Economia civile e sostenibilità sociale
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Economia civile e sostenibilità sociale
Un incontro a più voci sulla relazione tra l'economia civile profit e no profit (basata, tra il resto, sui principi di reciprocità e fraternità) e la sostenibilità sociale. L'economista Stefano Zamagni traccia un quadro generale, discutendo l’argomento con Nunzio Galatino, Presidente, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica , l’economista Leonardo Becchetti, Elena Beccali dell’Università del Sacro Cuore e Carla Barbanti, Presidente, HABITAT Sicilia.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Buongiorno, benvenuti a questo incontro pomeridiano dedicato al tema dell'economia civile e della sostenibilità sociale. Questi ultimi anni di pandemia hanno visto crescere in maniera inedita le disuguaglianze economiche e sociali. La guerra in Ucraina con la crisi energetica ha rilanciato il tema dei costi della transizione ecologica che rischiano poi di ripercuotersi sulle fasce più deboli della popolazione. Di tutto questo parliamo oggi pomeriggio in questa ora assieme, assieme ai relatori che vi vado a presentare, il professor Stefano Zamagni, il professore della Mamata dell'Università di Bologna, Leonardo Becchetti, docente dell'Università di Roma, actor Vergata, il monsignor Nunzio Galantino, presidente dell'amministrazione del patrimonio della sede apostolica, la professoressa Beccalli che è presa della Facoltà di Scienze Bancarie e Financiarie Assicurative dell'Università Cattolica, Carla Barbanti, presidente di Conf Cooperative Habitat Sicilia. Benvenuti e benvenuti a tutti quanti i nostri relatori. Bene, io con il professor Zamagni vorrei cominciare lui che è stato il capo scuola, che è di fatto il capo scuola dell'economia civile, per capire con lui fino a che punto l'economia civile che nel nostro paese sempre ha avuto un ruolo fondante e fondamentale, in questo momento storico può aiutare e può spingere realmente verso una sostenibilità che sia una sostenibilità non solo ambientale ma anche sociale, quindi un concetto di sostenibilità integrale e complessiva. Questo è possibile in questo momento, ci sono le condizioni, professore. Grazie Alessio e buonasera a tutti. Bisogna essere telegrafici, quindi mi scuso del taglio, come si suol dire, apodittico, quindi non potrò argomentare, mi limito ad affermazioni. La domanda da cui prendo le mosse è questa, perché da un quarto di secolo a questa parte la prospettiva di sguardo dell'economia civile ha ripreso a scorrere in superficie di un fiume carsico, non solo in Italia, anzi soprattutto all'estero e nei paesi anglosassoli? Questa è la domanda. Dopo circa due secoli, durante i quali il paradigma, paradigma vuol dire sguardo, è la stessa cosa, con cui si osserve la realtà, era caratterizzato dall'altro paradigma che viene chiamato di economia politica e che ha attraversato diverse stagioni. Questa è la domanda che intriga la mente di tanti, soprattutto degli economisti. Per circa due secoli abbiamo insegnato e scritto libri e fatto credere che eccetera eccetera e poi ci troviamo oggi con problemi del tipo aumento endemico e sistemico delle diseguaglianze e voi sapete che le diseguaglianze non sono la stessa cosa della povertà, sono peggio della povertà, perché? Perché le diseguaglianze destabilizzano l'ordine economico, in particolare il mercato e soprattutto l'ordine politico, che non ci potrà mai essere piena democrazia fin tanto che le diseguaglianze non saranno portate al di sotto di una certa soglia. Chi per primo ha detto queste cose non sono certo io, ma è stato Aristotele 2300 anni fa, quando scrive nella sua politica il titolo della sua opera fondamentale. Se volete la democrazia, rivolgendosi agli attenesi, dovete assicurare una relativa equa distribuzione, che non vuol dire egalitarismo. E soprattutto le diseguaglianze sono oggi una delle principali fonti di disagio sociale di quello che osserviamo. Pensate l'altra questione che è sulla bocca di tutti il degrado ambientale. Cioè per due secoli noi abbiamo sistematicamente distrutto l'ambiente sulla base di teorie del mainstream economico che dicevano si deve fare così e bene fare così. Perché? Perché si è confuso il concetto di crescita con il concetto di sviluppo. Perché vedate quando c'è ignoranza, cioè non c'è la cultura, tu puoi avere tutte le conoscenze tecniche, bravissimo in matematica, in statistica, ma se ti manca la cultura fondamentale, anche in buona fede fai errori. Perché la crescita non è tipica degli umani, anche gli animali crescono, anche le piante crescono, ma solo l'essere umano è capace di sviluppo. Perché? Perché sviluppo literalmente vuol dire togliere i sviluppi, le catene, i lacci. Quindi ama lo sviluppo chi ama la libertà e viceversa. Agli animali della libertà non interessa niente. Però tutta la teoria economica mainstream è stata tutta una teoria della crescita growth, si dice in inglese, e non dello sviluppo. E quindi capite perché siamo arrivati a questo punto. Perché lo sviluppo umano integrale, espressione cognata da Paolo Sesto, grande papa nella sua famosa enciclica Populorum Progressio, ra il 1967. Vi raccomando voi, tutti forse avranno pensato che erano impazziti o qualcosa del genere, poi dopo i nodi sono arrivati al pettine. Perché lo sviluppo umano integrale ha tre dimensioni, quella della crescita che ci vuole, ma c'è la dimensione socio-relazionale e la dimensione spirituale. Allora un modello di sviluppo umano integrale si riesce a tenere in mutuo bilanciamento o equilibrio le tre dimensioni. Cos'è accaduto invece? Che sull'altare della crescita si sono sacrificate le altre due dimensioni. Sfido uno a dimostrarmi contrario, perché non può, non si possono dire menzogne. L'obiettivo è crescere, ma ancora oggi, qual è l'indicatore più usato sulla bocca di tutti? Il pill. Il pill è un indicatore di crescere. Anche io sono, anche noi siamo a favore dell'aumento del pill, ma l'aumento del pill non può andare contro le relazioni intersoggettive, perché poi cosa ne viene è l'infelicità, perché la felicità, che non è la stessa cosa dell'utilità, dipende dalle relazioni interpersonali. Ma se io le taglio, perché non c'è tempo da perdere, quante volte abbiamo sentito discorsi in azienda o fuori, poche storie, non parliamo poi negli ospedali, un medico che dedicasse 15 minuti al cappezale di un ammalato per dargli una parola di conforto, viene multato, lo sapete o no? Ve lo dico io, perché lo so per esperienza familiare, avendo una figlia che fa quel mestiere in un primario ospedale, perché ti danno i tempi della visita. Non puoi sgarare, perché altrimenti non visiti abbastanza. E allora uno, quando vede questo, dice, ma la gente è impazzita veramente, perché oggi noi sappiamo che la relazionalità, cioè i beni relazionali, sono non l'unica, ma una componente essenziale della nostra felicità. L'ambiente è la stessa cosa per la dimensione, ovviamente, che ho chiamato spirituale. Se noi, e con questo chiudo il primo giro, se noi non capiamo questo, non riusciamo a capire quello che ha