Il bello che fa bene. Musica e gioco come cura: Andrea Bocelli Foundation e l’esperienza dell’ospedale pediatrico Meyer
Incorpora video
Il bello che fa bene. Musica e gioco come cura: Andrea Bocelli Foundation e l’esperienza dell’ospedale pediatrico Meyer
Il video presenta una discussione intitolata "Il bello che fa bene. Musica e gioco come cura: Andrea Bocelli Foundation e l’esperienza dell’ospedale pediatrico Meyer". La discussione esplora il concetto di come la bellezza, l'arte, la musica e il gioco possano essere strumenti di cura in un ambiente ospedaliero pediatrico, con un focus sull'esperienza della Fondazione Andrea Bocelli all'interno dell'ospedale Meyer.
La Biblio è la responsabile della ludoteca e della biblioteca dell'ospedale pediatrico Meyer Quindi stiamo parlando di un luogo di cura, di un ospedale, parola che non è una parola così incoraggiante e noi invece andremo a parlare di libri, di immaginazione, di gioco, di musica, di canto e quindi di arte a 360° che è quella che ci ospita Partiamo da questo titolo, Il Bello che Fa Bene e a me piacerebbe chiedere a entrambe, abbiamo condiviso ovviamente questo titolo io sono convintissima di questo titolo perché penso che davvero la bellezza sia una forma di cura la bellezza non è un concetto estetico facile, è anche quello, è anche qualcosa che ci piace, che ci attrae quindi è un concetto bellissimo in sé ma c'è nella bellezza un tema di cura, perché le cose siano belle vanno curate, bisogna dedicarci tempo e quindi personalmente sono convinta di questo titolo però voi che lavorate appunto in ambiti anche molto complessi come quello del contesto che stiamo presentando, vi chiedo come si può sostenere che il bello fa bene, che il bello cura Cominciamo da Silvia e poi passiamo alla parola Manuela Intanto Nicoletta ti ringrazio perché la tua parola antidoto mi è piaciuta tantissimo pensando proprio alla bellezza e alla bontà come antidoto in una società che comunque deve contrastare tante negatività e che invece possono veramente far cambiare il modo in cui vediamo il contesto che ci circonda Il nostro fondatore parte dal presupposto che si debba pretendere la bellezza, pretenderla per i ragazzi che sono i nostri beneficiari, i nostri destinatari finali Lavoriamo con la fondazione Andrea Boselli con un target molto ampio, dagli zero fino ai 25 anni, quindi la gioventù a 360 gradi Pretendere nei loro confronti che affrontino la bellezza, la conoscano, la godano e possano farne tesoro per alla fine costruire la loro storia migliore Perché il bello produce sensazioni positive, il bello produce un nuovo approccio nei confronti del mondo ed è assolutamente un elemento di cura Lo crediamo fortemente, pensiamo che sia quello che fa davvero la differenza e a maggior ragione lo abbiamo pensato in un contesto come quello dell'ospedale pediatrico Meyer dove la cura è un trittico di cura Se lo vogliamo pensare, una cura dello spazio perché comunque quello è uno spazio importante, fondamentale per i bambini, per le famiglie che affrontano un percorso spesso difficile, drammatico, ma è uno spazio anche dove si fa cura delle relazioni che si costruiscono tra i bambini, le famiglie stesse, gli insegnanti, gli operatori dell'ospedale, le varie associazioni e organizzazioni che ci partecipano E infine è una cura anche dei tempi, del tempo di educazione, del tempo di relazione che si lascia a questi bambini, a queste famiglie, a questi ragazzi Quindi una cura che ci piace vedere un po' a 360 gradi, in un modo più ampio Manuela, passo a te la parola su, ricollegandomi a quello che diceva, lei ha citato appunto la parola antidoto io addirittura ti rilancio visto che siamo nel contesto appunto di cura vera, il concetto di anticorpo Io credo che appunto in tempi bui, difficili, come quelli che stiamo vivendo, dove appunto inutile elencare la quantità di cose brutte, notizie brutte che continuano a toccarci a livello mondiale, ma poi ognuno di noi può avere nella sua esperienza di vita e la vita non risparmia nessuno qualche brutta esperienza, no? Quindi in che modo? Te lo chiedo dentro il mayor, ma anche proprio come psicologa e psicoterapeuta, in che modo la bellezza può essere un antidoto e un anticorpo? Grazie, intanto anche io ringrazio, bella domanda, insomma abbastanza complicata, io ci provo Mi faceva piacere riprendere quello che diceva Silvia, che mi pare sia alla base un po' del fondatore vostro, no? Quindi il diritto alla bellezza e insieme a Boscelli mi sembra impossibile non citare Don Milani, di cui ricorre il centenario forse sapete, Don Milani era solito dire proprio ai suoi allievi Ho fatto una formazione con il fratello di Don Milani, Milani con Paretti, che era proprio un neuropsychiatra che si occupava della riabilitazione dei bambini gravissimi e lui citava spesso il fratello dicendo, i bambini hanno diritto sempre, comunque e dovunque al bello, quindi mi sembra che possa fare da exergo, no? A questa nostra conversazione Quindi sicuramente facciamo scorrere magari le idea positive così abbiamo un'idea anche del contesto, no? Nel quale questa per esempio è la ludobiblio Si chiama ludobiblio perché il tentativo proprio dell'ospedale pediatrico è stato quello di connettere quello che normalmente e più frequentemente i bambini fanno nella loro vita Il giocare con il leggere, che se andiamo a vedere è un pochino la sorella minore, quella un pochino più scartata, con il nome ludobiblio abbiamo voluto proprio creare una sinergia tra queste espressioni dei bambini, dei ragazzini, degli adolescenti, quindi poi vedete sono ambienti bellissimi immersi nelle colline medice, adesso abbiamo la foundation bucelli accanto Quindi abbiamo fatto uno spazio veramente miracoloso, bellissimo, quindi i bambini stanno dentro a questo spazio molto bello e con loro le famiglie, i genitori ma anche i nonni, i fratellini, gli amici in questa apertura che abbiamo voluto avere Quello che è importante, che è fondamentale e che fa parte della bellezza e dell'antidoto allo star male, perché intendiamoci, la malattia c'è e certe volte sono malattie potenzialmente mortali e malattie di una gravità che non importa stare a dirzere Diciamo che noi possiamo lavorare attraverso la bellezza, attraverso un luogo accogliente, poi andiamo meglio a definire, perché questa esperienza