I sindacati tra cambiamento e conservazione
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I sindacati tra cambiamento e conservazione
I relatori, rappresentanti sindacali e un'imprenditrice, discutono le sfide poste dalla precarietà, dai bassi salari, e dalla scarsa partecipazione dei lavoratori nella vita aziendale. Si analizzano le cause strutturali di queste problematiche, evidenziando la necessità di un nuovo patto sociale che coinvolga governo, sindacati e imprese per affrontare le trasformazioni tecnologiche e garantire migliori condizioni lavorative. Viene inoltre sottolineata l'importanza di una legge sulla rappresentanza sindacale e di politiche industriali più efficaci.
Il mercato del lavoro è cambiato negli ultimi trent'anni. È fortemente cambiato. Dobbiamo adattare, a mio avviso, anche le tutelle rispetto a questo nuovo mercato del lavoro. Lei ha citato lo statuto dei lavoratori. Noi, come Cisela, abbiamo rilanciato il tema dello statuto della persona del mercato del lavoro. Perché è un dato di fatto che molte persone incominciano anche a spostarsi nel mercato del lavoro. Ma il rischio è che se non abbiamo tutelle per accompagnare verso questi cambiamenti rischiamo che le persone restino scoperte. E allora, come riattiviamo queste due realtà e come accompagniamo le persone? Io credo che la vera discussione debba essere fatta sul ruolo nevralgico della formazione. Sul ruolo nevralgico della formazione all'interno delle politiche attive. Sul ruolo nevralgico anche di intervenire nell'orientamento delle persone anche nei percorsi di studio. In modo tale che si arrivi ad avere maggiore coerenza anche dei percorsi rispetto al mondo del lavoro. C'è un tema, dobbiamo alzare i salari. C'è un tema quindi di attrattività dal punto di vista anche dei salari. Le situazioni non sono attrattive anche per un tema di salario, ma dobbiamo essere consapevoli che il tema del salario va affrontato come salario mediano. Oggi la grande crisi è sui salari mediani. Non possiamo concentrarci su un problema di io arrivo come provenienza, arrivo da un mondo di rappresentanza del mondo del lavoro atipico. Quindi so bene che cos'è la precarietà. Dobbiamo generare occasioni di lavoro dobbiamo generare occasioni di percorsi lavorativi affinché i lavoratori abbiano sempre una continuità occupazionale e una continuità reddituale. Dobbiamo alzare i salari mediani con il rinnovo dei contratti e fa molto piacere che rispetto all'indagine che è uscita dell'Istat non tiene conto dei tanti rinnovi che sono avvenuti. Penso in particolare al rinnovo del contratto che ha portato un aumento di 240 euro su una platea di lavoratori molto vasta. Abbiamo avuto tanti rinnovi di contratto in questo inizio d'anno che aiuteranno anche a recuperare il potere d'acquisto anche rispetto al tema dell'inflazione che ha tartassato lavoratori e lavoratrici in questi ultimi anni. Dobbiamo avere in mente che oggi la tutela che ci viene chiesta dalle persone rispetto al mondo del lavoro è una tutela nel mercato del lavoro perché altrimenti rischiamo di non capire il fenomeno che sta venendo avanti. Rischiamo di non comprendere che se io devo tutelare le persone in questo mondo qua non posso utilizzare delle tutele diverse che hanno avuto una coerenza storica. Ma devo ragionare sempre di più rispetto alla tutela nel mondo del lavoro. La grande sfida che abbiamo davanti è questa. Tornando sull'aspetto dei salari. Salari mediani sono fondamentali. Dobbiamo incentivare assolutamente anche la contrattazione non solo di primo livello che sicuramente ha una vasta copertura del mondo del lavoro ma anche una contrattazione di secondo livello che deve essere uno strumento di redistribuzione per i lavoratori delle ricchezze dell'azienda. Dobbiamo andare a potenziarla e tutto questo si può fare solo in un modo con strumenti partecipativi nel mondo del lavoro e nella vita aziendale. Perché cito una ricerca dell'Ipsos che evidenziava come il 68% delle persone ormai non si sente partecipate nella vita aziendale e nelle scelte aziendali. Questo è un dato di fatto. Rispetto a questo, essere ai margini della vita aziendale riporre al centro della persona nel mercato del lavoro e nella vita aziendale ricostituendo delle comunità aziendali che abbiano a cuore anche la redistribuzione del reddito. Grazie. Bombardieri, ho detto che non parlavo più. No, se per te va bene accetto il metodo e vado su il ruvido anch'io. Certo, lo capisco. Sui tre grandi temi. Io partirò dai numeri. Perché io penso che sia necessario fare una distinzione fra i numeri reali e la propaganda. Soprattutto se viene il periodo elettorale. I numeri dell'Istat ci dicono che i numeri degli occupati aumentano. Poi dovremmo interrogarci su come aumentano, su come vengono fatte le riconizioni. Bisogna spiegare che quando il ricercatore Istat che fra l'altro stanno in showbiz perché sono precari chiama e interroga una persona, se quella persona ha lavorato per una sola ora fa parte di quel numero di lavoratori che poi vengono riportati dalla lista. Se noi crociassimo quei dati con i dati degli avviamenti, degli IMS, quindi non della Will, verificheremmo che molti di quei numeri riguardano assunzioni a tempo determinato. Allora qui al netto della propaganda ognuno di noi si può interrogarci. Magari possiamo fare un esperimento. Usciamo da questo teatro, chiediamo a dieci giovani e gli chiediamo che tipo di esperienze lavorative hanno avuto. Quei dieci giovani ci diranno che hanno avuto esperienze lavorative nella stragrande maggioranza di sfruttamento, di sotto salario o di situazioni delicate perché sgombiamo il campo da una favola che gira. I giovani rifiutano il lavoro. Sì, perché c'è una distanza, il mismatch, tutto quello che vogliamo. Spesso rifiutano il lavoro perché vengono loro offerte condizioni vergognose. Noi siamo in grado di certificarlo questo. Lo abbiamo fatto con il nostro ufficio comunicazione, con delle telecamere nascoste, soprattutto nel settore dei servizi, della ristorazione. Le proposte sono dalle 7 di mattina fino alle 11 di sera con due ore di intervallo un mattino e pomeriggio, senza sabato e senza domenica, e quando la ragazza dice ma il contratto? Allora fatta questa promessa per essere altrettanto ruidi, vediamo i numeri. I numeri ci dicono che noi abbiamo il 30% dei avviamenti di un anno e sono riusciti a fare i nostri avviamenti a tempo determinato e con tutte le forme di precarietà che si sono costruite durante questi anni. Perché dovremmo avere il coraggio di dire che la nostra scatola degli attrezzi, che tu hai definito in modo egregio, è stata nel corso degli anni smontata dai governi di sinistra e dai governi di destra, senza distinzioni di sorta. Da tutti. La flessibilità era bella. Si diceva che una volta che noi... Io me la ricordo della battaglia, perché noi facevamo uno sciopolo generale contro. E ricordo chi sosteneva che levando l'articolo 18 sarebbero arrivate di corsa le aziende in Italia. Io di aziende non ne ho viste, nemmeno una. Non è arrivata nemmeno una di aziende perché noi abbiamo