La materia è viva: economia circolare e innovazione
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La materia è viva: economia circolare e innovazione
L'economia circolare non è una scelta ma una necessità per la crescita industriale, specie in Europa, povera di materie prime. Serve un cambio culturale per passare da un modello lineare a uno circolare, in cui i rifiuti (specie i RAEE) diventano risorse. La politica deve indirizzare l'industria con incentivi e obblighi, promuovere l'informazione e contrastare il greenwashing. Cittadini e imprese devono fare la loro parte, interrogandosi sulla reale sostenibilità dei prodotti e limitando i rifiuti.
La RAE significa il termine RAE? Onestamente, sulla mano. Bene. Esattamente la fotografia della popolazione italiana. I RAE sono i rifiuti di apparecchiature elettriche e elettroniche. Tutto quello che funziona con la corrente, che sia attaccato con un filo o una presa, o che abbia una batteria al suo interno, quando smette di funzionare diventa un RAE, un rifiuto di apparecchiature elettriche e elettroniche. Le cose grandi, i frigoriferi, i lavatrici, le cose piccole, i cellulari, i radiosvegli, gli spazzoni da denti, i giocattolini elettrici dei nostri bambini, diventano tutti RAE, rifiuti da apparecchiature elettriche e elettroniche. Perché sono i rifiuti col più alto tasso di crescita? Perché noi ormai delle apparecchiature elettriche e elettroniche non possiamo fare a meno. Immaginatevi la vostra vita senza una apparecchiature elettriche e elettroniche. I nostri figli senza questo non sanno fare niente, né svegliarsi al mattino, né prendere un treno, né prenotarsi un volo, niente. Non sanno fare niente. Quindi siamo pervasi da apparecchiature elettriche e elettroniche che diventano rifiuti. In Italia, siamo capaci di gestire in un anno 360.000 tonnellate di rifiuti elettriche e elettroniche. La cifra in sé fa paura, è impressionante, è grande, è meno della metà di quello che potremmo gestire. Di queste 360.000 tonnellate, noi siamo capaci di ricavare oltre 300.000 tonnellate di materie prime seconde. Quindi il tasso di riciclo è elevatissimo, tra l'80 e il 90%. Siamo capaci di tirare fuori ferro, alluminio, rame, plastica. Cosa non siamo capaci di tirare fuori è tutto quel mondo che l'Europa chiama critical raw materials, che è fatto di sostanze con nomi impronunciabili, tipo il neodimio, il disproso, il tantaglio, il litio più famoso, il cobalto. Materie prime che sono fondamentali per molti settori industriali moderni, ad esempio la mobilità elettrica, le energie rinnovabili, le telecomunicazioni, tutto quello che ci serve per crescere, per svilupparci, si basa su questi critical raw materials che sono presenti nei RAE. Abbiamo fatto una stima. Se riuscissimo a catturare anche le altre 300 e passamila tonnellate che oggi non riusciamo a catturare, di cui poi parliamo, noi potremmo recuperare ogni anno circa 17.000 tonnellate di critical raw materials, che sono il 25% di quello che noi oggi importiamo, indovinate un po' da che paese? Dalla Cina. Dipendiamo dalla Cina per questi materiali di cui la nostra industria ha bisogno. Li abbiamo nei RAE e non li tiriamo fuori. Non siamo capaci di tirarli fuori abbastanza, perché siamo prigionieri di questa specie di circolo vizioso. Siccome raccogliamo pochi RAE, 360.000 tonnellate, e non catturiamo anche gli altri, non riusciamo a sviluppare un'industria del riciclo sofisticata. Quindi la cosa fondamentale è, e poi ne parleremo, credo, il primo anello della catena, cioè il fatto che noi cittadini sappiamo, capiamo e siamo consapevoli del fatto che abbiamo tra le mani non un rifiuto da buttare, ma, come diceva prima, una miniera di materie prime, che non possiamo più permetterci di sprecare, perché purtroppo viviamo in un pianeta che non ha risorse per tutti, ma in cui tutti vorremmo continuare a vivere esattamente come prima. Grazie Giorgio, perché ci hai dato dei numeri importanti, insomma, che fanno riflettere assolutamente. Francesca, torno da te. Ci hai dato qualche piccolo assaggio nella tua prima introduzione, quindi ora ti chiedo di raccontarci un po' la tua storia, quindi come è nata questa intuizione e poi anche come funziona. Certamente. Allora, tutto parla di questo concetto di opportunità legata alla scorza dell'ananas, in realtà nasce proprio da questo voler utilizzare l'epidermia della frutta, piuttosto che degli animali come la pelle. Però tutto questo avviene nel 2017, mentre stavo preparando la tesi all'Accademia Costumina Moada di Roma. Io stavo facendo un esperimento su alcuni materiali, tra cui c'era anche la buccia dell'ananas. Quell'esperimento non mi è