Verso un paese multiculturale
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Verso un paese multiculturale
Il talk ha affrontato in modo approfondito e consapevole le sfide e le opportunità legate alla multiculturalità in Italia, evidenziando l'importanza di un linguaggio preciso e di una riflessione culturale continua per promuovere l'inclusività.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Buongiorno e benvenuti a Verso un paese multiculturale, che non è tanto una previsione ma quanto già una realtà in Italia, anche se poi lo vedremo le normative, le leggi italiane ancora non riconoscono alcuni dei cambiamenti, dei grandi cambiamenti che ci sono stati in Italia negli ultimi anni. Io sono molto contenta di questo panel perché l'ho fortamente voluto fare incontrare delle persone che fra di loro non si erano mai viste prima, perché a mio avviso è molto interessante creare queste reti che uniscono passioni, intelligenze e anche impegno in diversi settori. Ve le presento, inizio dalla mia destra, Shata Diallo, Principal Inclusion Lead at Mida, si occupa di consulenza aziendale per la Diversity and Inclusion, è psicologa e PhD student presso l'Università Cattolica, dove fa ricerca sui processi di inclusione in azienda. Nel 2015 ha fondato Iobbo, associazione culturale che promuove i progetti Erasmus plus orientati all'inclusione sociale e alla cittadinanza attiva. Shata. Buongiorno, buongiorno. L'applauso. Anche perché a parte nei loro rispettivi ambiti non è che poi siano abituati al Festival di Trento, quindi facciamo un'accoglienza, diciamo, in modo che possano tornare i prossimi anni. Allora, al centro troviamo Mariam Battistelli, soprano italiano nata in Etiopia, diplomata al Conservatorio di Mantova, vincitrice nel 2017 del concorso Ottavio Zino fino al 2020 nell'ensemble della... qui lo dirò malissimo, dillo tu, perché altrimenti c'è... Ecco. Ha appena debuttato al Teatro alla Scala di Milano come musetta nella Bohem. Buongiorno. Mariam. E poi abbiamo Pega Moshipur, attivista per i diritti umani e digitali, nata in Iran, si è trasferita in Italia con la famiglia attualmente collabora con realtà culturali ed istituzioni per attivare progetti sociali, politiche per un futuro inclusivo e aperto. Pega. Collabora con Repubblica per un futuro inclusivo e aperto. Collabora con Repubblica, ma noi siamo Pan Media. Pan Media. Ed è questo il bello per quello che facciamo nel paese multicultural e aperto e inclusivo, soprattutto. Vi do qualche dato, perché come sole 24 ore partiamo sempre dai dati per analizzare la realtà italiana nel 2020-2021, per la prima volta, rispetto ai dati che sono stati raccolti dall'83-84, l'anno scolastico ha visto una flessione della presenza di studenti con cittadinanza non italiana, però dall'83-84 c'era stata una crescita continua. Siamo a 865.000 con un'incidenza del 10,3% sugli studenti italiani. Quindi immaginate che un ragazzo ogni 10 in classe non ha cittadinanza italiana. Questo è qualcosa, è un fenomeno che sta crescendo e soprattutto la loro generazione ha avuto modo di viverlo, forse, più della nostra. Per questo mi interessava avere la loro visione del mondo e soprattutto come si svilupperà. Allora, iniziamo proprio dai dati, inizio da Shata. C'è un problema per la raccolta dati, perché poi quelli che vediamo e che vi ho letto non sono quelli che fotografano realmente la realtà. Abbiamo dati sui migrati e rifugiati, però il dato sulla multiculturalità è difficilissimo da avere. Senza i dati chiaramente è più difficile poi affrontare anche a livello politico anche a livello sociale quanto sta avvenendo. Da dove si dovrebbe partire secondo te? Ma ecco, c'è proprio un target, secondo me, che facciamo fatica ad intercettare perché inseriamo involontariamente, all'interno del capitolo cultura, tantissimi segmenti, tantissimi elementi. Io parto proprio dalla mia esperienza, appunto sono metà italiana, metà ivoriana, nata e cresciuta in Italia. Intercettare la mia multiculturalità in termini di dati è praticamente impossibile. Sappiamo che i dati, da questo punto di vista, sono fondamentali perché sono quella leva che ci mette nelle condizioni di intercettare quali sono i bisogni, le fatiche, quali sono le percentuali, quali sono le numeriche. Io credo che sui dati ci sia davvero bisogno, e questo riguarda la multiculturalità e non solo, di andare un po' oltre probabilmente delle resistenze culturali che ci mettono nella condizione di non fare certe domande. E qui c'è un