Democrazie e costituzioni
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Democrazie e costituzioni
Il dibattito vede la partecipazione di Daria De Pretis e Marta Cartabia. Le relatrici discutono il rapporto tra democrazia e Costituzione, analizzando la democrazia rappresentativa italiana, i limiti imposti dalla Costituzione alla sovranità popolare, e il ruolo di istituzioni come la Corte Costituzionale. Vengono esaminati i pericoli della tecnocrazia e le sfide poste da riforme costituzionali, come quella sul premierato, alla stabilità e alla rappresentatività del sistema. Infine, si riflette sulla crisi globale delle democrazie e sulla necessità di preservare il pluralismo e il rispetto dei diritti fondamentali.
Buongiorno a tutti, buongiorno. Oggi abbiamo ospiti in questo dibattito due grandi esperti di Costituzione, Daria Depretis che è Vicepresidente emerita della Corte Costituzionale e Marta Cartabia, oggi professoressa alla Bocconi ma già Ministro della Giustizia e Presidente della Corte Costituzionale, dopo che è restata giudice per nove anni, se non ricordo male. Grazie. L'incontro di oggi ha un tema molto vasto e molto accattivante, il tema è democrazie e Costituzioni e quindi se parliamo di democrazia e parliamo di Costituzione, partiamo con la professoressa Cartabia e partiamo dall'inizio. La sovranità appartiene al popolo che l'esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Ora questo è il quadro, la cornice forse su cui si inserisce il rapporto oggi tra che cos'è la democrazia, che cos'è una Costituzione, la parola del limite e quindi la domanda è la Costituzione cos'è, un limite alla democrazia, pone limite alla democrazia o è una garanzia alla democrazia? Grazie, grazie intanto di questo invito e di questa occasione di riflettere sui temi fondamentalissimi della nostra convivenza civile, non ci sono parole che vadano più al cuore del nostro essere parte del medesimo Paese che non democrazia e Costituzione. Il rapporto fra queste due parole può essere raccontato in tanti modi diversi, io la prenderei così, la nostra Costituzione repubblicana cosa intende per democrazia? Lei ha già letto l'articolo principale, il primo, quello che le parole, la sovranità appartiene al popolo che l'esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, è l'articolo 1 della nostra Costituzione di cui di solito noi ricordiamo altre parti ma qui c'è veramente il cuore del rapporto tra Costituzione e democrazia. Allora prendiamo due parole chiave, forme e limiti dell'esercizio della sovranità popolare, allora vuol dire che la nostra Costituzione ci dà una traccia di quali siano le forme con cui si esprime la democrazia e quali siano i limiti. Forme, perché parlare di forme della democrazia? Cos'è la democrazia? In fondo noi tutti abbiamo un po' sempre nella mente l'idea della democrazia dell'età d'oro di Pericle quando il popolo o una parte di esso, solo gli uomini con una certa capacità anche economica, si ritrovavano nell'agorà a decidere le cose della vita pubblica. Ora le nostre democrazie non sono più quelle, ma allora che forma ha la nostra democrazia? Come si esprime? Se noi andiamo a vedere la struttura della nostra Costituzione, la scelta fondamentale della democrazia costituzionale italiana è rappresentativa. Il cuore è l'elezione dei rappresentanti nella Assemblea parlamentare, i quali a loro volta daranno vita a un governo legato al Parlamento con rapporto di fiducia e elegeranno il Presidente della Repubblica. Tutto ruota intorno lì. Ci sono altri aspetti, altre modalità con cui si esprime la democrazia? Sì, certo il referendum abrogativo, ma anche le autonomie locali. Il popolo non elege solo il Parlamento, elege anche i consigli regionali, ovviamente i comuni, ma il perno, l'asse portante, il tronco della democrazia così come è immaginato nella nostra Costituzione ha natura rappresentativa. Perché questa scelta? Perché la modalità della democrazia rappresentativa è quella che meglio esprime la pluralità delle voci del popolo. Perché noi tante volte abbiamo l'idea quando diciamo la volontà popolare, la sovranità popolare, come se ci fosse un'unica voce e invece alla base di questa scelta per la democrazia rappresentativa c'è un'idea molto chiara e cioè che il popolo si esprime al plurale con opinioni diverse e poi cerca di arrivare a un'unificazione delle