riuscito, io ho proprio rovinato il mio lavoro, però il fatto di rovinarlo mi ha dato una grande opportunità, cioè quella di soffermarmi su un elemento che noi generalmente non ci soffermiamo, perché lo prendiamo e lo buttiamo. Da lì io non avevo competenze chimiche, quindi ho accantonato quella che era la mia parte creativa e mi sono rimessa alla ricerca di chi poteva darmi supporto, anche perché quello che io sostenevo non aveva una validità scientifica, quindi potevo anche sbagliarmi. Grazie all'azienda chimica italiana non soltanto siamo riusciti a convaridare quell'idea, ma siamo arrivati poi al processo che oggi ci permette di produrre ananasse. Da lì, comunque sia, l'obiettivo è stato sempre quello di un giorno anche poter produrre altri materiali, buccia di frutta oltre l'ananas, come anche quello di poter formare un giorno dei professionisti, quindi un nuovo lavoro legato alla lavorazione dell'ananas, di quello che potrebbe essere. E quindi è per questo che nel 2020 decidiamo con Fabrizio Moiani di non lasciare andare via questo pensiero, ma di racchiuderlo in un concetto ben definito fondando il brand per a buccia. Noi utilizziamo un modello di business regenerativo, e questo significa vedere l'ecosistema da un altro punto di vista, cioè non più soltanto come uno strumento da cui prendere senza ridare, ma come il fulcro da cui partire per operare in una maniera simbiotica. E questo lo facciamo realmente nel nostro processo produttivo, andando a recuperare quello che è un rifiuto tradizionalmente scartato, inutilizzato, appunto la buccia dell'ananas, e rinserendolo nel nostro scenario produttivo prima che questo diventi un rifiuto. Quindi risparmiando all'ambiente o il residuo organico, che sì ok, è organico, però comunque inizierà a emettere una serie di emissioni nell'area data dal naturale processo di decomposizione dello scarto. Inoltre possiamo aiutare l'industria agroalimentare a ridurre quello che è l'impatto dei loro rifiuti inutilizzati, perché comunque recuperandoli facciamo sì che non ci siano poi tutto quel discorso di alto costo ambientale ed economico. Simona, quant'è importante la comunicazione, quant'è importante raccontare storie come quella di Francesca per far capire quanto l'economia circolare possa essere utile, possa essere importante? A mio avviso l'economia circolare, raccontare queste esperienze ho visto come cambia anche il modo di narrazione intorno alla sostenibilità, che di solito è sempre vista come un togliere, come un fare sacrifici. In questi casi permettono di far arrivare alle persone che il gesto di buttare i rifiuti nel giusto cestino può portare a un plus, perché comunque si tratta di meno rifiuti da gestire e meno risorse da cui attingere e quelle come abbiamo detto sono finite. Solo attraverso questo tipo di narrazione può arrivare proprio il cambio di paradigma, che è quello non più lineare ma circolare. Quindi come comunicare queste cose? Sicuramente i social aiutano a fare arrivare questo tipo di narrazione, soprattutto ai giovani. Noi stessi che sono 15 anni che come testata siamo ormai online, abbiamo visto dal principio proprio il cambio dei mezzi di comunicazione e dei linguaggi. Quindi io avevo voluto portare degli esempi, non so se si sente l'audio, ma per esempio questo è un video di Tok e quindi come si passa da questo a questo? Quindi messaggi come questo alla fine riescono in pochi secondi a far arrivare tutto questo che stiamo dicendo adesso. Ad esempio quest'altro invece è su Instagram, quindi c'è anche una nostra creator che sta spiegando, ed è l'esperienza di alcuni ragazzi calabresi. E se ti dicessi che con l'olio esausto si può creare un sapone 100% vegetale? Lo sta già facendo Felice Damatti, una cooperativa sociale di Roccella Ionica in Calabria, che raccoglie l'olio scartato in casa, nei bar, nei ristoranti e lo trasforma in sapone vegetale aromatizzato al bergamotto e al limone. Ma cosa c'entra l'olio esausto con il sapone? L'idea è di sedonni a un prete, in Calabria c'è necessità di creare posti di lavoro per disabili, ex detenuti o persone con disagio mentale. Si rispolverà così un'antica tradizione, quella appunto di fare il sapone in casa, ma non con scarti animali, bensì con l'olio esausto vegetale. Esattamente, come funziona? Ogni settimana la cooperativa organizza dei punti di raccolta, l'olio esausto viene stoccato in una cisterna, da qui una parte viene venduta a una società che rinricava biogas, l'altra viene elaborata. L'olio così, da rifiuto altamente inquinante, diventa detersivo, bagnosciuma o sapone per il bucato. Un sapone che riutilizza materie prime, riduce rifiuti anche le emissioni di CO2 