altro problema, Monte, quindi come mai sono informazioni che non vengono mappate? Perché probabilmente al momento in Italia non c'è sufficiente sicurezza psicologica nelle persone, diciamo, per condividere queste informazioni. Quindi questo per me che cosa vuol dire? Che io mi santo libera di condividere un dato e di condividere delle informazioni su di me se so che queste informazioni verranno utilizzate a mio vantaggio, non al contrario. E quindi questo secondo me è piuttosto, diciamo, che a partire proprio dal dato il ragionamento è qual è il clima culturale che ci muove oggi che ci mette nelle condizioni di raccogliere dei dati e poi di farci che cosa? E questa sicuramente è una riflessione che va fatta perché se non c'è la tranquillità, se non c'è la libertà di potersi esprimere poi, e ci si nasconde, diventa più complesso riuscire a creare una società inclusiva. Mariam, il linguaggio della musica è stato spesso un linguaggio unificante per diverse culture. Io, per esempio, stasera presenterò il pianista iraniano che terrà un concerto Ramin Baharami lui, per esempio, ha un purpurri di multiculturalità, un crogiolo veramente interessante a livello di etnia perché ha un quarto russo, un quarto turco, un quarto tedesco e un quarto persiano. Quindi diceva proprio che la musica per lui è stato il modo per creare un'armonia con questa multiculturalità di cui lui testimone. Ecco, nel tuo percorso hai vissuto questa potenza della musica nella creare inclusività fra culture diverse? Assolutamente, ho moltissimi colleghi che vengono da qualsiasi parte del mondo. Il linguaggio della musica è secondo me il linguaggio migliore per avvicinarsi, per una multiculturalità, soprattutto perché puoi esprimere chi sei veramente come persona anche dalle tue origini e comunque quando imparo un ruolo, per esempio, devo mettere un po' del mio, quindi per renderlo diverso, perché ovviamente la musica è già stata scritta, è già stata cantata da diversi interpreti quindi mettere magari una parte delle mie origini o dove sono cresciuta per lo più, però per altri, proprio l'origine, se sono africani, asiatici, eccetera, ti dà qualcosa di speciale secondo me. Quindi rende il ruolo molto più interessante. C'è stata qualche criticità che hai dovuto affrontare in questo senso? No, da parte mia no, può darsi che alcuni colleghi, ovviamente si, li abbiano dovuto affrontare, però per lo più sono sempre stata molto ben accettata. Pega, tu invece sei nata in Iran, come dicevamo nella tua presentazione, poi a nove anni sei venuta in Italia, no? E raccontavi che tu hai imparato a scrivere inizialmente da destra a sinistra, poi arrivate in Italia, hai dovuto resettare tutto. In te convivono forti due culture, tu le rappresenti anche poi nella scrittura, come ricordava il Signore, negli eventi, nei tuoi interventi. Come fai coabitare queste due culture? All'inizio non è stato semplice, perché chi è un duale, perché di questo si tratta, sono due anime che non si riescono a intersecare. Infatti la difficoltà, a parte, diciamo, di scrittura, di lettura, ma anche l'apertura del libro, che i quaderni sono totalmente il contrario, quindi accettare il cambiamento già è stato abbastanza complesso. Poi mettiamoci anche gli stereotipi, che quelli sono i principali punti che ti fanno male quando sei in un contesto nuovo, perché devi dire chi sei e devi dire perché sei nel posto in cui sei arrivata. Quindi spiegare perché esisti, insomma, è abbastanza complesso. Poi in un contesto, l'Italia non era nel 1999 ancora aperta. Io e mio fratello eravamo i primi ragazzi stranieri a scuola, quindi anche gli insegnanti non sapevano come interagire con noi. Io andavo a scuola con il dizionario, che era più grande di me, perché dovevo cercare ogni parola. Quindi, meno male che è arrivato il digitale. Però, insomma, far imparare a non rispondere in che lingua sogni, perché devo rispondere a questa domanda. È una domanda che all'inizio dicevo, è certo che non lo so, ma perché non c'è una risposta? E questi duali vanno molto in crisi. Perché? Perché se una persona, un adulto, ti chiede in che lingua sogni, te devi rispondere. E che rispondi? Se dici italiano, allora sei italiana. Se dici iraniana, quindi non ti senti ancora italiana. Però se lo dici in Iran, quindi ti stai dimenticando delle tue origini. C'è un continuo giustificare. Ecco, non c'è una risposta. E non ci deve essere. Perché in realtà si arriva ad essere una terza entità, infatti noi siamo i ragazzi della