Sguardi sul teatro contemporaneo
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Sguardi sul teatro contemporaneo
L'intervista a Fabio Francione ha esplorato il ruolo del teatro contemporaneo di fronte alle sfide attuali come pandemia, cambiamenti climatici e guerra. Francione ha sottolineato l'approccio sostenibile del teatro italiano, evidenziando linee guida green adottate da festival e istituzioni. Massimo Popolizio ha espresso la necessità di una svolta forte nel teatro post-pandemia, cercando di unire aspetti teatrali, storici e civili.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Buon pomeriggio, benvenuti a questo nuovo incontro con l'autore. Io sono Alessia Tripodi e oggi dialoghiamo con Fabio Francione, scrittore e critica, autore del testo Sguardi sul teatro contemporaneo. Benvenuto Fabio, posso darti del tu? Non te l'ho chiesto prima ma lo facciamo adesso. Sguardi sul teatro contemporaneo è una rassegna di sedici interviste a registi, drammaturghi, compagnie non solo italiani ma anche internazionali che, racconta Fabio, cercano di dare possibili soluzioni alle tante urgenze che in questo momento stanno flagellando, come giustamente usi questo termine il nostro pianeta. La pandemia, gli effetti dei cambiamenti climatici, la guerra che stiamo vivendo, quindi è un momento certamente molto complicato, allora vogliamo partire da qui e capire qual è il ruolo del teatro contemporaneo nella possibile soluzione di queste urgenze? Ti devo subito smentire perché il teatro non dà soluzioni a queste urgenze, non le sta dando la politica, non le stanno dando da nessuna parte, però a dispetto del fatto che il libro è uscito nell'ottobre scorso, adesso molte situazioni teatrali, sia come enti ed istituzioni, sia come soggetti isolati, stanno elaborando un pensiero green, sostenibile, che affronti la situazione economica e sociale di oggi in maniera molto più pressante. Vi faccio un esempio, Trova Festival, che è un soggetto privato che ha mappato tutti i festival italiani, ha elaborato delle linee guida green, sostenibili, che potete trovare sul loro sito trovafestival.it. L'altro giorno, il piccolo teatro, la più grande istituzione teatrale italiana, ha presentato la nuova stagione e se voi leggete l'introduzione del direttore Claudio Longhi vedete che c'è molto sostenibile di green, anche loro hanno elaborato alcune linee guida. Ciò non vuol dire che verranno applicate o meno, sapete benissimo che molti soggetti privati, soprattutto aziende, anche multinazionali fanno del green washing, dopo è difficilmente applicabile. Il teatro ha da sé che anche una parte è povera, c'è da una parte, vi faccio un esempio paradossale, Ronconi che allestiva spettacoli milionari e poi c'è Ascagno Celestini che è uno dei partecipanti al libro che invece ha la sediolina e la lucina piccolina e parla, perciò più ecologico di questo non c'è. Assolutamente, ho guardato ovviamente anche tutti gli autori. Però mi sono accorto che non ti ho risposto. All'inizio mi hai detto che il teatro non dà soluzioni, però forse può ispirare. Ti spiego meglio, anche perché entriamo dentro dell'officina del libro, nel senso che io ho avuto dal gruppo 24 Orecultura che mi ha commissionato il libro, ampia libertà di scelta, però il libro è stato pensato, progettato durante il secondo o terzo lockdown. La guerra non era ancora iniziata perché se uno regge il libro, l'intervista da Ascagno Celestini e a Massimo Popolizio è avvenuta prima del 24 febbraio e dopo di che mi è stato chiesto domanda anche della guerra, perciò le uniche due cose che mi hanno chiesto di chiedere erano pandemia e guerra. Ti devo anche dire che sulla pandemia tutti quanti sono entrati anche a gamba tesa, perché la questione è riguardata un po' tutti. Il tempo sospeso non ha riguardato solamente noi, i lavoratori, ma anche soprattutto la gente di spettacolo, perché se uno non va sul parco, non realizza film, non si aprono le sale, poi lasciamo perdere il discorso delle sale piene o meno, ma quello è un altro tipo di aspetto. Molto colpito, anche se però a mio avviso, siccome io penso per quanto