detto il General, che è l'autorità sanitaria più alto in grado in America, esattamente dieci giorni fa. In realtà, se vi capita l'Ensad, in cui dici, oggi in America, il paese più ricco del mondo, il 52% della popolazione soffre di solitudine esistenziali. E dalla solitudine esistenziali derivano le patologie che sappiamo, le psicopatologie, il consumo dei psicofarmaci, il tasso dei suicidi, allora uno, quando vede questi fatti, ce ne sono altri ma non ho il tempo, dice, ma insomma, per due secoli, voi economisti, che cavolo avete fatto? Che cosa avete prodotto? Abbiamo aumentato il PIL, è vero, il reddito è aumentato, la ricchezza è aumentata, però non basta aumentare la torta se non ti poni il problema di come la devi tagliare tra quelli che hanno concorso alla sua produzione. Ecco allora perché oggi si è tornati a guardare con interesse il paradigma dell'economia civile, di cui dirò magari una parola in più nel secondo giro. Grazie. Grazie, professore. No, no, no, perché perdiamo tempo, facciamo alla fine, facciamo alla fine. Professor Becchetti, allora come li teniamo insieme i beni relazionali, la felicità con l'economia? Come riusciamo a tenere insieme queste due dimensioni? Le dobbiamo tenere assieme perché altrimenti l'argine salta. Io partirei da questo. Come facciamo? Adesso lo spiego, perché innanzitutto noi dobbiamo dire, ma perché noi dell'economia civile siamo fissati con certe cose che se noi ci fissiamo con alcune cose, la cooperazione vecchia e nuova, il voto col portafoglio, il consumo responsabile, le comunità energetiche, l'amministrazione condivisa, cos'è che lega tutte queste cose? Una cosa molto semplice. Noi lottiamo per conquistare spazi di democrazia, di partecipazione e di cittadinanza attiva, perché come dice Ken Nettarro, senza capitale sociale, senza virtù civiche dei cittadini, ogni sistema collassa. Noi vogliamo evitare il collasso di questo sistema, ma ovviamente non vogliamo solo evitare il collasso, vogliamo piuttosto puntare, noi puntiamo alto, puntiamo alla felicità, la felicità intesa come soddisfazione e ricchezza di senso di vita, su cui oggi sappiamo tutto, abbiamo milioni di dati sulla felicità. E la felicità è una cosa soprattutto generatività, le persone sono felici se sono attive, se partecipano se sono generative. Sapete che il sociologo Grabber ha scritto questo libro, il cui titolo, dico in inglese e non traduco, che si chiama Bush Jobs, spiegando che c'è una quota enorme di inglesi che sanno benissimo che il loro lavoro è inutile o dannoso e questo produce una ferita psichica. La legge della felicità è semplicissima, noi abbiamo dentro di noi un contatore, questo contatore ci dice se quello che stiamo facendo quanto è utile, quanto serve, quanto impatta, e se sappiamo che questa cosa impatta, stiamo inventando un vaccino che salverà l'umanità, un'opera d'arte che vedranno tutti, un paper che citerà, più è così più siamo felici. Quindi noi vogliamo creare le condizioni affinché la vita delle persone sia generativa, ecco perché insistiamo sulla partecipazione a città dinanziativa e lo facciamo con quattro regole fondamentali, l'economia civile è quattro regole, prima la persona non è massimizzatrice di utilità ma cercatrice di senso e la persona è capace, io quello che vado a parlare nelle scuole dico sempre, non vi insegnano la quinta operazione che è la più importante di tutti, che non è l'addizione e la sottrazione, è la cooperazione, uno con uno fa di più di uno più uno, uno con uno fa sempre più di due, perché crea super additività, non abbiamo tempo di spiegare in teoria dei giochi, questa è una cosa scientifica, non è una butada nostra. E quindi, ma cooperare non è facile perché fidarsi vuol dire mettersi nelle mani di qualcuno senza protezione legale, fidarsi è rischioso e allora ci sono tutte logiche, ma non si insegna quest'arte della cooperazione. La seconda pirastro dell'economia civile è imprese più ambiziose, che non guardano solo al profitto ma anche all'impatto sociale e ambientale, sono più generative, sono quei luoghi dove i giovani vogliono andare, non fanno great resignations or quit quitters, sono posti dove i giovani vogliono lavorare, imprese che creano valori di serie A e non di serie B, e qui dobbiamo cominciare a dire che il valore non è tutto uguale, il valore che fa una fiammata, poi va nei paradisi fiscali, poi si brucia nelle crisi finanziarie, lascia i territori, più poveri di prima. Qui è molto bello l'esempio del credito cooperativo, lo voglio fare, perché il credito cooperativo è una banca che nasce con l'idea di creare un patrimonio indiviso per le generazioni che l'azionista non se lo può portare via e che investe sul territorio. Allora c'è valore di serie A e valore di serie B, gli indicatori devono cambiare, gli indicatori per noi sono la generatività, ecco perché facciamo il rapporto sulla generatività, la generatività dei territori si misura, vuol dire più longevità attiva, vuol dire meno netta, vuol dire più capacità di creare imprese, organizzazioni sociali, volontariato, e poi alla fine la politica ha quattro mani, quindi la cosa più brutta che un economista civile non può sentire è ci pensa il sindaco, ci pensa il premier, questa è proprio la cosa che noi abborriamo, perché la mentalità peggiore che ci può essere è quella estrattiva, quanto mi dà lo Stato, quanto mi dà la Regione, noi vogliamo la mentalità contributiva, cioè cosa possiamo fare per creare valore per la nostra comunità e il nostro territorio, e quindi cosa vuol dire, qui è importante e qui chiudo questa prima parte se sono in tempo, che è il ruolo dell'amministratore, noi ormai premiamo, il nostro processo è molto chiaro, unire i generativi, premiare le buone pratiche, costruire con le buone pratiche una comunità di innovazione sociale, lo stiamo facendo, sono un sacco imprenditori entusiasti con cui lavoriamo, questo vuol dire che l'amministratore locale deve essere un levatore dell'energia della società civile, quali sono le leggi più belle? Le leggi generative, quelle che mettono a moto l'energia della società, faccio tre esempi, la 381 che ha fatto nascere decine di migliaia di recuperative di tipo A e tipo B, è una legge generativa che ha creato valore attraverso la inclusione delle categorie flaggi, una cosa molto più piccola, la legge che ha istituito il tutore volontario dei minori non accompagnati, 4.000 tutori in Italia che si prendono cura volontariamente di 12.000 minori che una mamma ha messo magari su una nave cercando di fargli fare fortuna e quindi ecco noi dobbiamo lavorare su queste cose e cercare di superare degli assurdi, mi è venuto in mente mentre ne parlava Stefano, veramente io certe cose non capisco come, allora noi siamo adesso nel mondo della sostenibilità ma ci rendiamo conto che abbiamo ancora un sistema di bonus primitivo? L'azienda va dove c'è l'MBO e il bonus, noi ancora non abbiamo un sistema che dice il bonus si dà se tu fai profitti ma senza aumentare gli incidenti sul lavoro, senza peggiorare la situazione ambientale, è banale, ti do il bonus e crei valore sostenibile. Ora questa cosa