Crescita economica e meritocrazia: perché l’Italia spreca i suoi talenti e non cresce
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Crescita economica e meritocrazia: perché l’Italia spreca i suoi talenti e non cresce
L’insufficiente considerazione del merito e gli incentivi distorti sono il filo conduttore del cosiddetto "declino" economico italiano; affrontano il tema Lorenzo Codogno, LC Macro Advisors, Ltd e LSE e Giampaolo Galli, professore di economia, accompagnati dal giornalista Gianni Trovati.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Lorenzo Codogno è visiting professor al London School of Economics consulente già capo economista del MEF quindi parleremo tanto di PIL, di ricchezza reale Gianpaolo Galli, anche lui macroeconomista dirige all'Osservatorio dei Conti Pubblici della Cattolica che ha contribuito a fondare con Carlo Cottarelli , come dire, nella sua carriera ha applicato anche le sue conoscenze economiche a molti dati di realtà materiale a livello apicale in Agnia Confindustria come deputato della Camera dei Deputati. Allora, merito sembra un concetto teorico e immateriale ma diventa molto materiale in un Paese nel quale, vi ricordate, prima del Covid, per circa vent'anni almeno siamo stato il Paese che è cresciuto meno nel mondo occidentale, nel mondo delle economie sviluppate nell'Eurozona, questo ci ha portato ad arrivare tra le altre cose all'appuntamento del Covid con un debito pubblico che era già straordinariamente più alto della media. Ma soprattutto, naturalmente, una crescita a zero, zero virgola mi pare che la media dei 15 anni fosse 0,2% vuol dire una stagnazione durata una generazione. Naturalmente le cause sono molte, sono complesse. Una delle cause indagata da questo libro però collocata nel contesto che vi dicevo è appunto il tema dell'assenza della meritocrazia. Ultima cosa che dico, il tema del merito è rientrato recentemente al centro di un certo dibattito italiano in modo, a mio giudizio, ma magari loro mi smentiranno quello che dicono loro è molto più saggio e importante di quello che dico io, però insomma la mia impressione è che questo dibattito sul merito che c'è stato negli ultimi mesi sia una roba un po' caricaturale in cui c'è la destra che sventola una bandiera del merito fino a metterla nel nome di un ministero. C'è una corrente di sinistra che dice che invece il merito, questa enfasi sul merito, è produttrice, acceleratrice di disuguaglianze che sono già molto pesantemente presenti nella nostra società, vedremo cosa ne pensano loro. In questa prima parte do immediatamente la parola ai relatori che ci siamo un po' divisi i compiti nella presentazione dei temi. Quindi partirei da Lorenzo Codogno a cui cedo parola e palco. Grazie mille, grazie a tutti voi che siete qui. Innanzitutto perché un altro libro sull'Italia? Perché è un libro sul declino dell'Italia? Alcuni potrebbero dire basta con questi libri sul declino dell'Italia, ormai se ne fanno da tanti anni, quindi un po' di sano nazionalismo, dobbiamo darci un po' di fiducia cercare di superare i problemi. Questo è verissimo, è tutto vero per carità, però effettivamente bisogna partire dall'evidenza, bisogna partire dalla coscienza, dalla coscienza dei problemi e da lì poi costruire. Quindi noi abbiamo pensato di fare quest'altro libro, che è molto ambizioso per certi aspetti, molto ambizioso per vari ragioni. Io ne sottolineerei tre sostanzialmente. La prima perché noi andiamo un po' fuori dalla nostra comfort zone, siamo economisti, però nel libro, che non è un libro tecnico, è un libro per tutti, cerchiamo di andare anche oltre gli aspetti puramente economici, quindi consideriamo aspetti politici, sociali e storici anche. Cerchiamo di spiegare la crescita economica attraverso anche variabili aspetti non squisitamente economici. Se volete facciamo esattamente il contrario di quanti molti altri fanno in questo periodo, che cercano di allargare il PIL, di non è tutto PIL, ci sono altre misure di benessere, noi cerchiamo invece misure di benessere per spiegare la performance del PIL. Quindi questa è un po' la cosa. Questa è la prima ragione. La seconda ragione è che abbiamo cercato di delineare una linea rosta che collega un po' tutti i capitoli, tutta la storia che vogliamo raccontare, anche che il merito. Perché il merito? Avremmo potuto parlare di concorrenza, ci stava bene, avremmo potuto parlare di mercato, però concorrenza e mercato di solito sono per il settore privato, di solito il pubblico non è in concorrenza con qualcuno quindi noi volevamo parlare in maniera più ampia. Avremmo potuto parlare, in effetti ne parliamo nel libro, di struttura per incentivi. La struttura per incentivi è un termine, se volete, ancora più ampio