scelte condivise. Lo vediamo nell'articolo 2, nell'articolo 49, cioè i partiti al plurale, i sindacati, le formazioni sociali, le associazioni. C'è questa idea di un popolo che non è una volontà generale dell'epoca della rivoluzione francese in cui c'è un unico interprete, un'unica volontà popolare, ma ce ne sono tanti. Questa è la ragione per cui la scelta della democrazia rappresentativa è quella che meglio permette a questa pluralità di esprimersi, ma poi ci sono i limiti. Professoressa De Petris, oltre ai limiti ci sono le regole perché nel rapporto tra costituzione e democrazia c'è anche, si inserisce diciamo il rapporto tra democrazia, costituzione e politica e quindi la scelta. Ora molto spesso anche nel dibattito odierno pare che la scelta, la democrazia, sia semplicemente una scelta, una delega. Io voto, mi affido, delego, poi c'è forme di stato, di istituzione, di governo diversi, ma io ho esercitato il mio diritto e dopo di che, per altri, se va bene, cinque anni ho finito. Ma non è democrazia questo o è un limite questo? Invece c'è tutto un altro pacchetto che lei vi dice. Prima mi ha parlato di un pacchetto, la democrazia è un pacchetto. Sì, uso spesso questa espressione quando cerco di spiegare come è complessa la dinamica e il gioco delle regole democratiche, perché proprio partendo da quello che raccontava prima Marta Cartabia, l'articolo 1, la sovranità appartiene al popolo. Il popolo è sovrano, tutto il potere è del popolo, però anche il popolo è soggetto a limiti. Anche il popolo non può fare ciò che vuole, ma deve rispettare quelle regole che ci si è dati. Sono regole che stanno nella Costituzione, sono regole che sono dirette a garantire che cosa? A garantire la libertà, la libertà ai diritti delle persone, perché anche il popolo può sbagliare. Noi l'abbiamo visto nella storia, i regimi dittatoriali nel del novecento non sono nati attraverso procedure extra istituzionali, sono nati attraverso un volere della maggioranza, perché anche la maggioranza può sbagliare. Il senso delle Costituzioni e quindi di questa democrazia matura che si esprime nelle Costituzioni è il fatto che ci sono delle regole, e queste regole presidiano anche libertà, quindi ci sono libertà e ci sono diritti che nemmeno il popolo può mettere in discussione. Quindi quando dico pacchetto intendo dire appunto che c'è la rappresentanza, quindi i rappresentanti diretti del popolo che quindi traducono la sovranità nelle istituzioni, ma ci sono anche i limiti e c'è qualcuno che deve controllare il rispetto di quei limiti e i controlli sono molti in un sistema complesso come il nostro, per esempio c'è il controllo della Corte Costituzionale che è anche prevista nella Costituzione e in tutte le Costituzioni, diciamo liberali, democratiche come la nostra, che veglia sul rispetto di questi limiti. Per cui se anche i rappresentanti del popolo facessero una legge che incide o limita oltre ciò che è consentito dalla Costituzione, per esempio i diritti delle persone, ecco che c'è un presidio nella Costituzione, la Corte Costituzionale, che interviene e può eliminare anche un atto voluto dalla maggioranza parlamentare, quindi dai rappresentanti del popolo. Poi tornando alla prima parte della sua domanda molto brevemente, lei dice uno delega una volta per tutte, è anche questo un grande tema, quello della partecipazione perché le Costituzioni moderne cercano di salvaguardare qualche cosa di quell'esperienza antica dell'agorade, della democrazia vissuta sulla piazza, facendo sì che non ci sia soltanto un momento di delega e poi ci si dimentica, ma c'è un dibattito pubblico che continua attraverso le forme di partecipazione più varie, anche le forme di partecipazione che esercita per esempio la stampa, il controllo e i partiti. Uno dei grandi motivi di crisi del nostro sistema democratico oggi, ai quali si cerca di rimediare con riforme che spesso toccano i vertici delle istituzioni, ma uno dei motivi di crisi, io personalmente sono convinta di questo, nasce proprio dal basso, dalla crisi dei partiti, perché i partiti erano proprio i luoghi che avrebbero dovuto consentire questo collegamento costante e far sì che quella pluralità di voci che c'è nella società e che è assolutamente preziosa per arrivare poi alle soluzioni giuste venga portata e tradotta nelle sedi proprie, che è la sede parlamentare, che è quella