levato l'articolo 18 allora. Quanti lavoratori oggi non arrivano ad avere 10-11 mila euro l'anno l'ordi? Almeno 4 milioni. E in più abbiamo 6 milioni di lavoratori che hanno il contratto scaduto. Siccome io so spesso che le discussioni con Confindustria speriamo partano nel migliore dei modi rispetto al passato, molti contratti di Confindustria sono stati rinnovati, ma abbiamo 6 milioni di lavoratori che hanno il contratto scaduto. Io oggi ho sentito il Premier qui da voi dire che si sono rinnovati i contratti, è vero in parte, perché un sindacato e un sindacalista se non recupera il potere d'acquisto che ha perso durante gli anni, non fa il sindacalista, fa un altro lavoro. E allora il nostro compito principale è quando andiamo a rivendicare gli aumenti contrattuali, non dimenticare che dall'inizio della pandemia il potere d'acquisto ha perso 16 punti, non 3, 4, 5, 16 punti. E il Governo che oggi dà le azioni sul fatto di aver rinnovato i contratti, per bocca del suo Ministro della pubblica amministrazione ha detto che non ha i soldi nemmeno per rispettare quel valore IPCA che noi abbiamo definito nel patto della fabbrica. E non dovrei ricordare a voi quando andiamo a rinnovare i contratti del commercio, dei servizi, delle guardie giurate, quanti ostacoli rincontriamo. Allora da questo punto di vista probabilmente il Governo potrebbe fare qualcosa in più. Ecco che noi chiediamo per esempio di detassare gli aumenti contrattuali, non di incentivare gli evasori e di dare la possibilità del condono preventivo. Allora questi sono i dati che noi abbiamo messo sul tavolo e vorrei aggiungere. Noi abbiamo avuto una scatoletta di attrezzi sul lavoro di grande rilievo, d'accordo. La stessa scatola di norme ce l'abbiamo avuta sull'assicurezza sul lavoro con il decreto 81. Muoiono 1040 persone ogni anno. Quindi vuol dire che c'è qualcosa che non va, che non funziona e la politica non può far finta di niente. 500.000 incidenti l'anno. Allora le condizioni del lavoro che noi vediamo sono queste. E sul regolamento dei salari? Continuo. Per poco tempo ma sullo stesso metodo. Ma quando è che noi parliamo... perché parliamo di produttività e diciamo che il potere d'acquisto è soprattutto calato in questo Paese. Poi ogni tanto qualcuno sottovoce dice ma è colpa dei sindacati, non lo dicono a voce alta. È colpa dei sindacati, poi anche qui dovremmo fare una distinzione. Quando andiamo a confrontarci con il governo abbiamo 40 organizzazioni sindacali e 40 associazioni editoriali. Quando è che facciamo una legge sulla rappresentanza e diciamo una legge di sostegno a quell'accordo interconferale firmato da CGL, CISL, Will e Confindustria? Io sono curioso di sapere se il presidente Orsini vorrà sostenere quella TESI perché io penso che anche Confindustria sarà un po' scorciata di vedere al tavolo 60 associazioni editoriali che rappresentano un'azienda di 5 persone. Se non ho capito male, ha messo come punti prioritari della sua agenda anche la discussione sui cosiddetti contratti pirata. Ecco, perché da questo deriva un'altra discussione, sono sicuro che ci ritorneremo sul salario minimo, sui contratti, perché il governo che dice io voglio rafforzare la contrattazione per rafforzare la contrattazione deve rafforzare chi rappresenta le persone noi sindacati, amici tuoi, che ti dicono sempre sì quando vengono al tavolo delle trattative, perché altrimenti non funziona. E l'ultima battuta è questa siccome parliamo di produttività e di competitività, lo dico in casa dell'impiccato, so che magari questo provocherà quando vogliamo parlare della produttività delle aziende cioè quando vogliamo parlare delle aziende che investono in innovazione anziché le aziende che riducono i costi fissi riducono i costi fissi riducendo salari e diritti e diciamo che i soldi li diamo a chi in questo Paese, come avviene in molti Paesi d'Europa, i soldi li diamo a chi investe in innovazione. Potremmo dire che noi i soldi nostri pubblici, degli aiuti, li diamo alle aziende che non le localizzano? Possiamo dire che noi diamo i soldi alle aziende che rispettano la normativa sulla sicurezza? Possiamo dire che quelle risorse le diamo alle aziende che rispettano le pari opportunità e applicano effettivamente codici di rispetto come in tutta Europa? Allora anche qui bisognerebbe cominciare a discutere e distinguere e condizionare gli aiuti alle aziende dicendo, parliamo delle aziende che investono in innovazione e facciamo una differenza fra chi lo fa e aiuta a crescere questo Paese e chi non lo fa e pensa solo ai profitti. Avevo detto che non lo avevi parlato però tutta l'operazione Industria 4.0 e Industria 5.0 va esattamente in quella direzione lì. Dovremmo però distinguere, se Industria 4.0 significa che io pago la macchina nuova del datore di lavoro, però mi hai detto ruvido, se tu dici ruvido io sono pronto a farlo. O se cambiamo il macchinario o se facciamo un'analisi del processo, perché l'innovazione non è soltanto il cambio del macchinario e il cambio del processo e nel cambio del processo non c'è solo la macchina, c'è chi ci lavora su quella macchina e sappiate benissimo che se Industria 4.0 e Industria 5.0 l'elemento umano è stato considerato al minimo. Landini. Io penso che se... si sente? Sì, sì. Basta un po' di pazienza. Io penso che sia venuto il momento di fare una discussione vera che secondo me è un po' che non si sta facendo. Giusto. E la discussione vera vuol dire proprio fare una... perché i salari sono bassi. Ci sentiamo dire perché è bassa la produttività. Secondo me questo significa che il modello che si è affermato, dico io, negli ultimi 25 anni è un modello che va cambiato. Perché ha aumentato le diseguaglianze a tutti i livelli anche dentro al sistema delle imprese. Perché se noi parliamo di salari bassi, siccome si fa nelle medie, lo dico con honestà, non sono bassi dappertutto. No. Sono bassi in particolare in alcuni settori, in alcune realtà, in determinate imprese. Vogliamo fare un esempio adesso. Un dipendente che lavora in una grande impresa che poi ha costruito in questi anni una rete di appalti infiniti. Il salario del lavoratore che è dentro la grande impresa non è basso come quello che lavora nell'azienda di sub-appalto, di sott-appalto. E la grande impresa, come si dice, la catena del valore e anche il profitto, tu l'hai costruito lungo tutta la filiera. Non l'hai costruito solo in basso. E perché parto da lì? Perché secondo me qui c'è proprio un punto di fondo. Noi lo stiamo dicendo adesso anche sulle morti sul lavoro. Ma io vorrei che fosse chiaro. Quando parlo di quello che è avvenuto negli ultimi 25 anni, penso sia ai processi di precarizzazione che ci sono stati, ma penso anche alle leggi che sono state cambiate per favorire un modello di fare impresa che appunto sulla logica dell'appalto, del sub-appalto, del sott-appalto ha favorito un sistema di riorganizzazione d'impresa che a quel punto non era fondato sulla qualità, sugli investimenti. In molti casi era fondato sulla logica del minor costo. E questo elemento, non sto dicendo che tutti hanno fatto