terza cultura, perché siamo riusciti a far esistere questa terza identità che rappresenta perfettamente le due. E quindi vorrei tranquillizzare tutte le persone che magari possano pensare che la cultura italiana possa essere sostituita o altra. Invece no, io difendo la pasta fatta bene, senza ketchup e no ananas sulla pizza. Però anche la cultura mi ha aiutato tantissimo. Sono fortemente convinta che la cultura sia il linguaggio universale che avvicini le persone. Quando ero un po' più piccolina, io arrivo dall'impero persiano e sono dell'impero romano. Quindi mi divertiva anche richiamare la storia. Però è l'approccio che cambia tanto, perché ci sono stati invece altri ragazzi che entrano direttamente in conflitto. Quindi difendono tantissimo. La propria cultura si rifiutano di imparare l'italiano perché non trovano neanche ascolto. Non c'è uno scambio equo. La pericolosità può essere comunque questo, radicalizzarsi da una parte e rifiutare l'altra. Capita anche il contrario. Ci sono dei bambini che magari a otto o nove anni arrivano in Italia da un altro paese nel giro di un anno è stato dimostrato, dimenticano completamente la lingua da cui vengono, la cultura da cui vengono, perché per adattarsi hanno bisogno di fare tabula rasa di ricominciare da zero. Ed è un peccato perché è una ricchezza che si perde. Volevo chiedere la vostra opinione su una notizia che ho letto ieri. C'è una proposta, un emendamento, per togliere la voce, non so se l'avete letto, razza dai documenti pubblici. Perché c'è ancora razza? Volevo capire, per esempio, Ramin, il pianista che dicevo prima che è razza, che cosa deve inserire lì. Lo vogliono sostituire con nazionalità. Che cosa ne pensate? Anche perché di razza ultimamente in Italia, come parola, è tornata nelle cronache politiche diverse volte. Ecco, non volevo farvi entrare nel politico partitico, però esiste una politica più alta, la politica della società che vogliamo. A quel livello lì, che cosa ne pensate voi di questo cambiamento e quanti cambiamenti abbiamo ancora davanti? Vado, parto io poi. Ecco, ancora una volta, io credo che il ruolo delle parole sia fondamentale. Anche qui si fa tantissima confusione. Razza, cittadinanza, nazionalità, etnia, non sono sinonimi. Portano con sé dei significati semantici diversi. È un ragionamento forse un po' nerd, ecco. Però secondo me è molto importante perché alla base c'è una storia chiaramente culturale che ci narra di queste parole. La razza, ad esempio, se pensiamo al nostro contesto europeo, riporta la memoria alla Seconda Guerra Mondiale, riporta la memoria a una storia dolorosa, faticosa, ha delle origini in termini di mappatura di dati che si muovono quindi appunto sull'esigenza umana di categorizzarci all'interno di gruppi. E quindi io da una parte sento che questo dibattito in uno sguardo appunto un po' più alto e non politico sia interessante e importante di valore perché ci mette nella condizione di riflettere in modo un po' più profondo sul senso delle parole fino a qualche anno fa probabilmente, ecco, questo non accadeva. E ancora appunto la confusione tra questi termini io la sento altissima. E quindi nonostante il conflitto di linguaggio nel quale ci orientiamo, io la sento veramente un'importante opportunità per fare dei ragionamenti profondi di cambiamento culturale, di senso, di categorizzazione, di etnia, di razza, eccetera, eccetera, che quindi spero continui ad attivarsi, potenziarsi, innalzarsi, aumentare ancora di più per poi trovare insomma qualcosa. Non dico che funzioni per tutti. Anche qui io mi occupo di diversity and inclusion alle organizzazioni dico proprio in una curva gaussiana non possiamo aspettarci che tutti siano d'accordo, concordi, capiscano. C'è una norma e poi ci sono degli estremi così continuerà ad essere, però ecco, riflettere con questa norma secondo me è molto importante nel bene e nel male. Può essere molto interessante, però come diceva Pega, secondo me cancellare, l'utilizzo della parola è magari un po' troppo, però cancellare completamente sarebbe come cancellare le origini. Quindi se metti solo le cittadinanza, magari questa persona già è cittadina italiana d è come un po' dimenticare da dove viene. Quindi bene che si sia aperto un dialogo, eccetera, però sì, non toglierei del tutto. Quindi sarebbe necessario usare un'altra parola ancora, non nazionalità, cioè trovare una parola che... Esatto, per un'origine o un luogo di nascita, però non cancellare del tutto secondo me da dove si