della meritocrazia. Perché? Perché parla di aspetti che non sono strettamente legati al merito, ma sono legati ai comportamenti, perché le persone, gli agenti economici, si comportano in un certo modo non lavorano insieme per aumentare lo sviluppo del Paese. E quindi questo è il tema centrale che lega un po' tutti i capitoli del libro. C'è un ultimo aspetto, che è il terzo che vorrei sottolineare, è che il libro, pur non essendo un libro accademico, scientifico, è fortemente basato sull'evidenza economica del lavoro negli ultimi trent'anni da parte di varie istituzioni, di vari economisti, quindi cerchiamo di prendere il meglio, le cose che secondo noi sono più significative di tutta questa immensa letteratura, basiamo le nostre cose sull'evidenza. Cioè abbiamo preso delle classifiche internazionali messe insieme da una fondazione che è legata ad un istituto di Londra, ma i dati di base sono del Fondo Monetario, dell'Oxie, del World Economy Forum, ecc. Quindi sono tutti dati raccolti da queste istituzioni internazionali che fanno una comparazione tra l'Italia e gli altri Paesi. Onestamente, chiaramente non sono tutti i dati che sono nero su bianco, perché a volte sono basati anche su sondaggi e cose di questo genere, però noi non guardiamo mai se l'Italia è decima o undicesima. Se l'Italia è trentesima, è molto diverso che essere decimi nelle classifiche internazionali. Questo è il punto. Quindi tutto il discorso che noi facciamo in libro è basato su evidenza. Poi se possiamo vedere due slide solamente, perfetto, solo per farvi vedere qualche evidenza, questa è la performance del PIL italiano, che sappiamo purtroppo tutti o che quantomeno intuiamo, anche se molto spesso non si vuole riconoscere il problema. Vedete, l'Italia, a partire dall'inizio degli anni 90, ha cominciato a sottopreformare in termini di crescita del PIL. Perché questo, se vogliamo, il problema, noi cerchiamo di argomentarlo in libro, nasce ancora prima, nasce dalla metà degli anni 70. Perché nasce dalla metà degli anni 70? Perché questo è un po' l'unico termine un po' più tecnico che vi presento oggi. Alla base della performance del PIL sta cosa? La cosiddetta total factor productivity, la produttività totale di fattori. Che cos'è la produttività totale di fattori? È il modo con cui gli agenti economici mettono insieme i fattori di produzione in maniera efficiente d è un indice di innovazione. Quindi vedete che questo già perde quota a metà degli anni 70. Perché allora l'Italia ha continuato a crescere per un paio di decenni? Ha continuato a crescere per un paio di decenni per due motivi. Il primo motivo, vedete qui, la differenza tra il PIL, il PIR per capita, per persona, la total factor productivity. Perché ha continuato a crescere, nonostante la total factor productivity sia bloccata, per due, che noi chiamiamo, due droghe. La prima droga è rappresentata dalle svalutazioni, al continuo di svalutazioni, dagli anni 70, fino a quando l'Italia non è entrata nell'Euro. E la seconda ragione è spesa pubblica. L'Italia ha aumentato il suo debito, con questo ha stimolato la crescita economica, ma non ha generato vera crescita sottostante, non ha migliorato la sua situazione. E il risultato è che il debito pubblico è salito in maniera eccezionale. Ecco, questi tre grafici, diciamo così, disegnano quello che nel dibattito si è anche chiamato la generazione perduta. Noi con questa stasi così lunga abbiamo perso una generazione. Le cause, appunto, la produttività totale dei fattori, eccetera, sono varie e complesse. Però queste cause materiali, diciamo così, hanno sempre dietro un fattore culturale di cultura complessiva del Paese, all'interno del quale, chiedo a Gianpaolo Galli, si inserisce la questione del merito. Prego. Sì, diciamo, intanto buongiorno a tutti, anche da parte mia, grazie dell'invito. La spiegazione che noi diamo del declino relativo dell'Italia, vorrei sottolinearlo, è una spiegazione che in termini puramente economici è assolutamente il mainstream, diciamo, della storiografia recente, con riferimento, per esempio, alle ricerche della Banca d'Italia, del compianto Gianni Tognolo. L'Italia non aveva più la possibilità di utilizzare le vecchie droghe, il debito e le svalutazioni, avrebbe dovuto fare il salto a quella che, in linguaggio europeo di Lisbona, si chiama un'economia aperta, basata sulla conoscenza. Quindi avrebbe dovuto investire molto sui talenti, avrebbe dovuto investire sulla scuola, sulla ricerca, fare il salto a innovazione endogena. Nel passato c'è stata innovazione, negli anni 50-60 c'è stata un'enorme innovazione, in gran parte innovazione per imitazione. A un certo punto tu arrivi alla frontiera devi fare innovazione endogena, cioè devi avere