riguarda l'audiovisivo che ormai gli schermi si sono moltiplicati e la fruizione anche collettiva, quella che dovrebbe essere al cinema, è diventata singola e individuale, anche perché spesso se voi avete degli amici che sono dei cinefili e vanno al cinema e poi hanno anche l'avventura di filmarsi, che sono fotografarsi, che sono da soli al cinema e si vantano pure, sono da solo al cinema, che è una cosa terrificante a mio avviso. Queste qua sono state le due domande, tra virgolette, costrette, ma come vi ho detto, per quanto riguarda la pandemia, tutti hanno risposto immediatamente, perché in quel periodo erano a casa, però quel periodo non è stato come dire, non è che non hanno fatto niente, hanno realizzato moltissimo, hanno pensato, hanno progettato solitamente la frenesia del tempo moderno, l'ho detto un po' lacinato. Si fa in modo che non ci fermiamo a pensare e tutto va molto veloce. Se ci fate caso, chi di voi sa che oggi termina Cannes? Uno, due, tre, quattro, cinque. Vi interessa chi vince la palma d'oro? Signora, secondo lei chi vince? Sì, qui si aprono tantissimi spunti. Una curiosità che mi assorta adesso mentre parlavi, parlavi anche di Cannes, io ho fatto un collegamento con Nanni Moretti, l'ultimo film di Nanni Moretti, perché credo che sia stata Margherita Bui, che in un'intervista in cui promueva il film ha detto, poi Nanni, anche durante la pandemia, ha aspettato, a far uscire il film perché non voleva andare sulle piattaforme. Lui ha resistito perché voleva andare nelle sale. Ora io personalmente, da fruitrice media dell'audiovisivo, è ovvio che il cinema è tutt'altra cosa, però francamente non capisco considerare le piattaforme come un metodo di fruizione di serie B. Che ne pensi? Penso che Moretti abbia sbagliato, anche perché se uno guarda il suo film, solitamente il cinema di Nanni Moretti aveva una profondità di campo, che andava anche al di là del fatto dell'essere logorroico al massimo grado, cosa che rimane anche in questo film. Un altro paio precedenti che erano veramente molto brutti e questo sfiora un po' la bruttezza. Ovviamente è un mio giudizio personale, però guardandolo non ha questa grande profondità di campo, mi sembra fatto più per la televisione, mi sembra molto televisivo. Perciò secondo me sbaglia. Poi sono nelle budate di Moretti, nel senso chi sta a Roma, il Saker va lì fuori, un po' la Rihanna Muskin. Perché c'è lui in biglietteria. Queste cose così che fanno un po' ridere. Secondo me Moretti ha perso un po' di verbo da quando Barbagallo l'ha lasciato nella produzione, però queste sono opinioni personali. Moretti è altro 70enne, splendido 70enne, cioè di giovane registi, io ne ho po' più di 50, vado verso la sessantina, perciò già sono fuori quota anch'io. Vediamo un po' Alice Rockvacher che fa, che mi sembra una fuori classe vera. Vedete come teatro e cinema si intersegano incredibili. Moretti sarà al piccolo teatro con due atti di Natalia Ginzburg. Io vorrei vedere a teatro, mi faccio il segno della croce. Allora questo. Però vorrei vedere il film di Margherita Bui che esordirà tra poco come regista. Mi interessa molto perché la Bui, parte che fa sempre il solito personaggio nevrotica, che poi forse è lei stessa, cioè è lei stessa che si mette a nudo e finge di non essere così, ma è così insomma, un po' di ribaltamenti di ruoli. Però mi sembra interessante perché molte cose, adesso a parte il fatto il femminile, il gender, tutte queste cose, ma a mio avviso all'interno sia del teatro, sia del cinema, che della musica, la componente femminile, ma io non considero maschile e femminile, non mi interessa, mi interessa l'opera in sé, è molto importante. Secondo me è migliore di quella dei maschi in questo momento, se vogliamo fare queste distinzioni che vanno molto di moda e che io trovo insopportabili. Assolutamente, assolutamente anch'io. Hai sottolineato più volte che i registi di cui si parla più adesso, quelli diciamo più in evidenza, a partire da Cannes, sono settantenni oppure comunque non giovani. Allora prendo spunto da questo per leggere la sintesi dell'intervista al collettivo Anaghor, che