Non solo microcosmi, poi faccio ricerca, quindi conosco. E poi secondo me, se no, sembrava una lezione di un professore che stava solo sui flussi. Io invece sto sui flussi ma anche sul territorio. E quindi mi sono messo in rapporto con loro. Le città media sono fondamentali da questo punto di vista. E stiamo molto attenti perché noi stiamo ragionando, e lo dico a noi milanesi qui a questo punto, dove alcune città si sono un po' montate la testa. Faccio una battuta. Milano avete seguito tutti la Città della Moda, il Salono del Mobile, i grandi spettacoli perfetti. Soprattutto i grandi concerti. Se uno vuole i concerti forti, va a San Siro e sono lì. Milano è questo, ma attenzione, senza i brianzoli che fanno i mobili, non si sarebbe potuto fare il Salono del Mobile. Sto dicendo in maniera banale. Ci siamo capiti? Quindi il vero problema è sì fare la rappresentazione, ma tenere conto che se guarda la rappresentazione ci sono processi territoriali assai complessi. E per tenerti... Viva le città medie da questo punto di vista. E ultima battuta, non vergognatevi mai che dite che devi venire da un piccolo comune. Si può partire da un piccolo comune e poi fare tutta la filiera. E ritrovarsi un giorno, lo dico con Autorea Nea, a Trento a discutere, facciamo di microcosmi con voi. Può andare anche così. Ti tengo ancora un secondo su questa domanda. Quali sono i rischi che il modello si snaturi un po', quello della città media, se ci sono? Visto che attira molto, no? No, no, sta vivendo. Magari dal grande si trasferisce sul medio, il Covid ha portato anche alcune dinamiche di questo tipo. I rischi sono tre. Il primo... ci siamo dentro totalmente. Che siamo totalmente schizzati. O, di più, un po' schizofrenici. Nel senso che siamo dentro, abbiamo interiorizzato fino in fondo manco i processi e i ritmi della città media, ma della dimensione metropolitana. Corre le competizioni, avanti, avanti, avanti. Nello stesso tempo, abbiamo una retorica incredibile che ragiona come era bella la mia valle, quanto era verde, tutto. Siamo schizzati. Schizzati per pochi che si possono concedere i weekend. Per pochi che si possono concedere i weekend. Mi capite cosa voglio dire? Lavoro dentro i flussi globali tutta la settimana, aterro con aereo privato, e poi vado a farmi i weekend nelle ranghe. Ci siamo capiti per fare un esempio. Chiaro, ce ne sono tanti. Non tanti, ma ci sono tanti. Secondo che mi mi dovrei dire una cosa che la dico. Che ormai ci muovevamo anche noi sui flussi. E scusate, i flussi sono i grandi, sono gli eventi. Allora il turismo è un flusso. E ad esempio abbiamo problemi per cui tutta la serie di città medie corron il rischio, attenzione, di fare la fine di Venezia. Siamo capiti cosa voglio dire? A Venezia il dibattito è mettiamo il numero chiuso oppure no. Ci sono città medie che hanno scoperto che hanno un marketing di territorio potentissimo, penso a Como. La East Street i grandi eventi americani vengono tutti a sposarsi a Como, ecc. Però l'unico che sta venendo è un discorso che è la gentification. Cioè si stanno svuotando di abitanti e aumentano i servizi da questo punto di vista. Il rischio che corre anche dove siamo noi da questo punto di vista. Anche perché? Il Festival del Sole 24 ore è un grande evento che attrae, un flusso che attrae, atterra l'equilibrio tra flussi e luoghi fondamentale. Quindi le città medie devono da alcun punto di vista essere ossatura di quelle che ho chiamato le economie fondamentali. E quindi quanto funziona la sanità, gli ospedali, le reti, quanto funziona l'università dell'Insubrevo, mi pare che si chiami da voi, no? Il rapporto con l'università. Quanto funziona, da questo punto di vista, la qualità della