dall'alto fino ora, io ho lavorato con vari ministri, tutti sì ma poi non si riesce a fare però dal basso e questa è l'importanza della cittadinanza attiva, dal basso sta passando perché 22 anni fa quando abbiamo fatto nascere Etica SGR che oggi è stato il seme che ha fatto germogliare la finanza green, andando nell'assemblea abbiamo cominciato a dire queste cose, oggi un sacco di aziende grandi quotate hanno dei bonus se le sono date da loro nel rapporto che c'è tra cittadinanza attiva imprese e ci sono gli indicatori sugli incidenti sul lavoro. Grazie. Un altro aspetto importante venendo anche poi alle varie declinazioni di questo tema, uno dei temi più attuali che abbiamo visto l'ultima settimana è quello dell'abitare, del caro affitto, abbiamo visto gli studenti con le tende che giustamente mettono in luce il problema dell'emergenza abitativa nelle città per gli universitari. Ecco dal vostro punto di vista Carla Barbanti che appunto si occupa di questo all'interno di conf cooperativa, qual è la situazione e soprattutto quale risposta si possono guidare? Sì detto bene, diciamo la situazione attuale evidenzia quello che è il disagio abitativo oggi, un disagio abitativo che è la spia, una delle spie più forti di queste diseguglianze socioeconomiche e spaziali e quello che succede è che da un lato quindi c'è una fascia di popolazione sempre più ampia che ha difficoltà ad accedere alla casa, dall'altro è non solo una questione di accesso alla casa ma è anche una questione di accesso a quelli che sono i servizi connessi all'abitare ed è chiaro che è importante inquadrare non solo guardare a questo disagio abitativo quindi non solo prenderne consapevolezza ma anche inquadrarlo all'interno di, lo diceva il professore Zamagni prima, di quello che è stata una crescita senza pensare allo sviluppo e quindi una crescita che ha visto la casa come una merce perdendo il suo valore ed uso di fatto e questo cosa comporta? Comporta che se noi guardiamo alle nostre città i nostri territori quello che succede è che lo stato di salute, i nostri territori non sono in uno stato di salute ed è ovvio che questo comporta repercussioni anche nel momento in cui noi non cogliamo qual è diciamo la base di questo problema e andiamo a pianificare nuovi interventi perché andiamo a fare nuovi interventi che sono completamente sradicati da quelli che sono i bisogni sul territorio e quindi è chiaro che oggi è importantissimo guardare all'abitare ma nella sua complessità e quindi ragionare in termini di politiche abitative ma in maniera integrata come parte integrante delle politiche urbane si sente oggi parlare tantissimo di rigenerazione urbana un concetto ormai abusatissimo è chiaro che non possiamo pensare alla rigenerazione urbana se noi non pensiamo alla questione dell'abitare ed è proprio all'interno di questa cornice che habitat opera a livello nazionale con diciamo tutti i sentori locali e tutte le cooperative che si trovano sul territorio non accade in questo caso diciamo habitat tiene insieme le cooperative di comunità e le cooperative di abitazione questo è un chiaro segnale una volontà molto forte che vuole guardare alla casa e all'abitare ma chiaramente legata al contesto in cui si inserisce legata anche a un insieme di servizi che si trovano sul territorio ovvio poi che diciamo queste spie che abbiamo a livello locale ci mostrano come effettivamente dall'altro lato ci sono ancora tante cose su cui lavorare siamo molto molto costretto rispetto a diciamo tentativi che fanno queste realtà e pratiche sul territorio di rispondere in maniera multidimensionale a quello che è il bisogno e quindi come ricordava diciamo il presidente cardini oggi vanno anche trovati nuovi strumenti e nuovi spazi diciamo che quello che è sicuramente fondamentale è anche rendersi conto che abbiamo bisogno di conoscere qual è lo stato delle cose abbiamo bisogno di conoscere quello che è di cosa è fatto questo disagio abitativo anche a livello locale e quindi è chiaro che se noi vogliamo intervenire sui nostri territori anche diciamo in prospettiva di investire in questi territori e capire come investendo diamo risposta a quelli che sono i bisogni abbiamo sicuramente bisogno di avere un quadro conoscitivo chiaro ci sono state tutte queste risorse del pnr in tante città ci sono state grandi difficoltà presentati progetti vecchissimi che non davano nessuna risposta a quello che era il bisogno abitativo effettivamente in città quindi costruiamo intanto quello che è un quadro di conoscenza di quelli che sono i problemi e quindi solo così insomma possiamo capire come dare risposte costruiamo anche dei momenti degli spazi di confronto e costruzioni di politiche pubbliche perché quello che manca è che ci sono tutti questi diciamo tutte queste realtà che sono attive no la cooperazione sta facendo diciamo porta innovazione sociale nei nostri territori ma se l'istituzione pubblica non assimila da quelle che sono anche le esperienze gli apprendimenti di queste realtà è veramente difficile andare avanti e dotiamoci anche di strumenti di monitoraggio che siano in grado di valutare la qualità di questi interventi cosa che ancora oggi manca diciamo torneremo poi nel secondo giro diciamo su come questa rigenerazione urbana è anche una rigenerazione urbana comunque è un lavoro sull'abitare che va fatto a partire da tantissime questioni sociali di cui tener conto grazie grazie molte ecco una delle la la questione della sostenibilità sociale è entrata a pieno titolo anche nella finanza negli ultimi anni sia con i criteri i sg sia con una finanza appunto orientata anche all'impatto sociale e anche anche il vaticano ha stato interesse verso verso la finanza impatto sociale monsignor garantino questa è una strada è una strada percorribile per ridurre chiaramente l'isogliante e investire poi effettivamente ma certo se se dicessi che quella che la finanza impatto sociale non è un non è percorribile andrei contro tutto il lavoro che stiamo facendo che io stesso sto facendo ma che prima di noi lo lo hanno fatto lo stanno facendo in tanti per quale motivo perché ecco io trovo non lo so se se se sono d'accordo loro io trovo una grande continuità tra il tema ai temi che mette in campo l'economia sociale e l'impatto e l'investimento impatto sociale siamo sulla stessa siamo nella stessa nella stessa direzione si basano sugli stessi sugli stessi presupposti perché perché gli investimenti impatto sociale evidentemente mettono al centro la generatività del valore e non più o non solo o non la massimizzazione del profitto quindi c'è un'attenzione all'impatto complessivo all'impatto che viene generato e ora per potersi muovere in questo in questo percorso evidentemente bisogna bisogna percorrere bisogna mettere sulla strada di alcune alcune tappe particolari la prima secondo me proprio quelle del passaggio dal modello estrattivo a un modello generativo soprattutto in presenza di ciò che a cui stiamo assistendo da qualche decennio a questa parte e cioè che è sempre più spesso questo secondo me è una malattia mortale è sempre più spesso l'offerta a generare