viene. Anche per me è interessantissimo che si metta in discussione continuamente perché impariamo da tutto quello che passiamo, quindi il tempo in qualche modo, lo scorrere del tempo, lo scorrere o l'evolversi, si spera, della civiltà umana ci porta a capire cosa non facevamo prima e cosa dovremmo fare oggi. Quindi mettere in discussione il tutto, soprattutto il linguaggio, che è la base del progresso sociale, è importante. Chiamare le cose con il proprio nome è importantissimo perché altrimenti non esistono. E quindi anche secondo me è interessante, ma bisogna chiamare esperti, fare un gruppo eterogeno di vari professionisti e sentire anche la società civile, che questo in Italia purtroppo non avviene molto. La società civile non viene ascoltata abbastanza. Nel senso, le interlocuzioni politiche sono sempre lontane da quelle che possono essere le istanze dei ragazzi o ultima generazione lo sta dimostrando, proprio perché non vengono ascoltati, irrompono e fanno bene. E la stessa cosa vale per tantissime altre cose. Ma su quello che si potrebbe fare è coinvolgere più professionalità, più persone per trovare il minimo comune parola. Posso aggiungere, perché questo secondo me è un punto importantissimo, nel senso che se non c'è rappresentazione, rappresentatività, se una certa categoria, un certo gruppo di persone non è rappresentato, non è possibile intercettare quei bisogni e quelle esigenze. A livello umano sarebbe impossibile dirci che ognuno di noi è in grado di intercettare le esigenze di tutti. Il futuro, in realtà, le voci che bisognerebbe. Esatto, il futuro, ma il futuro che cos'è? Nel futuro del nostro paese, chi c'è? E questa secondo me è una bella domanda. Volevo avere la vostra opinione anche su un'altra, diciamo, pecca a mio avviso normativa che abbiamo in Italia. In Italia, anche se nasci in Italia da genitori stranieri, non sei italiano, non hai il passaporto. C'è la necessità di passare dieci anni continuativi nel nostro paese per vedersi riconosciuta la cittadinanza. Ci sono altri paesi, per esempio, se si nasce in Gran Bretagna, si ha il passaporto inglese. Si è discusso tanto dell'oius soli, dell'oius scola. Ecco, quale sarebbe la soluzione? Perché noi abbiamo, anche nelle scuole italiane, tanti bambini nati qui che, voglio dire, molto spesso, non hanno neanche mai visto il paese di origine dei genitori, che parlano italiano, sono cresciuti nelle scuole italiane, quindi sono di cultura italiana. Molto spesso, non so, frequentano il catechismo, sono proprio totalmente integrati, ma non hanno il passaporto. Ecco, questo non lo trovate assurdo nel 2023? Allora, io solita nerd, ntro in una prospettiva un po' culturale, che fa quella che mi appassiona di più, perché la domanda che mi faccio è che cosa c'è alla base della resistenza nel guidare dei cambiamenti? C'è la paura del diverso e la paura del conflitto, che è fisiologica. Appunto, ultimamente ho proprio raccontato un po' di che cos'è il conflitto etnico, nel senso che c'è proprio questa tendenza umana, mettiamo caso, un paese in cui le risorse sono scarse a livello economico altro, arriva un gruppo di minoranza. Il gruppo di minoranza è un gruppo di minoranza, perché anche i numeri in termini di punti percentuali ce lo raccontano. La tendenza del gruppo di maggioranza è di ottenere il massimo delle risorse per sé limitarle per gli altri, per la paura di perdere un po' di potere. Anche il termine potere secondo me è molto importante, perché tutti noi tendiamo culturalmente al potere bisogna dirsi che fare spazio a qualcun altro significa limitare il proprio di potere. Quindi io credo che alla base ci sia una paura animale quasi, passatemi il termine, ma per animale intendo umana, che in termini di relazioni tra gruppi ci mette nella condizione di avere paura del diverso anche dirselo, questo secondo me è importante, la paura di stare nel conflitto, la paura di perdere potere anche la tendenza nel dirsi che includere qualcun altro non significa perdere potere, non significa stare nel conflitto, invece è così, e invece è proprio così. Allora, quando saremo in grado, secondo me, di ammettere che bisogna essere disposti in modo autentico a perdere del potere, a perdere del controllo che c'è qualcuno che è disposto a farlo, sì o no, anche qui in modo assertivo, allora è lì, secondo me, che in termini proprio di processi di relazioni tra gruppi si potrà guidare un po' di cambiamento. Sì, praticamente la perdita del controllo è la paura più