non si trasformi nel trauma, che possa rimanere così Ora, al centro del concetto di bellezza dobbiamo porre il concetto della relazione, diversamente avremo delle situazioni asettiche, Donald Meltzer che è stato un grande psicoanalista della scuola inglese parlava proprio di Carte volte la bellezza è inaccessibile e allora non serve se la bellezza è inaccessibile, la bellezza deve essere accessibile E in questo senso, rispetto, proseguendo anche il discorso degli anticorpi che facevi te Nicoletta, mi fa piacere ricordare, qui ci sono molti giovani, che quello che noi oggi diamo per scontato, cioè la presenza dei genitori in ospedale, l'accoglienza, tutte queste cose meravigliose che vedete, che tu hai citato, non hanno una storia lunghissima Cioè sono nate sostanzialmente attorno agli anni 40, agli anni 50, è da quel momento lì che si è iniziato a lavorare e a capire l'importanza Guardate che è stato René Spitz, un curioso, ovviamente, psicologo, psicoanalista della scuola britannica che fece, sul fine degli anni 30, lui si interrogò perché i bambini, c'era una moria di bambini nei befotrofi, perché befotrofi e ospedale, anticamente erano la stessa cosa Venivano ricoverati in befotrofi bambini miserabili, si trova proprio scritto negli archivi, anzi approfitto per ringraziare il direttore della fondazione Meier, Alessandro Benedetti, che mi ha aperto le porte insieme a Alberto Zanobini, allora direttore di G dell'ospedale Meier, che mi hanno aperto le porte degli archivi, dopo ho potuto vedere e verificare tutte queste cose qui Spitz scopre che i bambini muoiono, muoiono ricoverati e si domanda ma perché ne muoiono così tanti mentre facendo il pendan con bambini che non erano ospedalizzati, ospedali dove, vi faccio un esempio, attorno al lettino del bambino venivano messe delle lenzuola in modo che il bambino non avesse nessuna stimolazione esterna Ma non solo, le materasse piccoline, sottili e sottili spesso si avallavano perché bambini non si muovevano, quindi allora cominciarono le ricerche e si scoprì che l'ambiente, la luminosità, la ricchezza proprio delle stimolazioni sosteneva gli anticorpi dei bambini Poi c'è stato il grande John Bowlby, che molti conosceranno, un eccentrico, un pazzoide, meraviglioso, quello che poi tutti si sentono dire ogni giorno, no? Ah, ci sono tutti i disturbi dell'attaccamento, ecco, lo dobbiamo a Bowlby, queste scoperte qui E lui fece un film, girato in ospedale, mi sembra fosse nel 1956, che si intitola I want my mammy, cioè io ho bisogno della mamma E da questo filmato, banalissimo filmato, cominciarono, l'ONU cominciò a occuparsene, Anna Freud cominciò nel suo Impadstead nell'ospedale a Londra a ricevere le mamme E quindi si aprirono le porte a quella che ora oggi è comune da nessuna parte, oddio, facendo spesso la presentazione del libro anche in ospedali non di eccellenza, ma dove c'è un reparto di pediatria, si scopre che in alcuni ospedali ancora, per esempio, i bambini vengono ricoverati con gli adulti Quindi, ecco, quelle che noi che viviamo delle realtà, soprattutto centro nord, molto evolute, non è così in altre parti d'Italia. Non so se ti ho risposto, ho fatto un tentativo Mi hai risposto e hai allargato il tema e nello stesso tempo io torno a stringerlo di nuovo, perché? Perché io credo che un caso come l'ospedale Meijer e il progetto di cui stiamo parlando, proprio in quanto case history serve come modello poi per incidere, e nel modo in cui incide, anche su realtà che sono ancora più arretrato, più indietro anche banalmente per mancanza di energia Per problemi di fondi, per problemi strutturali, ma ecco che ci sia una realtà di questo genere consente poi un lento, progressivo, il tempo della cura adeguamento E quindi io vorrei tornare a Silvia, perché Silvia Gualdani, scusatemi, viene spontaneo chiamarvi solo col nome, ma invece diamo anche una rigorosa ufficialità a questo incontro per il peso delle cose che entrambe fate Ma a Silvia Gualdani io chiedo proprio di raccontare nello specifico questo progetto voluto appunto da Andrea Bocelli e dalla sua fondazione all'interno del Meijer E perché è così significativo per voi? E dico solo una cosa per chi ci sta ascoltando, la cosa meravigliosa, io seguo da un po' di tempo la fondazione Andrea Bocelli, la cosa meravigliosa della fondazione Andrea Bocelli che fa progetti di lungo, lunghissimo termine Perché qui i risultati di questo progetto si vedranno magari a 10 anni o a 20 anni, però li realizza a tempo di record e questa doppia velocità secondo me è fantastica, perché appunto pragmatismo del fare e visione di sogno che sono le due cose che consentono di creare bellezza Raccontaci proprio come è nato questo progetto e come avete fatto a metterlo via ieri in un anno alla fine e perché proprio lì, insomma, ti lascio il racconto che Manuela Trinci ha così ben evocato già attraverso le immagini che abbiamo visto Magari le immagini ogni tanto fatele scorrere ancora, perché secondo me ci aiutano e aiutano soprattutto l'immaginazione di chi ci ascolta Ma tu hai ragione Nicoletta, perché io rivedendo le immagini che da mamma ho frequentato, ho frequentato la Ludo Biblio per diversi mesi perché insomma il mio bambino ha avuto come tanti un periodo transitorio di ricovero al Meire Quindi quello è stato veramente uno sbocco, uno sfogo, un luogo di grande positività per noi, per mio figlio, per la mia famiglia in generale Quindi sensazioni positive nel rivedere quelle immagini, così come quelle che ormai ci accompagnano nel nostro viaggio all'interno degli ospedali pediatrici Quello al Meire è un progetto a cui noi arriviamo in realtà dopo un lavoro fatto con gli ospedali pediatrici italiani, con un accordo con AOP, un po' su tutto il territorio Il progetto educativo della fondazione nasce infatti nel periodo del Covid quando ci siamo rivolti agli ospedali pediatrici nel tentativo di inserirci con le nostre progettualità legate all'educazione in contesti difficili Come quelli dell'ospedale, contesti diversi assai, una regione diversa dall'altra, il nord e il sud con grandissime differenze in termini di strutture, in termini di operatori e in termini anche di cultura Il Meire è un'eccellenza, un'eccellenza non solamente dal punto di vista sanitario, non solo dal punto di vista delle associazioni che