la domanda e non viceversa e non viceversa come sarebbe naturale ancora la formazione se ne parlava prima formare gente capace di portare i valori che spesso animano le non profit in un mondo della cooperazione sociale e del mutualismo nel cuore dell'economia di mercato e introdurre una correlazione in relazione positiva tra rendimento che deve essere auspicabile deve essere giusto perché molte volte quando si sente parlare di economia sociale di investimenti a impatto sembra quasi che vogliamo portare la gente nelle sacristie a fare i poveristi non è questo non è questo cioè c'è da salvaguardare evidentemente questa correlazione positiva tra rendimento ripeto auspicabile giusto e d'impatto sociale ed ambientale poi io penso che bisogna liquidare una buona volta per tutte la dichonomia che secondo me è una dichotomia tutta ideologica quasi una polarizzazione tra profit e non profit cioè se continuiamo ancora ad andare su questa strada troveremo sempre ostacoli faremo sempre fatica ad andare un po' più avanti si parlava della sostenibilità attenzione attenzione alla sostenibilità che sta diventando in questi ultimi tempi una sorta di colluttorio una sorta di colluttorio tra l'altro chi lo usa per una malattia quella ambientale chi lo usa per quella sociale chi per altri proprio giustamente parlando il 22 settembre del 22 ai giovani di economia di francesco dicevo che questa attenzione perché la vera sostenibilità è vera e sostenibilità ambientale ma è sostenibilità sociale e sostenibilità spiritua sostenibilità spirituale cioè se io lo dico prima per sorbetti se io faccio delle cose sto male dentro ma anche a fronte di di guadagni dove vado che impatto o poi ecco oltre questo per proposito di queste di queste di queste tappe anche questo è molto importante cioè coltivare la consapevolezza sostenibilità che quanto sto dicendo è quando stiamo dicendo una questione politica della migliore politica è vero che non dobbiamo noi aspettarci dai politici queste cose ma attenzione perché c'è bisogno di migliore politica per poter portare avanti questo tipo di progetti la politica spesso ha sue forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso i problemi che noi lamentiamo derivano lo sappiamo tutti quanti sono da regole del gioco sbagliate così come sono sbagliate le istituzioni economiche finanziarie ma alcune o buona parte delle istituzioni finanziarie politiche se non la politica può correggere può correggere davvero questi mali grazie grazie monsignor su vaticano diamo dopo qualche cosa ecco sul tema sempre della finanza è fondamentale l'accesso al credito ed è fondamentale un sistema bancario vitale professoressa beccali come si può sostenere un sistema bancario che punti a essere più solido ma anche più sostenibile nella nella sua varietà sì grazie buonasera innanzitutto direi che possiamo recuperare un termine centrale del fare banca che è il credito di relazione che mette in relazione la banca con il prenditore ed è un aspetto innaturato in particolar modo ad alcune tipologie di banca si è parlato prima del credito cooperativo così come delle banche di comunità in queste tipologie di banca il credito di relazione è fondamentale e pone queste banche in una condizione di saper meglio valutare i prenditori rispetto a grandi controparti bancarie tradizionali perché perché c'è una capacità di usare le informazioni che nascono dalla relazione dalla fiducia reciproca allora questo modello che è proprio tipico del credito cooperativo delle banche di comunità trova delle conferme empiriche recenti in termini di capacità di supportare al meglio lo sviluppo di piccole e medie imprese e questo vale per economie avanzate come quella statunitense o anche per economie emergenti come quella polacca e allora nell'ambito di questo centro di ricerca sul credito cooperativo che abbiamo da poco istituito in università cattolica ci siamo chiesti se questo valore distintivo del credito di relazione sia ancora rintracciabile nel nostro paese che come ben sappiamo è largamente costituito da imprese piccole o micro imprese e abbiamo trovato che il presupposto di questo credito di relazione è la prossimità, la vicinanza questo è un tema importante in anni in cui nel sistema bancario si assista alla chiusura di filiali in maniera progressiva e sempre più evidente e il rischio è che questa chiusura di filiali possa compromettere la prossimità e allora abbiamo cercato di quantificare il valore della prossimità con uno studio di geolocalizzazione piuttosto avanzato e rigoroso con riguardo a più di un milione di imprese italiane e a tutte le filiali bancarie italiane e abbiamo visto che grazie alla prossimità le banche di credito cooperativo sono meglio in grado di sostenere lo sviluppo delle piccole e medie imprese italiane quindi un supporto allo sviluppo territoriale, allo sviluppo imprenditoriale ma non solo è anche un valore in termini di contrasto alla desertificazione bancaria perché quando la banca di credito cooperativo è l'unica controparte bancaria possibile l'impresa che naturalmente ne trae un vantaggio, un beneficio ancora superiore in termini di accesso al credito e questo è molto importante per le piccole e medie imprese che sappiamo sono caratterizzate da vincoli di accesso particolarmente forti. Tutto questo ci porta al valore della biodiversità economico-finanziaria cioè il fatto di avere banche ontologicamente diverse con modelli di business diversi, con modelli di governance diversi è di per sé un valore, è un valore per il sistema finanziario ma lo è ancora di più per il sistema economico a cui il sistema bancario è di servizio perché questa è l'impostazione a cui dobbiamo tornare, una banca a servizio dello sviluppo e dell'economia reale abbiamo anche visto che questa biodiversità favorisce la coesione sociale quindi lo stretto legame tra banca e prenditori e territori e comunità di riferimento e anche favorisce l'inclusione finanziaria. Grazie, grazie professoressa. Professore Damani, torno da lei raccogliendo un po' gli stimoli che sono venuti, il signor Garantino diceva è ora di superare la dicotomia tra profit e non profit. Ha detto una cosa importantissima al signor Garantino perché la distinzione profit non profit l'hanno inventata gli americani ma siccome noi siamo italiani e quindi siamo fessi noi dobbiamo sempre prendere dagli altri pensando che le nostre radici non meridiano attenzione, questo è il dramma di noi italiani, chi primo aveva scritto Giacomo Leopardi alla fine del settecento nel suo osaggio in prosa, noi siamo fatti così abbiamo un tasso di creatività numero uno al mondo ma non siamo in grado di estrarre dalla nostra creatività quelle innovazioni sociali per le quali invece gli americani sono famosi. Perché la distinzione americana? Perché in America l'attività economica è solo for profit, l'impresa è solo for profit. Tanto è vero che il nostro codice civile 2247, io mi meraviglio che in settant'anni il nostro Parlamento non abbia cambiato quella porcheria, 2247 dice che l'impresa, la società commerciale è solo quella che opera per il profitto, quindi