università di eccellenza, devi avere imprese di eccellenza per produrre quella bottiglia. Tu sei adesso in concorrenza non solo con altre aziende italiane, ma con aziende che fanno quella roba lì in tutto il mondo, con i coreani, piuttosto che i cinesi, quindi devi avere ricerca eccellente. E questo da noi è mancato. È mancato perché? Sostanzialmente la risposta semplice è che le classi dirigenti ha molto le lobby importanti di questo paese. Noi abbiamo in mente il sindacato del pubblico impiego, il sindacati degli insegnanti in particolare, ma anche problemi con le imprese, non hanno valorizzato il merito. Tu in una pubblica amministrazione si entri per concorso, questo per fortuna c'è scritto nella Costituzione, ma mica sempre, dopodiché vai avanti molto lentamente per anzianità, che tu sia bravo o non sia bravo. Quando arrivi verso i vertici quello che conta sono le relazioni. Questo è il punto. Le relazioni, non il merito. Il contrario del merito, della promozione per merito, è la promozione per relazioni, che possono essere familiari, allora il familismo possono essere di vario tipo, possono essere cosche potenti, eccetera. Quindi l'Italia non è riuscita a fare questo salto. Chissà se forse ci riuscirà. Noi non escludiamo perché facciamo vedere il caso di tanti paesi che sono riusciti a fare questo salto. La Germania è uno di questi, la Corea un altro, ma ce ne sono tanti altri. Quindi se tanti altri paesi sono riusciti, per tornare indietro, la Germania era il malato d'Europa fino all'inizio degli anni duemila, assieme all'Italia. Il Giappone era il malato del mondo, assieme all'Italia e alla Germania. Questi paesi, la Corea era in crisi alla fine degli anni novanta, tutta una serie di paesi sono riusciti a fare un salto. Noi non ci siamo riusciti. Perché queste grandi lobby o, diciamo, le classi dirigenti sono riuscite a difendere il proprio potere? Perché questa è una domanda complessa che riguarda la storia, la sociologia. Non voglio entrare adesso in questo. Il fatto è che le classi dirigenti si oppongono al merito, perché il merito è quella, tal cosa che chi viene da un retroterra familiare non privilegiato è l'unica cosa che ha per migliorare la propria condizione. Il merito è dare opportunità a chi non le ha, chi viene da un background privilegiato può avere merito, con tutta probabilità, a relazioni. E quindi questo è stato il problema. Però c'è anche un problema con le imprese. Noi abbiamo tante imprese familiari, questo non è un'eccezione. Voglio anche precisare che noi non siamo degli accusatori del sistema delle imprese. Le imprese, in qualche modo, si difendono da un ambiente esterno piuttosto stile in Italia. Fare imprese in Italia è una cosa quasi eroica, qualche volta. Questa è la peculiarità delle imprese familiari italiane. Le famiglie mettono propri familiari non solo nel bordo, che è normale nel Consiglio d'amministrazione, ma nelle posizioni esecutive. Questa è una particolarità delle piccole e medie anche aziende italiane. E questo è un fattore che frustra moltissimo i manager professionali, i quali molto spesso se ne vanno all'estero. Per evitare ogni incomprensione, il mondo delle imprese è quello in cui concorrenza e merito hanno più significato in Italia. Anche per questo non puntiamo il dito, ma l'indicazione del merito è meno forte di quello che potrebbe essere se l'impresa desse davvero un valore al merito. Merito contro il quale si scagliano i sindacati, i sindacati della scuola, i sindacati che sono contro la valutazione degli insegnanti, i sindacati del pubblico impiego sono contro quelli dei magistrati. Tutti i magistrati vengono promossi col massimo dei voti che facciano le sentenze in un mese, in un anno, in dieci anni, non ha nessunissima importanza, ma anche il sindacato tende a equiparare tutti i lavori, i contratti nazionali. In Germania si è passati ai contratti aziendali, qui ancora abbiamo i contratti nazionali che tendono a eguagliare tutti. Noi dobbiamo imparare a valutare e a riconoscere il merito, altrimenti la crescita stenta. È un problema di aziende, ma è un problema anche di tutto quello che ci sta intorno. Tra i pregi di questo libro c'è il fatto di affrontare un tema di strettissima attualità. Ieri il capo dello Stato Mattarella, visitando i luoghi della scuola di Don Milano, ha proprio parlato del merito e ha detto il merito è dare opportunità a chi non ce l'ha. C'è un pregio, se posso permettermi, più generale, perché leggendo e scorrendo le pagine e le analisi del libro uno inserisce in un contesto strutturato di solida analisi quelle che sono molte svariate esperienze personali. Chi ha la mia età ne ha già avute parecchie, ha avuto modo di vedere il problema italiano dei meccanismi del