nell'ambiente, dando vita a una filiera di economia circolare. Insomma, un'idea che fa bene all'ambiente e crea occupazione in Calabria. Questo secondo me racchiude proprio in un minuto l'essenza di tutto quello che stiamo dicendo. Quindi uno scarto come quello che può essere l'olio esausto diventa un'opportunità di lavoro e di rilancio anche di un territorio. Bene, diciamo che sono esempi che fanno effetto e quindi utilizzare anche come dicevi tu i social per rendere anche i più giovani un po' più sensibili. Rimango sul tema della comunicazione, della sensibilizzazione. Giorgio, torno da te, mi ricollego anche al tuo sondaggio iniziale. Quindi ti chiedo proprio quanto manca ancora di sensibilizzazione e di informazione forse ai cittadini di quello che si può fare veramente appunto dai rifiuti elettronici. Posso ripartire da un sondaggio. Quanti di voi sanno come si fa a liberarsi correttamente dei RAE? Se avete una microonde tra le mani, cosa fate? Due piani? Uno c'è? Ok. Uno, bene. Due? Dai, grandi. Siamo messi bene. Prima di rispondere alla tua domanda, se posso permettermi uno spunto non polimico, mi vorrei che passassi l'idea che l'economia circolare è fare cose belle di nicchia particolari molto carine. L'economia circolare non è un'opzione. È l'unica possibilità che abbiamo per continuare a crescere. Non ce n'è un'altra, ma non a crescere con piccole cose, con l'artigianato. Quello va benissimo ed è bellissimo. Il tema è che l'industria, senza l'economia circolare, non va da nessuna parte. In questo studio che abbiamo fatto con una nota di consulenza, di cui non faccio il nome, un anno o due anni fa, era calcolato che quei critici o romatires di cui parlavo prima entrano nella produzione industriale italiana di 650 miliardi di euro, che sono più del 30% del nostro PIL. Senza questa roba non andiamo da nessuna parte. Quindi l'economia circolare non è una scelta, una moda, voglio fare il fighetto, voglio essere più... No, non si va da nessuna parte. L'Europa soprattutto, l'Italia in particolare, l'Europa non ha materie prime. Non ha la possibilità di affrancarsi dalla dipendenza della Cina e della Russia. E quindi è una questione, passatemi il termine, di vita o di morte? Perché altrimenti appunto non riusciamo a continuare a crescere. Il primo elemento è certamente questo cambiamento culturale, perché dobbiamo essere consapevoli del fatto che non possiamo più andare avanti con l'allegro modello lineare con cui i nostri padri e la nostra generazione è cresciuto. Strago della terra, produco delle cose, le uso e le butto via. Questa roba qui non sta più in piedi. Quindi dobbiamo cambiare cultura, diceva prima, un cambio di paradigma ed è fondamentale lavorare per questo o parlare di questo. Da alcuni anni noi supportiamo un magazine online che si chiama economyecircolare.com. Se vi capita di andare a vederlo, guardatelo, perché davvero vi offre del food for brain interessante, degli spunti interessanti. L'altra cosa che abbiamo fatto in questi anni è un piano di comunicazione. Cito solo una cosa, abbiamo fatto un docufilm che si chiama Materia Viva, è ancora disponibile sui rai play, dove abbiamo chiesto a personaggi del mondo della cultura, dello sport e dello spettacolo di raccontare a modo loro il tema dell'economia circolare, soprattutto per parlare ai ragazzi. Stiamo faticosamente cercando di avere un protocollo con il ministro dell'Istruzione per portare questo docufilm gratuitamente nelle scuole, ma scalare l'evers è più facile, però ce la faremo, nonostante la burocrezia italiana. L'altra cosa, mi ricollego al tema dei social, per parlare a loro è fondamentale usare i loro canali. Cito una cosa che abbiamo fatto di recente, abbiamo fatto fare un video su YouTube da Iacchidale, qualcuno di voi magari lo conosce, che si intitola Butto via tutto, in cui questo ragazzo ha modo suo, in dieci minuti racconta cosa si ne rai e cosa farne. Fa anche ridere, se vi capita di guardarlo su YouTube è carino, ha fatto 450.000 visualizzazioni in una settimana. Nel nostro mondo, diciamo delle imprese o dei consorzi o di quelli che si occupano delle connessioni circolare, 450.000 visualizzazioni, ce le sogniamo, noi possiamo fare i convegni, queste cose qua tutte belle, tutte va bene, ma ce le sogniamo. Quindi parlare con quel linguaggio al punto che abbiamo deciso di continuare così e ci sono, potete seguire i nostri canali social di Aereon, ci sono dieci influencer di quelli sani che raccontano a modo loro, racconteranno durante quest'anno il tema del comune circolare. Questo è un aspetto di cambiamento culturale. Poi c'è un tema secondo me che è di informazione puntuale. Il sondaggio