di fronte a questo siccome le realtà non profite c'erano, basti pensare al volontariato, gli americani furbi hanno detto ah sì, ma quelli sono non profit, però l'archetipo dell'agire economico è costituito dalle imprese for profit, soprattutto le corporation, le grandi eccetera, e adesso vediamo le conseguenze. Nella nostra tradizione non ci è mai stata quella distinzione, perché quelle che noi si chiamano terzo settore, espressione cognate in America, non nostra, in America 1973, le cose bisogna saperle però perché sono due autori americani che cognano l'espressione third sector, perché in Italia non c'era mai stata questa, come si chiamavano? Omi, organizzazione a moventi ideali. E quando sono nate? Nel 1200, quando le confraternite danno vita, pensate alle misericordie che ci sono ancora, in Toscana, in Umbria, anche nel Lazio eccetera, pensate a tutte le altre realizzazioni di quel periodo. Allora il punto qual è? Perché l'economia civile sta guadagnando terreno? Perché se noi manteniamo quella distinzione, rileghiamo un ruolo di sudditanza e di rilevanza per tutte quelle realtà, violando un principio di libertà. Ma perché devi obbligare la gente che vuole produrre valore, come diceva la generatività di Leonardo prima, ad assuvere la forma dell'impresa? Questa è violazione patente del principio di libertà. E ci sono anche degli accademici, anche prestigiosi, che vanno avanti a dire queste baggianate qui, senza che nessuno gli tiri loro le uova in faccia. È ora di farla finita. Perché quando viene messo in gioco il principio di libertà è un pasticcio. Perché tu devi dare la libertà di scelta alle persone. Perché io, per produrre valore ed essere generativo, devo per forza farlo secondo la logica capitalistica? Vorrei che qualcuno mi desse una risposta. Dice perché è più efficiente? Non è vero niente! Non è vero niente! Perché gli studi, anche più recenti, dimostrano che non è vero. Voi direte, ma ci dicono, ah sì, perché non si tengono conto l'esternalità. Sei più efficiente perché tu inquini, però non tieni conto dei costi dell'inquinamento, allora il risultato è più efficiente. Quest'altro invece, che è un'impresa cooperativa che non inquina, dice, è meno efficiente perché a fine anno. Ma non capite questa è tutta una presa in giro. Bisogna ribellarsi di fronte. Non si può andare avanti così. Perché ne va di mezzo alla nostra. Ecco allora perché in America la chiamano terzo settore. Perché il primo settore è il mercato. Il secondo settore è lo stato e residualmente c'è il terzo settore. Da noi, se volessimo ottenere questa logica, dovremmo chiamarlo primo settore. Perché è nato nel 1200 quando lo stato non c'era. Lo stato comincia nella seconda metà del 1600, lo sapete. Il mercato ancora non c'era. Bisogna aspettare il 1400. Quindi nell'esperienza italiana queste realtà nascono prima. Chi ha creato gli ospedali secondo voi? L'università di Bologna. La prima università del mondo. Sapete quando viene creata? Nell'anno 1088, 1088. E secondo voi chi l'ha fatta? Cioè lo stato, il sindaco dell'epoca? No, l'ha fatto un gruppo di famiglie che allora non c'erano le cooperative, ma che si cooperativizzano per dare vita a quell'istituzione che è l'università di Bologna, da cui poi sono nate le A e così via. Allora, per concludere, il punto qual è? Dobbiamo abituarci a capire che oggi il modello bipolare di ordine sociale basato sul stato e mercato non può più funzionare. Dobbiamo andare, ci sono tanti studi, pensate a Rajan, Basu, eccetera, per fortuna. E non sono italiani, ma perché sono intelligenti. Non hanno la paura di essere consigliati inferiore agli altri. Un modello tripolare, stato, mercato, comunità, dove comunità vuol dire dare la possibilità alle persone individualmente o in forme organizzative di realizzare. E per far funzionare questa triade, il principio che va applicato è il principio di sussidiarietà. Di sussidiarietà circolare, non quella orizzontale che quella hanno preso in giro. Ora le cose stanno cambiando anche da noi finalmente, perché la Corte Costituzionale, il 26 giugno del 2020, ha emanato la sentenza 131, che dice esattamente quello che ho detto con altre parole. E cioè dire, le forme espressive della società civile organizzata hanno adesso, non prima, una tutela e un riconoscimento costituzionale al pari dello stato. E questo perché? Perché i beni di cui noi abbiamo bisogno sono di diverse categorie. Abbiamo bisogno dei beni privati, è vero, e ci pensa il mercato. Abbiamo bisogno dei beni pubblici e chi ci pensa all'ente pubblico, stato, regioni, province, ma abbiamo bisogno anche dei beni comuni, dei beni relazionali. Poi a un economista mainstream, diteli, qual è il modello di governance per la gestione di un bene comune? Perché finora si diceva, oh, la gestione deve essere privatistica o pubblicistica e vediamo i risultati. Le alluvioni di qua e di là, eccetera eccetera. La gestione deve essere di tipo comunitario. E parlare di queste cose in Trentino è più facile, perché i Trentini, questo senza teorizzazioni varie, l'hanno capito da sempre. Perché la gestione dei pascoli lassù in montagna è di tipo comunitario, non è di tipo pubblico, eccetera. Poi le cose anche lì sono cambiate. Ecco, concludendo la prospettiva dell'economia civile, che nasce in Italia nel 1753, è a Napoli. La prima cattedra al mondo di economia è quella di Napoli. E si chiamava cattedra di economia civile. Poi da Napoli va a Milano e altrove, eccetera. Ecco, ritornare a queste origini è oggi un modo molto concreto di farci, non tanto perché dobbiamo affermare sul scena internazionale che gli italiani hanno rappresentato e rappresentano qualcosa di innovativo. Certamente in ambito socio-economico, tutte le grandi creazioni sono tutte italiane. Tutte italiane. Tutte. Il problema è che noi non le sappiamo perché non ce le fanno dire e non ce le fanno insegnare, perché ci autocensuriamo. La verità è questa. Pensate ai monti di pietà. Chiedete a Elena, che lei è grande espertia di finanza, ma i monti di pietà chi li ha inventati? Non li hanno inventati i francescani? E la banca, le BCC di oggi non sono le redi degne dei monti di pietà? E così via con tanti altri esempi. Il motivo di ritenere che non ci voglia ancora tanto tempo prima che a questo sia... perché ormai i tempi sono maturi. Poi quando la gente vede inutile fare tanti lavaggi del cervello, guarda i fatti e dice non ce la facciamo più andare avanti in quella maniera. Grazie. Grazie, professore. Il tema della transizione energetica. Anche qui l'economia civile ci può venire in aiuto. Abbiamo visto per riferare per esempio delle comunità energetiche, che sono un fenomeno recente degli ultimi anni. C'è sempre il rischio, come dicevamo all'inizio, che la transizione energetica si scarichi poi di fatto sulla società creando delle nuove diseguaglianze. Da questo punto di vista l'economia civile come sta agendo? L'economia civile dice semplicemente che è la lentezza della transizione energetica che crea danni sociali devastanti. Quindi il problema è proprio la lentezza. Più andiamo lenti, io penso che alla fine ce la faremo. Perché