vita, il volontariato, il sociale, l'autoregalizzazione, senza che aumentino solo le funzioni e diminuiscono le persone. Questo è il vero problema. E quindi recuperare, e nei microcosmi ne parlo, una logica della cittadinanza adeguata ai tempi. E i tempi sono quelli di un'ipermodernità che viene avanti, ma non tutto è buono di quello che viene avanti. Come non è tutto cattivo nel fare microcosmi, ultima battuta. Io dico sempre, io scrivo per metterlo in mezzo, mi metto in mezzo tra flussi e luoghi, ma attenzione, per metterti in mezzo, lo dicono gli studenti, tra i grandi processi di cambiamenti e il vostro paese d'origine, cioè la vostra identità, per mettersi in mezzo bisogna avere gli strumenti. E gli strumenti sono, uno, conoscere i flussi. I flussi vanno conosciuti. Bisogna studiare, capire i grandi processi di modernità che vengono avanti, le ho alincati, in sommariamente. Ma soprattutto bisogna conoscere i luoghi, conoscere il territorio, la società, ecc. E solo dalla dialettica tra flussi e luoghi che avviene il cambiamento. Se posso dire una battuta, io ritengo che la politica, come ti dicevo, la politica è mettersi in mezzo tra flussi e luoghi. Conoscere i luoghi, conoscere i flussi e capire cosa bisogna fare. Ne stiamo discutendo in maniera drammatica, all'Europa, agli spazi, posizioni, in questi giorni si discuta anche di questo. Facciamo un passettino ancora in più su una cosa che avevamo citato, che è la questione ambientale che permea sicuramente i territori e non solo. Nel libro c'è questa bella frase di Alex Anger che diceva la conversione ecologica si afferma solo se è socialmente desiderabile. La domanda è come si diventa grigio e come si diventa grigio se è una cosa che si è disegnata e che si è disegnata in un modo che non è necessario. E' una cosa che si è disegnata in un modo che non è necessario. E' una cosa che si è disegnata in un modo che non è necessario. La domanda è come si diventa green society e se ti sembra che oggi la spinta verso la transizione verde sia più abbracciata o respinta dai territori e dal tessuto produttivo territoriale. Alex Anger l'ha conosciuto, quindi mi fa piacere questa frase. Se dovessi dire a voi una sintesi interrogante di questa frase che è una frase piena di umanità come era Alex come si fa a tenerla assieme green economy e green society? Questo è il punto vero. Che è la roba che tocca a voi noi da questo punto di vista disassi ne abbiamo fatte a sufficienza. Sto parlando noi del 900. Sto parlando noi del 900. E qui c'è un interrogativo profondo. Il dibattito ci dice oggi che fare green economy e al festival se ne discuterà moltissimo significa in primo luogo che l'impresa, l'economia incorpora il concetto del limite. Il limite di quella roba di cui ho parlato prima la terra, è chiaro? Il limite di questa roba qua è chiaro. Non è che è fantasia, è sta roba. Non è che è fantasia, è sta roba. Non è che è fantasia, è sta roba. Incorpro il limite. E quindi ovviamente sostenibilità economia circolare, tutte queste cose. E molti ci dicono ci salverà la tecnica, che è anche vero. Perché ovviamente ad esempio quando si discute della siccità sembrerebbe che la città sembrerebbe ironico parlarne oggi qua. Ci sono quelli, guardate, che ovviamente l'intelligenza artificiale ci aiuterà a fare ovviamente le irrigazioni a gocci in maniera talmente sofisticata per cui non sprecheremo manco un po' di quest'acqua, è chiaro? Ci sono capiti? Ci salverà la tecnica. Io dico, e devo dire faccio una battutaccia, non se ne può più. Non c'è una pubblicità alla televisione che non sia green. Scusate, sono tutti green e poi comunque va tutto non al meglio. Soprattutto pensate, non c'è automotive che