che facevo prima è, ma sapete che avete la possibilità di riportare Irai al negoziante quando comprate una caricatura nuova? Buonissimo, stiamo monitorando con Ipsos la conoscenza degli italiani su questo tema qua e c'è un problema di informazione proprio puntuale. Il cittadino deve sapere come mettere in atto i comportamenti virtuosi, sennò cosa fa Irai? Se li mangia? Allora, pensare per esempio a campagne di pubblicità a progresso su questo tema, anche qui sono anni che chiediamo al Ministro dell'Ambiente di fare pubblicità a progresso su Irai, sono anni che sbattiamo la testa contro il muro e li rimbalziamo. Perché altrimenti, se il cittadino non sa come fare, non sa che può portare il piccolo Irai al negoziante anche quando non compra niente, non sa che il negoziante è obbligato a ritirare un Irai quando compriamo una caricatura equivalente, che entrambi questi servizi sono gratuiti. Se il cittadino non sa queste cose, è difficile che metti in atto i comportamenti virtuosi. E allora cosa fa? Puta lo spazzolino elettrico nel sacco nero, la spazzatura indifferenziata e addio economia circolare. O chiama il primo Robbivecchi che passa per la strada, gli dà il frigorifero e addio economia circolare. Perché lì, il Robbivecchi prende il motore del frigorifero, butta allegramente tutto il resto e poi ci troviamo i fossi pieni di Irai abbandonati. Quindi cultura e informazione sono due aspetti fondamentali per poter fare una svolta che non è più rimandabile. Bene, grazie. Credo che da questo punto di vista ci sia anche un po' dobbiamo riconoscere anche noi, mezzi di informazione, qualche lacuna forse, perché molto spesso appunto, come dicevo, si parla di economia circolare, ma a livello molto astratto, senza dare effettivamente i segnali di quello che può essere utile e che può servire. A proposito di questi riferimenti che avete fatto a questa necessità di questo cambio di passo, di questo cambio di paradigma, perché altrimenti non si va avanti, ovviamente però nel percorso, non è un percorso facile ancora, proprio perché appunto non c'è ancora questa maturazione, ma tutti i livelli da quello dell'informazione, come dicevamo, a quelli più alti, imprenditoriali e politici di quello che effettivamente serve. Quindi Francesca, ti chiedo, in questo tuo percorso è stato un percorso facile, hai trovato difficoltà e che cosa secondo te potrebbe essere utile per aiutare percorsi come il tuo? Assolutamente è stato un percorso difficilissimo, vi dirò di più, tuttora è un percorso discontinuo, però la problematica è stata questa, noi nel 2017 comunque non avevamo nessuno disposto a mettere in produzione la nostra innovazione anche in maniera piccola nei propri impianti produttivi, quindi abbiamo potuto autoprodurci il nostro materiale grazie alle competenze ingegneristiche di un membro che avevamo nel team, Fabrizio Moiani, anche perché il mercato che avevamo non era per nulla maturo in quel istante lì, quindi c'erano una serie di difficoltà. Lato nostro, soprattutto la cosa più importante, la parola molto utilizzata oggi appunto sostenibilità nel 2017 era ancora più agli inizi rispetto ad oggi, però noi già partivamo in quella direzione, qualcuno si potrà chiedere come è possibile questo che voi eravate così già orientati al concetto di sostenibilità, perché in Italia siamo nativamente orientati ad un uso circolare delle risorse, il che non significa renunciare a qualcosa, ma entrare in quella consapevolezza per cui quegli elementi che ho, li posso comunque rinsegliere in un altro sottore e cosa più importante devo e arriverò a produrre desiderabilità sociale, perché altrimenti non ha senso tutto questo. Sicuramente è importante secondo me, ovviamente l'affiancamento e l'aiuto delle istituzioni, ma cosa più importante è riuscire a fare sinergia, cioè in realtà come le nostre devono poter fare sinergia nei vari distretti industriali e io come dico sempre, unire le forze generazionali poi diventa strategico per svilupparsi in un'ottica futura, tra l'altro tutto questo si sposa con il concetto di circolarità, perché noi possiamo passare a un modello circolare soltanto se tutti ci impegniamo la cosiddetta responsabilità condivisa. Grazie, anche Simona ti chiedo la stessa cosa, che cosa servirebbe, cioè l'economia circolare siamo a traguardi importanti ma manca ancora qualcosa, quindi che cosa servirebbe, serve un salto di qualità, quali possono essere gli aiuti, quali possono essere le pratiche che in qualche maniera possono agevolare questo percorso? Sicuramente la prima cosa è proprio come diceva anche Francesca l'approccio sinergico, l'approccio sinergico tra in realtà del terzo