dice La pandemia ha fatto esplodere, reso più tangibili i nodi già presenti e ha messo a nodo una mancata formazione del pubblico del futuro, un disinteresse per le mutate esigenze del pubblico più giovane, uno scarso interesse per l'evoluzione dei linguaggi performativi. Allora, traduciamo, perché Simone De Rai, che è il regista della compagnia, lui si che si intende molto di gender. Però scusa, prima che traduci, dicevo la cosa che mi pare molto interessante, questo disinteresse per le mutate esigenze del pubblico più giovane, mutate rispetto al pre-pandemia? No, alla classicità della messa in scena, anche perché faccio un altro paragone cinematografico, gli Anaghor, che sono un collettivo che nasce all'interno dell'Università di Venezia, ma vivono a Castelfranco, hanno vinto anche il Leone d'Argento, fanno un teatro molto difficile che prende dalla classicità grego-romana e arriva fino a delle istanze che possiamo assommarle alla new wave musicale. Io li paragono al cinema, infatti li conosco da quando erano bambini, adesso sono 40 anni, sono circa 16 anni che li seguo. Adesso tra l'altro esordiranno con un film all'Azolo Film Festival che si occupa di film artistici e questo film è tratto da alcuni video, perché hanno fatto anche delle opere liriche non classiche, non di cartellone, le hanno riassemblate, suscitando sempre molto scandalo. Tanto che sono amatissimi in Germania e in Italia hanno un pubblico bello, importante, ma non di grandi numeri. Io li paragono a Jean-Marie Straub, quando li vedo dico, questi erano come Straub, hanno lavorato anche con Sokurov al Teatro Olimpico, dico ma perché ci dici così? Perché sì, perché la fissità, la capacità di dizione. Marco Menegoni che è loro attore principale, attore feticio e anche componente del collettivo, a mio avviso il più fine dicitore di teatro italiano, la sua voce è incredibile, nel momento in cui però si muove, adesso tu stai registrando, io lo dico ma gliel'ho detto anche, mi sembra che faccia il teatro amatoriale. E gliel'ho detto questo, ma quando parla ragazzi miei, vertici assoluti. Tra le altre interviste mi ha colpito anche quella di Massimo Popolizio che come hai detto è stata fatta prima dello scopo della guerra, però mi ha colpito sempre parlando di come la pandemia ha cambiato anche la forizione, ha cambiato tantissime cose, adesso non vorrei diventare qualunquista, però mi ha colpito. L'OMS ha dichiarato la pandemia, tranne che al Giro d'Italia, una bola nel Giro d'Italia, questa è una cosa incredibile, tanto che è il campione del mondo che andrà da casa. Massimo Popolizio ti ha detto, non basta dopo la pandemia una bella edizione di un bel testo di Pirandello, di Goldoni, di O'Neill, di Chekov, a me non basta più, ci serviva qualcosa che unisse sia teatralmente, sia storicamente, sia civilmente qualcosa e non sto dicendo che è la regola, sto dicendo che qualche volta specie dopo la pandemia una sterzata forte serviva a cominciare da avere 18 attori in scena. Cioè recuperare anche la socialità sul palco? Sì, bisogna dire che quando ho detto questa cosa, abbiamo fatto un'intervista sul palco del Picco Teatro mentre metteva in scena M, falcidiato, ogni volta si interrompeva perché qualcuno si ammalava di Covid. Mi ha detto talmente questa cosa che adesso io al Picco Teatro con lo sguardo al ponte di Miller, perciò vedete come le cose cambiano repentinamente, sta di fatto che Popolizio è un grandissimo attore, questo non c'è alcun tipo di dubbio. L'ho intervistato uno per questo, due per il fatto che metteva in scena un romanzo storico, chiamiamolo di Scurati, altra persona che conosco da molto tempo e soprattutto perché mi è sembrato il miglior raccoglitore dell'eredità di Ronconi. Questo io lo dico anche nell'intervista. Naturalmente Popolizio ha una propria autonomia artistica, questo è in dubbio e lo si vede proprio nella messa in scena. Chi di voi ha visto M? Avete visto la stratificazione? Sembra quasi, è un po' più sintetizzato rispetto alle macchine teatrali di Ronconi anche perché la produzione era molto vasta e soprattutto c'era un personaggio in più