che garantisce quel pluralismo di voci che non è soltanto funzionale a far sì che ciascuno possa far sentire la sua voce, che è pur importantissimo, ma è funzionale anche per raggiungere le soluzioni migliori, perché le soluzioni migliori si raggiungono proprio discutendo, riflettendo, ascoltando le voci di tutte, poi cercando di arrivare ovviamente a una composizione, a una scelta che ovviamente non può che essere della maggioranza nel rispetto delle regole. Posso tornare sul punto del limite, perché poi mi sono dilungata sulle forme, volevo riallunciarmi a una cosa che ha detto prima Daria Depreti, sui limiti alla democrazia, alle espressioni della volontà popolare. Immaginiamo una situazione in cui un Parlamento con un'ampia maggioranza, due terzi, quattro quinti, voti una, per assurdo, siamo a fare dei ragionamenti per assurdo, una abrogazione della libertà di pensiero. La professoressa Depreti diceva, la democrazia incontra dei limiti soprattutto nei diritti delle persone, per questo ci stanno le corti costituzionali, a presidiare i diritti delle persone e tante altre cose anche rispetto alla volontà popolare. Immaginiamo questo scenario, ampia scelta di un Parlamento che decide eliminiamo la libertà di pensiero. Questa è una scelta democratica, se noi guardiamo solo alle forme, magari sì, perché uno dice se il Parlamento che ha deciso, pergiunta anche con una grande maggioranza, ma la Corte Costituzionale interverrebbe ad annullare una legge di questo genere. Perché? Perché la democrazia non è potere illimitato anche se espresso dai rappresentanti del popolo o dal popolo direttamente, un referendum che vuole abrogare la libertà di pensiero. E anche rispetto di contenuti e la nostra storia ce lo ha insegnato, perché le nostre Costituzioni, ricordiamocele quando sono state scritte, quando con forme ordinarie sono state instaurati delle forme di totalitarismi. Professoressa, questo è anche il tema della separazione dei poteri e quindi di un equilibrio di poteri. Lei ha citato la Corte Costituzionale e potrei dire anche la Presidenza della Repubblica, così come è pensata oggi dalla Costituzione. Lei crede che la Costituzione debba in tutti i modi preservare queste istituzioni separate con queste forme di equilibrio? Le Costituzioni nascono per questo. Articolo 16 della Dichiarazione dei Diritti dell'uomo del cittadino. Un popolo che non conosce la separazione dei poteri e non sa garantire i diritti non ha una Costituzione. Due pilastri. Il mio maestro Valerio Nide l'aveva scritto in un bel libretto, proprio rivolto a tutti i cittadini, a tutti gli studenti, la Costituzione, in cui parte da lì. I due pilastri delle Costituzioni che nascono per porre fine ai poteri assoluti, all'epoca, alla fine del Settecento era il potere assoluto del Re, e che viene rinnovato con le Costituzioni del Setuondo dopo guerra alla fine dei totalitarismi, è ribadire questi due principi essenziali. Separazione dei poteri e garanzia dei diritti. E ci diceva Montesquieu che la separazione dei diritti serve per garantire la libertà. Non è una tecnica ingegneristica di gestione dell'azienda-stato. Non è un problema di organizzazione più o meno efficiente. È un problema di libertà di tutti. Senza questi pilastri noi buttiamo sotto le scarpe la conquista del Costituzionalismo che è una conquista di libertà delle persone. Professor Ester De Petris ci introduce questo, un altro argomento che è in questo discorso. I poteri non eletti. Negli ultimi anni abbiamo parlato molto di governi tecnici, di poteri non eletti. Citiamo il caso della BCE. Mi sono sempre chiesto se non ci fosse stata la BCE chi avrebbe salvato l'Euro. E la BCE non è una istituzione eletta, non è pure un'istituzione. Il tema è questo, come si fa a non scivolare nella tecnocrazia, a tenere insieme l'utilità di poteri non eletti o di governi tecnici con la democrazia. Tornando a quello che diceva un po' fa, Marta Cartabia, sul fatto che il potere se non viene limitato tende ad espandersi all'infinito, proprio nella sua natura e questo è stranassodato in qualsiasi ricerca sia scientifica che di esperienza storica. Il potere tende a diventare sempre più forte, più grande e quindi occorre creare dei contropoteri. Anche il potere migliore, anche il potere più democratico possibile che è quello che nasce direttamente dall'elezione del popolo. Ci