per fortuna le fonti rinnovabili costano molto meno delle fonti fossili e è stato molto bello quello che ha detto Starace qui al festa dell'economia civile, ha detto, ce la faranno gli italiani. Io giro l'Italia, l'Italia ha migliaia di progetti, ci sono un milione di persone che sono collegate in rete che mettono energia. Gli obiettivi del clima li realizzeranno gli italiani mettendo i loro impianti, facendo una fatica mostruosa, litigando contro il gestore della rete perché ritarda a fare gli allacci. Però la rivoluzione la faremo noi perché questo è un popolo pieno di energie, è pieno di risorse, è pieno di progetti. Lo Stato non deve fare progetti, deve autorizzare, deve anche gestire il traffico in maniera oculata perché oggi se hai un ettaro di terreno in campagna arriva una società che ti dice dammi il terreno, te lo fitto a vent'anni e te metto tutti i pannelli a terra. Non c'è bisogno, io ho scritto un libro rinnovabili subito dove ho spiegato con due ingegneri che non c'è da occupare tutto questo spazio, bastano le industrie, i tetti delle industrie, delle aree dismesse, i tetti delle case, non nei centri storie, quindi paesaggio e cose vanno tutto insieme. Però più noi siamo lenti a fare questa cosa e più i costi sociali saranno pesanti perché il riscaldamento globale produce 3 cose, un dato di calore, siccità e eventi climatici estremi e noi tutte queste cose ce le possiamo risparmiare, ci possiamo risparmiare delle discussioni inutili come quella sul motore a scoppio il 2035 ma tra tre anni le macchine elettriche costreranno molto di meno. Voi segnatevi questa cosa, io adesso sto preparando un libro, mi sto conservando tutti i tweet più uno oggi, l'altro giorno ho detto professore, le rinnovabili al massimo serviranno per il led del telecomando, voglio fare un bel libro, ma guardate che avremo ragione tra mesi, non tra anni, Cioè, stiamo parlando di qualcosa, la legge di Moore nel settore delle rinnovabili sta facendo crollare i prezzi, siamo arrivati già, e io mi ricordo, vent'anni fa che noi già allora dicevamo no fossil fuel, guardavamo come una cosa, la grid parity era un miraggio, la grid parity era quando le rinnovabili sarebbero costate come fossi, ma adesso siamo andati molto oltre, quindi queste battaglie di ritroguardia sono inutili, però tornando all'econo, quindi cerchiamo di accelerare queste cose per non creare danni sociali agli italiani, e dico quello che ha detto Stefano in una bella intervista, perché a Rimini non c'è stata, dico io che non l'hai detto tu, perché a Rimini non c'è stata, l'alluvione c'è stata da alcune parti ma non a Rimini, perché a Rimini dieci anni fa c'è stato un progetto di co-progettazione, per cui le parti sociali, il sindaco hanno fatto un piano delle acque, quindi la cittadinanza attiva vuol dire questo, vuol dire costruire assieme risposte e soluzioni, due cose dobbiamo fare e qui chiuderò, quindi prima cosa come è stato detto basta questo modello dove si massimizza il profitto non importa come, si creano danni e poi riva il terzo settore con le sue croce rossine a mettere i cerotti, questo sistema non è generativo, il sistema generativo dove tutti sono felici perché fanno qualcosa di utile per la società è creare valore in maniera sostenibile, le imprese stanno andando in questa direzione anche dal profit, pensate alle Benefit Corporation, alle B Corp, agli amici che sono con noi in Vaticano, la Hilli, Chiesi, eccetera eccetera, anche grandi imprese profit, l'altra cosa che a me mi fa imbessialire è quando parlano di Olivetti, Olivetti era una gran persona, però parlare di Olivetti vuol dire una cosa in realtà, si c'è stato una volta uno Spartaco che ha fatto la ribellione però poi è stato sconfitto, come se esistesse solo Olivetti, è una follia, noi con Next è una nuova economia per tutti e abbiamo censito mille buone pratiche, ci sono buone pratiche nel settore della cosmetica, il nostro amico Livio Bertola che fa la cromatura per lei, ci sono delle imprese degli Olivetti straordinari nel nostro Paese e siccome la gente non ci crede noi abbiamo creato anche una piattaforma online di consumo responsabile che si chiama Giosto dove vendiamo i prodotti, io sono diventato un venditore di pentole ormai da studiosi di Keynes, ma perché mi appassionano queste aziende, l'economia carceraria in Italia riduce dell'80% la recidiva femminile in carcere, è un guadagno per lo Stato, ci fanno i bonda nei Paesi anglosassoni perché lo Stato risparmia soldi e queste sono aziende straordinarie, l'agricoltura sociale, il reinserimento lavoro e tutte queste robe qui, però ripeto oggi dobbiamo comunicare tutto questo, dobbiamo raccontarlo, ecco perché la nostra strategia è unire i generativi, allearsi con le buone pratiche, fare squadre e comunità di innovazione sociale, l'ultima cosa dobbiamo cambiare un po' gli occhiali, questo devo dire il sole anche il sole lo sta facendo con gli indicatori di benessere eccetera, però ancora ci manca qualcosa e io perché dobbiamo cambiare occhiali? Io mi ricordo il 2015 abbiamo presentato il World Happiness Report, il rapporto mondiale sulla felicità a Roma e in Irlanda c'erano le elezioni, l'Irlanda aveva aumentato il PIL del 6% e il governo vincerà sicuro, ma era un PIL fasullo perché le aziende andavano lì a mettere a sede fiscale e la qualità della vita delle persone era peggiorata e il governo perse le elezioni, allora cominciamo a misurare la qualità della vita, la generatività, il capitale sociale, anche il PIL ovviamente, e concludo con una battuta, ma questo veramente lo dico come interesse perché voi avete fatto un grande lavoro su questo l'ultima volta che è stato pubblicato il rapporto io lo chiamo il paradosso di Chieti, in prima pagina c'era l'indicatore di benessere multidimensionale importante, reddito, salute, strutture, opportunità di lavoro, le grandi città vincono, Milano eccetera poi c'era una pagina interna con la classifica della felicità dichiarata dai cittadini, e prima era Chieti che era quarantesima nell'altra classifica, allora guardate due sulle cose, o i cittadini di Chieti se sbagliano a dire che sono felici e mi sembra difficile dire una persona guarda ti sbagli, se lo dice lo è, oppure forse noi ancora dobbiamo fare qualcosa per capire e io dico che quella cosa che dicevo prima, io dico tu puoi avere reddito, salute, istruzione anche ma il massimo benessere alla scandinava, ma se passi la giornata sragliato sul divano non sei generativo, cioè l'ultimo miglio della felicità è mettersi in modo per un fine che ci appassiona e quello secondo me è la congiunzione su cui noi dobbiamo lavorare. Un piano strategico di Rimini, dodici anni fa venne presentato in Consiglio comunale di Rimini per l'approvazione, sapete da chi? Dal Vescovo di Rimini, il risultato fu che venne approvato alla unanimità, maggioranza e opposizione, perché l'argomento era se la società civile chiede chi è quel partito che può opporsi? Che è quello che diceva Leo, se noi ci aggreghiamo la soluzione ai problemi ci c'è. Bene, grazie. A proposito di buone pratiche, voi a Catania avete creato una