settore, istituzioni, associazioni e chiaramente anche il supporto delle istituzioni, quindi gli investimenti nella ricerca, i sussidi alle aziende e inoltre io ho portato anche l'esempio, proprio la verifica anche dell'innovazione, nel senso che quando c'è poi un'innovazione, ad esempio quella di Francesca, chi mi dice a me che quell'innovazione comunque dal punto di vista della sostenibilità è più green, diciamo, che invece utilizzare la pelle animale, no? E in questo ad esempio è arrivato proprio in questi mesi in Italia dall'Enea una sorta di certificazione, ce la chiamo così, mi si arrabbiano pure, però per farvi capire che praticamente fa questo, manda proprio dei tecnici a verificare le singole innovazioni, fa proprio calcoli nero su bianco In tal modo l'azienda che è riuscita ad ottenere questo ETB diventa anche più appetibile dal punto di vista degli investitori, quindi funziona e può andare sia nella richiesta dei fondi sia poi nella legittimazione, richiesta anche dei sussidi con un plus, diciamo, no? E io poi volevo concludere con questa frase, è pericolosa ogni attività umana che invece di promuovere un ciclo si muova continuamente in una direzione, che sia in direzione della distruzione delle risorse che sia in direzione dell'accumulo dei rifiuti. Questa frase è stata scritta trent'anni fa da Laura Conti, che ormai quasi nessuno conosce, ma che se avessimo dato più retta a quello che aveva detto, comunque che auspicava questo cambio di paradigma già trent'anni fa, sicuramente saremmo stati un passo avanti. Per fortuna adesso stiamo andando verso quella direzione, però appunto non dobbiamo perdere ulteriore tempo. Allora non perdere tempo, Giorgio, vuol dire anche avere un supporto a livello di istituzioni, vuol dire anche avere un supporto politico da parte delle istituzioni politiche che forse ancora non c'è? Sì, magari faccio una premessa, giusto per chiarire. Il consorzio che io rappresento, il Rio Nui, è un consorzio privato. Chi sono i soci del consorzio sono i principali produttori di apparecchiatura etica e elettronica. I nomi non li facciano, non voglio fare pubblicità. Tutto quello che avete in casa. Perché sono nel consorzio? Perché è una legge europea prima italiana, poi li obbliga a occuparsi dei loro rifiuti, quindi il motivo. Abbiamo un consorzio privato di soggetti privati che si occupa di un servizio di rivoluzione pubblica, gestire dei rifiuti. E quindi dobbiamo necessariamente fare i conti con la politica, con le istituzioni, con le leggi, con il Ministero dell'Ambiente, con altri soggetti. Fatta questa premessa, il mio parere è poco politicamente corretto. Quello di cui avremmo bisogno è una politica industriale. Avremmo bisogno di qualcuno che fa una politica di indirizzo dell'industria in modo da mandare l'industria, e tutto quello che ne consegue, nella direzione giusta. Perché il mercato da solo non va nella direzione giusta. Il mercato va dove qualcuno che ha più interesse lo spinge. Pensate al fenomeno, il più banale di tutti, del petrolio. I produttori di petrolio vivono ancora convinti, tranquillamente convinti, che le fonti fossili siano inesauribili. E del prezzo fanno quello che vogliono. Quando decidono di abbassare il prezzo e di portare il barile a 40$, fine. La plastica è riciclata, chi la vuole? È impossibile. Perché questi signori fanno così e vivono allegramente come se ballassero sul Titanic, senza accorgere che è tanto allora che gli frega. Per i prossimi 50 anni ce ne hanno ancora. E i soldi li fanno. Quindi, quello che serve è una politica industriale. Adesso faccio un altro sondaggio, rivolto a tutti tanto allo stesso. Come si chiama il ministro dell'ambiente? Ma non è colpa vostra, ragazzi. Il problema è che non c'è una presenza forte del tema ambientale nelle politiche del nostro governo. Secondo voi, ma avrete seguito la campagna per l'Europa, quanti dei leader dei partiti italiani in questa campagna hanno parlato di ambiente di sostenibilità? Beh, 0, no. Siamo intorno al 4%. Nessuno mette a tema dei prossimi 5 anni di governo europeo il tema della sostenibilità. E poi ci stupiamo che l'economia circolare non decolla, che il mondo va nella direzione sbagliata e che ieri sera Milano grandinava. Parliamone. Allora, cosa vuol dire che serve una politica industriale? Serve che bisogna indirizzare l'industria, agevolare l'industria, non so, incentivi fiscali, costringere l'industria. Mettiamo un obbligo di utilizzo di materie riciclati nelle nuove apparicature, nel nuovo auto, nel nuovo... e vediamo che l'industria si sveglia. Se non c'è quest'obbligo e la plastica riciclata costa di più della plastica vergine, ragazzi, l'industria