oltre ai 18. Avete capito qual era? Era stratificato? Chi ha visto lo spettacolo ha capito qual era il personaggio in più nella messa in scena? Nessuno di voi? La musica, la musica era il personaggio in più nella messa in scena ed era incredibile. Infatti noi parliamo anche di questa cosa, dell'uso della musica all'interno della macchina scenica teatrale e spesso i critici non si accorgono dei fondali, non si accorgono della profondità del testo e della macchina teatrale. Ad esempio in Romeo e Giulietta di Martone, chi altri di voi ha visto Romeo e Giulietta? Allora qual è il personaggio in più? Vediamo se se lo sai, se te ne sei accorta. Non sapevano che fosse una sorta di quiz. No, è divertente perché si riesce a comprendere qual è la macchina scenica. La meteorologia, il fondale. Tutti quanti si sono concentrati sugli alberi, sul mondo di sopra, di sotto, di lato. Queste cose le diciamo nel nuovo libro che è sul cinema, Sguardi sul cinema contemporaneo, perché non ho fatto entrare due personaggi del teatro grandissimi italiani che sono Mario Martone e Emma Dante che si occupano anche di cinema e entreranno nel libro di teatro e si entrano nel libro sul cinema. Interagiamo, ti piace questa cosa? Sì, assolutamente. Io, se sei d'accordo, vorrei anche fare un piccolo passaggio, cioè che tu mi raccontassi la storia di questo libro, non solo da come è nato, come l'hai scritto, in quanto tempo, quali sono stati gli ostacoli, le difficoltà. Gli ostacoli sono stati tantissimi, non è vero. Allora, il libro è nato in questa maniera, è un po' bizzarro. Perché? La domanda scomoda. No, no, no, assolutamente. Poi Chiara, figurati. Allora, è nato in questa maniera, che io vado alla presentazione del libro Sguardi sull'architettura contemporanea, all'ADI. Ci vado perché mi interessa molto l'architettura, poi Rache, il curatore, è un fuoriclasse, insomma, mi piaceva questa cosa. Sono andato lì, vedo il formato che è fantastico. Queste cose Chiara lo sa. Il formato è fantastico. E torno a casa e dico, diavolo, io voglio fare un libro così. Quindi sei l'autocommissionato. Voglio fare un libro così, mi piace questo libro, voglio farlo sul teatro, sul cinema, non mi ricordo cosa ti avevo detto. E siccome l'ufficio stampa, che cura 24 ore, una delle persone, anche una mia amica, ho detto, guarda, ho un desiderio, voglio fare questo libro, mi fai parlare col direttore editoriale? E' una donna. Si chiama così. No, nessuna paura. E mi dice, mi dà tutti quanti, eravamo nel pieno del primo o secondo lockdown, mi sa il secondo, primo o secondo. Allora, le mando una mail, si richiude di nuovo tutto, quattro mesi dopo, circa, mi telefona uno dei suoi collaboratori, facciamo la riunione zoom. Che dura esattamente, io illustro il progetto, due minuti e mezzo, circa, illustro il progetto e Chiara mi fa... Chiara Safino è la direttrice editoriale di 24 ore di cultura. E mi dice, se voglio fare questo libro con te, giusto? Ah, meno male. Non contento, mi fa fare pure un altro, per dirsi. Dopodiché abbiamo il libro, cioè il format che lei ha inventato sul modello interviews di Andy Warhol, prevede dodici interviste, miste tra italiani e internazionali. Di solito preponderanti gli italiani e poi fai conto il 25-30% gli internazionali. Io ne ho messi due in più, quattordici, ne potevamo mettere anche, ti ricordi che ne potevamo sedici o sei dopo, il tempo era breve, perché l'editoria ha dei tempi. Però, mi consenti, posso dire anche quelli che ci hanno detto di no? Ecco, allora, ne ho sentiti veramente tanti. Allora, abbiamo mancato purtroppo, perché poi la cornice è mancante di un lato, nel senso che si chiude, se tu vedi, con Eugenio Barba, decano del teatro grotoschiano, quello che ha portato in Italia Grotowski, tutto quanto che ha 83 anni. Il lato principale doveva essere Peter Brook. Purtroppo Peter Brook è mancato. La figlia mi ha risposto e noi dovevamo chiudere il libro a settembre, circa un po' prima, agosto-settembre. Il padre era morto da due settimane, io le ho rimandato le domande, le ho rivolte a lei come se fosse stato un lasciito, però non se la sentiva, non