vi operano, dei professionisti che vi gravitano, ma è anche un'eccellenza in termini di spazio Vi invito a visitare proprio il sito dell'ospedale e vedere che Edificio Meraviglioso è stato ricostituito, sbancando le colline di Firenze In quel contesto abbiamo pensato di poter portare quelle che sono le nostre caratteristiche, quindi un progetto già iniziato nel periodo del Covid in tanti ospedali pediatrici italiani, un progetto che porta una visione dell'educazione innovativa che è la nostra L'idea che si possano utilizzare dei linguaggi alternativi, dei linguaggi collaterali a quella che è l'educazione tradizionale, quindi il linguaggio dell'arte, della musica e del digitale E la convinzione che lo si debba fare con operatori specializzati, con professionisti che si affiancano a quelli che sono gli insegnanti della scuola in ospedale, un servizio di cui magari molti di noi non sono a conoscenza, ma che è un servizio pubblico che funziona bene e che dà grandissimo valore anche al sistema educativo italiano Perché siamo un'eccellenza in questo senso e spesso non si racconta Gli insegnanti però purtroppo alle volte hanno troppo poco tempo, hanno spazio risicato, hanno opportunità ridotte di dialogo col bambino ospedalizzato Ed è lì che si inserisce il progetto e l'idea di portare delle competenze trasversali, delle competenze diverse che stimolino il bambino, che aiutino l'insegnante ad un dialogo diverso e a tirar fuori qualcosa che il bambino ha sopito nel suo interno ma che magari può essere decisivo anche per il percorso di recupero, per il percorso di cura Il Meier poi ci ha dato un'opportunità in più, l'opportunità di individuare bisogni alternativi da colmare, perché poi alla fine la nostra è una ricerca in questo senso Cerciamo di individuare i bisogni in termini di educazione, li intercettiamo con delle progettualità che comunque seguono la nostra filosofia educativa Abbiamo capito che c'era un problema in termini di spazio e lì abbiamo agito pensando di costruire una follia all'inizio quando l'abbiamo pensata Tutti i sogni sono un po' folli Tutti i sogni sono un po' folli, è vero, noi ne abbiamo diversi Diverse follia o diversi sogni Diverse sogni e diverse follie Il sogno di costruire all'interno di un edificio già meraviglioso un qualcosa di ancora più adatto a sviluppare le attitudini dei bambini Quindi ci siamo riservati uno spazio proprio accanto alla Ludo Biblio, è tra l'altro un punto bellissimo dell'ospedale che si affaccia sulle colline di careggi E lì abbiamo realizzato un edificio, un edificio è uno spazio esterno, un edificio di 250 metri quadrati dedicato integralmente alle attività educative Dove attraverso i nostri operatori cerchiamo di dare un servizio continuativo, si parla di 10 ore al giorno, un unicum in Italia per l'intera settimana Di servizi educativi dedicati ai bambini che vanno dall'istruzione tradizionale in accompagnamento a quelli che sono gli insegnanti della scuola in ospedale All'educazione per così dire alternativa fatta in collaborazione con tutte le associazioni che operano all'interno dell'ospedale Penso ai ragazzi fantastici della Pet Therapy, mio bambino n'era innamorato Mamma, meraviglioso, meraviglioso, mio bambino n'era innamorato, mi ricordo, insomma non aspettava altro che passassero quei deliziosi animaletti a sgambettare nell'area della Ludobibrio Ma ce ne sono altri, c'è il servizio del teatro, ci sono i musicisti in corsia, ci sono meravigliose organizzazioni che gravitano intorno a quell'edificio E noi abbiamo semplicemente pensato di poter fare qualcosa in più, creare per loro uno spazio di aggregazione, uno spazio di condivisione Perché era fondamentale anche dare la possibilità a tutti questi operatori così diverse che hanno spesso anche delle filosofie implementative diverse La possibilità di condividere, di progettare insieme e insieme creare un impatto ancora più positivo su questi bambini Quindi ecco nasce un po' dalla volontà di cercare di fare qualcosa in più insieme, perché poi è quello che ci preme, farlo insieme a tutti coloro che già fanno un lavoro eccelso in quello ospedale Certo, e che poi è un concetto, ma magari ci torniamo perché questo è interessante, è il concetto alla base della vostra fondazione che è quello dell'empowerment a 360 gradi Però lì mi piacerebbe approfondirlo anche in altri aspetti, però hai già detto tante cose interessanti e quindi un paio te le vorrei far commentare da Manuela Trinci Intanto vabbè, questa idea della follia che bisogna essere un po' folli e mi permetto Manuela Trinci di dire anche che il letto di un ospedale può diventare una nave, una nave che ti porta in giro, che ti fa viaggiare E di per sé una follia, questo libro a mio avviso è un racconto pieno di storie dolorose e nello stesso tempo è un libro d'avventure, è un libro di scoperte ed è questa la sua bellezza E' un libro d'avventure che però è ambientato in ospedale ed è una contraddizione che però mi sembra come dire il concentrato di quello che stiamo raccontando E ti chiedo, te lo chiedo da un'angolazione un po' particolare perché continuavano a scorrere quelle foto e quindi non posso... Abbiamo detto che in realtà in questo ospedale Mayer dove i bambini sono curati in primo luogo, quindi questa è ovviamente la cosa più importante Però ci sono un sacco di cose inutili, uso la parola inutile proprio per essere contraddetta da voi, no? E ci sono gli animali, e ci sono le bambole, li facciamo cantare, li facciamo... Cioè tutto questo mentre questi poveri bambini affrontano invece la malattia. Fra le cose inutili, utilissime che ci sono c'è persino un ospedale per le loro bambole, eccolo lì Cioè non soltanto si curano i bambini ma si curano le bambole e vabbè io vorrei che come sempre il particolare poi porta al generale e però secondo me l'ospedale delle bambole è una cosa da raccontare È l'evoluzione del concetto di cura Se non si fosse visionari non si sopravviverebbe io credo. Cioè un aneddito di Einstein che appunto diciamo, insomma queste cose sono un po' strane E lui disse ma chi non sogna non si permetta di disturbare chi sta sognando. Mi sembra che questo altro exergo della giornata di oggi Anche l'ospedale delle bambole che al meier diventa il reparto delle bambole nasce da una cosa proprio visionaria che a me è