merito. Chi ha invece la fortuna di avere età molto più giovani come quelle che vedo qua davanti a me, avrà però, vi garantisco, le opportune possibilità nei prossimi anni di incontrare lo stesso problema. Se voi leggete questo libro, quando vi capiterà, non vi limiterete ad arrabbiarvi molto, perché quello che non ne sa molto meno di me ha avuto una carriera migliore perché è inserito in una relazione o per altro, ma oltre ad arrabbiarvi saprete le cause strutturali anche le occasioni soprattutto, perché questo è l'importante che noi ci perdiamo. Allora, voglio farvi una domanda che vi allontana ancora di più dalla vostra comfort zone di economisti. Ecco, la questione, appunto, siccome tu vedi inserita in un'analisi strutturata quella che è la tua esperienza personale, capisci anche che l'economia, come vediamo in questi giorni in questa splendida città, non è una roba triste e teorica, il debito pile è una cosa reale che riguarda la vita di tutti noi tutti i giorni. Allora, la domanda che vi allontana ancora di più dalla vostra comfort zone, ma poi siete liberi nella risposta di tornarci, è questo. È un problema di scarso capitale sociale, il fatto che appunto il tema della meritocrazia sia in Italia oggetto o di un dibattito che tende a negarne il valore oppure di un dibattito, diciamo così, appunto lo definivo prima caricaturale. Quindi è un tema così vagamente culturale, è colpa del clima, è colpa della cucina, oppure è un sistema concreto di incentivi e disincentivi che ci porta, diciamo, a questa sottovalutazione del merito? Fate voi chi vuole cominciare. No, non è una percezione, non è una cosa... Ci sono purtroppo dei dati che lo dimostrano noi ne presentiamo molti nel libro. Il cosiddetto capitale sociale è un qualcosa di tangibile, è qualcosa che si tocca, è qualcosa che si può verificare, si può stimare, si può misurare. Ci sono molti indicatori che lasciano pensare che il merito non è valutato sufficientemente. Primo luogo, la gerontocrazia. Questo è un paese di vecchi, non solo, ma che non valorizza i giovani. Questo purtroppo sta cambiando le cose. Adesso non vogliamo essere catastrofisti, etc. Ci sono aziende di eccellenza in Italia, ci sono aziende che hanno innovazione, che valorizzano il merito. Di solito queste aziende sono le aziende che esportano, che vanno sui mercati internazionali. Però il problema è che queste aziende sono poche, nel complesso dell'economia italiana, non crescono sufficienza. Questo nel libro lo abbiamo detto. Secondo problema, differenze di genere. Questo è un paese dove la differenza di genere si vede ancora tanto e se fosse veramente valutato il merito non si capisce perché una differenza così consistente non dovrebbe esserci. Rispetto alla Svezia e ad altri paesi. E poi la differenza nord sud. È un gap che ci portiamo avanti da tantissimi anni. Quindi questi sono grandi indicatori che mostrano come il merito non si è valorizzato, non si è portato. Quello che diceva prima Gianpaolo, se noi vogliamo fare il salto qualitativo come Italia, dobbiamo paragonarci ai paesi che hanno avuto più successo a livello internazionale, che hanno saputo fare quel famoso salto della conoscenza. In un'economia basata sulla conoscenza è quasi banale dire che ci deve essere il merito. Perché attraverso il merito che si arriva alla conoscenza si fa innovazione in impresa ma anche nel settore pubblico. Questo è mancato purtroppo. Quando abbiamo fatto un'altra presentazione di questo tipo quando parlavo di gerontocrazia uno si è alzato dal pubblico e ha detto è meno male, l'età media era un po' elevata. Però vedo che l'età è più bassa oggi in questa sala. È chiaro che c'è un problema di rivalorizzare i talenti giovani, di farli avanzare nelle imprese, nella pubblica amministrazione, dare responsabilità. Questo purtroppo avviene di più all'estero che non in Italia. Quindi c'è anche un cambiamento, non solo di mentalità, ma anche di struttura per incentivi, come diciamo nel libro, perché è solo attraverso questo cambiamento di struttura per incentivi che ci danno alle imprese, al pubblico amministrazione gli incentivi giusti per valorizzare il merito. Parlando di incentivi, io brutalizzo molto, però il sistema di incentivi e disincentivi fa sì che se in una classe dirigente di qualsiasi tipo, universitare, accademica, politica, c'è chi è dentro e chi da fuori preme per entrare magari sostituire quelli che sono dentro giudicandoli legittimamente o meno peggiori di sé. Allora naturalmente chi sta dentro del cerchiolone ha tutto l'incentivo a far sì che gli altri stiano fuori. L'incentivo contrario invece funziona molto meno da un lato perché chi sta fuori è meno dominante anche nella comunicazione e nella creazione della cultura