grande, assolutamente, è la paura di non sapere più quanti poi sarebbero disposti a venire in Italia avere figli in Italia, ad esempio l'Italia, per avere poi direttamente il passaporto quindi ritorniamo al controllo che diceva Schiappa. È però un'assurdità, perché siccome siamo in un inverno demografico... Esatto, è un'assurdità, però poi l'altra paura è perdere la supremazia, diciamo, che ci siano più italiani veri, tra virgolette, diciamo, di origini italiane nati e cresciuti con famiglie italiane, che aumenti il numero di... di una generazione più mista. Questa è la più grande paura, che poi alla fine il controllo è la paura, sì, esatto. E un esempio, ho fatto moltissimo sport, c'era questo ragazzo con i genitori marocchini, però lui è nato in Italia, ha cresciuto, è studiato in Italia e voleva far parte della nazionale italiana, è un'atleta fortissimo, però fino ai 18 anni, appunto, non ha potuto avere il passaporto, quindi non ha potuto crescere nella nazionale italiana. Che poi, peraltro, lo sport è una delle vie principali per poi ottenere la cittadinanza per meriti sportivi, sono anche facilitati, diciamo. La maggior età per avere il passaporto italiano, quindi... Ecco, per dire la diversità che abbiamo sul palco, Mariem ve l'ha presentata, fa la sua professione ad essere un soprano, appunto, canta nelle opere, però ha giocato a rugby, poi, siccome si era fatta male a una mandibola, è passata al football, all'americano, perché così intossava il casco. Cioè, questo per dirvi chi abbiamo sul palco. Esatto, e c'era molta multiculturalità anche nel sport. Volevo farti a proposito di questa domanda del riconoscimento del passaporto. Secondo te, in Italia è più indietro la politica o più indietro la società per un riconoscimento simile? Io penso che la politica sia lo specchio della società. Appunto, quando sono arrivata... Vabbè, io ho scoperto di non avere la cittadinanza italiana, quindi non essere italiana a 15 anni. Si è sbattuta in faccia la realtà che non potevo partire per una gita scolastica, perché dovevo richiedere il visto, insomma, era abbastanza complesso. E lì ho capito che, ok, se io mi sentivo italiana, ero italiana, ero per tutti italiana, ma non lo ero per lo Stato, quindi principalmente io non esistevo come italiana. Da lì, però, ho capito sempre che sarebbe meglio dimostrare che io della cultura italiana ne so più degli italiani, e alcune volte è vero. E per questo, insomma, ho intrapreso molto il mondo della cultura, perché sapevo che attraverso la cultura è dimostrare ah, ma sai che il tuo dialetto viene da... Quindi un richiamare anche quello che è il percorso che si è fatto della lingua italiana, delle culture italiane. Non so, per esempio il risotto alla milanese con lo zafferano. Lo zafferano viene da un'altra parte, più dalle mie zone. E un richiamare la via della seta. Insomma, richiamando la storia, richiamando tutto quello che noi facciamo ogni giorno, portando degli esempi concreti, la gente poi si rende conto e dice ah, quindi noi siamo legati da più tempo. Sì, effettivamente, sì. Oppure, a proposizione di parole, dire la parola zucchero da dove viene. Viene dall'arabo. E quindi siamo una contaminazione meravigliosa. E la lingua italiana, la cultura italiana è altrettanto questa. Ha la sua identità, ma ha influenze che l'hanno resa bella tale. E, appunto, poi sono stata l'ultima della mia famiglia da avere la cittadinanza, perché è un processo molto, molto lungo, pesante. Anche emotivamente non è facile. Perché io dovevo avere la cittadinanza come mio fratello e mia sorella, che erano minorenni, solo che, ovviamente, pega la fortunata, compie 18 anni nel momento in cui doveva questa domanda essere approvata. La mia domanda è caduta perché, essendo maggiorenna, dovevo fare la domanda da sola. Quindi ho avuto la cittadinanza nel 2012. Però nel frattempo ero in piazza, ero diventata già rappresentante degli studenti all'università nel frattempo facevo anche attivismo politico. C'era anche qualche partito che mi aveva proposto di candidarmi. Io, sì, lo farò, ma fra qualche anno vediamo. Prima datemi la cittadinanza e poi mi candidò. Però la gente, appunto, va accompagnata, così come anche la politica, insomma, far capire che lo use culture, è dimezzare i tempi. Cioè, invece di aspettare dieci anni per fare domanda, se ne aspettano sei, sette. Ed è molto meglio, aiuta molto di più anche ad alimentare il senso di appartenenza. Se non c'è il senso di appartenenza della società, non c'è da