capitata andando a Napoli Ormai una quindicina di anni fa e mi impattai con questo luogo dove c'erano delle bambole ammassate in una vetrina, bambole, chi appunto piangeva perché c'era una bambole Mi sembra della laica che addirittura viene giù la lacrima no? Quindi queste bambole venivano restaurate da Tiziana Grasso che appartiene alla famiglia Grasso Perché all'inizio del novecento il babbo di Tiziana arrivò una tata di una bambina, una nobil bambina napoletana che gli sarà rotta la bambola per cui la tata era disperata Probabilmente sarebbe stata discenziata al volo per questa cosa. Allora questo signore che in realtà aggiustava i pupi del teatro San Carlo di Napoli si viserì e gliela ha aggiustata Da lì è nata una dinastia dell'ospedale delle bambole che è molto affascinante. Benjamin chiama i giocattoli le sentinelle della memoria E come si diceva prima in questo mondo convulso di corri e compra si entra nelle stanze dei giochi dei bambini dove non si riesce neanche a passare Quindi il reparto delle bambole ha intanto una valenza ecologica anche di rispettare la possibilità del bambino di affezionarsi alle bambole Oltre al fatto che potrebbe sembrare appunto come in molti ospedali c'è la cesta dei giochi dove i bambini proiettano sul giocattolo anche quello che viene fatto a loro Ci sono orzacchiotti amputati, bambole senza capelli, quindi è sicuramente un modo, il gioco lo sappiamo bene, per esternare i contenuti interni Ma a me piace molto il paradosso e quindi un concetto Winnie Cotiano in questo senso qui di gioco, giocare, leggere come spazi transizionali Come spazi che non sono né dentro né fuori la realtà psichica del bambino Ieri, aiutami però Nicoletta, uno scrittore che tu presentavi il libro, Nicola Spallario, ha citato Cattelan che dice una frase che mi è piaciuta molto Il verosimile è più affascinante del vero che in fondo riguarda molto come i bambini utilizzano il reparto delle bambole Avete visto scorrere le immagini, intanto non c'è niente di finto perché il medico è il medico, le diagnosi sono le diagnosi Il bambino porta dall'orzacchiotto al trenino quello che si è rutto, si è asciuppato e quindi viene fatta una diagnosi C'abbiamo la sala per fare l'attack, la risonanza, eccetera, tutte queste cose qui Allora, guardate, io vicito la frase di due bambini perché noi scriviamo i colloqui che i bambini fanno fra di loro perché sono entusiasmanti Allora, una bambina mi pare si chiamasse Iris, c'aveva una bambola che era tutta già aggiustata, c'è anche restyling, quindi c'era parrucchiera, possibilità di fare i vestiti nuovi Quindi dice a un'altra, che invece francamente a bambola era sempre messa male, scusa dice, ma 5-6 anni l'età, ma te gli è dato la polvere magica? Chiede Iris a Bianca, e Bianca gli risponde, no, io l'ho curata, il senso della cura in bambini di 6 anni, cioè questa frase, se la snodiamo proprio da un punto di vista, è enorme Cioè è bellissima, e questo è quanto, guarda se vengono anche gli adolescenti perché si divertono, e poi c'è il fatto che i genitori partecipano Perché uno degli spazi, delle finalità proprio di questi spazi bellissimi e di tutte queste attività che venivano descritte, la pet therapy, la clown therapy, sono tutte le attività che noi possiamo tenere in piedi grazie al contributo della fondazione Meyer Perché queste sono cose che hanno anche veramente dei costi molto elevati, e quindi hanno proprio come finalità quella di coinvolgere dentro a questo la famiglia Ecco, in questo luogo di giochi e giocattoli si capisce bene come l'importanza dell'esistenza di un giocattolo, da Polkley a Munari, hanno tutti rilevato come c'è la fantasia, l'immaginazione Guarda, quella che ha scorso prima si chiama iogurtina, ed è la bambola che è un po' la mascotte, allora è importante anche che noi come operatori, i volontari, gli educatori, abbiano i loro giocattoli che poi mettono in gioco Iogurtina è mia, è una bambola che ha un successo planetario, perché io l'animo, quindi questa vedete è una decapitazione, una decapitazione sotto la morte certa, per noi invece c'è la possibilità di vivere Quindi questo è davvero un trappianto di cuore per esempio, una bambina Cecilia con delle problematiche importanti ha chiesto, e questo sacchiotto aveva un problema importante cardiaco, che si fa Il pediatra nostro, Edoardo Marrani, che è il responsabile del reparto, è un pediatra appunto responsabile del reparto, facciamo un trappianto e quindi abbiamo dato luogo a un trappianto di cuore, quindi vedete come tutto questo, questo è anche credo un senso della bellezza, dell'operatività Vi dicevo all'inizio che questo incontro è un incontro che non parla solo di bambini ma parla anche a noi adulti, mentre tu parlavi e dicevi quello che ha detto la bambina, il cui nome non mi sono segnata abbastanza velocemente, Iris Ecco, no, quest'idea che hai usato la polvere magica, forse è vero, quanto più si cresce più smettiamo di credere che tutto si risolverà grazie a una magia, magari smettiamo anche di credere ai miracoli appunto, però possiamo non smettere di credere alla cura, al dedicare tempo alle cose che sono importanti per noi, ognuno alle sue E dedicare tempo è appunto dedicare un tempo di attenzione e di cura, ma dedicare tempo, tempo è un concetto economico, qui siamo nell'ambito del festival dell'economia, quindi io chiedo a Silvia, a Silvia Gualdani, anche di darci poi lo spaccato concreto, tu sei siefo fra l'altro della fondazione Quindi, perché, come vedete, stiamo parlando di cose molto belle, anche di cose che appunto sono di stravagante bellezza, come un ospedale delle bambole dove un medico vero si occupa veramente di un orso, no? E ma tutto questo ovviamente ha dei costi, ed è giusto dirlo, perché gli aspetti economici sono poi quelli che consentono di realizzare o meno un progetto, no? Di solito quando uno ha una bella idea la prima cosa che si deve chiedere è sì, ma ha le gambe per camminare, e se non le ha dove gliele trovo a proposito di innesti le gambe per farlo camminare? Quindi, da siefo ti chiedo, certo, chiamarsi Andrea Bocelli Foundation credo che aiuti, aiuti almeno in termini di, al di là del fatto che il maestro è impegnato in prima persona, no? A far conoscere la fondazione, e quindi questo credo aiuti. Però lo stesso, poi, un conto è la