cooperativa di comunità urbana che vuole proprio cercare di affrontare il problema del disagio obitativo ma anche dei quartieri degradati. Dicevamo prima le cooperative come modello che possono incidere generando valore, come lo state facendo concretamente, perché poi generare valore è un bello slogan, però poi come si cara in realtà anche abbandonate problematiche dove magari ci sono situazioni incandite da tempo, come si riesce poi ad agire concretamente? Sì, esatto, proprio questo, rispetto ai temi accennati prima, ci sono grandissime porzioni dei nostri territori che soffrono delle condizioni di vulnerabilità molto forte dove c'è una grande concentrazione. Nel caso specifico noi operiamo nel quartiere di San Berillo, è molto conosciuto a livello nazionale non solo, ed è un quartiere residuo di un'operazione di sventramento degli anni 60, quindi che ha visto la demolizione della maggior parte del sud e sud urbano e che ha visto quindi l'effetto delle grandi operazioni di speculazione e cosa comportano a livello sociale. Di fatto la porzione resistita allo sventramento di questo quartiere storico San Berillo, un quartiere comunque che nasce alla fine diciamo il 1800, quindi parliamo di patrimonio storico nel pieno centro storico della città di Catania, è un quartiere che è stato da 60 anni ormai abbandonato completamente dai proprietari ed è stato negli anni abitato da diverse parti di comunità che hanno trovato ospitalità in questo quartiere, è stato per tanti anni il quartiere a luci rosse, grandi operazioni di polizia che hanno rimosso la prostituzione e sono arrivati tantissimi migranti stranieri perché i costi delle case erano bassi e addirittura i proprietari non esistevano quindi c'era comunque un tetto dove stare. È chiaro che in questi contesti la complessità e la concentrazione della vulnerabilità è molto forte e il nostro lavoro in realtà inizia dieci anni fa, noi abbiamo deciso di costituirci in cooperativa sociale di comunità nel 2020, quindi diciamo abbiamo fatto adesso tre anni, ma a margine di un lavoro molto lungo in questo quartiere in cui si è prima cercato di capire cos'era, cioè chi era questa comunità, è un quartiere che nella narrazione viene sempre descritto come il quartiere del Degrado, è un quartiere dove non ci sta nessuno e se proprio qualcuno ci sta è la parte peggiore della società che deve essere completamente cancellata, quindi questo è un po' una cornice molto sintetico di quello che è il quartiere di San Berillo, che ovviamente come San Berillo ce ne sono tantissime e tante altre città e quello che è successo è che abbiamo iniziato ad abitare questo quartiere, abbiamo iniziato a dire che lì ci vivono persone, prima ancora di essere persone che esercitano il mestiere della prostituzione, prima ancora di entrare nel dettaglio delle varie marginalità di queste persone, ma prima di tutto sono persone e quindi abbiamo iniziato anche un po' a cambiare questa narrazione sul quartiere di San Berillo, abbiamo iniziato ad abitarlo come altri, anche il nostro modo di abitare pur non dormendoli la notte era un modo di abitare e lo abbiamo fatto interagendo con uno spazio urbano, uno di quegli immobili a San Berillo abbandonato da 60 anni, utilizzato occupato, incendi, pieno di rifiuti, vi dico solo che i lavori di ristrutturazione hanno previsto un mese e mezzo solo per rimuovere i rifiuti che c'erano all'interno di questo immobile e parliamo di un intervento di recupero quindi urbano, un intervento in cui abbiamo riaperto un posto, un immobile del centro storico, immobile privato per aprirlo alla città, è un immobile che un privato ce l'ha lasciato in gestione, dove abbiamo iniziato ad attivare piccoli servizi, laboratori, attività di incontro, occasioni di scambio, è chiaro che in questo percorso l'abitare è stata una questione centrale perché quando vedi tutto questo patrimonio abbandonato e gente che vive per strada come fai a non pensare che serve lavorare sull'abitare, serve provare a fare questo match tra domanda e offerta e quindi abbiamo iniziato a ragionare di quello che abbiamo realizzato negli ultimi anni, il motivo per cui siamo diventati cooperativa sociale di comunità, un housing al primo piano quindi abbiamo un appartamento dove ospitiamo una famiglia straniera e un altro appartamento con nove posti letto dove ospitiamo persone che hanno difficoltà ad accedere al mercato abitativo, al piano terra invece abbiamo aperto questa caffetteria sociale connessa a servizi di prossimità, connessa al lavoro sul portierato sociale e quindi abbiamo effettivamente non solo riaperto un edificio dimostrando quindi che in quel quartiere si può fare qualcosa, non servono grandi investimenti sicuramente ci sono state tante risorse e tanti sacrifici in questa ristrutturazione ma non servono le grandi risorse e che anche l'economia sociale può generare valore, il valore può essere semplicemente aprire uno spazio in un quartiere in cui non esiste nulla e la maggior parte di edifici sono chiusi, inserire dei servizi che vanno semplicemente dal ricarico il telefono perché vivo per strada e non so neanche dove farlo, utilizzo i servizi tecnici, trovo risposta rispetto a domande banali dove risolvo un problema di documenti, ho bisogno di trovare una casa, dove posso trovare una casa e anche un posto dove tessere relazioni, è veramente molto difficile raccontare questo lavoro in questi pochi minuti ma è esorto tutti chi è interessato a conoscere questa realtà di trame di quartiere perché secondo me con tutte le difficoltà che chiaramente si riscontrano in queste situazioni è chiaro che secondo me rappresenta un possibile esempio di come l'economia civile può generare valore nei luoghi e su questo mi sento anche di fare un'osservazione a conclusione che si citava prima ma anche stamattina un po' la relazione con l'istituzione pubblica, spesso succede che queste pratiche e questa economia sociale nasce proprio sul rattoppo lì dove c'è una mancanza del welfare pubblico, ma è chiaro che non può sostituirsi al welfare pubblico, noi ci troviamo in una situazione in cui le nostre risorse anche volontarie, abbiamo soci lavoratori ma ancora operiamo con tanto volontariato, ci troviamo in una situazione di aggressione continua, aggressione continua perché c'è un abuso di sostanze di uso non è solo lo spaccio ma anche abuso di sostanze stupefacenti e droghe, parliamo di crack, parliamo di droghe che stanno distruggendo le persone anche minorenni che ne fanno uso all'interno di una porzione che è così accessibile dal centro città e quindi è chiaro che il nostro lavoro può essere il lavoro migliore del mondo ma se noi non abbiamo una pubblica istituzione che si occupa e si prende la responsabilità del suo pezzo di lavoro rispetto a delle questioni sociali è una vulnerabilità sociale che è diffusa nelle nostre città, è chiaro che diventa un limite, non possiamo arrivare fino a un certo punto ma dobbiamo anzi spingere le istituzioni a farsi carico di quelle che sono le loro responsabilità. Certo, non può essere una stampella l'economia civile per le mancanze altrui e ci