così, vorrei che fosse chiaro. Quando si dice che stiamo aumentando le esportazioni, andiamo a vedere quante sono le aziende che esportano. Rispetto al nostro sistema industriale, quali sono le aziende che esportano? Perché certo ci sono quelle avanzatissime, che sono anche leader mondiali, anche piccole, ma vediamo che sono cresciute. Ma il modello di fare impresa e quindi il sistema con cui si è fatto impresa nel nostro Paese, quello secondo me è sbagliato e va messo in discussione. Perché ha favorito una precarietà nel lavoro senza presenti, per cui chi ha oggi giovane un ingresso al lavoro a condizioni generalmente inaccettabili, non è un caso che noi abbiamo 120.000 giovani che ogni anno se ne vanno via dal nostro Paese. Non è semplicemente gente che vuole andare a fare esperienze, che di per sé sono un elemento importante. Trovi proprio anche persone che se ne vanno all'estero trovano condizioni economiche di investimento nel lavoro e anche di realizzazione. Perché siccome noi siamo gente mediamente creativa, non dico tutti, ma è riconosciuto, in molti casi quelli che se ne vanno all'estero hanno anche possibilità di realizzarsi nel lavoro che in molti casi nel nostro Paese non ce l'hanno. Allora, secondo me questo è un tema di fondo se la vogliamo fare questa discussione. E se la vogliamo fare questa discussione, secondo me, se la vogliamo fare anche onestamente, poi ognuno si prende le sue responsabilità, anche noi come sindacato dovremmo fare le nostre riflessioni, ma deve onestamente fare i conti che il modello che in un qualche modo è stato favorito anche dalla legislazione che si è realizzata, secondo me era dentro ad un'idea in cui in un qualche modo la precarietà era la condizione per far vivere un sistema di imprese che anziché dover tutti investire su una cresita, su una qualità del lavoro, sugli investimenti, su un'altra dimensione, ha favorito questo. Del resto, scusa, prova a vedere quando si parla di morti sul lavoro. Vogliamo andare a vedere cosa sta succedendo? La maggioranza di quelli che muoiono sul lavoro sono sulle linee da palto e generalmente sono precari. Poi uno concentra, certo, sono molto di più morti nel settore dell'edilizia, nel settore dei trasporti, nelle manutenzioni che non in altre attività. Ma se noi andiamo a vedere, quello che si è determinato in quel sistema lì e l'idea che si è fatto di fare imprese in quel sistema lì è quello che oggi ti sta tenendo bassi salari, ti sta tenendo bassa la produttività e non ti sta neanche facendo crescere la qualità del fare imprese nel nostro Paese. Ora io penso che qui ci sia proprio un punto di fondo da cui partire. Perché, in questo senso, aggiungo, c'è anche un problema di mancanze di politiche industriali pubbliche che non ci sono state e non sto pensando allo stato che si sostituisse semplicemente al mercato. Sto pensando a uno stato che i soldi nostri, di chi paga le tasse, li usa per incentivare una cresita, seleziona, per individuare dei settori, per fare degli investimenti, per far crescere le persone. Certo che la formazione oggi diventa un punto decisivo, ma oggi la formazione è un diritto delle persone che lavorano. Io la dico da un punto di vista sindacale, ma non sono una rivendicazione che devo mettere nei contratti. Io vorrei portare a casa che nei contratti c'è scritto che io lavoratore, ogni settimana, per ogni mese, per ogni anno, per tutta la vita che lavoro, ho delle ore che sono pagato, non perché produco, ma perché studia e perché mi aggiornano. Se la ragiono questo elemento, diventa un elemento di fondo. E se uno mi dice che c'è un elemento anche di cambiamento e di crescita, sì, penso che in una situazione di questa natura, no, noi dobbiamo chiedere certamente più salario, perché sono bassi, e al limite c'è un problema anche di tempo, di orario, di tempo di vita, di tempo di orario, che si pone. Ma l'elemento che io vedo è anche che oggi non è riconosciuto al sindacato e ai lavoratori, e lo dico senza alcuna polemica, il mio problema non è entrare in un consiglio d'amministrazione, vorrei che fosse chiaro. Secondo me non è quello che risolvi i problemi. E' un problema che con la umiltà che ci vuole, quando ho cominciato a lavorare, lavoravo in un'azienda cooperativa. Eravamo tutti soci, ho fatto anche l'esperienza di votare quelli che andavano nei consigli d'amministrazione, ho imparato su di me che non è mica vero che quella cosa lì ti permette di poter decidere le selte dell'impresa. Non è così. E da un certo punto di vista, quello che io sento oggi la necessità, tanto più con il cambiamento tecnologico che c'è, con il cambiamento, è che le lavoratrici e i lavoratori possono essere messi nella condizione non solo di discutere quanto salario mi dai e quanto orario faccio, ma di poter utilizzare la loro intelligenza per discutere anche di quello che faccio, di come lo faccio, di come organizzo anche il sistema sostanzialmente di impresa. E questo vuol dire costruire un sistema anche di relazioni diverso che vede davvero nel contributo delle persone la possibilità anche di far che si non imprese. Ma questo vuol dire, e qui torno a un punto, riconoscere che le persone che lavorano, tu citavi la Costituzione, io sono per applicarla, perché la Costituzione nella mia testa s'anchise che io persona che lavoro debba avere sulla mia testa dei diritti. E se penso a una cosa che il sindacato deve cambiare è che i diritti non possono essere legati al rapporto di lavoro che hai. Cioè non può essere che se io sono un lavoro subordinato qualche diritto in più e se sono un lavoro autonomo non ce li ho. No, io penso, bene, allora c'è un cambiamento? Lo dico, perché tu citavi, lo dico almeno per la mia organizzazione e non voglio impenare altri, noi non stiamo solo chiedendo di abrogare alcune leggi sbagliate. Noi stiamo anche proponendo che il nuovo statuto dei lavoratori che va costruito dovrebbe s'anchire che i diritti sono in capo alla persona. Cioè tutte le persone che lavorano, a presindere dal rapporto di lavoro che hanno, debbano avere gli stessi diritti e le stesse tutele. Penso alla maternità, agli infortuni, alla malattia. Per fare una cosa di questa natura, e arrivo anche alla legge sulla rappresentanza, secondo me è assolutamente necessaria la legge sulla rappresentanza, la chiudo, è assolutamente necessaria la legge sulla rappresentanza. Perché vuol dire sia certificare la rappresentanza ai sindacati, e cioè quanti iscritti hai, quanti voti prendi, perché io la legge sulla rappresentanza la vedo come un elemento di diritto in più delle persone che lavorano, cioè di democrazia, di possibilità per le persone di partecipare, di segliere. E allo stesso tempo oggi certo che abbiamo il problema di cancellare i contratti pirata. Perché se io vado a vedere negli ultimi 20 anni, anziché ridursi il numero dei contratti, come secondo me dovrebbe essere, perché è cambiato anche il sistema di fare impresa, si stanno amplificando, stanno aumentando, fino a anche introdurre una forma di contratti pirata che in realtà determina una competizione al massimo