del Paese, ma perché evidentemente non c'è un equilibrio in questo sistema di incentivi e disincentivi, perché poi i risultati pratici sono il frutto non meccanicistico, ma insomma sono la somma finale delle spinte in varie direzioni. A dare la spinta, Galli, ci sono anche le fortune dei vari filoni, delle varie correnti politiche. Un paradosso che io ho sempre notato e che trovo incredibile ma che non viene mai affrontato il seguente, lei diceva il merito è dare opportunità a chi non ne ha per c'è insomma. Quindi messa così è la roba più di sinistra che esista al mondo. C'è una corrente fortunatissima della sinistra che invece dice che il merito è una cosa di estrema destra che viene fatta come nobilitazione per giustificare e nobilitare l'esistenza delle diseguaglianze. Questo naturalmente spegne l'inceptivo che dicevamo prima. Perché? Cosa ne pensa? Questa è una delle mie battaglie, cercare di spiegare alla sinistra che il merito dovrebbe essere un loro cavallo di battaglia non devono lasciarlo ad altri. La risposta è abbastanza complessa. Di solito l'obiezione che viene fatta è ma guarda questi qua che vantano il merito ma poi sono quelli che dirigono la RAI, che dirigono i ministeri, eccetera, che dirigono le grandi aziende. Ma questa non è una critica al merito, questa è una critica alla mancanza di merito. La RAI è proprio, adesso ce l'abbiamo in questi giorni, sotto gli occhi. Non voglio prendermela con queste decisioni qua, ma con tutte le decisioni che sono state prese in passato in merito ai dirigenti della RAI. Ma anche il libro che ha avuto tanto successo in Italia, paradossalmente di Michael Sandel, un professore di Harvard che parla di tirannia del merito, in realtà non critica il merito, critica l'arroganza di quelli che ritengono di avere raggiunto certe posizioni attraverso il merito. Certo, è vero, spesso le classi dirigenti sono un po' arroganti. La mia esperienza è che se uno arriva ad una certa posizione perché è bravo, perché se l'è meritato, quella persona tendenzialmente è meno arrogante di quello che è arrivato lì perché è raccomandato. In ogni caso, ripeto ancora una volta, se non hai come criterio il merito, l'unica alternativa è il nepotismo, il familismo, sono le cosche, sono cose che noi non possiamo accettare non possiamo tollerare. Poi a sinistra a volte si fanno delle distinzioni sottili, merito sia il merito, per esempio ho sentito Zagrebelski qualche giorno fa dire sia il merito ma no alla meritocrazia. Cioè Gianni Trovatti è il più bravo per fare il pilota di ITA all'Uftansa. Però promuoviamo Lorenzo il quale ha dimostrato di non essere assolutamente capace di pilotare un aereo. Lorenzo è il più bravo cardiologo, cardiochirurgo che c'è in giro, però mettiamo lui a fare il cardiologo. Ma che senso ha tutto questo? Cioè una volta che hai valutato il merito devi dare le posizioni a tutti i livelli, le posizioni normali, quelle medie, quelle di comando a chi ha merito. Poi ci sono sottili distinzioni, cioè merito e prestazioni meritocratiche. Chi dice sia la prestazione meritocratica dice io devo premiare lo sforzo perché in parte lui è bravo a pilotare l'aereo perché ha i riflessi pronti per nascita, la lotteria della nascita. Qualcuno nasce intelligente, qualcuno nasce meno intelligente, qualcuno nasce più sveglio, qualcuno nasce meno sveglio. Ma io non posso fare questa distinzione, io posso farla magari quando valuto i miei figli perché so gli sforzi che stanno facendo, ma insomma la società a un certo punto vuole che quello che pilota l'aereo sia il più bravo a pilotare l'aereo. Questo è la cosa molto semplice. Non quello che si è sforzato tantissimo per pilotare l'aereo però va a sbattere. Questo non è possibile, lo stesso vale per il cardiochirurgo. E questo diciamo quando parli con le persone più sveglie che si occupano di queste cose qua a sinistra, ti dicono sì sì è vero, però perché non dovrebbe essere vero per un insegnante a cui noi affidiamo l'educazione dei nostri figli? E perché non deve essere vero questo per un magistrato a cui noi affidiamo la nostra libertà personale, il potere di negare la libertà? E non deve essere vero per i funzionari pubblici che regolano cose importantissime, la concorrenza delle imprese, la sicurezza dei prodotti e dei nostri figli e quant'altro. Quindi questa è una battaglia aperta. Credo che gran parte della sinistra comprenda questo, ma forse si sente di più quella parte della sinistra, è più vocale, è più vocifera, quella parte della sinistra che come quando, a me non è piaciuto molto, è che il ministro di Istruzione abbia messo il merito, il merito secondo me ha messo a tutte le parti non solo nella scuola, però mi ha colpito la reazione di Landini per fare nome