nessuna parte, poi non c'è nulla. Poi un'altra cosa che mi faceva ridere e che poi portavo molto spesso, dicevo, h sì, certo che in Italia è molto complesso, c'è sempre uno straniero. Adesso sono io, però se va dal nord dicono che sono quelli del sud. Se va dal sud dicono che sono quelli del nord. Quindi anche richiamare, giocando, sorridendo, evidenziare le diversità, invece di quanto siano importanti, di quanto noi siamo in una bolla che non ci appartiene neanche come esseri umani. Quindi è un'aprirsi, però con il sorriso magari forse funziona e potrebbe arrivare prima. Allora c'è una cosa che mi ha fatto venire in mente questa tua risposta, perché questo panel nasce all'interno dell'iniziativa del sole 24 ore, all'EUP, l'altra metà del sole, che è il blog multifirma del sole 24 ore dedicato alla diversity di cui sono responsabile. E noi questi temi li affrontiamo quotidianamente. Shata scrive per noi e l'ultimo dei suoi articoli partiva dal concetto che qualcuno ti ha detto non si può più dire niente. Vai al sud e poi devi stare attento, sei donna e allora come ti tratto. Ogni tanto qualche collega mi chiama e mi dice ma se dico questa cosa o se scrivo questa cosa sono passibile di... C'è davvero un'attenzione che per fortuna è cresciuta, non da tutti, non è generalizzata, però sta crescendo. Ecco, non si può più dire niente? Utilizzavo anche quest'altra immagine di mi sembra di camminare sulle uova, che è una cosa che tanti mi dicono. Intanto appunto per riprendere un po' quello che abbiamo condiviso mi sembra di camminare sulle uova secondo me ci sta proprio perché sono tematiche complesse che richiedono competenza quindi se la competenza non si ha è bene chiedere a chi la competenza ce l'ha o quell'esperienza l'ha vissuta e introiettata. La risposta sul non si può più dire niente secondo me non è semplice ma collegandosi all'altra domanda che è quanto inclusivo essere inclusivi. Cioè se io normo, se io parlo di inclusione, quindi inclusione immagino un luogo aperto ma poi in questo luogo aperto normo tantissimo, parliamo ancora di inclusione. L'elemento diciamo più profondo secondo me ha a che fare ancora una volta con la possibilità di stare nel conflitto. Nel senso che l'elemento di questo articolo di cui poi raccontavo che mi ha colpito di più è che in luoghi inclusivi le regole ci sono ci sono regole anche per confliggere, ci sono regole per divergere, ci sono regole per condividere un punto di vista diverso dal proprio. Quindi non è che non si può più dire niente. Si può dire quel che si può dire all'interno del modo con cui il contesto si muove appunto nel camminare sulle uova ancora una volta io credo proprio sia importante dirci che questa è una competenza porta con sé una storia, penso appunto al racconto che condivideva adesso Pega che non mi rappresenta perché io sono nata col passaporto italiano quindi è stato molto bello ascoltare il suo racconto perché è lei che è passata all'interno di queste complessità quindi dare voce e mettere al centro chi queste esperienze le sa raccontare perché le ha vissute è molto meglio diciamo che farsi portavoce di qualcun altro. Tu hai passato altre complessità perché il tuo papà è musulmano quindi hai avuto questo confronto con una cultura diversissima che hai anche raccontato molto bene. Ma infatti mi colpiva prima ascoltandola perché invece appunto è una storia diversa nella misura in cui sono figlia di culture e religioni molto diverse ma sono nata e cresciuta qui con la mia famiglia bianca con i miei amici bianchi e quindi il mio conflitto d'identità è ancora diverso perché mi sento e sono italiana dalla testa ai piedi se esiste la possibilità di essere italiana dalla testa ai piedi le altre cose sono cresciuta in un contesto del tutto italiano ma sento quest'altra cultura con me perché gli altri me la fanno riconoscere non perché io la senta in particolar modo. C'è questo test dell'Università di Harvard che si chiama Implicit Association Test valuta le associazioni implicite una volta l'ho fatto sulla mia associazione tra il colore della pelle e degli aggettivi. Mi è venuto fuori che io ho una forte preferenza per bianchi immaginate il mio shock nel vedere il risultato prima c'erano delle domande, tu senti di avere una preferenza, io no poi io, come dire, nera, mi occupo di diversity and inclusion potrei mai io avere delle associazioni implicite? Viene fuori che ho una forte associazione appunto positiva verso i bianchi tutto sommato perché il contesto