visibilità, un conto è l'appoggio, un conto è raccogliere tanti fondi per realizzare progetti che poi appunto uno presenta quel giorno, ma che poi devono funzionare 365 giorni l'anno. Assolutamente sì, ma guarda Nicoletta, fa parte per noi dello stesso concetto di cura, perché aver cura dei nostri progetti e aver cura che abbiano davvero un impatto, che siano percepiti nel modo giusto dai beneficiari e che vadano nella direzione di empowering, no? Prima l'abbiamo lanciato, ma alla fine è la nostra bandiera, l'empowering dei giovani, l'empowering dei bambini, dei ragazzi, delle loro famiglie, delle comunità. Quindi, aver cura di raggiungere quell'empowering si fa anche avendo cura dei tempi, avendo cura dei denari che siamo chiamati ad amministrare, a gestire e ad allocare correttamente, perché quell'obiettivo e quell'impatto si raggiunga davvero. È una responsabilità enorme, il concetto di responsabilità si estende, no? Ci piace tanto parlare di sostenibilità in questo tempo, ma crediamo, ABF crede profondamente che la parola più corretta sia proprio responsabilità, perché si deve essere responsabili, responsabili di una promessa, una promessa fatta all'istituzione dell'ospedale, alle organizzazioni, agli operatori, ai bambini, alle famiglie. Abbiamo promesso che avremmo realizzato quell'edificio nei nostri 150 giorni, una benedizione, maledizione, ancora lo dobbiamo capire, ci interroghiamo sempre su questo nostro limite, che però è un limite temporale bellissimo, perché ti dà il senso di concretezza e di poter davvero restituire qualcosa di reale nei tempi che prometti. Posso un pettegolezzo, citarlo a livello? Questo fatto dei 150 giorni, tutti abituati ai tempi biblici, dove per accomodare un mattone ci vuole 20 mesi, adesso si fa, ma si, figurati, qui passeranno degli anni prima. C'era grande sfiducia. Per cui fino a una settimana prima veniva guardato da tutto il personale dell'ospedale e da noi anche, anche dagli educatori, in maniera quasi allivita ce l'avevate fatta, bravi. La polvere magica, anche loro. Abbiamo usato la nostra polvere magica e in realtà devo dire che la nostra polvere magica è fatta dalle nostre persone. È fatta dalla nostra capacità di aggregare persone con competenze veramente eccellenti, ma di varia natura. I nostri team, lo raccontiamo sempre, sono team multidisciplinari, fatti anche sui progetti immobiliari di professionisti, architetti, di ingegneri, operatori edili, per così dire, ma anche operatori pedagogici, psicologi. Operatori finanziari che devono comunque badare a navigare nel budget del progetto. Operatori di contesto, perché comunque la lettura del contesto diventa fondamentale per arrivare a quell'obiettivo nei 150 giorni. Quindi un bilanciamento difficile, ma che si può fare? Si può fare se si lavora insieme e se si ha fiducia, che un po' di polvere magica alla fine qualcosa risolva sempre. Senti, hai citato l'importanza delle persone. La cosa interessante è che anche questo, perdonate se continuo a richiamare il contesto del Festival dell'Economia, ma perché davvero trovo e in questo ringrazio davvero tutte le persone del Sole 24 Ore che hanno il coraggio anche di presentare un incontro come questo nel contesto di un festival come questo. Perché apparentemente appunto è un tema dissonante e invece è un tema più che mai assonante, ma ci vuole anche equivisione. E quindi insisto perché appunto mi piace che siamo dentro un Festival dell'Economia a parlare di tutto ciò e quindi uso termini economici. Risorse, risorse economiche che ci vogliono e questo lo abbiamo detto. Poi tu hai parlato proprio in linguaggio aziendale, la risorsa e non a caso c'è il Dipartimento delle Risorse Umane, sono le persone che prendi per fare, per formare, fare le cose. Ma poi voi, voi come fondazione e poi vengo anche a te Emanuela perché in fondo quello è il tuo lavoro, voi poi lavorate, cioè il vostro oggetto di lavoro ancora una volta sono le persone, no? Quindi è il soggetto che lavora ma anche diciamo l'interlocutore finale che riceve il servizio e di nuovo una persona. Questo genera una complessità enorme e una sfida enorme ma anche una grossa complessità. La gestione delle risorse nella fondazione Andrea Bocelli e poi... Allora devo dire, noi partiamo dal presupposto che l'essere umano sta al centro. Alla fine il principio di sussidiarietà è un po' quello che ci muove. La nostra stessa Costituzione spinge il soggetto privato, le organizzazioni come noi ma anche ciascuno di noi a lavorare per mettere l'individuo al centro e dargli la possibilità di avere un impatto sulla società. E questo è quello che vogliamo fare. Proviamo a farlo con i ragazzi, quindi trasferendo quelle che sono le nostre filosofie, la nostra filosofia educativa e le nostre attività progettuali ma riteniamo che sia paradossalmente ancora più importante farlo all'interno. Con le persone che poi quell'impatto lo devono generare, quindi con i dipendenti, con i collaboratori, con i professionisti che lavorano con noi, con il nostro parco volontari. La Fondazione negli ultimi anni è cresciuta tanto, io sono entrata 8 anni fa e ricordo ancora quando ho incontrato le mie compagne d'avventura eravamo in 3, in 3 e 8 anni fa e ora siamo un meraviglioso gruppo fatto di 40 risorse interne e oltre 50 volontari, prima ne parlavamo, della complessità anche di rapporto con i volontari. Ma è lavorando su di loro che si può fare la differenza, lavorando sulle loro soft skills che sono poi uno dei nostri valuardi nel sistema educativo, lavorando su sistemi tradizionali, quelli di welfare, di well being che comunque sono ormai alla portata di tutte le organizzazioni complesse più evolute, ma lavorando anche sul sistema di condivisione, di condivisione dei valori. Quindi abbiamo il privilegio, il nostro cor è proprio il sociale, è proprio l'etica, è proprio l'impatto generato sulla comunità e quindi abbiamo il privilegio di poter condividere dei fatti tangibili con i nostri operatori e questo devo dire che ha una ricaduta sulla produttività, per usare un termine economico, una ricaduta pazzesca. Nessuna realizzazione di un bene, di una borsa, di un paio di scarpe, di una lampada, io lavoravo in un'azienda di illuminazione, quindi insomma porto la mia esperienza profit. Niente, ti può restituire quello che invece ti dà