potevamo dire questa cosa. Un altro che abbiamo contattato e ci ha risposto la gente è la gente Tom Stoppard. Purtroppo ha 90 anni, non parla più, sta male, tutto quanto. Alan Bennet non usa le mail, usa la macchina da scrivere, invece la più stronza è stata, tanto è talmente alta che secondo me è anche contenta se le diciamo così. Yasmine Reza viene pubblicata dalla Delphi e l'ufficio stampa della Delphi è curato da una mia carissima amica che lavorava prima alla nave di Teseo. Abbiamo mandato le domande, tutto quanto, però non mi piacciono. Purtroppo abbiamo preso i libri della Reza e li abbiamo regalati, non è vero, li teniamo perché è una grandissima dramaturga. Naturalmente ha uno snubismo molto alto, concedo un'intervista ogni tanto se lo chiede Repubblica e lì tac. Entriamo in un'altra dinamica. Ragazzi non è tutto quanto oro quello che vedete, spesso ci sono delle dinamiche che vanno al di là di ogni senso. Non è solo l'immagine idilliaca dello scrittore che scrive nel silenzio. No, assolutamente. Questo qui è un libro molto parlato, molto discusso perché poi c'è tutta una fase che si aziona la macchina editoriale fatta dai collaboratori di Chiara che devono vedere se va bene o meno. Le correzioni sono state sempre molto poche, siamo andati sempre lisci, forse ci sono state un paio di correzioni da parte di Castellucci. Poi ovviamente le interviste non sono state fatte tutte quante deviso perché per esempio Spregerburg era in Argentina, Rodriguez stava allestendo il Festival di Avignon. La cosa è stata molto complicata, la maggior parte le ho viste, ci siamo intervistati di persona. Senti, questo libro cosa ha significato per te nel tuo percorso professionale e personale? Dovessi dire una cosa che ti porti dall'esperienza di questo libro? Com'ero ringraziato tutti quanti gli editori, ringraziato 24 Ore Cultura e la parte dedicata ai libri Chevillera, Chiara, Monica, Gian, tutti i collaboratori perché mi hanno dato un'opportunità bella e si replicherà breve con l'altro libro. Nel senso che mi piace guardare il presente e il passato non lo vivo, ho uno sguardo sempre rivolto al futuro, infatti questo libro è un mattoncino per altre cose. Io spero, soprattutto è molto divulgativo, nel senso è scritto in una maniera molto fruibile, in alcuni ho cercato anche, certe volte ho cambiato anche le frasi degli intervistati perché sapete benissimo che i drammaturghi intellettuali spesso parlano un po'. Ecco, allora magari giro la domanda, c'è qualcosa degli autori, dei drammaturghi, degli attori che hai intervistato che non sapevi che hai scoperto scrivendo questo libro? No, no, no, no, perché prima di ogni libro, prima di ogni cosa, adesso scherziamo diciamo le cose ma c'è una documentazione veramente forte. No ma non sapevi, o magari non ti aspettavi la risposta a una domanda, magari te la immaginavi in un senso e invece la risposta è stata un'altra? No, perché considero sempre, allora considero sempre un grande artista, almeno un artista di grande elevatura, l'imprevedibilità, l'essere imprevedibile all'interno di quella grandezza, perciò non mi spaventa come cosa. Poi ho sempre la risposta pronta perciò e anche la domanda successiva, conseguentemente. No, mi metto sempre, adesso lei mi sta intervistando ma spesso io faccio il suo mestiere, mi metto sempre al lato anche quando, infatti dopo diventiamo amici con gli artisti perché capiscono che in realtà siamo alla pari. Allora abbiamo ancora un quarto d'ora abbondante, io farei anche un giro di domande dal pubblico, domande, considerazioni, interventi, insomma mi piace che questa chiacchierata sia anche interattiva, quindi c'è qualcosa che volete chiedere all'autore, qualcosa che volete raccontare della vostra esperienza con il teatro contemporaneo? C'è qualcuno che rompe il ghiaccio, ecco, arriva il gelato, facilissima. Intanto grazie, è molto interessante, tanti spunti di riflessione per chi fa questo mestiere che è sempre un po' residuale in Italia. Marginalissimo. Se consideriamo che in epoca pandemica, io lavoro al Teatro Stabile di Torino, che è uno dei sette teatri nazionali, e