va dove l'acqua scende sempre dalla parte più facile. Quindi tra indirizzi, obbligi, agevolazioni, la politica industriale deve in qualche modo guidare il mercato. Aggiungo due punti che però sono fondamentali. E' che serve un controllo del mercato. Noi siamo un Paese dove la parola controllo non esiste. Adesso, senza citare l'evasione fiscale, tanto è noto a tutti. Cioè questo Stato non ha la capacità di controllare e nel mondo dei rifiuti, e quindi del commesso circolare, questa cosa è pesantissima. Se mancano l'appello 360.000 tonnellate di RAE, oltre a quelle che già gestiamo, da qualche parte saranno. Andiamo a vedere dove sono. E nessuno controlla. Ultimo punto, poi smettete di arvi, bisogna reprimere il greenwashing. Io rimango in orridito quando guardo la pubblicità in televisione e tutti, tutti parlano di il mio prodotto è sostenibile, il mio prodotto è in patto zero, il mio prodotto è bello verde, il mio prodotto è... Questa roba qui non fa bene a nessuno perché poi quando tutti sono buoni, il sei politico, no? Quelli più anziani quello ricordatevano. Quando tutti sono buoni non è buono nessuno e il consumatore è totalmente disorientato. Questo è un altro aiuto che lo Stato dovrebbe dare nel far sì che quando uno parla debba dimostrare quello che dice, non farsi bello di cose che non sono vere. Grazie, allora vado con una domanda brevissima per tutti e poi vorrei lasciare anche perché ci sono tanti ragazzi, vorrei lasciare spazio magari a qualche domanda. Francesca, brevissimo, ci hai raccontato la tua storia, ci hai detto anche di altri studi. Che cosa vedi nel futuro? Che cosa ci puoi anticipare? Ci sarà ancora qualche passaggio vostro ulteriore? Per quanto riguarda noi? Per quanto riguarda voi. Sì, assolutamente. Ci auguriamo che passeremo alla produzione di altre pelle di buccia che voi possiate trovarla nei negozi. Questo è il nostro obiettivo più grande. E poi sarà una conseguenza anche magari se arriveremo a delle nuove professioni legate appunto alla produzione di questo nuovo materiale anche perché abbiamo tutti questi scarti perché non utilizzarli. Io non sono entrata con i numeri perché quelli potete magari trovare da tutt'altra parte. Ma in Italia dove questo frutto comunque non si produce ma si lavora, parliamo di 98.000 tonnellate di scarti tra cui le bucce. Quindi vi dico l'ananas, chissà quanti altri. Simona mi ricollego a quello che diceva Giorgio prima. Appunto guardando in giro anche a livello di comunicazione tutti sono sostenibili. Quanto effettivamente c'è di sostenibilità tu che diciamo che hai, che hai l'esperienza che appunto ti occupi di questo? Quanto è vero che siamo sostenibili e c'è di sostenibili a livello di imprese? Allora io il concetto di sostenibilità è talmente vago che ad esempio io lo definisco spesso una coperta troppo corta nel senso che ti ridi qua, si scopre di là e essere sostenibile al 100% sotto tutti i vari aspetti. Però è anche vero che il discorso che faceva del greenwashing nel senso che ormai tutti si definiscono così, naturali, sostenibili, perché magari piantano due alberelli in Nicaragua. Ora quindi proprio interrogarci da parte dei consumatori perché secondo me è la prima cosa, perché ad esempio adesso hanno fatto anche una legge a livello europeo per limitare il fenomeno. Però dobbiamo capire che siamo noi i primi che possiamo fare la differenza, che non dobbiamo farci ingannare e che dobbiamo ogni volta che prendiamo in mano un prodotto proprio chiederci, ma questa bottiglietta d'acqua che mi dice che è sostenibile perché è fatta con 100% di plastica riciclata, ma è sostenibile davvero o ne posso fare a meno usare la borraccia? Perché poi ricordiamoci sempre che il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto, quindi cerchiamo sempre prima di tutto di limitare i rifiuti non producendo quelli che non ci servono. Giorgio, i costi sono ancora troppo alti per diventare sostenibili? Io parlo della filiera che governiamo noi. Il costo totale, dalla casa del cittadino all'estrazione della materia prima, il costo totale della filiera è superiore ai ricavi. Il costo è fatto dalla raccolta presso il cittadino, il trasporto dalle isole ecologiche, agli impianti di trattamento, il trattamento ecc. Il ricavo è rappresentato unicamente dal valore delle materie prime, il ferro, il rame, l'alluminio, la plastica e tutto il resto. Quindi oggi la filiera non sta in piedi da sola. Chi paga? Quello che manca a far stare in piedi la filiera lo pagano i produttori di apparicature elettriche e elettroniche che sono i soci del consorzio, quindi chi paga? Voi. Poi, quando comprate una paricatura elettrica e elettronica, sostenete