l'esser participe di un impatto reale sulla società. Voi non ci crederete, ma io ho trovato un concetto economico anche all'interno del mio letto è una nave e me lo sono scritto però perché è un po' spericolato questo tentativo che sto facendo anche perché il concetto è molto complesso. Non lo sapevi, ma c'era. Eh no, ma perché io sono fortemente convinta che poi il lavoro di noi giornalisti sia sostanzialmente quello di fare le domande e c'è una risposta a qualsiasi domanda, basta fare la domanda giusta e io davvero credo sia importante il modo in cui uno interroga il mondo poi, no? Perché poi la risposta da qualche parte, cioè bisogna un po' insistere a volte con le domande ma alla fine arriva. Comunque nel tuo libro fai riferimento, scusate se leggo ma è complesso il concetto e quindi voglio essere precisa perché gli psicologi hanno terminologie rigorose e non voglio che poi Emanuela Trinci critichi la mia citazione. Fai riferimento in termini economici, pensate bene, al tema del trauma e ti riferisce a due studiosi francesi, la Planche e Pontalis, ed è interessantissimo perché il trauma, pensate un attimo, spero che nessuno di voi abbia avuto traumi pesanti ma piccoli traumi, insomma, li abbiamo avuti tutti, piccoli o grandi, insomma. Non importa, poi ognuno vive come un trauma, magari cose differenti dagli altri e l'idea, questo è quello che io ho capito ma a te chiedo invece di spiegarcelo meglio, l'idea economica, passatemi il termine, no? E che c'è una dimensione quantitativa di quello che si può supportare, oltre un certo limite, io così l'ho capito, no, siamo più in grado di processarlo proprio come il computer, quindi pensate che terminologia tecnica, tecnologica, high tech, appunto, aziendale, per parlare di una cosa così intima come invece qualcosa che ti fa soffrire così tanto che diventa un trauma, una rottura, no? Però l'idea è quando è troppo, è troppo, per dirla invece banalmente, no? Quando è troppo non si riesce più a processare, neppure l'intelligenza artificiale riuscirebbe a aiutarci a processare. Che cosa vuol dire questo? E come poi attraverso la bellezza invece si riesce a disinnescare questo meccanismo economico? Come se la bellezza controbilanciasse, trovasse risorse là dove risorse non ci sono più, non ci sono più, perché si è raggiunto il troppo, si è speso tutto, non ho più niente da spendere. Anche questa è una domanda facile, lo so. Sì, soprattutto però mi rassicura il fatto che quando si è detto economico mi è preso un malore, era appunto il troppo, era troppo per me. Comunque la concettualizzazione del trauma da Freud, da Giorno Nostri è ovviamente molto variata. Non vi farò la storia perché sarebbe lunga e faticosa. Comunque la concettualizzazione economica del trauma viene proprio dai primi scritti di Freud, quando lui parla della barriera protettiva che esiste in ogni bambino e che è data dalle... Lui non parla ancora di cure materne, ne parleranno poi dalla Klein, Winnickoth, chi ha spostato l'obiettivo della psicoanalisi anche sulla parte dell'infanzia. Però diciamo questa idea di una barriera protettiva dalle stimolazioni esterne, quindi dalle stimolazioni eccessive, la si trova già nei primi scritti di Freud proprio. Quindi siamo nel 1910, 1911 così, in quegli scritti là. Che cosa può accadere? Noi questo cosa qui, per esempio, noi stiamo lavorando molto anche con i neonati, perché appunto già fino alle primissime fasi della vita è importante rafforzare quello che è il contenitore di possibili anzi e di angosce del bambino, che è dato dalla mamma, ma più in generale dall'ambiente facilitante, diciamo così, del bambino. Ci sono per esempio in alcune realtà dove Nati per leggere fa delle letture di Ninnenanne e Storie con le mamme dei bambini ricoverati nelle terapie intensive. Anche noi al Mayor prima del Covid avevamo iniziato a lavorare nel semi intensivo, nell'intensivo non l'abbiamo mai fatto, andando a leggere proprio con le mamme, coinvolgendo, dico le mamme perché spesso sono le mamme accanto alla culla del bambino, però tante volte si trovano anche i padri eccetera. Quindi attraverso proprio questo rafforzamento di una possibilità di tenere a bada l'eccessiva della stimolazione esterna. C'è per esempio un altro autore, Linn Giardi, un autore nostro contemporaneo, lui ha raccontato la sua esperienza personale quando all'Istituto Mori a Milano ha avuto una diagnosi della mamma che era gravemente colpita. C'è una di quelle diagnosi che appunto altri psicoanalisti utilizzano questa immagine, è il reale, cioè quindi qualcosa di terribile, che irrompe nel reale, nuovo paradosso, cioè che irrompe nella realtà di tutti i giorni. Uno va a fare la spesa, fa quel improvvisamento e bum, queste diagnosi che si vede il tempo del bambino che cambia, che muta in questi momenti qui. E Linn Giardi dove ha trovato la possibilità di reggere la diagnosi? Nella poesia. Lui ha cominciato a scrivere poesie, lui infatti è uno psichiatra e io l'ho fatto da discusse a Linn Giardi un paio di volte e devo dire che ha questa vena poetica a me, piace moltissimo. Noi cosa abbiamo fatto? Non abbiamo copiato perché questa idea c'era già, però abbiamo messo all'interno di questo tema della bellezza anche la poesia. C'è anche la poesia. C'è Andrea Candiani che dice che la poesia è la lingua di chi non sa parlare. La poesia sollecita il pensiero analogico. Quindi noi facciamo degli atelier, li chiamiamo taller di poesia perché c'è proprio anche la focosità della parola e i bambini si divertono moltissimo. Guardate che usiamo la Dickinson, Leopardi, Dante, questi poeti vengono presentati dagli educatori della cooperativa Arca in servizio a proposito delle risorse, in servizio grazie alla fondazione Meier dentro la Ludo Biblio e facciamo degli atelier. Perché facciamo l'atelier? E quindi i bambini poi mettono loro in rima oppure semplicemente mettono insieme delle parole che raccontano le loro esperienze. Si chiama l'esperienza poetare in osperale pediatrico. È venuto a inaugurarlo Bruno Tognolini che forse molti di voi conosceranno e Bruno all'inizio intanto ha presentato l'inno al coraggio che è una cosa bella che vi consiglio di ascoltare. L'ha trovato da tutte le parti e lui ha detto iniziando, ha messo bambini, c'erano tanti bambini presenti, ha detto allora vediamo un po' ma