sono poi in un sistema complesso come quello della democrazia tanti centri di potere che in via più o meno diretta si riconducono comunque al popolo, perché anche gli organi tecnici più tecnici comunque in via mediata hanno un collegamento con il popolo. Perché lei ha fatto l'esempio dell'ABC, ma i componenti del board dell'ABC sono nominati dai governi, i quali a loro volta trovano la loro legittimazione parlamentare se non diretta in determinati sistemi elettorali. E quindi c'è un, però c'è anche un'altra componente in questi organi tecnici che è la expertis, la tecnicità di questi organi, perché quelle regole di cui anche abbiamo parlato sono regole che hanno anche un nocciolo di sostanza. Vi faccio l'esempio, in Israele poco prima che succedesse tutto quello che è tragicamente accaduto a partire dal 7 ottobre dell'anno scorso si stava facendo una riforma costituzionale e questa riforma costituzionale fra le altre cose che prevedeva riduceva moltissimo i poteri della Corte Suprema e in particolare eliminava un potente controllo di costituzionalità di tutte le conti che ha il controllo di ragionevolezza. Cioè c'è un principio di ragione che condiziona il potere e deve poter essere controllato da parte di chi è in grado di farlo quindi o di organi tecnici giuridici o di organi tecnici puri, perché tante volte la gestione del potere richiede delle competenze tecniche, delle competenze scientifici quando si decide come curare le persone, perché si fa una votazione a maggioranza, si ascoltano le persone che sanno di quella sapere, di quella scienza, poi sappiamo bene che anche la scienza non dà sempre risultati giusti ma diciamo risultati univoci più che giusti, non c'è, può non esserci condivisione, ma l'importante è che il momento decisivo, il momento della scelta venga compiuto da chi è sufficientemente attrezzato per farla. Quindi tornando al tema dei governi tecnici dai quali lei era partito, anche i governi tecnici sono nati poi con un voto del Parlamento perché anche il governo di cui ha parte Marta Cartabia presiduto da Draghi, non è che fosse un governo che è sceso da... ha avuto un larghissimo sostegno parlamentare, ma qual è il senso del governo tecnico nella nostra esperienza e nell'esperienza di tutti i paesi che l'hanno avuto? È detta molto in soldoni, il governo di qualcuno che si assume il compito di fare scelte impopolari, che il governo popolare voluto con il consenso dei partiti non è in grado di fare perché assume scelte che sono scelte che non rendono in termini elettorali, però i governi tecnici sono quelli che ci hanno salvati in momenti di difficoltà gravissima e che non è che poi hanno impedito che si ritornasse operando la fisiologia del sistema a governi normalmente come dire, espressione della politica più pura. Questo è un tema attualissimo, quello della forma di governo e con la riforma del premierato che devo a professoressa Cartabia, pare che si introduca come quasi fosse un principio costituzionale, il principio della stabilità. L'attuale governo insiste molto su questa riforma perché dovrebbe dare stabilità a forme di governabilità all'Italia, ma la stabilità, la governabilità, può essere considerato un principio costituzionale? La stabilità e la governabilità sono delle esigenze assolutamente pregevoli dal punto di vista costituzionale, non perché lo dico io, per esigenze diciamo così di vita di uno Stato, l'ha detto anche la Corte Costituzionale, in due importantissime sentenze che saranno il punto di riferimento del mio ragionamento quando è intervenuta due volte sulle leggi erettorali, la 1 del 2014 e la 35 del 2017, quando ha annullato le leggi erettorali, dice la Corte Costituzionale, un sistema, una forma di governo deve camminare su due gambe, una è la governabilità e l'altra è la rappresentatività, quindi l'equilibrio come le persone è sempre dato quando si cammina su due gambe, su una gamba sola siamo tutti un po' instabili. Allora, una delle due gambe è la governabilità, in Italia c'è storicamente un problema enorme di stabilità dei governi, i numeri che ormai sono stati ripetuti mille volte sono quasi un governo all'anno, se non sbaglio 68 governi in 70 e più anni di vita della nostra Repubblica, siamo famosi per questo tema dell'instabilità e l'instabilità è un problema perché? Per quello che diceva poco fa la professoressa De