con nome, che ha detto no, il merito nella scuola, ma come il merito nella scuola? I nostri studenti vengono valutati dagli insegnanti, vengono valutati bene, male, si può discutere, ma vengono valutati i voti che cosa diavolo sono o vogliamo ancora il 18 politico, quello forse i più, quelli diciamo, con una certa età se lo ricordano del 68, 18 politico che ha un suo pronipote nell'uno vale uno, la storia si ripete adesso come farsa, per fortuna l'uno vale uno è durato piuttosto poco, è quel riflesso condizionato che mi colpisce che è secondo me profondamente sbagliato, oltre che dannoso ai fini della crisi economica. È durato poco, ma i suoi risultati sono apprezzabili nel quadro macroeconomico del Def, che ho invito tutti a leggere. Allora vediamo se c'è già qualcuno che vuole sottoporre una domanda, una riflessione, qualcosa. Eccoci, aspetti che arriva il microfono, qualcuno glielo porta cordialmente. In mezzo, lì, il signore lì, camicia azzurra. Il vostro proposito di gerontocrasia vuole prevalere anche adesso in questo contesto, nonostante i giovani qua presenti. Volevo riferirmi a Sam delle tirania del merito, il vostro parere in ordine al fatto che viene espresso il fatto che colui che non ce la fa, in definitiva, sono tanti, anzi sono la maggioranza, nasse aggressività, nasse depressione, nasse, diciamo, uno stato di... quindi una società nella quale praticamente c'è chi ce la fa da un lato chi invece, non facendocela, diciamo, no, diventa aggressivo, si pone in contraposizione. E parliamo di più, ecco. Non volevo sapere un vostro parere in ordine a questo fatto. Dunque, la nostra opinione è che il welfare, così come si è affermato, diciamo, nell'Europa centrosettentrionale nel corso degli ultimi decenni, sia una conquista di civiltà. Quindi non trascuri gli ultimi. Questo deve essere molto chiaro. E lo diciamo chiaramente nel libro. Noi lo scriviamo nel libro. Dopo di che ci sono tante società nelle quali gli ultimi vengono trascurati. Non si capisce perché questa cosa deve essere più problematica in una società che non valorizza il merito. Cioè, una società semifeudale in cui, diciamo, le posizioni le si ereditano di padre in figlio per nepotismo, eccetera, anche quella. Li può lasciare da parte il merito. In realtà, quella cosa degli ultimi è un modo di dire che la società non è veramente meritocratica perché chiunque ha delle competenze, quasi tutti hanno delle capacità. E il problema è quello di riuscire a valorizzare le capacità di tantissime persone. Poi è vero, c'è il teorema di Rawls, cioè il minimax, che cosa facciamo con quelli che davvero non ce la fanno. A quelli li dobbiamo aiutare, non c'è dubbio. Sandel si dà la risposta da solo, perché nel suo libro parla di un giocatore di basket. Dice, dobbiamo aiutare quelli piccoletti a fare anche loro gli giocatori di basket, perché poverà, ci sono nati i piccoli, mica è colpa loro. E poi alla fine dice, forse è meglio di no. L'altra cosa vorrei dire è che noi non è che facciamo la predica nel libro, cioè non è la nostra finalità ma quella di fare la predica nel libro. La nostra finalità è quella di documentare, dare delle evidenze e farlo a 360 gradi. Quello che ci siamo posti come obiettivo è prendere in considerazione tutti gli aspetti. In effetti questi indicatori che abbiamo utilizzato vanno ben oltre gli aspetti economico prendono in considerazione tutti gli aspetti della società che hanno in qualche modo a che fare con la performance economica. E' questa che è un po' la novità del libro, che noi andiamo oltre, ben oltre le cose che di solito si dicono, che non vogliamo fare la predica a nessuno, vogliamo documentare, portare le evidenze. Il che in un Paese dominato dal moralismo, senza numeri in tutti gli argomenti, è un altro modo per andare controcorrente. Qualcun altro? Buongiorno. Prima il professor Gaglio ha parlato di innovazione indogena. Io da giovane ricercatore sono inerentemente ottimista ritengo che ci sia nell'università, nei centri di ricerca e nelle grandi aziende. Però a livello di osservatore vedo delle metriche, avete mostrato la produttività che negli anni è calata posso dire che noto che l'Italia è mancata su certi campi, ad esempio nella capacità di attrarre aziende tecnologiche ad altissimo contenuto tecnologico, che traenano un indotto pazzesco. E per fare un esempio, adesso la Germania sta provando a portare Taiwan Semiconductor con un investimento di 10 miliardi. E c'è la necessità di avere investimenti governativi grossi per portare queste grandi aziende. E secondo me sono treni su cui potremmo ancora salire. E mi chiedo come mai ci sia questa difficoltà a salire su questi treni, perché non è un costo così esagerato, sarebbe bastato diminuire dell'8% i