le filastrocche, le poesie servono per guarire? E tutti si, chiaramente come dare torto al poeta presente. Solo una bambina ha detto ma allora Bruno si è inserito in questo ma proprio trovando uno spazio di nuovo potenziale, un ponte dicendo forse è vero non servono per guarire, non sono medicine, però servono per divertirsi. E divertire alla stessa proprio radice di divergere, quindi serve per allontanare il pensiero. Ecco quindi che queste forme di bellezza che può essere la poesia, che può essere il giardinaggio, che possono essere i momenti in cui si fanno atelier d'arte, si presenta moni e eccetera, servono a divergere il pensiero dalla malattia. Dei bambini ma anche dei genitori, io vi farei veramente vedere come i genitori partecipano in maniera entusiasta a questi momenti e come nel lavoro con i volontari, adesso stiamo proprio lavorando sul tema delle famiglie, perché loro vanno la sera a raccontare storie nei reparti, si chiama l'esperienza della buona notte e vedono come il genitore è sollevato dalle storie. Qui faccio un inciso, libri e storie devono essere bellissimi, quindi di grandi autori, di grandi editori, perché la pacco taglia della editoria che invade i mercati anche se ne può fare a meno. Quella non è bellezza, è bruttezza che può divertire, però noi dobbiamo avere un impatto con la bellezza. Manuela, scusa mi inserisco, perché la tematica è a noi molto cara e con l'ospedale pediatrico maier ci siamo interrogati sulla valenza scientifica, proprio di trasferire il bello, trasferire la cura, trasferire tutta una serie di diversi attitudini all'educazione e al bambino. E' una delle motivazioni per cui ci siamo spinti nel voler dare un'offerta in termini di servizi educativi così ampia, così continuativa nella giornata. Crediamo che potenzialmente questo impatto si possa misurare e si possa veramente arrivare a dimostrare, ed è uno studio che abbiamo intrapreso in collaborazione con l'Università di Firenze e Arco Research and Development, che è un'associazione all'interno dell'Università di Firenze e che mira proprio a dimostrare che questa nuova attitudine all'educazione e l'attitudine alla bellezza e alla cura può essere un elemento determinante della cura. Vogliamo provare a misurare, a rendicontare questo lavoro silente di cui Manuela parla, ma che è alla mercè di tutti. Lo vediamo chiaramente, il bello nella poesia, il bello nell'arte, il bello nella musica, che per noi è, ovviamente, vicino ai nostri cuori, è un qualcosa che dà un valore aggiunto a quelle che sono le cure tradizionali. Si tratta solo di essere in grado di misurarlo, valutarlo e raccontarlo per poterlo trasferire veramente a questa nuova filosofia. Bello, questa idea della rendicontazione della bellezza, che si possa poi anche trasformarla in numero, non necessariamente i numeri sono brutti, anzi i numeri sanno essere molto. I numeri parlano sempre, bisogna saperli leggere. A proposito di domande. La Spizza l'aveva già fatto per il poverino negli anni 40, quando lui morivano di morbillo, perché morivano, c'era questa epidemia pazzesca di morbillo, morivano i bambini deprivati e non morivano i bambini nelle famiglie. Qui c'erano i numeri, perché lui era rigorosissimo, faceva tutti i testi, controtest, quindi voglio dire, sono cose che davvero sono, io credo che siano assolutamente misurabili. Quindi ci ridiamo appuntamento qui al prossimo Festival dell'Economia. Ci ridiamo appuntamento con i numeri che io e Emanuela fomenteremo per dimostrarvi che abbiamo ragione. Non solo per dimostrare che avete ragione, ma per dimostrare, perché mi sembra che con le cose che dite, per dimostrare che i numeri sanno essere anche molto poetici, perché avete detto delle cose poeticissime. E io tante altre ne avrei però. Ho ripromessi di raccogliere qualche domanda, se c'era, e quindi non vorrai togliere spazio a qualche curiosità. Davvero anche qualche curiosità, perché sono stati gettati tanti spunti diversi. È sempre difficile rompere il ghiaccio con le domande, ma io credo che ne valga la pena, perché non tutti, soprattutto, magari, perfetto. Chiedevo se c'è anche uno spazio di dimensione spirituale, per fare con la treguera in questa vostra visione, in questo vostro progetto. Emanuela, c'è l'interno. Dunque, esiste al Mayor uno spazio dello spirito, intanto, come appunto per adulti, bambini, che tiene conto delle differenze etnie, delle differenti religioni, eccetera, eccetera. Sulla spiritualità, a me è piaciuto molto, e qui devo a Nicoletta proprio l'input, abbiamo fatto dei laboratori sul silenzio. E sono stati davvero molto emozionanti, sia i laboratori sul silenzio, le esperienze sul silenzio fatte prima con gli educatori e con i volontari insieme. Abbiamo fatto delle passeggiate nel bosco, come tu mi avevi suggerito, nei boschetti che circondano il Mayor, sollecitando educatori e volontari a fermarsi a scrivere, a raccontare come veniva ascoltato il silenzio. La stessa cosa l'abbiamo fatta con i bambini in ludobiblio e abbiamo comprato una specie di megafono che capta i suoni del silenzio. Ed è stato veramente bellissimo vedere proprio la religiosità, quindi non tanto intesa come religione, no, o qualsiasi tipo di religione, ma proprio come ascolto di se stessi. E quindi sì, c'è un'attenzione e ci sono dei momenti in cui questo viene esplicitato, sempre attraverso le forme che sono più consone ai bambini. Hanno fatto dei disegni sul silenzio, dei disegni su cosa loro, sui rumori, no, disegnare un rumore è possibile, ma loro ci hanno provato. Qualche altra domanda? Questa domanda? E' una domanda che tocca più le mie corde di mamma che di professionista. La ragazza vale decisamente. Ho intrapreso questo percorso dopo che ho vissuto questa esperienza, ma non ci crederai non l'ho intrapreso per questo motivo. Venivo da un'esperienza professionale nel mondo profit dove l'economia, la rendicontazione dei numeri, la marginalità, il profitto muovono le aziende, muovono i soci, muovono i mercati. Venivo da un'esperienza purtroppo dove avevo accumulato una serie di negatività legate al lavoro che facevo, al lavoro che svolgevo, troppo, troppo elevate. Il trauma era eccessivo, non potevo più accumularlo e come alle volte il sole sbuca all'improvviso durante una tempesta ho avuto la fortuna di incontrare queste due signore