Petri, adesso sbaglio anch'io, si sbagliano il tuo nome ma io non posso, Dalia De Pretis, no Petris, il problema della durata breve dei governi secondo me è gravissimo perché non permette a chi deve governare di guardare lungo, cioè di affrontare i temi di lungo periodo, le future generazioni, i problemi del cambiamento climatico, la demografia, il uso proprio delle risorse, perché? Perché sei continuamente sotto il ricatto del consenso elettorale, quindi il problema c'è, con altrettanta nettezza io vi dico che secondo me la risposta non viene dal premierato, perché qual è il problema? Andiamo a vedere qual è la ragione per cui in Italia ci sono i governi instabili, i governi sono instabili non perché il governo non abbia gli strumenti per governare, ce n'aveva pochi ma se li è presi, si fanno i decreti legge, quanti ne avranno fatti ultimamente, ma tutti i governi, non solo quest'ultimo, cioè si agisce molto velocemente, molto efficacemente, molto rapidamente, il problema è che i governi cadono perché in Italia sono tutti i governi di coalizione, non abbiamo un sistema bipartitico in cui c'è un partito che governa e uno che va all'opposizione, chi governa è sempre una coalizione, questa volta sono tre soggetti principali, quando c'era il governo Draghi erano sei, sette, quanti erano, e non è semplice mettere tutti d'accordo perché si hanno visioni diverse, allora la stabilità secondo me si avrà quando affrontiamo questo nodo, cioè come riuscire a stare insieme con anime diverse, qui bisogna, lo diceva credo anche in questi giorni proprio qui da Trento Sabino Cassese, ci vogliono dei leader capaci di aggregare il consenso, di far dialogare le persone, di far dialogare i punti di vista, di trovare dei punti di sintesi, questo è il tipo di risposta che il problema nostro, se è vera la mia analisi, dovrebbe cercare di trovare nel nostro, anche in una riforma costituzionale, perché io non escludo che ci vogliano anche dei ritocchi al sistema della nostra forma di governo, ma la risposta che invece il premierato dà è di natura diversa, il premierato si basa sull'idea che il popolo eleggere il futuro capo del governo, questi a sua volta deciderà come è fatto il governo e si trascina dietro anche il Parlamento, governerà forte sì, ma con il potere del ricatto di dire o stiamo qui oppure se ne va il governo e sciogliamo anche il Parlamento, allora a me non pare che sia una risposta al problema della capacità di aggregare il pluralismo, di trovare risposte comuni, mi sembra che sia invece un consegniamo tutto il potere al futuro presidente del Consiglio, premier come si chiamerà e poi farà lui, quindi deciderà se e come fare finché si fa come è nella sua linea politica il governo e il Parlamento continueranno a funzionare, altrimenti si scioglierà tutto, è una strada non è quella che a me pare risponda ai problemi del nostro Paese. Professor Esa de Pretis, alla luce di questo il passaggio successivo dentro la riforma del premierato è il ruolo del capo dello Stato, il ruolo del capo dello Stato che abbiamo visto soprattutto negli ultimi anni ha avuto un ruolo molto attivo, ha interpretato il proprio ruolo costituzionale in maniera molto attiva, creativa potremmo dire anche, ora in questa riforma il capo del Stato in teoria resta capo del CSM, capo del Consiglio Superiore della Difesa, diciamo un ruolo di garanzia nel promulgare gli atti ma perde completamente mi pare il ruolo creativo di costruzione del governo, quindi si disequilibria diciamo questo potere. Sì, assolutamente sì, nonostante la riforma sia stata presentata come una riforma minimalista che tocca soltanto dei piccoli punti della costituzione, in realtà è una riforma che stravolge l'assetto generale perché interviene sul nostro sistema che sarebbe un sistema parlamentare, quindi un sistema dove il Parlamento viene eletto e poi dal Parlamento promana il governo sulla base di una indicazione del presidente del Consiglio dei Ministri, una nome del presidente del Consiglio dei Ministri da parte del presidente della Repubblica. Allora normalmente si dice che il potere del presidente della Repubblica sono poteri a fisa armonica, cosa vuol dire? Vuol dire che quando il sistema funziona molto bene, cioè dalle elezioni emerge una maggioranza chiara che si è in Parlamento e quindi la maggioranza è in qualche modo condiziona la scelta del