non si... e poi c'è tutto il dibattito aperto rispetto a questo, no? Motoroscopia elettrica, il dibattito aperto. Però le pubblicità sono tutte green. Basterà questo, no? Non basta. Non basta se non corrisponde una green society e guardate, do il mio giudizio che non c'entra niente, non faccio sondaggi, quindi... Uno dei temi su cui si voterà davvero tra 15 giorni è questo. Green economy, si voterà su sta roba e c'è un'area in giro che non si capisce bene. Dico dal mio punto di vista, chiamandomi fuori, sbagliano quelli che te la raccontano e basta e sbagliano quelli che dico no, non succederà niente, continuiamo come se nulla fosse. Siete lì in mezzo. E da allora io credo la speranza, quando io scrivo i microcosmi di speranza, analizzando da parte i flussi, da parte i rancorosi, rinserrati, chiusi, e quando c'è di metri in mezzo trovo che lentamente sta cominciando a venire avanti una coscienza di luogo. Io ho usato questo termine. Lo dico a voi, noi del novecento, poi che avevamo fatto sociologia, tre, o te puoi immaginare, ma non quelli che ragionavamo della coscienza di classe. S'angabetti, no? Per noi il problema era senso, reddito, la costruzione del lavoro, stavolta. Attenzione, oggi come oggi va bene la coscienza di classe per capire reddito, quale forma dei lavori, l'impresa, il profitto, l'impresa bene, fede, tutto perfetto. Ma ci devi aggiungere la coscienza di luogo. E' la coscienza del tuo territorio. Il territorio deve cominciare a capire come i grandi processi economici, ma soprattutto ecologici, vengono avanti e cambiano. Questo è fondamentale. Fin quando non ci sarà un aumento della coscienza del luogo per tornare a la slanger, non ci sarà la sensibilità diffusa rispetto a questo. E quindi l'ecologia viene molto spesso percepita come un processo, viene dall'alto. Questo è il punto. Quindi la vede ancora un po' non presa a cuore dalla parte dei territori, ancora da lavorare su questo? No, vado perché... Forse perché, ormai, avendone scritto troppo. Perché tocca loro, ma non è che tocca loro in questa roba retorica che noi diciamo sempre, noi vecchioni, tocca ai giovani, etc., parlando. Però non è questo. Io credo che... Non era previsto, non è domanda, ma allora torniamo. Non è uno spunto che ti seguono sullo spunto che... Io quando sono stato in scuole, in classi come queste di oggi, che è un'opportunità, ho sempre detto a loro, e a volte loro si sono offesi, che noi siamo la generazione del libro. Nel senso che noi del novecento abbiamo avuto un libro di riferimento, fosse il libro del mangelo, fosse il capitale, ognuno ha il suo libro romanzo di formazione. Ho sempre detto, molto spesso invece, viene avanti la generazione dei senza libro. E loro sono sempre incazzati e diciamo, ma come questo è stato degli ignoranti? Quando dico la generazione dei senza libro, intendo dire che sono quelli che abbiamo definiti in diecimila modi, no? Sono quelli che hanno incominciato una nuova grammatica, che non si è ancora fatto linguaggio. Ma dipende da loro questi temi epocali, diciamo così, sono temi epocali. E da questo punto di vista il Covid è stato un'allarme, perché quella è stata una dimensione epocale e universale che rimandava non tanto alla comunità di vita, ma alla comunità di destino, e questo è il punto vero. Quindi siamo dentro a delle grandi transizioni, in cui loro stanno sviluppando la loro grammatica, che non si è ancora fatto linguaggio. Ma io spero che il linguaggio, che fa riferimento al anger, verrà portato avanti da loro rispetto a questo. Perché il nostro linguaggio è ancora troppo segnato dagli architibi del 900, questo è il punto. Quindi segni di segni. L'ultima parte del libro, chi l'ha curato, sa