culturale all'interno del quale sono cresciute le persone con cui ho vissuto quindi ecco il conflitto di identità mettiamola così che io sento e che santo che accompagna me e accompagnarla tutte noi probabilmente per tutta la vita è davvero un percorso di scoperta cambia poi tantissimo da situazione in situazione per questo dico che i dati sono importanti perché sono situazioni diverse che si muovono poi su esigenze su conflitti, su appartenenze è molto eterogenea Mariam, la descrizione che io vi ho letto all'inizio è la descrizione che loro hanno passato per il festival di Trento nella sua c'era soprano italiano a me è sembrato strano che tu dovessi sottolineare italiano, te lo dico perché io credo che non l'ho mai visto associata nata in Etiopia in più tu vivi in Austria quindi tu hai un'identità e un'appartenenza in continuo cioè è qualcosa di fluido assolutamente sì, io ci tengo a dire che sono nata in Etiopia non che debba specificare che sono italiana mi interessa proprio dirlo soprattutto perché molte volte soprattutto nei concorsi se vedono dove sono nata mi associano all'Etiopia quindi poi fanno sempre un ricalcolo di tutte le nazionalità presenti al concorso siccome sono nata in Etiopia anche se ho un cognome italiano mi presentano come etiope siccome io tengo moltissimo sia cresciuta in Italia d essere nata in Etiopia per questo nella mia biografia ci tengo a specificare entrambe ovviamente non ho avuto nessun problema con passaporto io sono arrivata in Italia mi ha adottato una famiglia italiana quando avevo 8 mesi io sono nata in Addis Ababa ed ero in un orfanotrofio ho avuto questa fortuna perché io la ritengo comunque una fortuna perché sono tornata nel 2010 a visitare il luogo d'origine ci sono così tante bambini e bambine che mi ritengo veramente fortunata tutto il processo per avere il passaporto ovviamente l'ha vissuto mia madre perché è lei che ha dovuto trovare il traduttore però sì, per me è veramente importante ricordarsi da dove si viene però appunto tu sei un fluire perché adesso sei in Austria ho studiato qua comunque 4 anni in Spagna quindi ho avuto la possibilità di vivere una serie di diverse culture e tradizioni parlo spagnolo, parlo tedesco e inglese è veramente difficile perché anche quando si esprime una cosa che può essere italiana, tradotta comunque in spagnolo o in tedesco dà un'altra idea completamente quindi sul fatto di non si può più dire niente dipende anche qual è il tuo interlocutore dipende anche qual è la nazionalità dell'interlocutore perché secondo me cambia molto il modo in cui si porge comunque una risposta o una domanda io vorrei dedicare, siamo in chiusura vorrei dedicare questi ultimi minuti a qualcosa che ci sta molto a cuore che cerchiamo di seguire perché lo riteniamo importante ci deve essere un filo tra chi vive in questa parte del mondo chi vive in un'altra parte del mondo sta facendo una lotta per la libertà, per i propri diritti perché comunque questa lotta per i diritti accomuna un po' tutti cioè se pensiamo alla questione della legge sull'aborto negli Stati Uniti chi l'avrebbe detto, un passo indietro così importante però ci sono un paio di paesi al mondo in particolare in cui le donne in questo momento stanno affrontando situazioni davvero pesanti parlo dell'Afghanistan e dell'Iran volevo aprire una finestra su quanto sta accadendo in Iran perché secondo me dopo una prima fiammata iniziale, un trasporto emotivo il silenzio diplomatico, politico, istituzionale sta un po' normalizzando questa situazione invece in Iran continuano le condanne a morte, continuano le protesse continuano le violenze contro le donne allora se tu potessi raccontarci un po' quale è la situazione al momento come sta evolvendo, perché secondo me è importante creare questo filo tra la multiculturalità italiana perché se vogliamo essere multiculturali dobbiamo aprirci dobbiamo anche guardare quello che succede negli altri paesi Grazie, prima di tutto allora quello che sta accadendo in Iran sono 8 mesi di rabbia rabbia di lacrime, di sangue, di dolori che non si può neanche descrivere io delle volte ho veramente difficoltà ieri proprio avevo difficoltà a raccontare la scomparsa di un ragazzo di 16 anni ro in treno o quando ho letto la notizia perché era una storia veramente molto particolare questo ragazzo di 16 anni, 16 anni era per strada stava uscendo da casa della nonna per andare a casa sua un guardiano della rivoluzione li ha sparato un gas lacrimogeno a un metro di distanza