i miei amici dicevano beata te che in questa pandemia a voi non avete niente da fare. Noi non ci siamo fermati un secondo, i teatri erano chiusi, gli spettacoli di Valerio Binasco provava, Filippo Dini provava, quindi il lavoro era continuo e serratissimo ma non se ne accorgeva nessuno, diciamo. Una delle cose più inquietanti è stato che... Guarda, sono stato due settimane fa allo Stabile, ho presentato un'altra cosa, sono stato lì nell'archivio, come si chiama? Al Centro Studi, certo. Se pensiamo che i nostri politici, nessuno citava gli artisti, nessuno parlava del teatro, il primo è stato Papa Bergoglio che ha detto nella Chiesa di Santa Marta, oggi pregherò per gli artisti i dimenticati, un po' inquietante questo, diciamo. La mia domanda era un'altra, la cosa interessante di cui parlavate all'inizio è il Green Theatre, esiste un Green Book che è stato stilato dai teatri inglesi che sta girando in tutto il mondo ed è tradotto ormai in tutto il mondo, come al solito noi un po' più fanalino di coda, arranchiamo e arriveremo. Però sappiamo che il teatro italiano è un teatro di capo comicato, è un teatro di compagnie di scavalcamontagne che girano l'Italia e portano gli spettacoli anche nei teatri più piccoli, più di provincia, a differenza del... Il teatro d'abbonamento, chiamiamolo così. Esatto, esatto, a differenza del teatro inglese che ad esempio Londra è la vera capitale, gli spettacoli stanno nell'West End, sia che siano di proda, sia che siano di musica e sono gli inglesi che si spostano per andare a Londra. Hai citato due esempi importanti delle ultime due stagioni teatrali, M e Romeo e Giulietta di Martone, che sono due spettacoli grandissimi, imponenti dal punto di vista della scenografia, da un certo punto di vista poco green nel senso, perché sono impossibili da togliere dal piccolo teatro di Milano per andare in tournée ed essere rappresentati negli altri teatri italiani. Infatti hanno delle teniture lunghissime. Delle teniture lunghissime per fare in modo che la gente possa andare al piccolo a vederli. Ce la faremo secondo te a trovare un compromesso nel senso far sposare il capo comicato e la nostra tradizione teatrale italiana, rispettosissima e importantissima, rispetto però a un teatro green che possa spostarsi in maniera un po' più agevole, trovare un compromesso visto che parliamo del futuro del futuro del futuro del futuro del teatro dell'arte anche se sappiamo che resteremo marginali per sempre, però lo troveremo questo compromesso. Però in realtà sai, c'era un filosofo francese molto uscita che si chiamava Deleuze che parlava sempre dei margini, soprattutto prustiani e allora lì forse sannidano letterature che spesso poi entrano nell'immaginario collettivo e noi in immagini che si susseguono. Come posso risponderti in maniera intelligente? Forse non ci riesco, nel senso che ben vengano questi spettacoli perché danno l'esatta dimensione di cosa può essere il teatro, ovviamente stiamo parlando di grandi artisti ed anche in modo sperimentale. Io adesso quando ho intervistato Martone per il libro sul cinema, l'ho intervistato mentre c'era la replica di Romeo e Giulietta, lui riceve una telefonata dove stava descrivendo, ci fermiamo un attimo, io e Martone siamo molto amici, perciò si è permesso di fare una cosa? Si è fermato, ha risposto a questa telefonata per capire come avere una troupe televisiva della RAI per poter riprendere lo spettacolo, lo spettacolo ha ripreso, dall'altro capo del telefono c'era uno che adesso si è dimesso e forse va a fare il soprentendente al Napoli, gli stava spiegando come fare questa messa in scena televisiva. Questa trasposizione secondo me darà molti suggerimenti anche sostenibili ad altri spettacoli, secondo me vedere uno spettacolo in maniera derivata può dare molti suggerimenti perché quando sei e vedi uno spettacolo così grande all'interno del teatro sei talmente preso dalla messa in scena, dalla scenografia, dalle musiche, dagli attori se ti piacciono o meno. Nel caso specifico di Romeo e Giulietta erano due ragazzini di 15 anni e 18 che spesso non si capivano perché avevano una