la filiera e non lo sapete. Abbiamo vanamente cercato di rendere obbligatoria nei negozi l'esposizione di quella che noi chiamiamo la FI, l'eco-contributorae, e la FI della filiera, in modo tale che fosse un altro modo per spiegare al consumatore che sta facendo qualcosa di buono dal punto di vista ambientale e rende lo consapevole del fatto che questa è una necessità. Purtroppo non siamo riusciti. Però oggi la filiera non sta in piedi. Arriverà il momento in cui il ricavo da materiale prime e seconde compenserà tutti i costi della filiera? Forse sì. Il Rame è schizzato sopra i 9000 euro al tonnellata con incrementi senza precedenti. Io, francamente, spererei di no, perché se il valore delle materiale prime arrivasse così in alto, credo che per l'industria sarebbe un grande problema. L'industria in generale sarebbe un grande problema. Abbiamo ancora qualche minuto, quindi se c'è qualche domanda dal pubblico, lascerei volentieri la parola. Buongiorno, sono Marco Purin, dell'ufficio Appalti di Contarina SPA, una società in house della provincia di Traviso. Più che una domanda, volevo portare l'esperienza nostra due casi in particolare. Uno è il nostro impianto di compostaggio, dove siamo autorizzati per più di 70.000 tonnellate di verde e di scarti alimentari, da cui produciamo biometano che utilizziamo per far andare i nostri mezzi, che fanno la raccolta differenziata. Siamo arrivati quasi al 90% di raccolta differenziata, quindi molto di più di quelli che sono i minimi di legge. Un'altra esperienza un po' meno fortunata riguarda il riciclo dei pannolini e dei pannoloni. Siamo stati i primi in Italia se non nel mondo a fare questa esperienza, che però ha avuto diversi ostacoli, sia normativi, sia in particolare tecnologici, perché per far andare avanti questo nostro impianto sperimentale, non nostro ma di una società che si occupa di produrre pannolini, il problema principale è quello della fonte di energia, del costo dell'energia per produrre materie prime e secondarie, come per esempio lettiere per animali domestici, mollette che ho in casa e quindi le utilizzo. Quindi stiamo riprovando a progettare poi costruire un nuovo impianto per questo riciclo, che però appunto come principale problematica è quella del costo dell'energia per farlo andare avanti in maniera sostenibile. Grazie e grazie mille per i vostri interventi. Guarda io ricordo perfettamente quando siete nati con quell'impianto, ci feci anche un articolo perché ero fomentatissima, perché poi il Corporeto erano nati miei gemelli, quindi mi ricordo proprio che... Ho usato i lavabili però, però ricordo che veramente fu eclatante, ebbe molto spazio mediatico, però si incagliò anche dal punto di vista normativo, perché c'erano anche dei cavilli per... ricordo perfettamente. Infatti però mal in cuore, perché lì veramente abbiamo degli scarti paurosi, numeri che veramente potrebbero, se si riesce ad impiegarli, muovere tanto. Se posso aggiungere, a parte i complimenti perché siete veramente... ci sono degli esempi di eccellenza nella gestione del territorio e della raccolta differenziata come Contarina, e quindi complimenti. Due osservazioni, la prima è per quanto riguarda i Ra, è la media che vi dicevo, 5,9 kg per abitante, quindi 360.000 tonnellate all'anno. Si va dai 9,5 kg dalla valle d'Aosta ai 7,4 del Trentino al Toadige fino ai 2,0 kg di regioni che non nominano qua. Quindi il territorio deve essere gestito dappertutto come fa Contarina. L'altra cosa che volevo dirvi è il tema autorizzativo degli impianti, già citava la collega. In Italia il tempo medio di realizzazione di un impianto di trattamento dei Ra è superiore ai 4 anni. Se io decido oggi di fare un impianto che raffina la plastica oppure prende le schede elettroniche e tira fuori il critico raw materials, tra l'itero autorizzativo che me ne porta via 3 e mezzo e quello realizzativo l'ultimo anno, lo metto in funzione tra 4 e mezzo. Tra 4 e mezzo il mondo è già cambiato. Cosa faccio un impianto adesso che funziona tra 4 e mezzo? Questa cosa qui va cambiata, non si può fare industria in Italia, in particolare l'industria sull'economia circolare con questi tempi della burocrazia. Sono Marco Todarello, sono un giornalista di TV. Se si sa quali sia la percentuale di costo medio di un Ra è acquistato, che poi viene utilizzata per il costo della piliera, se c'è una percentuale cambia in base al tipo di prodotto, magari più alta nel frigorifero o più bassa. Grazie per la domanda. Quello che chiamavo ecco contributo Rae, cioè la fee nascosta che il consumatore paga, va dai 10 centesimi di un cellulare fino agli 11 euro dei frigoriferi grandi e dipende dal