che sono in prima fila e che mi hanno dato un'opportunità pazzesca. Un'opportunità professionale strana perché era quella di ricominciare da zero. Io facevo il responsabile amministrativo in questa grossa azienda, avevo un team esteso di circa 25 persone che lavoravano con me e ho deciso di ripartire da zero perché avevamo un sogno, avevamo un ideale. Avevamo l'idea che si potesse davvero con quella che era la mission della fondazione fare qualcosa di diverso, avere un impatto reale. Ci crediamo talmente tanto che dopo otto anni ti dico che forse ci siamo riusciti e ti invito, invito te e i tuoi non so se amici, compagni, vi vedo tutti molto, molto giovani, quindi vi invito a dare un'occhiata anche ai programmi che la fondazione apre, promuove, proprio dedicata alla vostra età, nella volontà di promuovere l'empowering, promuovere il talento, promuovere quello che c'è dentro e che c'è subito e che forse è proprio quello che mi ha spinto a fare quel cambiamento, non tanto l'esperienza in ospedale. Ci sono ancora, c'è ancora tempo per una domanda o due? Sì, due. Questa è una domanda impatica. Cosa è impatiente? Empatia o pazienza? Queste sono proprio domande da farsi vedere. Questa è una domanda impatica. Questa è una domanda impatica. No, ti sembra. Sicuramente qua, se io dovessi proprio però scegliere, sceglierei l'empatia, che è quella che ti consente di entrare in risonanza con un altro. In questo senso qui, guarda, colgo dalla tua domanda, sì, l'empatia è molto importante, però è molto importante anche parlare insieme, perché certe volte a proposito di cose che ti arrivano addosso, ovviamente io vado, non ci sono tutti i giorni. Quante volte quando arrivo, il bambino di cui abbiamo parlato la settimana prima non c'è più. Quindi ecco, c'è anche tutta questa tragicità che si riversa sui volontari e sugli operatori, sugli educatori. Quindi l'empatia è una cosa bellissima, ottima. C'è bisogno di un gruppo dove l'empatia venga lavorata, perché appunto non sortisca poi un effetto trauma. Quindi io credo che siano importanti gli spazi delle supervisioni, gli spazi delle condivisioni, gli spazi della formazione, spazi che al Mayor vengono curati moltissimo. Facciamo continuamente esperienza di formazione con i volontari, dove appunto i libri vengono scelti, raccontati. L'immaginazione, è un principio homeopatico della mente, l'immaginazione si cura con l'immaginazione. Quindi diversamente, quindi anche l'empatia si cura con l'empatia, tenendo però presente le difficoltà. Una domanda e dobbiamo dare una risposta veloce perché stiamo sforando. A proposito di tempo denaro, tempo economico, ai messi. Assolutamente, non ci perdiamo di vista. Stiamo dialogando con il sistema degli ospedali pediatrici italiani tutto, nella volontà di provare a replicare questa esperienza. Per noi era un progetto pilota, chiaramente. È un unicum, ci tengo a dirlo, in Italia, un unicum in Europa e mi spingo addirittura nel mondo. Perché la varietà e la continuità del servizio educativo che diamo al Mayor credo veramente non ci sia altrove. Quindi c'è assolutamente la nostra volontà. È difficile trovare l'ospedale giusto con lo spazio giusto e con il contesto giusto. Perché c'è anche una volontà direzionale che è stata forte nel caso del Mayor. Ne parlavamo prima con Manuela. Il contesto era perfetto per poter fare questo tentativo. E diciamo che ci sono state tutta una serie di elementi positivi che ci hanno consentito di rispettare anche le tempistiche e di realizzare quello che abbiamo promesso. Ma sì, noi confidiamo che in Italia anche, in particolare al sud, ci sia questa possibilità. Quindi bene, la volontà c'è e lo prendiamo come quasi un impegno. Cioè, al di là delle cose grandi che si possono fare, credo che sia importante che ognuno di noi si faccia portatore anche nelle piccole realtà. Per esempio, noi andiamo, adesso c'è questo libro, ma in altri momenti ci sono stati aggiornamenti. Per esempio, l'esperienza dei volontari che fanno la buona notte l'abbiamo estesa all'ospedale di Varese, nelle parti di pediatria. Quindi, capito, si tratta davvero anche di utilizzare degli strumenti che abbiamo per diffondere. L'obiettivo anche della fondazione Meijer è estendere le buone pratiche ad altre realtà meno fortunate. Grazie. Purtroppo il mio compito adesso è di chiudere. Mi piacerebbe continuare, ma in realtà appunto i festi hanno anche questa caratteristica. I festi, i festi che hanno i loro incontri, hanno una durata precisa. Credo che però sia stato bello appunto condividere quello che abbiamo condiviso. Credo che forse un festival come questo, ma come altri anche, ci consente di fare noi adulti quello che al Meijer si fa. C'è questa parola bellissima che usa Manuela Trinci nel suo libro che dice fiamando, andar fiamando. In fondo noi per un'ora siamo andati fiabando. Questo mi sembra bellissimo. Abbiamo raccontato storie economiche, abbiamo parlato anche di denari, di denari che finiscono, di denari che vanno ben investiti, ma che servono anche un po' per fiabare. Per unire concretezza e fiaba, vi dico che se volete continuare a andare fiabando con il libro, ne sono rimaste solo tre copie che però verranno autografate dall'autrice. Il primo che arriva, come questo sia in me un concetto economico, il primo che arriva se la giudica perché tre copie sono rimaste. Ultima cosa che mi sono segnata, che non posso non dirvi perché è bellissima, sempre tratta dal libro, ma che mi piace perché dà un avvallo quello che diceva Silvia così forte del senso della responsabilità e del perché in fondo hai fatto quello che hai fatto. Una bimba nel tuo libro dice quando ti tagli in due ci vuole qualcosa di forte per tenerti insieme. È bellissimo quando ti tagli in due ci vuole qualcosa di forte per tenerti insieme. Che sia un ideale o che sia un progetto concreto, qualcosa di forte qua è scattato da qualche parte. E speriamo davvero, non solo vi do appuntamento al prossimo Festival dell'Economia per venire a parlarci della poesia dei numeri, ma magari per annunciare già l'inizio di un progetto magari non in 150 giorni al sud. Grazie, fate un bel applauso alle nostre ospiti che se lo meritano di cuore. Grazie, fate un bel applauso alle nostre ospiti che se lo meritano di cuore.
{{section.title}}
{{ item.title }}
{{ item.subtitle }}