ribasso, non determina un elemento di qualità. E quindi dentro a questo elemento, se io voglio davvero qualificare, far crescere anche la contrattazione collettiva, io penso che il problema della legge sulla rappresentanza, e quindi della diminuzione dei contratti, ma della valorizzazione della rappresentanza, diventa un punto decisivo su cui costruire sostanzialmente un altro modello. E banalmente, qui la chiudo, io penso che il livello di precarietà e di forme anche assurde di lavoro che si è costruito nel nostro Paese, secondo me questo è uno schiaffo in faccia ai giovani, grande come una casa, e in un Paese, tu adesso non hai solo il problema delle dimissioni, se ce la vogliamo dire tutta, a proposito di verità, noi stiamo invecchiando, noi abbiamo un problema demografico, grande come una casa, e se ce la vogliamo dire tutta, anziché fare i muri per tenere fuori gli stranieri, noi, tra un po', senza porci il problema di avere un rapporto anche col mondo intero, non riusciamo a reggere il nostro sistema, se ci vogliamo dire la verità. Mentre qui tutti fanno finta di discutere altre cose, di difendere un sistema che non c'è. Allora, mi fermo qui, e voglio parlare diffusamente dopo. Io penso che è il momento di fare un'operazione verità, basta campagna elettorale, basta i marchetti elettorali, bisogna fare i conti reali con quello che è avvenuto. Se la guardo dal punto di vista, in Italia i sindacati sono forti, se volete può apparire anche una critica. La chiedo, la dico e la chiudo. Quando lo dico 3-4 volte, di solito la quarta la faccio. Ora la conosciamo. Se quelli che lavorano stanno male, uno che fa il sindacato non può stare bene. Quindi penso che c'è un problema anche per noi, di vedere come sono in grado anche di rappresentare meglio quella condizione. Grazie. Io vi ringrazio per la franchezza, perché secondo me è il momento giusto per farlo. Perché da troppo tempo non se ne parlava come vi dicevo. Ci tengo a dare la parola a Marina Salamone, che è imprenditrice, ma preferisco dire spirito libero. Qui non rappresenta una controparte, ma una figura che ha la libertà di pensiero e l'onestà intellettuale per aggiungere contenuti a quello che abbiamo già detto. Grazie. Allora, non è che non si possa fare una campagna, ma che non si possa fare una campagna. Grazie. Secondo me avete una grande responsabilità. Ce l'avete come parte... Ce l'hanno tutte le parti sociali. Ce l'avete voi come sindacati, tanto quanto gli imprenditori, per un problema di vuoto progettuale dei partiti. Ma anche di altre istituzioni. Prima forse ti ho detto... In un dibattito insieme, Massimo Cacciari ha detto la chiesa, dicendo che aveva una responsabilità educativa, che corrispondeva a un no a demagogia. Allora, per esempio, quando io prima ho sentito parlare di contraddittoria trattativa, era un tema, io mi sono sentito un blocco interno. E mi sono detta, accidenti trattativa, controparte, io non ce la faccio. Ho cominciato 42 anni fa con la prima azienda che ho fondato. Credo sia stata per bene. Io non ce la faccio a difendermi. Perché ti scatta qualcosa per cui ogni essere umano, imprenditori inclusi, ha un tema di fidati di me. Lo so che può essere usato demagogicamente. Però il mondo della ristorazione, per come io l'ho visto passare, dagli amici dei miei figli, i pagamenti in nero, i soldi che non gli davano più, io sono andata a chiedere dei soldi minacciando dei ristoratori, dicendo che ti pianto un casino pubblico se non gli paghi quello che ti sei tenuto via a questo povero ragazzo pagato in nero per metà. Non è il mondo delle imprese normali. Cioè, settori e dimensioni. Piccolo non è affatto bello. Magari una catena della ristorazione è più pulita e si comporta... Non lo so, non sto difendendo le catene, ma può fare meno schifezze di un individuo con una piccola impresa. Piccolo non è bello, ma questa è la realtà del nostro sistema imprenditoriale. Io non sto mica dicendo che sono tutti eroi, i miei colleghi, ma il mondo delle piccole imprese non è sempre una roba che mette via i soldi. A volte, certo, ho visto tanti disastri combinati di ville costruite o barche e soldi fuori dall'impresa che poi ero in difficoltà. Però culturalmente non so come dire. È difficile che affrontino il cambiamento in atto. Cioè, il sistema degli appalti, ma certo, qualcuno dovrebbe regolamentare molto meglio o qualcuno dovrebbe, come dire, incoraggiare a denunciare chi fa le schifezze senza rispettare i contratti. Io sarei molto feroce se fossi sindacalista sul sistema. Vi ricordate la buca delle informazioni che c'era? La buca di Pasquino a Roma, c'era Venezia, l'altra buca delle denunce. Ma questa roba qui va fermata e ho che è penale chi sfrutta i lavoratori. È proprio roba da penale. Io anche truccare i bilanci lo rimetterei nel penale perché è un imbroglio su tutti quelli che ci lavorano e sul sistema complessivo. Però non sono così convinta che cambierà velocemente questo sistema economico. Perché comunque, come dire, c'è una città di Italia che ha fatto in pochi decenni cambiamenti culturali e imprenditoriali che altre società hanno fatto in secoli di sviluppo dalla nascita di imprese manifatturiere e quant'altro. Noi, accelerata estrema e pam, ti arriva addosso la globalizzazione. Delocalizzare, sì, ma non abbiamo mica un Biden che faccia giù i dazi al 105-120% sulle auto elettriche. Cioè, ce lo siamo persi, il sistema e quei mondi lì di produzione. E ho l'impressione che ci arriveranno addosso queste automobili che pare funzionino anche, non lo so, almeno... Non me ne intendo. Allora, su alcune cose io sarei su un principio di progettualità e di realtà. Quasi se io fossi in voi... Non posso parlare naturalmente a nome degli imprenditori, ma io organizzerei dei think tank dove non si fanno trattative. Si ragionano idee da progettare e da rilanciare. Idee raggiungibili. Think tank fatti da storie diverse, perché ogni storia professionale ci cambia il cervello poi. Voglio dire, studiosi, professori, cercatori, sindacalisti, non so quali politici forse, ho qualche dubbio, ma imprenditori anche, chi ci sta? Perché altrimenti, se non ci sbrighiamo, voglio dire, non lo fermiamo più, sta situazione. E mi collego alla demografia, perché ce l'ho a cuore tanto, ma non solo posti di lavoro normali, anche, ma un po' di coraggio progettuale che significa, ne parlavamo prima, 2% di crescita del PIL americano sul 2,5 totale è fatto dagli emigrati. Ed è un processo fortemente logico il loro. Porte aperte a certe lauree, a certe cose, perché saranno quelli che poi genereranno nuove imprese, nuovo lavoro. Ultima provocazione, poi vedo di chiudere. Lo sapete, se uno non ha proprio un'impresa artigianale, se c'è la buona, sana che porta e la vende, e si finanziarizza tutto quanto pagano, pagano 20 volte l'utile netto, perché 10 per sull'EBITDA, che è l'utile prima degli interessi, degli ammortamenti, prima delle tasse. Allora, o si riparte con una fortissima etica di responsabilità, perché il rischio della finanziarizzazione è forte, a quel punto sganci il legame con la faccia