presidente della Repubblica che darà l'incarico al capo della maggioranza. Così come chiaramente è emerso dalle elezioni. Quando la situazione si fa complessa, frastagliata, con una pluralità di partiti che non sono in grado di dare delle indicazioni, ecco che i poteri del presidente della Repubblica si espandono e è lui che ha il compito di immaginare e indurre una soluzione mettendo insieme le forze politiche o trovando delle soluzioni addirittura esterne al Parlamento come è necessario. Questo è accaduto in alcuni passaggi della nostra storia dove la soluzione è veramente stata frutto di una scelta del presidente della Repubblica. Allora è chiaramente, introducendo la riforma, un sistema che è anche un po' eccentrico rispetto a tutti quelli che sono sul mercato, perché tiene il sistema parlamentare però prevede l'elezione diretta del capo del governo, che poi deve avere anche la fiducia del Parlamento, il quale se lo tira dietro il capo del governo perché è prevista una legge elettorale che potenzia la sua maggioranza in Parlamento. Quindi alterando in qualche modo il valore della rappresentatività. Che cosa succede? A questo punto il presidente della Repubblica non ha più poteri perché lui deve nominare colui che è emerso come presidente della Repubblica e come presidente del Consiglio dei Ministri dalle elezioni. Quindi viene completamente eliminato questo ruolo che è stato un ruolo fondamentale del presidente della Repubblica e che è tanto più prezioso e decisivo quanto più la situazione è complessa. E soprattutto è un ruolo che consente di adattare la situazione al cambiare delle cose nel corso della legislatura. Io credo che questo è veramente un vulnus a un sistema, un'alterazione molto profonda del nostro sistema di governo, che ci deve fare tanto più riflettere quanto più noi pensiamo che viviamo in tempi molto complessi, che cambiano rapidissimamente e nel quali occorre immaginare soluzioni anche di governo ad horas velocissime. Quindi perdere questa flessibilità, rendere tutto in termini di automatismi rigidi come propone la riforma è molto, oltre a tutto quello che è stato detto prima, cioè sul fatto che a questo punto il Parlamento è completamente svuotato, è esautorato, perché noi deleghiamo tutto al presidente del Consiglio dei Ministri, il quale per cinque anni resta e governa il Paese, ma governa anche il Parlamento, perché a questo punto... Ma è quello di cui abbiamo bisogno, io mi chiedo, se oggi c'è un'istituzione svuotata nel nostro sistema, non è il Parlamento, lo vediamo, anche il presidente della Repubblica di recente ha richiamato il governo al troppo uso dei decreti legge. Noi dobbiamo, io credo, ridare centralità al luogo della ponderazione, al luogo della ricerca di un consenso ampio e io credo che il valore della flessibilità sia un valore molto prezioso, soprattutto in tempi come i nostri, e quindi conservare questa figura e questo potere del presidente della Repubblica sia molto importante. Grazie, professoressa Cartabia, questo passaggio che stiamo assistendo adesso sembra che rientri in una cornice globale che è quella della tensione che c'è stata negli ultimi anni tra la democrazia rappresentativa, quella che chiamiamo democrazia diretta in tutte le sue forme, e adesso la democrazia forte. Sembra quasi che si introduca il concetto di democrazia forte, crede che questa riforma segua questo percorso, cioè ci sia un tentativo di costruire una democrazia forte, in un'accezione ovviamente tranquilla, italiana, però la linea sia questa. Allora, lei sta facendo riferimento un po' a un panorama generale, ci sono dei rapporti che misurano lo stato di salute delle democrazie che sono abbastanza preoccupanti, perché se tutto il XX secolo, diciamo dalla Seconda Guerra Mondiale in poi è stata una espansione delle esperienze democratiche, adesso siamo in una fase di regressione. Ci sono milioni di libri che raccontano come muoiono le democrazie, le crisi delle democrazie, eccetera, e obiettivamente i dati fanno abbastanza impressione, nel senso che l'ultimo report che ho visto io porta i dati del 2023 e dice che il 71% della popolazione mondiale vive in regime, che non sono più democratici. 