specie di imbarazzo, infatti Martone ha sperimentato questa cosa nel senso che lui sperava che mano a mano progredivano all'ultima replica raggiungessero almeno una perfezione dell'80% di quello che lui pensava, ma questa qui è una grande sperimentazione che lui si è potuto permettere all'interno del picco teatro. Vi faccio un altro esempio bello, scusami un attimo così faccio vedere un attimo i nomi. Molte mi hanno accusato, è stato un libro facile, è stato un libro facile, hai fatto la nazionale del teatro, ci sono gli stranieri come nel campionato di calcio ecc. Vi dico tranquillamente, qui Celestini, teatro di narrazione c'è mai molto di più, Popolizio lo abbiamo detto, erede di Ronconi, le Arriette sono un gruppo che sembra marginale ma in realtà ha un livello internazionale molto importante in Francia, in Belgio e in Germania. Marta Guscuna è stata a Parigi adesso, Castellucci lo sappiamo, Stefano Tè adesso è in Moldavia col Moby Dick, Punzo ha vinto il leone d'oro, Gli Anacor leone d'argento, Gianni Forte è direttore della Biennale Teatro, Pascal Rambert è uno dei maggiori dramaturghi francesi. Noi abbiamo 8 minuti, voglio lasciare anche spazio al domande del pubblico, però sicuramente se volete scoprire fino in fondo tutti i profili degli autori, era anche un modo per dire leggetelo, non possiamo spoilerare tutto. Ragazzi a Milano in queste settimane ci sono stati sei di questi autori, mi sembrava una cosa incredibile trovarli tutti insieme, infatti abbiamo fatto anche delle altre presentazioni. C'è un'altra domanda, un altro spunto dal pubblico altrimenti? No, l'ho risposto, l'ho risposto benissimo, vorrei una domanda da Chiara. Allora una domanda ce l'ho io, che forse anche tocca un po' il washing, il green washing, la sostenibilità, anche il ruolo delle nuove tecnologie, come le nuove tecnologie hanno cambiato, stanno cambiando, cambieranno il teatro contemporaneo, la fruizione, insomma non solo la fruizione. L'anno già, l'anno già cambiato anche perché le video proiezioni sono parte integrante della scenografia, il fatto che all'interno anche le storie prevedono l'interazione con gli algoritmi, c'è anche un po' tutto questo. Non è ovviamente, non è solamente oggi che si usano questi espedienti in economia. Allestendo, vi dico, nel 1948, il secondo terzo spettacolo del Piccolo Teatro, allestendo la mostra del centenario di Paolo Grassi nel 19°, perciò all'epoca preva il Palazzo Reale, e intervistando uno dei quattro fondatori, perché non sono i fondatori del Piccolo Teatro, non sono solamente Strahler e Paolo Grassi, ma sono anche Mario Apollonio, uno che era un critico di valore allora, cattolico, perché rappresentavano il CNL, l'altro è Virgilio Tosi, che è ancora vivo, che ha più di 90 anni, no, Lavinchi no, non era tra i fondatori, non era tra i fondatori, dopo. E Virgilio Tosi mi ha raccontato una cosa incredibile, nel senso che in una messa in scena, Strahler voleva la stazione, come fare per avere la stazione, lì già i soldi non li avevano, hanno fatto una retro proiezione con una pellicola, trovata, e anche l'archivio del Piccolo non sapeva questa cosa, perché si domandavano, avevano le fotografie, che cos'era quella nube lì, ed era la ripresa di un treno che naturalmente sbuffava. Quelle erano già nuove tecnologie, era nuova tecnologia, per dirvi. Adesso, visto che se ne parla ovunque, forse a volte anche a sproposito, parliamo di nuove tecnologie, vogliamo parlare anche di intelligenza artificiale? Posso farti una domanda sull'intelligenza artificiale? Secondo te, che influenza può avere se già ce l'ha? Oppure, una mia curiosità giornalistica, c'è qualche messa in scena che utilizza l'intelligenza artificiale in qualche modo? No, l'utilizza sempre in maniera letteraria. Se voi guardate l'ultimo spettacolo di Marta Guskuna, che è andato al Piccolo, che è molto spostato sulla fantascienza, sul fantasy, lì c'è una descrizione di intelligenza artificiale, ma sono solamente descrizioni, come se tu leggessi un libro di Asimov o di Leiber o di chi vuoi te, dei grandi autori di fantascienza. L'applicazione è tutt'altra cosa. A