alla testa la parte sinistra del suo cranio non c'era più lui era 8 mesi che andava in sala operatoria perché ve lo sto dicendo? perché non voglio che il suo nome finisca che finisca con la sua morte ha combattuto 8 mesi, 8 mesi su un letto d'ospedale paralizzato tra l'altro con le sanzioni che tanto i governi internazionali e occidentali si vantano il problema che vanno a finire sulla povera gente la povera gente non ha più i soldi per comprare la pillola della pressione che forse è la cosa più banale immaginate poi invece le sue spese mediche quanto siano state pesanti per la famiglia le persone che hanno cercato di aiutarlo ieri si è spento, ieri non ce l'ha fatta l'ultimo video della madre, ho imparato a non piangere l'ultimo video che aveva pubblicato la madre aveva la mano del figlio in mano diceva, amore mio, muovi il pollice lui riusciva a muovere un po' il pollice poi diceva, sbatti le ciglia sbatteva le ciglia non lo so, quel video era una speranza per tutti perché dicevamo, ok, nonostante è paralizzato per evvivo no ieri sera dovevo pubblicare il video ma non ce l'ho fatta l'ho fatto stamattina vi prego di portare lo so che forse non è bellissimo condividere video che fanno male ma i social network sono un aiuto a divulgare quello che accade immaginate il dolore della madre io non so neanche come dirglielo alla madre adesso che noi a Trento, in Italia, in Europa, ne stiamo parlando di lui ne parlerò sempre, fino a quando avrò la possibilità di parlare quello che vorrei che non si smettesse di fare, appunto, è il parlare ok, la politica non lo fa più o lo fa poco sono poche persone che sono sensibili a quello che può cadere in Iran perché il profitto riempie di più la pancia l'Iran è uno dei principali paesi al mondo con il più vasto giacimento di gas e petrolio che adesso serve certo adesso serve tantissimo ma a che costo? quanti altri bambini, perché era un bambino quanti altri bambini devono essere uccisi? per avere cosa? riscaldamento? per avere benessere nostro? al prezzo di cosa? quindi anche noi siamo coinvolti noi siamo responsabili il senso di responsabilità non è solo politica è anche sociale, è anche di casa nostra quindi dentro le nostre mura parliamo di quello che accade in Iran che poi non è solo in Iran, è in tutto il mondo ci sono tantissimi di quei conflitti che noi non sappiamo neanche però adesso sappiamo l'Iran, prendiamo l'Iran portiamolo avanti per non ripetere le stesse cose, gli stessi errori andiamo avanti, facciamo questi gruppi di discussione, di lavoro per portare avanti cose perché poi arriva l'ONU che qualche settimana fa ha nominato l'ambasciatore dei diritti umani per il social forum un iraniano del regime perché? chiediamolo il perché perché un'entità così? le nazioni unite devono portare avanti un tale messaggio è pericolosissimo è pericoloso anche per la nostra democrazia è pericoloso per il nostro benessere se l'Iran che diventa sempre più forte con la Cina e la Russia è tutto il mondo che è messo in discussione è tutto il mondo che dovrebbe preoccuparsi del proprio presente perché il futuro non lo possiamo prevedere cco, senso di responsabilità adesso dobbiamo piangere, sì perché siamo umani, siamo fragili, dobbiamo piangere ma dall'altra è prendere la situazione in mano lo dobbiamo fare noi perché non lo può fare qualcun altro al nostro posto d è questo che mi porta ogni giorno in un posto diverso da 3 mesi con una valigia, con tutte le difficoltà ma non posso smettere perché se smetto ho paura che poi un altro Abolfaz un altro Nika, un'altra Massa succederanno, continueranno a succedere nel Sistane Baluchistan che è la regione al sud iraniano scusate questo poi lo dico solo per chiudere ogni 6 ore viene impiccata una persona ogni 6 ore ogni 6 ore, quando passano ogni 6 ore pensate a una persona che non c'è più perché? perché chiedeva la libertà perché? perché è di un'etnia diversa perché il regime della Repubblica Islamica non riconosce i Baluchi, non riconosce i Kurdi non riconosce nessun'altra entità o etnia, lingua diversa che sia al di fuori dell'iraniano non è arabo quindi vi ringrazio e aiutateci a non spegnere la voce e la luce io chiudo qui perché il tempo a nostra disposizione è finito chiudo dicendovi che questo non è il futuro dell'Italia ma è il presente dell'Italia Sottotitoli a cura di QTSS Sottotitoli a cura di QTSS Sottotitoli a cura di QTSS Sottotitoli a cura di QTSS Sottotitoli a cura di QTSS
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