delle persone che lavorano con te, una a una, che è quello che ti tiene legato al sogno e alla responsabilità. Quindi, su tutto questo torno al occhio a spaventare, perché io vorrei condividere, condivido quello che facciamo, i progetti, il racconto dei bilanci e tutto, ma non come una trattativa, perché sennò diventa un sentirsi giudicati, sentirsi sbagliati e tirarsi sui muraglioni. Voglio dire, un conto sono le nostre persone di ogni azienda, compresi i rappresentanti sindacali dentro le aziende. E un altro conto è un mondo esterno dove, io quando ho letto quelle robe lì del referendum dell'articolo 18, mi sono chiesto, stavo per dire una parolaccia, no? Cioè no! Perché? Perché io l'ho vissuto spesso, delle volte, e non era che volevo far fuori qualcuno perché reprimevo, era perché era un problema reale ed erano dei grandi ricatti economici alla fine, e sennò mi faccio reintegrare, quanti soldi mi dai? Scusa, mediati dai sindacati, che mi dicevano, l'indomani mattina, caccia 50 mila, tanto so che hai bilanci buoni, caccia così. Così vincono, non so come dire, vincono i padroni, vince il capitale, questo è quello che non vorrei che accadesse, capitale non giusto, che rischia già di vincere, a prescindere. Grazie, come vi ho detto, è un spirito libero che ci porta a osservare questi temi da un'altra prospettiva, ovviamente. E io voglio coglierlo, quest'idea del think tank, e lo spirito del Festival dell'economia di Trento è esattamente questo. Io so bene che da cronista potrei chiedervi che ne pensate di continuare il cuneo fiscale, che ne pensate del redditometro che è stato archiviato, che facciamo di quota 103? Lo sapete benissimo, no? Che funziona così. Non lo voglio fare, a costo di meno marmi come giornalista, ma non credo. Voglio rimanere su una cosa quasi sentimentale. La logica del think tank in questo momento in cui il Paese vive una contemporaneità così burascosa, così pazzesca, in cui gli elementi della quotidianità della guerra sono diventati il nostro pane quotidiano intellettuale, diciamo così, e la guerra qui ha già vinto, e voglio tornare allo spirito del 1993 dell'accordo del governo Ciampi, al quale io sono profondamente legato, perché sono profondamente legato al presidente Ciampi, con il quale ho avuto l'onore di lavorare e raccontarlo, quell'accordo. E lì c'è stato un Paese che ha deciso di mettersi in gioco in tutte le sue constituency e ha messo su un tavolo tutta la propria creatività di ciò di cui era responsabile. Ecco, io voglio dire, facciamo una simulazione di che cosa si potrebbe mettere sul tavolo oggi per un grande nuovo patto sociale. Al di là del fatto se ci sono davvero o no le condizioni, cominciamo a razionalizzare le materie. C'è Mattarella però. Allora, io devo dire ringrazio l'ultimo intervento perché ha dato delle sollecitazioni non di poco conto, l'ultimo intervento. Parto da una parola, ottimismo. L'ottimismo non è degli scemi, l'ottimismo è di chi ha speranza verso il futuro. Io lo condivido pienamente. Perché tanti fattori di cui noi stiamo parlando, analisi del mercato del lavoro, voglio dire, sui dati non convergiamo, i dati dovrebbero convergere alle analisi, però dovremmo parlare di dati di stock, dati di flusso, come dire, andare a fare una foto della situazione, potremmo disquisire su tanti aspetti su cui non convergiamo. Però prendo questa provocazione. Pato sociale, io ricordo che la mia organizzazione con il suo segretario generale, di fronte alle sfide che avevamo davanti, che abbiamo davanti, di fronte alla pandemia, di fronte all'esplosione della guerra, di fronte alle tante difficoltà dell'ocalizzazione e quant'altro, è stato molto chiaro, ha detto, questo paese non ha bisogno di alzare il conflitto, che c'è molta gente, in particolare nella politica il sistema bipolar, forse il bipolarismo non aiuta molto rispetto alla conflittualità, ha posto il tema di un patto sociale, fra organizzazioni sindacali, organizzazioni datoriali e governo. Ma perché? Perché le sfide sono tante e sono strettamente connesse fra di loro. Però dobbiamo aver chiaro che per sedersi al tavolo dobbiamo aver chiaro che abbiamo un'unità di sceglie dobbiamo aver chiaro che abbiamo un'unità di intenti, fare il bene di questo paese delle persone che quotidianamente ognuno di noi rappresenta. Perché una rappresentanza c'è, i corpi intermedi ci sono ancora. Sedersi al tavolo cosa vuol dire? Vuol dire mettere sul piatto una politica industriale che favorisca maggiore occupazione, che favorisca l'introduzione di innovazioni tecnologiche. Vuol dire sedersi al tavolo e definire le modalità con cui rendiamo effettiva con la formazione. Ma la rendiamo effettiva non perché scritta, ma perché esercitata. Dobbiamo renderla effettiva. Dobbiamo sederci al tavolo e parlare di produttività. Io sposo quando si dice non conflittualità, ma è per questo che parliamo di partecipazione. Ma non peraltro, ma perché il lavoratore non è un problema di CDA. Diciamocelo chiaramente, non è un problema di CDA. È un problema di partecipare alla vita organizzativa delle aziende. Proprio in quella corresponsabilità. Perché ogni lavoratore vorrebbe essere protagonista anche nella corresponsabilità di cominciare anche a introdurre meccanismi di innovazione anche sulla filiera produttiva. Di introdurre tutti questi meccanismi. E poi è un grande patto per una strategia, perché io sono d'accordo, sono stati descritti tanti elementi di precarietà. Ma si chiama lavoro nero, si chiama lavoro grigio. Certo, interveniamo su questo. Interveniamo in maniera drastica. Interveniamo in maniera drastica sul tema delle morti sul lavoro, delle malattie professionali, degli infortuni gravi e gravissimi. Ma in parte abbiamo dei tavoli e dobbiamo sfruttarli quei tavoli. Perché quei tavoli che abbiamo aperto, che abbiamo ottenuto, dobbiamo sfruttarli perché dei risultati li abbiamo portati a casa come organizzazioni sindacali. E lo dobbiamo dire, perché se sulla filiera degli appalti e dei sub-appalti portiamo a casa che sia il contratto comparativamente più rappresentativo e ci sia parità economica e normativa, sono dei risultati che abbiamo portato avanti perché rappresentiamo. Lo dobbiamo dire. Se portiamo a casa maggiori controlli, ne prendo qualcuno in più come collega, però ne abbiamo 13 per tutti, quello è il problema. Comprendo. Dobbiamo portare a casa un patto sociale e un grande patto. Dobbiamo aver chiaro che dobbiamo essere disponibili a confrontarci come è stato fatto nel 1993 facendo anche scelte difficili. Perché le scelte difficili che sono state fatte anche nel 1993 hanno portato dei risultati. Ma perché chi si sedeva a quel tavolo era consapevole di chi rappresentava, di chi era e di che progettualità aveva verso il futuro? Io sono molto d'accordo che forse è il momento di guardare la progettualità verso il futuro e di avere non più il problema di un consenso immediato, ma di una visione più a lungo termine. Non dobbiamo cadere nel tranello del consenso immediato dello spettacolo televisivo, dobbiamo avere il problema che portando questa