mancherebbe chiaramente. Certo, si può fornire al massimo diciamo una lente di osservazione rispetto a una situazione che conosciamo molto bene vivendoli quotidianamente ma è chiaro che alcune difficoltà quotidiane non possiamo gestirle da soli. Grazie. Monsignor Gantino si è parlato dell'economia civile che è un'economia generativa che ridà valore alle persone ma anche il senso della persona. L'economia civile che la Chiesa al tempo stesso accoglie anzi promuove e da questo punto di vista quale pensa che sempre di più debba essere il ruolo della Chiesa rispetto a queste realtà che sono realtà che appunto ormai urlano una richiesta di senso, di senso nel lavoro, di senso nelle relazioni, di senso nelle realtà urbane. Sì, solo due o tre affermazioni così che leggo decisamente a quando già è stato detto fin qui. Intanto mi piace quando ha ricordato il fatto del bescovo di Rimini e il professore ha citato la prima cazzata di economia sociale a Napoli ma il primo professore è stato Antonio Genovesi. L'altra cosa che proprio in risposta a quello che lei diceva è questa. Io penso che persone come Frusosa Magni, il professor Becchetti, altri, anche la professoressa Beccalli e chi si interesse di economia sociale in questi ultimi tempi penso si sentano un poco più accompagnati dalla Chiesa. È vero o no? Penso si sentano accompagnati dalla Chiesa. Perché? Perché per fortuna siamo passati come Chiesa da una sorta di idiosingrasia spesso ipocrita nei confronti dei temi di economia nella Chiesa a un momento in cui ci stiamo impegnando ma grazie alla loro spinta, grazie anche ad alcuni problemi che io ritengo drammatici ma provvidenziali. Cioè che stanno portando la Chiesa ad interessarsi dell'economia ma in maniera intelligente, in maniera davvero partecipativa. E da questo punto di vista è chiaro che la Chiesa non ha una scuola, una sua scuola di economia ma chi è attento a quello che sta succedendo in questi ultimi tempi nella Chiesa intanto ripeto non troverà estraneo l'interesse della Chiesa per l'economia e per l'economia sociale e anche per gli investimenti a impatto. Io sono un po' responsabile ancora per poco di tutta questa roba però è interessante, io sintetizzerei un po' tutto il lavoro che tutto quello che è stato detto qui dentro e che si va facendo con qualcosa che Papa Francesco ha detto solo qualche mese dopo essere stato eletto. Nella Evangelica Audium al numero 203, voglio leggere voi come conclusione almeno per quanto mi riguarda, dove lui guardando un po' il sistema economico, il sistema finanziario ha detto guardate che ci sono parole che sono diventate scomode per questo sistema. Da fastidio che si parli di etica, da fastidio che si parli di solidarietà mondiale, da fastidio che si parli di distribuzione dei beni, da fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, da fastidio che si parli della dignità dei deboli, da fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. A volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora, la comoda indifferenza di fronte a queste previsioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. Quindi se ne va a farsi benedire ogni generatività, quando si vive si vive con fastidio quanto ora veniva detto e quando veniva anche affermato sulla base della esperienza dalla dottoressa anche Barbanti. Grazie, grazie Monsignore. Concluderei con un aspetto di attualità gli ESG, i parametri di sostenibilità ambientale e sociale e di governance che sappiamo ormai sono un po' le linee guida dell'impresa. Ecco l'ESG è sempre quella che viene un po' trascurata, si è molto focalizzati sull'ambiente, un po' meno sulla governance, l'ESG si fanno magari le iniziative di volontariato aziendale, si fa qualche proclama ma viene un po' trascurata. Ecco, consapevoli che chiaramente c'è un problema anche di metodologia, perché non è facile misurare l'impatto sociale, però non si corre un po' il rischio in questo modo di avere un criterio decisamente parziale, insomma, professoressa, come se ne può uscire per spingere anche su questo criterio? Questo è un tema, a mio avviso, molto delicato, perché se ne parla molto ma allo stesso tempo queste metriche ESG soffrono, soffrono di una serie di criticità, una è questa, la S è difficile da quantificare ed è difficile tradurre l'impatto sociale, ma c'è un rischio, a mio avviso, ancora maggiore che quello di ritenere queste metriche ESG come un fine piuttosto che come uno strumento, perché sono delle metriche che dovrebbero orientare gli investimenti in logica di sostenibilità integrale, possibilmente, e in realtà spesso è semplicemente l'idea di avere un investimento in un titolo ESG e di per sé è sufficiente, questo non è chiaramente. Quindi corriamo un tema di inversione, un rischio di inversione a mezzo fine che è piuttosto pericolosa, anche perché provider diversi di queste metriche forniscono dei punteggi molto diversi tra loro, sono poco confrontabili, questa divergenza di opinione rende ancora più difficile indirizzare le risorse verso un effettivo orientamento a investimenti per la sostenibilità. E questo porta con sé un altro tema di attenzione, ciascuno di questi aspetti meriterebbe più tempo, però il tema di attenzione è la relazione di questi punteggi ESG con i rendimenti azionari, perché? Per molti anni abbiamo osservato una correlazione positiva, quindi buone metriche di sostenibilità si sono associate a buoni rendimenti azionari. Ora però cominciamo a vedere che soprattutto quando c'è convergenza nelle opinioni dei provider la correlazione punteggi ESG e rendimenti azionari diventa negativa. E allora nel momento in cui ci trovassimo di fronte ad un conflitto tra il rendimento che è l'obiettivo tradizionale e la sostenibilità, cosa dovrebbe prevalere? Questo a mio avviso ci porta a un cambio di paradigma necessario che è quello di includere gli elementi di sostenibilità nella funzione obiettivo di un portafoglio da ottimizzare e non più come vincolo, perché questo è quello che il Mestrem ci suggerisce di fare, ma attenzione perché questo può diventare problematico. Chiudo con un'ultimissima considerazione perché si parla tanto di grandi masse di investimenti sul mercato appunto indirizzata l'ESG, attenzione perché questi investimenti sono sul mercato secondario, il che vuol dire che non si traducono in risorse fresche per le imprese da destinare investimenti per la sostenibilità, si traducono eventualmente in caso di future emissioni sul mercato primario in migliori costi del capitale per l'impresa, ma appunto la grande attenzione che oggi si riserva a queste masse che appaiono così ingenti sul mondo ESG in realtà non si può tradurre in investimenti dedicati al mondo della sostenibilità e questo è un elemento ben messo in evidenza dalla Commissione degli Episcopati dell'Unione Europea in un ottimo documento, una finanza per il bene comune che credo meriti di essere letto da parte di tutti noi. Grazie. Bene, ringrazio tutti i relatori per la partecipazione, ringrazio tutto il pubblico in sala per essere stati con noi, grazie molte.
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