mio avviso, come è accaduto in tutto il Novecento, dalla fine dell'Ottocento fino alla Prima Guerra Mondiale, tutte le grandi invenzioni e sperimentazioni sono avvenute sempre nel campo dei teatri di guerra. Anche le riprese aeree erano quelle del Barone Rosso e dopo di che venivano trasportate con i droni. Avete fatto caso a tutte le trasmissioni televisive di paesaggio, ecologia, tutti questi droni bellissimi, tutte immagini uguali? Quelle sono state sperimentate già tempo a dietro. Perciò tutte le grandi sperimentazioni secondo me stanno avvenendo ai me nei teatri di guerra di oggi, nonostante poi la carneficina sia sempre vasta. Prima di lasciare eventualmente un'altra domanda del pubblico, mi ha colpito questa citazione dell'intervista a Romeo Castellucci, il teatro è l'arte del nascondere, tanto più una cosa è nascosta tanto più comunica profondamente con lo spettatore. Che vuol dire? Castellucci è molto influenzato dalla storia dell'arte, lui cerca di trasporre la storia dell'arte, cioè i quadri che lui ama, gli artisti che lui ama all'interno di performance che fanno esplodere e frammentare tutta questa conoscenza che lui ha, tanto che è riconoscibile. Ultimamente, 4-5 settimane fa, alla Triennale di Milano ho assistito all'ultima sua performance senza titolo, vi confesso che a un certo punto c'era il golgota dell'intelligenzia milanese, mi giuro non si capiva niente. In realtà si capiva benissimo, per chi ha una conoscenza profonda della storia dell'arte sia antica che contemporanea, altrimenti si trova davanti 2-3 ragazzi con i capelli bagnati che percuotono questi capelli lunghi bellissimi che io invidio tantissimo, contro una sbarra che produceva un suono, una vibrazione, e quella vibrazione produceva all'interno del salone d'onore della Triennale, allestito appositamente con pareti bianchissime e insonorizzate, un certo sentimento. Allora, tu che cosa puoi vedere? Lì vedi Cunelis, vedi Uncini, io vedo The Grooge, vedo un sacco di cose, però se non hai una conoscenza tale e hai supportato un papello del regista, una persona normale dice... Come Alberto Sordi è la moglie in viaggio di nozze alla Biennale, però non c'è sempre una dimensione emotiva, emozionale, anche se non conosco, se non sono colto in quel senso, posso comunque ricevere un'emozione da quello che sto vedendo che magari mi suscita una cosa... Però, sai, secondo me ridurre solamente l'emozione è un alibi, è un alibi per ogni cosa, uno prova emozione davanti alla donna amata o all'uomo amato, davanti ai figli, a cose che ti appartengono, dopo di che, in un ambito colletto, io per esempio mi emoziono molto quando vincono i corridori da soli, mi emoziono perché è l'evento sportivo, ma le vere emozioni, io le provo davanti alla donna che amo, davanti alle cose che mi interessano, le altre cose sono molto artificiose, sembra quasi che sei indotto a emozionarti perché hai davanti un grande artista, non puoi criticarlo, etc. Perché io ero amico di Bertolucci, di Bernardo Bertolucci, ho curato tantissimi anni fa i suoi scritti che lui non credeva, abbiamo radunato questa cosa, e Bertolucci non amava essere criticato, non amava essere criticato, cioè molti vedevano gli ultimi film, purtroppo lui si era ammalato, poi naturalmente lo sguardo di Bertolucci è sempre 50 volte superiore, pure quando fa una cosa sbagliata rispetto agli altri, però non poteva criticare, cosa che accade tuttora, tuttora con grandi artisti, non possono essere criticati. Adesso vedete per esempio tornando al tuo amico Moretti, al tuo amico Moretti l'hanno criticato perché il film oggettivamente è brutto, invece da noi, grandissimo Moretti, ha parlato del 56! Comunque ci toglie dall'imbarazzo di questo momento il fatto che il tempo sia finito, 47, 48 secondi, Come Tarantino, un grande regista di film altrui! Allora grazie a Fabio Francione, scrittore e critico, autore di sguardi sul teatro contemporaneo, un volume, una raccolta di interviste che vi invito a leggere, e grazie a tutti quelli che hanno partecipato a questo incontro. Grazie a voi.
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