cappotti e le caldaie su cui abbiamo investito in questi anni. Noi oggi abbiamo presentato solo il grafico generale col PIL, perché chiaramente non c'è tempo, però nel libro portiamo molti grafici più di dettaglio. Quindi parliamo proprio di investimenti diretti esteri in Italia. L'Italia non riesce effettivamente a trarre grandi investimenti diretti dall'estero. Non riesce a farlo, è per la stessa ragione, non riesce a trattenere i talenti che crescono in Italia, che invece poi vanno all'estero, perché non valorizza il merito, ma anche perché il contesto imprenditoriale non è tale da poter valorizzare effettivamente il merito. Ripeto, bisogna fare le eccezioni. Noi nel libro facciamo anche esempi positivi. L'Italia non è tutto negativo. L'Italia ha anche ottimi esempi positivi di aziende che crescono, che fanno innovazione, che premiano il merito. Il problema è che quando si guardano i grandi aggregati di tutto il Paese, queste aziende non pesano a sufficienza e soprattutto non crescono. È un Paese che non fa crescere non c'è questa distruzione creativa che porterebbe a un cambiamento per tutto il Paese. Il paradosso di un Paese che ha una buona performance sulle esportazioni, cioè le imprese che sono aperte ai mercati internazionali, che vanno sui mercati e vincono sui mercati internazionali che però non riescono a trainare il sistema Paese, perché il sistema Paese è fatto in maniera... perlopiù è fatto in maniera diversa. Ma questo non vuol dire, ripeto, che non ci siano le eccezioni. La grande eccezione sono le imprese che esportano, insomma. Sì. Buongiorno. Ah, prego, prima lei e poi lui. Buongiorno, mi scusi. Voglio contribuire al dibattito, assolutamente al vecchietto del villaggio, ma è lo stesso. Allora, sono stato colpito da una considerazione fatta che il PIL praticamente si è interrotto o è calato dal 1970 in poi, praticamente quando io ho lavorato. E allora mi colpisse questo fatto qua, vuol dire che non ho dato niente. Però al di là di quello, voglio portare la prima esperienza che io... sono genitore di una figlia che è uscita dalla nostra università italiana quando è uscita non ha avuto nessuna richiesta italiana per un posto di lavoro. Tutte all'estero. E parlo di America, parlo di Inghilterra, che praticamente ha dovuto andare all'estero e è andata volentieri. Non so se è un talento, però questo non mi può permettere di queste cose, però che fa specie che li hanno chiesto in 8 anni che è all'estero diverse volte di rientrare. Perché non si poteva far prima? Prima domanda, e lo faccio da genitore, può capire i miei sentimenti se questo è. Seconda cosa, non ho sentito parlare, se non dal professor Gianpaolo Gatti, della parola libertà. Non le sembra che anche questa libertà che abbiamo costantemente rispetto al passato possa costare troppo per riuscire ad avanzare col più, cioè migliorare e crescere. La parola libertà costa. Noi comandano tutti qua. Se voglio dire, bisogna dare delle regole in modo tale, ma in tutti i settori, non in un settore. Grazie, spero di aver contribuito a qualcosa, grazie. Comprendo il suo sentimento di genitorio, che io ho tre figli, una sta a Parigi, due stanno a Londra, hanno avuto una quantità di offerte in giro per il mondo. La cosa che mi colpisce, io pensavo che la Francia fosse rispetto all'Italia un paese più o meno gerontocratico, insomma, e a differenza del Regno Unito. Invece, a mia figlia, quando aveva 33 anni, le hanno dato una responsabilità enorme di coordinare un progetto con 100 astrofittici in giro per tutto il mondo, cosa che in Italia devi avere 80 anni per fare una roba del genere. Non solo nel suo dipartimento, che è il CNRS francese, parlano inglese, perché la lingua franca dei fisici è l'inglese. L'eccesso di libertà, lei ha detto, comandano tutti. No, questo non sono d'accordo, devo dire. Penso che noi ci dobbiamo abituare ad una società in cui ci sono milioni di persone che sono colte, c'è una critica continua ai social media. I social media ti portano fuori strada, sì, può darsi che ti portino fuori strada, ma noi dobbiamo accettare la sfida dei social media, così come, a un certo punto nella storia dell'umanità, le classi dirigenti hanno dovuto accettare la sfida dei giornali o prima ancora della stampa. A un certo punto Aristoteli, che era, come racconta Umberto Eco, una roba racchiusa dentro l'abbazia che nessuno poteva leggere, a un certo punto tutti hanno potuto leggere Aristoteli. Credo che noi dobbiamo imparare a gestire, ma questa è una mia opinione, a gestire una società di massa in cui una gran massa di persone sono colte. L'Italia è uno dei paesi dell'Ox e col minor numero di laureati. Se poi non abbiamo stati grafici, ma c'è tutto nel libro. Anche se guardate