responsabilità dobbiamo progettare. Guardate, può non piacere, io lo ripeto, più che perdersi in tante discussioni, vogliamo parlare di legge sulla rappresentanza? La legge sulla rappresentanza, noi abbiamo una forma pattizia che funziona, c'è solo un problema, le aziende non comunicano. Facciamole comunicare, allora discutiamo sul fatto del perché non comunicano. Il numero degli scritti. Ma dobbiamo partire sapendo che la rappresentanza è diversa, è diversificata, perché il mondo del lavoro è diversificato. Io insisto, provenendo da un settore anche ad alta temporaneità, non posso pensare di utilizzare gli stessi strumenti di rappresentare un'azienda metallo-meccanica. Non valgono, non reggono, ma devo rappresentarli, devo costruire una rappresentanza di quel modo, devo rispondere a quei bisogni, devo rispondere a quelle persone. Ragioniamo su un patto sociale disponibilissimi come organizzazione sindacale, sono tanti temi che possiamo mettere sul piatto, sono tanti temi per cui il governo dovrebbe mettere in campo un'azione più concreta, che non è una cosa che si potrebbe fare oltre al problema del consenso immediato che ha fatto male a questo Paese. Grazie. Seguire la progettualità bisogna mettere in campo temi concreti. Mi stupisce che fino ad adesso nessuno abbia detto la parola magica intelligenza artificiale, digitalizzazione. Tu ci hai chiamato su tre temi che è quello del patto. Abbiamo provato ad usare la nostra intelligenza. Se poi c'è una domanda, poi discursiremo anche di intelligenza artificiale, perché abbiamo molto da dire tutti e tre. Mi sarei aspettato che poteva essere un tema che ponevate voi. No, abbiamo posto sull'innovazione, però parto dall'accordo del 1993. Sempre ruvido ma breve. Noi dovremmo mettere insieme quell'accordo, e tu lo puoi fare, quella situazione sociale e politica con quella di oggi. Intanto, quel accordo patto, chiamiamolo come vogliamo, era un accordo. Aveva un obiettivo più grande di noi, che era la possibilità di entrare in Europa. Qui già c'è la prima differenza. Allora tutti erano convinti che fosse necessario entrare in Europa. Oggi, molta della politica dice che bisogna stare lontani dall'Europa, raccontando una balla agli elettori, perché non racconta che molte scelte che noi facciamo in Italia derivano dalle scelte europee. E senza che si offenda nessuno, c'era una classe politica diversa, che era cresciuta nelle sezioni e sui territori, non sui social e su Facebook, ma sui sociali e sui partiti. Ovviamente c'era anche un'altra classe sindacale, se non siamo presuntuosi, per carità. E c'era però un punto che è rilevantissimo, il riconoscimento dell'altra parte. Quel riconoscimento dell'altra parte oggi non c'è. Delle parti sociali. I partiti e la politica riconoscevano le parti sociali. Delle parti sociali. I partiti e la politica riconoscevano le parti sociali. Oggi bisogna avere il coraggio di dire che se un governo ti chiama e ti informa 5 minuti prima delle decisioni che assumerà il Consiglio di Ministro, non riconosce il mio ruolo di parte sociale. Mi informa e basta. Se chiami al tavolo 60 organizzazioni sindacali, provi a spaccare il fronte confederale. Perché è evidente. O no? O questa cosa la vedo solo io? Lascio dire. Quindi ci sono condizioni diverse. E c'erano condizioni economiche diverse. Per fare un accordo bisogna avere una visione comune per guardare il futuro. Perché per guardare il futuro bisogna che tutti siamo, che in qualche modo ci appartiene. Noi oggi siamo in un paese dove qualcuno ci dice che siamo nel ben godi, che non esiste la disoccupazione, che non esistono i disoccupati, che la gente sta bene. E allora qual è il tessuto comune sul quale costruire un'ipotesi di accordo? E per fare un accordo è necessario anche incontrarsi. Anche qui. Io il presidente Bolomi l'ho visto il primo anno e poi non l'ho più visto. C'era il Covid. C'era il Covid, Maurizio, hai ragione. Forse non l'ho visto per questo. Perché poi, come dire, se è ruvido, no, riguarda tutti. Allora io consiglierei di non parlare di patto. Secondo me porta sfiga. Perché visto che se ne parla, ne ha parlato, non si è fatto, probabilmente proverei almeno a cambiare sostantivo. Vediamo un'altra cosa. Però il dato rimane quello, il riconoscimento della controparte. Oggi quel riconoscimento non c'è. Non c'è perché non c'è interlocuzione, non c'è perché trattativa, diceva. Qui c'è nemmeno il confronto. C'è un'informativa, un'informativa molto fatta dai politici, che sono diventati tutti seguaci di Omero. Non c'è mai un pezzo di carta, in una narrazione orale, non c'è mai un pezzo di carta sul quale confrontarsi. Ma io il patto su cosa lo faccio. Possiamo fare delle opere, ma è complicato. Allora il ruolo del sindacato è quello di confrontarsi e di fare accordi, come dimostrano i contratti che noi firmiamo e gli accordi che abbiamo firmato come parti sociali sulla sicurezza quando è stato il momento del Covid. Ma ci deve essere il rispetto, il riconoscimento del ruolo. Se non c'è questo, è complicato lavorare per il futuro, oltre che costruire una visione condivisa. Ed è la visione condivisa sul futuro. È chiaro che noi vorremmo discutere di quale e di come si affronta il tema di una rivoluzione tecnologica che è già dentro di noi sull'intelligenza artificiale. Siamo già in ritardo. Le decisioni assunte dall'Europa sono acqua calda, tiepida. Perché l'intelligenza artificiale è già nelle aziende, è già negli strumenti che noi utilizziamo, è già metta in discussione anche dal punto di vista etico il rapporto, come si diceva prima, tra capitale e lavoro. E allora forse sarebbe il caso di parlare di queste cose concrete. Ma se non c'è una discussione seria, sarà complicato costruire un futuro diverso. Certo, lo capisco. Landini, traizione olale, magari c'è... Vedendo 5 minuti mi viene un colpo. Lo so, immagino. Anche perché ti tocca riscriverli lì, quindi vediamo un po'. Io penso questo. Se prende il 1993, voglio dire 2 cose. Una, bisogna avere anche presenti che l'accordo del 1993 nasce da un'esigenza che era nel 1992 la fine della scala mobile. E c'era la necessità di definire senza scala mobile quale modello contrattuale affrontavi. Tanto più che il 1993 parlava anche dell'RSU, cosa che prima non esistevano, e parlava anche di dare validità e erga omnes ai contratti nazionali. Sono passati un po' di anni e ne parliamo ancora che non è stato fatto. Lo dico, questo elemento, perché ad esempio noi a proposito oggi di salari, abbiamo un tema. Cioè, l'accordo del 1993 cosa tentò di fare? Di dire che i contratti duravano 4 anni, che ogni 2 anni ti incontravi, che il riferimento era l'inflazione programmata per poter andare fuori, che però se dopo 2 anni l'inflazione era diversa recuperavi e quindi era un patto a 3, governo, imprese e sindacati, che si poneva il tema di un accordo che era un accordo che era un accordo di un governo della tutela del potere d'acquisto dei salari e che si dava un modello, formalmente un modello contrattuale, quello fondato sui contratti nazionali e la contratazione aziendale, che è ancora un