5 miliardi e 700 milioni di persone, ho letto il rapporto che mi ha dato lei. Gli ha girato perché mi aveva molto... E' impressionante. E' abbastanza impressionante, sì, e bisognerebbe un attimo interrogarsi sulle cause, insomma, di quello che sta succedendo. Lei ha parlato di democrazia forte rispetto al modello proposto, al dibattito in questo momento nel nostro Paese. Io non so se userei la stessa definizione. Riflettendoci un po', a me sembra che sicuramente non è né democrazia diretta né democrazia rappresentativa come la conoscevamo fino a adesso. A me sembrerebbe più un modello che definirei come democrazia di investitura. In cui effettivamente il popolo ha una voce importante e gli viene dato un compito che fino a questo momento non gli spetta direttamente, perché scelge il futuro premier. Però poi si ritira. Cioè poi l'idea è una volta investito, dato, consegnato, insediato il potere della volontà popolare, che poi è il potere, scusate, la volontà della maggioranza o meglio della più grande minoranza. Perché qui, apro una parentesi, più del 30% degli italiani ormai da molti anni non vota e questo dell'astensionismo è un problema enorme. Perché quando noi diciamo maggioranza in termini numerici stiamo parlando di numeri molto bassi della popolazione. Direte voi colpa di chi non vota, vero, però bisogna chiedersi il perché, no? Perché è una democrazia in cui esangue la partecipazione, comincia ad essere una democrazia molto debole, non molto forte. Allora questa idea della democrazia di investitura in cui si sceglie un leader che poi ci pensa lui o lei è un po' il modello che si sta diffondendo in tutti questi paesi dove stiamo vedendo queste torsioni. Cioè non sono la crisi della democrazia a cui fa riferimento questo rapporto come tanti altri, non è la crisi del colpo di Stato in cui si sovvertono le regole democratiche, ma in cui attraverso delle procedure legali si dà sostanzialmente il potere a una figura forte. Ci sono molti paesi nel mondo che vanno in questa direzione, anche paesi che stavano vivendo delle forme di democrazia molto consolidate. Allora questa è una democrazia forte, a me sembra un'idea molto povera della democrazia, perché si limita a dire al popolo scegli il tuo capo e poi pensa ad altro. La nostra raccorte costituzionale in una bella sentenza che ho riletto qualche tempo fa, del 2002, quindi stiamo parlando di un'epoca veramente molto diversa, a un certo punto dice una cosa che più o meno letteralmente è formulata in questi termini. Dice che non esiste una unica istituzione in cui la sovranità popolare si insedia e si esaurisce. La sovranità popolare si esprime in molte sedi diverse, lo dicevamo prima il Parlamento, il Governo, il Capo dello Stato, i consigli regionali, i consigli comunali, i referendum, forme di partecipazione. Cioè non è quella semplicistica idea del scelgo il capo e così ho più potere decisionale, no, io vorrei anche poter dire qualcosa in più in altre sedi sulle questioni che sono all'ordine del giorno. Mi sembrerebbe che una democrazia forte è quella che arricchisce e mantiene una pluralità di istituzioni democratiche, non che la semplifica riducendola alla scelta di uno solo. A me pare e concludo che questa crisi generale delle democrazia a cui fa riferimento, queste torsioni autocratiche che riguardano anche tanti paesi vicino ai nostri, l'est Europa è un punto molto esposto a questo tipo di torsioni, si verificano perché si stanno smarrendo secondo me due punti fondamentali perché una democrazia sia sana e continua a mantenere il suo rendimento democratico. Uno, il senso, lo dicevo prima, del pluralismo sociale, politico, ma anche istituzionale. Sono tante le istituzioni che fanno vivere in una democrazia, soprattutto in società così complesse come le nostre. Pluralismo e senso del limite. Queste sono due componenti che fanno parte come veramente due pilastri delle democrazie costituzionali, come le abbiamo conosciute. Altre cose si possono somigliare perché danno voce al popolo, ma secondo me smarriscono questi due elementi che sono quelli che nella storia hanno garantito nel tempo un funzionamento realmente democratico e realmente soggetto al controllo della volontà popolare anche di chi esercita il potere. Grazie. Tra l'altro c'è un tema che si interse che inforna in questo, che è quello dei diritti. Lei, in Corte Costituzionale, si è occupato della sentenza di J. Fabo, famosa. Lei ha detto che è stata la sentenza più sofferta. In questo caso non è stato il Parlamento che è intervenuto, ma