alla fascia di coloro che in teoria dovrebbero essere appena usciti dall'università, noi siamo i penultimi nell'Ox e prima del Messico. Cioè soltanto il 30% delle persone fra 25 e 35 anni, mi pare, hanno una laurea. Noi dobbiamo abituarci ad avere una popolazione di laureati. La media ox, la media europea, è fra 40 e 50%. Una cosa piccolina, noi nel libro critichiamo il cosiddetto piccolo bello perché c'è questa mitologia che in Italia le piccole e medie imprese sono quelle dinamiche, quelle che fanno eccetera. Verissimo, perché poi alla fine la spina dorsale dell'economia italiana è fatta da piccole e medie imprese. Però il nanismo dell'imprese è un problema, è un problema molto grosso per l'Italia. Perché? Perché le aziende piccole non investono sufficienza in ricerca e sviluppo, non hanno, non fanno tanta innovazione, non hanno capacità, le finanziarie eccetera per finanziare tanta innovazione e quindi non avendo tanta innovazione riescono anche a trarre meno talenti. È chiaro che quindi è tutto, è un gatto che si mangia la coda, no? Quindi è tutto il circuito che manca, ha un corto circuito, appunto non si chiude. E quindi questa qui è una cosa, ripeto, che documentiamo nel libro, si può vedere, si può vedere che l'Italia è il paese dei nani, in termini aziendali, è il paese che investe poco in innovazione, in ricerca e sviluppo e questo è un problema. Una cosa flash, non è un problema di libertà, cioè la libertà gioco come giustamente dire, il problema è di regole, è di regole far funzionare il mercato, far funzionare le istituzioni, far funzionare l'economia, secondo regole che siano indirizzate in maniera adeguata, che diano gli incentivi giusti agli operatori e alle persone. Chiedo sintesi nella domanda e nelle risposte perché abbiamo finito il tempo ma la prendo volentieri. Sono d'accordo che in Italia ci sono tantissime eccellenze e sono quelle, raccontando per lavoro questo tipo di realtà, soprattutto nel distretto Brescia-Bergamo, dove la realtà industriale è più avanzata, è la terza generazione spesso che ha fatto il salto di qualità, sfatango anche il mito che la terza generazione la distrugge. Però volevo capire con voi, perché non ho letto il libro e mi prendo le mie colpe, c'è anche un bagno di realtà da fare nell'economia reale quando si ha a che fare con il nostro modello di imprenditori. Io ho sentito parlare di valorizzazione del merito anche attraverso incentivi o disincentivi. Non è una potenziale anche questa, lasciatemi chiamarla droga, in cui finché ci sono vale e potrebbero funzionare ma poi si ritorna al vecchio sistema? Chiedo in che cosa esattamente consiste il sistema di incentivi? Non sono i sussidi perché l'Italia è il paese dei sussidi, noi siamo assolutamente contro i sussidi. Quando parlo di incentivi o di struttura per incentivi non vuol dire dare un sussidio, ma dare le motivazioni giuste perché le cose si verificano e accadano. Non vorrei che ci fosse questo fraintendimento, quando parliamo di incentivi non parliamo di sussidi. Tema sul quale invece abbiamo un privato mondiale. Eliminare i disincentivi alla crescita, ci sono tanti disincentivi alla crescita delle dimensioni aziendali. Abbiamo sforato di due minuti che per i tempi del festival sono tanti, purtroppo non abbiamo proprio il tempo materiale. C'è qualcosa in sala adesso tra poco o ne posso prendere un'ancora? Un'ancora la prendiamo, sintetica domanda, sintetiche risposte. Io volevo portare un esempio positivo visto che prima si parlava di scuola di docenti nella provincia di Trento godendo di una autonomia che consente questo, si sta andando verso un sviluppo di carriera dei docenti riconoscendo il merito con una valutazione, nel senso che c'è un disegno di legge e tra pochi giorni ntrerà in consiglio provinciale per l'approvazione. Ovviamente tutti possono immaginare i Trentini, avranno letto, chi non lo è, il dibattito che questo suscita, ma mi piaceva sottolineare che non è solo contrario. Forse c'è una parte anche molto sana e molto positiva sulla quale si potrebbe fare leva per andare verso questa. Abbiamo i sindacati che non ci stanno nei tappeti rossi, ma abbiamo una parte dei docenti che ha delle aspettative rispetto a questa opportunità che viene data in termini di crescita, di formazione, di miglioramento del sistema complessivo. Quindi era solo un esempio, speriamo che diventi davvero un esempio. Un esempio positivo, c'è scritto anche nel PNR che bisogna fare la carriera degli insegnanti, sul sito del ministero c'è scritto carriera degli insegnanti fatto, è fatto un cavolo. Comunque siamo riusciti a finire in positivo. Benissimo, bravi. Grazie davvero a tutti voi e buona proseguzione.
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