modello che abbiamo, gli unici in Europa che hanno un modello di questa natura, perché altri così non ce l'hanno, col fatto però che nel frattempo adesso non hai più neanche la politica dei redditi, perché gli ultimi accordi fatti tra le parti, quello famoso 2009, non c'è, il governo non c'è e sul versante anche della tutela del potere d'acquisto, questo è un altro elemento di riflessione, non è un caso che io dico che sto pensando che oggi c'è bisogno delle leggi su rappresentanze e aggiungo, penso anche che sia utile proprio per rafforzare la contratazione, inserire anche un salario orario minimo sotto il quale non andare, a partire proprio da quei settori, da quelle attività dove ancora adesso ci sono page di 5, di 6, di 7 euro l'ora, perché questo sta ancora succedendo. Quindi un primo punto, se vogliamo affrontare questo tema, oltre alle cose che condivido, che diceva Pier Paolo, cioè qual è, bene o male ti poteva piacere o no, ma c'era un progetto condiviso. Vorrei ricordare tra l'altro che siccome l'ho vissuta, c'era anche un altro tema tra i sindacati. Quell'accordo prima di essere, si chiama accordo del 23 luglio, ma fu fatto il 3 luglio, perché dal 3 il 23 luglio si fecero le assemblee, si chiese ai lavoratori di votare, e CGL e Cisluil firmarono quell'accordo lì dopo che i lavoratori, votando, l'avevano approvato. E io venivo da una categoria in meccanici come Siker, sono sempre stati un po' agitate anche in quella situazione, però fu un accordo votato e approvato da tutti. Questo elemento della democrazia oggi è un punto di difficoltà che c'è, perché nella nostra discussione, lo dico in modo molto chiaro, per me questo è un tema fondamentale, proprio perché oggi sei di fronte a un cambiamento, perché non sono tutti i lavoratori, tutti iscritti e non iscritti, nella condizione loro di poter decidere sulle loro condizioni. E siccome siamo in una fase, usiamo il termine di sensibilità anche diverse, io penso a un punto. Per me l'unità sindacale è un diritto di chi lavora, non è semplicemente la somma di CGL e Cisluil, per me è un diritto di chi lavora. E se io questo diritto lo voglio esercitare, devo mettere nelle condizioni le persone di poter partecipare, perché non può essere la mia sensibilità o un'altra che decide sulla vita di quei lavoratori. Quei lavoratori devono essere messi nella condizione di poter, quando parlo di contratti della loro vita, di dire loro l'ultima parola, che vincula anche a me, non so se è chiaro come concetto. Anche se io potessi avere un'idea diversa, devo rispettare quello che in quel momento li costruisco. Perché penso che questo sia un punto fondamentale? Perché come veniva descritto, siamo di fronte ad una trasformazione radicale in cui c'è bisogno di investimenti senza precedenti. Cosa stiamo vivendo noi in Italia e in Europa? Non solo perché c'è la guerra, ma perché gli Stati Uniti stanno investendo una quantità di soldi e la Cina stanno inventando proprio sulle questioni delle tecnologie, perché dietro poi anche alle guerre c'è questo punto, chi governerà il mondo anche con le nuove tecnologie. E noi in realtà stiamo pagando il fatto che non solo siamo indietro, ma che per l'Europa, non solo l'Italia, che è un'idea di un livello di confronto, deve investire una quantità di risorse che non abbiamo idea di quello che stiamo parlando. E noi qui in Italia stiamo ancora discutendo se è utile mettere il redditometro o no. In un Paese che ha 90 miliardi di evasione fiscale, in un Paese dove pago più tasse io, lavoratore, dipendente, pensionato, che non un'azienda sui profitti che gli faccio fare io, perché la trovo una contraddizione, no? Io, lavoratore, sul mio reddito pago più tasse dei profitti che col mio lavoro faccio fare all'impresa. Ti sembra una cosa normale? A me sembra una follia. Mi sembra una follia, non so se è chiaro come concetto. E da un certo punto di vista allora, il patto cosa vuol dire oggi? Perché anche secondo me le parole, che senso? Io farei il patto di non fare più patti che non applichiamo. Perché le tante volte siamo ancora lì. Se ci penso, tu parli il 23 luglio, il 23 luglio prevedevo, penso al lavoro interinale, lo introduceva per la prima volta, dicendo che però poteva essere utilizzato solo per le altissime qualifiche quelle che non erano presenti all'azienda. Oggi, se ci pensiamo, siamo arrivati che il lavoro interinale non è stato usato da un'impresa per dire, prendi una professionalità che non ha un'attività nuova, l'intelligenza edificiale, no, adesso tu sei di fronte al fatto che l'ingresso al lavoro è diventato quello. I giovani, se tu parli con un giovane, generalmente, quale esperienza di lavoro ha? L'ingresso al lavoro è una cosa che non è stata passata prima di avere un elemento di stabilità. Io lo vivo come un problema, perché a diversità di quello che è successo a me tanti anni fa, quando ho cominciato a lavorare, mi sono trovato dei diritti, non li ho mica conquistati io. Ma per me era chiaro cosa voleva dire avere un lavoro, non solo di diritti, ma anche il dovere di fare bene il lavoro che fai. Perché una persona, il lavoro continua a essere l'acqua più importante della vita. Non so se è chiaro quel concetto, perché hanno tutti voglia di realizzarsi nel lavoro che fanno, di usare la sua intelligenza. Per questo che io penso che le persone che lavorano debbano avere dei diritti, non so se è chiaro quel concetto. Perché è il modo per poter fare al meglio il tuo dovere, ma di essere una persona libera. Perché ciò che vedo che viene meno oggi è la libertà nel lavoro, la libertà nella vita, non so se è chiaro. E se uno mi dice, ma dobbiamo anche confrontarci, colgo anche il tema che veniva indicato, bisogna riprogettare, io lo percepisco, poi mi rendo conto, percepisco che c'è un punto, perché si fa l'esempio dell'auto. Guardate che non solo, se ci pensi, è proprio un cambiamento radicale, non solo perché è elettrica, ma se tu prendi quel settore lì, quello che sta cambiando è proprio cos'è il prodotto. Il prodotto non è più l'auto, il camion, la moto, il prodotto è la mobilità, come si spostano le persone, come si spostano le merci. E se ci pensi, a diversità di me, la prima cosa che ho fatto quando ho compiuto i 18 anni era comprare l'auto, usata, che addirittura ogni tanto dovevo spingerla per farla partire. L'auto era ciò che ti dava la libertà, se tu adesso ci pensi, le persone non ci pensano proprio a comprare l'auto, al limite comprano l'uso di un mezzo nel momento in cui ne hanno bisogno. E' un cambiamento di costruzione, non solo per chi produce, perché se la guardi non solo faranno l'auto elettrica che consuma meno, ma se tu guardi in prospettiva le concessionarie non saranno più quelle che vendono le auto, ma devono diventare quei soggetti che ti garantiscono a te, fruitore, il mezzo nel momento in cui ne hai bisogno e se ne hai bisogno per te o per altri dove vivi. E' un cambiamento di questa natura, e ho finito, di questa natura, tutto questo processo lo lasciamo fare al mercato? O c'è la necessità che sia la politica, sia le persone abbiano