tipo di apparecchiatura e dalla dimensione dell'apparecchiatura. Dal tipo di apparecchiatura perché il trattamento dei Rae è più complicato per alcune tipologie di Rae, per esempio il frigorifero contiene gas e oli che devono essere dimossi prima dell'attritturazione, quindi a seconda della complicità del trattamento la fee è molto differenziata da 10 centesimi a 11 euro. C'è ancora qualche altra domanda, qualche curiosità? Sono Mauro De Mozzi, un cittadino già piangionato quindi non ho ruoli o responsabilità particolari. Sono molto curioso di questa realtà imprenditoriale di Orion Way e voglio capire dove è collocata e se esistono altre realtà in Italia similari. Sì grazie. Siamo un consorzio che deve operare in tutta Italia. Per legge i produttori hanno l'obbligo di raccogliere Rae in ogni angolo d'Italia e di gestire i Rae in ogni angolo d'Italia. Per esempio serviamo 4.500 grossomodi di isole ecologiche da Pantelleria alla Val Venosta e garantiamo il corretto trattamento dei Rae. Non siamo l'unico soggetto come noi, esistono altri soggetti un po' più piccoli di Orion Way perché i produttori di apparecchiatura etica e elettronica sono stati lasciati liberi dalla normativa di aggregarsi come volevano. Quindi con Orion Way ci sono 1.600 soci i nomi più grandi, poi altri gruppi di produttori hanno dato vita a altri consorzi, ma tutti hanno l'obbligo di andare in tutta Italia, raccogliere i Rae e gestirli correttamente. Per evitare che ci rubiamo i Rae, perché poi a Trento è già un po' complicato, andiamo tutti a Milano, esiste un organismo di coordinamento che si chiama Centro di Coordinamento Rae che sta al di sopra dei consorzi, che è un meraviglioso esempio di autogestione. È un organismo non partecipato dal pubblico, dalla politica, dalle istituzioni, è gestito dagli stessi consorzi che ci sono creati un organo di autodiscipline, un organo di autogoverno che detta la ripartizione del territorio tra i consorzi. E quindi è un modello virtuoso di autogestione imprenditoriale che tra l'altro ci viene copiato all'estero, perché la normativa sui Rae che c'è in Italia c'è anche negli altri paesi europei e questo modello di competizione regolata da un organismo di coordinamento ci viene copiato perché funziona davvero bene. C'è ancora spazio qualcuno? No? Allora prima di chiudere vi faccio una domanda a tutti quanti, una breve risposta anche perché ci sono tanti ragazzi e quindi anche per lanciare un po' un messaggio perché ci avete portato tanto entusiasmo ma anche delineato qualche difficoltà. Quindi andiamo con lo stesso ordine e vi chiedo ce la faremo? Come vedete il futuro? Siete comunque ottimisti? È una strada che riusciremo a percorrere questa dell'economia circolare e della sostenibilità? Allora sì assolutamente ce la faremo se lo dico io che sono così giovane non perché dobbiamo crederci ma perché è realmente così credo che sia proprio nel nostro essere uomo sapiens ce l'abbiamo sempre fatta e troveremo o come è successo a me da immaginare qualcosa di nuovo e arrivare a strumenti nuovi o da un'altra modalità ma assolutamente ce la faremo sì. Io sono un po' meno ottimista perché più che altro perché il discorso è che l'unica strada è quella, il problema è che la mia paura è che ce ne accorgeremo troppo tardi nel senso che come esattamente faccio un esempio proprio del laghetto con l'alga, con la crescita esponenziale quindi che raddoppia ogni giorno, un giorno c'è la piccola raddoppia, quando è metà del lago diciamo c'è l'alga ma il giorno dopo sto lago è pieno e la mia paura è questa non vorrei essere quella però sicuramente è l'unica strada possibile e sicuramente dobbiamo accelerare attraverso tutte le cose che sono state facendo. Se lo scetticismo aumenta con l'età è meglio che io sto zitto perché dobbiamo farcelo, dobbiamo a loro, alle generazioni nuove, ci sono tanti segnali positivi, ci sono tante difficoltà però credo che ci sia la possibilità di farla, credo che esempi virtuosi come quello che citava prima il manager di Contarina, esempi virtuosi ce ne sono tanti, dobbiamo saperli mettere al sistema e dobbiamo convincere la politica, forse questa è la parte più difficile, dobbiamo convincere la politica che è ora di occuparsi di questa cosa in modo serio e responsabile però siamo bravi. Bene, allora io vi ringrazio per averci portato i vostri racconti, per averci raccontato anche come nel nostro paese ci siano tante realtà piccole, medie ma tutte molto importanti e come si debba fare sistema e cercare di avere un aiuto per proseguire questo percorso, grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie.
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