è stata la Corte Costituzionale, quindi un altro organo a bilanciamento di questa democrazia rappresentativa, che è intervenuta su un diritto così importante. Ora penso al diritto del fine vita, ma penso ai nuovi diritti che ci stanno interrogando, i diritti sui costumi religiosi, sui diritti che ci interrogano. Non so se la democrazia, come diceva la professora Cartabia, la democrazia di investitura sappia poi anche dare una risposta a questi diritti. Certo, perché poi tutto quello che stiamo dicendo della democrazia si intreccia tantissimo con il tema dei diritti, perché alla fine la democrazia è lì proprio per garantire i diritti di tutti e per garantire i diritti delle minoranze, per garantire il diritto della diversità, il diritto non omologazione, alla possibilità di coltivare identità diverse e il rischio di queste, chiamiamole democrazie forti, democrature, insomma in modi per chiamarle sono vari, che sono all'apparenza ancora democrazie, nel senso che le loro istituzioni sono elette attraverso procedimenti elettorali, almeno all'apparenza regolari. Ma il rischio è proprio quello che non avendo voci contrarie, cioè monopolizzando la voce pubblica, tendono fatalmente a appropriarsi di sempre maggiori poteri, tendono fatalmente a limitare le sedi che dovrebbero essere quelle che le controllano, ma non a caso i primi interventi di questo tipo di governi forti sono interventi che vanno a colpire diritti e vanno a colpire coloro che dovrebbero controllare il rispetto dei diritti, le corti, i giudici, la magistratura, le corti costituzionali. E' proprio una storia che si ripete come un copione identico in tutti questi sistemi, sistemi che qualche volta conservano gli antidoti per respingere queste cose, faccivo l'esempio di Israele, rispetto a quella riforma ci fu una fortissima mobilitazione popolare come c'è stata anche in altri sistemi. In altri casi non conservano questi e soccombono, soccombono perché manca quella partecipazione che fa vivere la democrazia, perché la democrazia non vive per delega, per affidamento, investitura di qualcuno che si occupa di noi e noi non ce ne dobbiamo più occupare, vive attraverso la partecipazione che è anche la partecipazione delle autonomie, le autonomie locali, corpi intermedi, qui siamo nell'anno del volontariato, il volontariato che fa un'operazione, ma in tutte queste voci si esprimono antidoti alla concentrazione del potere. Lei ha ricordato la sentenza sul fine vita, è un altro dei casi nei quali una Corte ha dovuto suppliere a una difficoltà del legislatore a prendere atto di un bisogno che è un bisogno sentitissimo, quello dell'occuparsi del momento della fine della vita. Purtroppo però non è facile occuparsi di queste cose quando deve mettersi d'accordo tra tante opinioni diverse, vedo che il tempo sta finendo, però lei mi ha invitato su un tema che dà l'idea di quali sono i problemi anche dei parlamenti a rispondere. Io non voglio dare la colpa, so quanto è difficile, è più facile per una Corte che è fatta di 15 persone che la pensano più o meno all'unico modo sulle grandi questioni. Volevo chiudere perché abbiamo purtroppo pochissimo tempo con la professa Cartavia, perché quello che ha detto lei mi fa venire in mente l'articolo 4, per fortuna c'è l'articolo 4, quindi il grande valore dell'individuo e della società civile, che ci richiama a questo e questo resta immutato. Secondo lei questo è un valore che forse permea tutto e può essere, cioè la professoressa ha citato Israele, la società civile di Israele è scelta in piazza, questo forse è ciò che ci rende, è l'immunità che ci interessa. Alla fine le democrazie vivono nella cultura della gente, vivono nella cultura diffusa della società civile, dei singoli ma dei gruppi. Direi anche un'altra parola nei 18 secondi che mi restano che non abbiamo detto qui, ed è la parola Europa. Perché i paesi che hanno queste involuzioni democratiche, un conto è se sono soli e devono arrangiarsi con i loro strumenti interni. Da noi c'è stata una mobilitazione delle istituzioni europee che ha sviluppato una fantasia istituzionale come poche altre, proprio per creare dei rimedi e degli antidoti a questo tipo di involuzioni che sarà oggetto di un prossimo dibattito. Non possiamo neanche incominciare ad accennare ma l'Europa ci era. Grazie.
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