la possibilità di dire la loro, di contare e di avere un processo? A me non fa paura la paura che sentivo trattativa, perché il ragionamento che faccio è per me la contrattazione, per me la contrattazione è una mediazione tra interessi che continuano a pensare che esistono, tra il lavoratore e l'imprenditore hanno in comune la necessità che le cose che fanno vanno bene perché quando vanno bene ce n'è per tutti, ma continuano ad avere condizioni anche diverse e la rappresentanza, la contrattazione è l'elemento che media questa cosa, perché il conflitto non è negativo in sé, ma il conflitto esiste anche dove non c'è il sindacato, è tra le idee, tra le cose che vuoi fare, e senza la possibilità che il conflitto si eserciti, non c'è democrazia, allora sei in un'altra dinamica, c'è dentro un'idea di autoritarismo, che è quello che oggi percepisco nel rapporto del governo, io voglio essere più riduto ancora, sono incontri finti, io essere chiamato il venerdì pomeriggio alla presidenza del Consiglio per spiegarmi che il giorno dopo e di sentirmi dire, diteci cosa pensate, poi fanno quello che gli pare, ma cosa servono ancora? Ne va anche dell'intelligenza dei soggetti, io non sto dicendo che il governo deve fare esattamente quello che voglio io, ma se tu mi riconosi che io rappresento milioni di persone, rappresento anche una parte di quelli che ti hanno votato te, perché al limite si fanno rappresentare da me, allora a questo punto se tu governo non riconosi questo ruolo alle parti sociali, stai mettendo in discussione che un cittadino non ha solo il diritto di votare per un governo, un cittadino nella nostra Costituzione, sia lavoratore che imprenditore, ha anche diritto di auto-organizzarsi nella società per farci rappresentare, questo è quello che viene meno. E siccome oggi i problemi non sono mai stati complicati e difficili come adesso, almeno io la vivo così nella mia esperienza, io una situazione così difficile e complicata, non l'ho mai vissuta, io penso, davvero trovo che non è il momento delle persone solo al comando, se debbo pensarci, questi vent'anni di persone solo al comando nella politica di destra e di sinistra, ci hanno portato a una situazione che è più difficile, in cui siamo più divisi, più separati, siamo più contrapposti e siamo meno capaci di affrontare la situazione. Allora, quando dicevo all'inizio, facciamo una discussione di verità in questi 25 anni, andiamo ad analizzare davvero perché siamo in questa situazione, pronto anche a pensare a come deve cambiare il sindacato, lo diceva Pierpaolo, è parte di quello che diceva, noi abbiamo capito tutti, dobbiamo dare la lezione, mi rendo conto che c'è un problema di cambiamento anche per noi, di rappresentanza di cambiamento, però c'è proprio un elemento, se uno dopo 25 anni, la dico banalmente, di libertà senza vincoli sociali del mercato, mi dice che questa è la prospettiva, io gli dico che non sono proprio d'accordo, perché ho già dato abbastanza, non so se è chiaro, non so più che cosa dargli. Vabbè, è così, basta. Cerco di chiudere con una sua considerazione. Vado corta. Secondo me questa metodologia del governo, dubito che passerà, perché stanno coprendo le idee della destra, della sinistra, cioè, fanno tutto da soli, e non li ho certo votati, mai ho votato da quella parte lì, però, occhio che solo le idee possono nel tempo riportare le persone a pensare che il mondo non è questo. Politiche industriali, francamente, sono stati fatti dei disastri pluriennali da tutte le parti. E 160 miliardi, o 180, quant'è la roba lì? 125. Attendere 160 sono accertati, poi peggio era ancora. Sono già una tremenda politica industriale, perché sono stati venduti a base di facciamo lavorare l'edilizia. Provocando un effetto bolla, e poi voglio vedere cosa succederà adesso, poi, sui lavoratori dell'edilizia. Perché era tutto gonfiato, e ci hanno guadagnato tanto per un po' i datori di lavoro, non so, adesso. Ed è pericoloso, secondo me, non dire non siamo d'accordo. E comunque, francamente, voglio dire, per me che ho messo il naso un pochino nella politica tanti anni fa, il PC e la rifondazione non c'entrano mica niente con cinque stelle accidenti da una parte, lega dall'altra. Lo dicevamo prima, io ho visto i cartelloni con la faccia di Salvini che dicono, più Italia, meno Europa. Ma sei scemo, più Italia, meno Europa. Fuori, sugli autobus, li ho visti. Poi, ancora a proposito di ruvidità, occhio alle generalizzazioni, perché le donne sono sempre migliori, anche in posizioni sempre migliori, nel nord Italia, adesso poi non distingue nord-est, nord-est, uguale alla Baviera. Il problema non è qui, il problema è in altre aree del paese, dove tutta l'economia è debole, deve crescere, tutta che corrisponde al nero, corrisponde a un fracco di altra roba brutta, poi tutta insieme. E di nuovo, se non farsi mettere l'etichetta, della serie, dopo con quella roba, lì cambia tutto, perché il problema è che non cambia poi niente. A parte che io non andrei a fare i disastri che, anche se le 500 mila firme arrivano, penso che arriveranno. Ma è il problema? No, ma non ho dubbi su questo. No, aspetta un attimo. Io ero consigliere VVF e ho lavorato a fare tanti referendum, e li tiravamo sulle 500 mila. Il problema è che poi non avevamo il quorum. L'unica volta è andata dritta, e ho anche sbagliato, è stato sul nucleare, perché c'era stato Chernobyl. Allora la gente ha paura e è andata a votare. Ho sbagliato perché a distanza di anni forse non la penso uguale su quei temi, ma ero in buona fede. Ma quello che dico solo è, idee, progettualità, perché sennò vince il faccio tutto io, e sono abituato che le faccio giuste, faccia politico leader, uomo o donna che sia, etc. E comunque siamo in una società che la solidarietà sta saltando, e se salta quella roba lì come valore, è un casino per tutti, secondo me, perché vince l'autorappresentazione del successo. E fa male poi alle persone più deboli, tutto questo. Grazie. Abbiamo finito, siamo andati oltre, mi dispiace, ma l'importanza dell'argomento lo meritava, non c'è dubbio. Colgo gli spunti anche di innovazioni forti, di rimettere in gioco le regole che presidiano lavoro subordinato, lavoro utonomo, a queste segmentazioni che il Just Lavorismo Italiano ci ha portato e che non hanno pagato, non stanno pagando e che non sono esattamente in grado di realizzazione delle tecnologie, sulla necessità di creare forme nuove di negoziazione della produttività. Cosa ne ho viste? Speriamo che possano arrivare a buon fine, perché io continuo ad essere ottimista, e positivo, e continuo a pensare che il valore delle parti sociali in un Paese fatto come il nostro è importante, perché hanno saputo fare suplenza e sono sicuro che i nostri soldi saranno forti anche di quelle eredità, che potranno aiutarci ad affrontare queste sfide epocali che coinvolgono il nostro Paese nell'interno dell'Europa, e siamo a 15 giorni da un voto europeo, ma parliamo di redditometro. Grazie, arrivederci. Grazie, arrivederci. Grazie, arrivederci.
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