benissimo che si riduceva sempre di più. Menti flussi erano tanti, territorio tantissimi, forme dei lavori un po' meno, poi tracce di speranza. Un po' meno. Però ovviamente il libro, le tracce di speranza cos'è? Le tracce di speranza, le trovo in quello che io chiamo in un ultimo libro che ho scritto. Oggi come oggi sto sul confine del margine. Mi spiego. Quello che ti ho spiegato sono tutti i grandi processi di cambiamento, di cui noi vediamo cosa sta avvenendo. I flussi, l'ecologia, i grandi temi, eccetera. Cambia tutto. Sul confine del margine cosa ci sta? Ci stiamo noi, i soggetti. Ci sta la società. La società è un gran caravan serraglio, lo definisco così. Il caravan serraglio non è una brutta parola. È dove si riunisce prima di attraversare il deserto. Quando uno deve attraversare il deserto, si ritrovano lì tutti le caravan serragli. Perché ovviamente a me pare che non è solo un osseo, c'è un po' di deserto da attraversare. Qua va, disvedremo, insomma, no? Allora, la cosa positiva è che molti iniziano ad attraversarlo e hanno costruito delle osi. Le osi sono buone pratiche di economia, buone pratiche sociali, buone pratiche di volontariato, tutte cose positive. Però da solo in quelle osi si ritrova l'acqua, le cose, la voglia di fare, la comunità, ecc. E quindi, ad esempio, io conto molto, ho dedicato molti microcosmi al terzo settore. Non solo all'impresa, alle città medie, ai grandi capitali, ai grandi flussi, ma anche al terzo settore. Ho scritto spesso della carica dei soggetti di questo tipo. Che sono cose che si muovono in questa direzione. Però, attenzione, le osi da solo non bastano il vero problema, con cui chiuderei la conversazione, ma dal mio punto di vista è come facciamo la caravana? Ricostruiamo forme di una società che viene adeguata ai tempi. Io credo che questi giorni trentini del sole 24 ore hanno dentro nel cuovadis una risposta, come si rimette in mezzo tra l'economia di cui si riscutta ampiamente e la politica e l'istituzione si rimette in mezzo alla società. Il mio scrivere di microcosmi è solo dire rimettiamo in mezzo alla società, magari balbetta, però rimettiamolo in mezzo e cerchiamo di andare avanti. Grazie. Grazie mille. Grazie a tutti. Viene fare le altre 10, però i tempi sono quelli. Se riesci a stare in un minuto, proprio risposta lampo. Perché la coesione conviene anche al di là delle situazioni di emergenza, anche alla cosa che ha detto prima. Perché è un modello operativo che ci permette anche di competere con i grandi, lavorando insieme? La cosa molto semplice. Prima di tutto la coesione è l'esatto contrario dell'individualismo compiuto. Perché conviene? Conviene perché tutte le cose che abbiamo davanti in termini di attraversamento del deserto da solo uno non ce la fa. Torno alla domanda del Covid. Ti ricordi? Nessuno si salva da solo. Siamo usciti da solo, non ci siamo fati. Nessuno si salva da solo. Siamo usciti da quella roba lì dicendo che nessuno si salva da solo. Ci ne siamo presto dimenticati. Io dico che nessuno riesce ad attraversare la complessità della potenza della tecnica, dei grandi cambiamenti economici, sociali e culturali da solo non ce la fa. Quindi conviene in cominciare a mettersi assieme. Asseme significa interrogarsi della coesione e la coesione significa le parti sociali, le rappresentanze, i soggetti, tante cose, le istituzioni locali. Fare coesione conviene per attraversare, se no non ce la facciamo. Grazie, adesso abbiamo concluso davvero, però mi sembrava un messaggio importante da lasciare per finire. Trovate la copia di microcosmi all'uscita e magari c'è anche il dottor Bonomi che riesce a formare. Grazie, ciao!
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