Innovazione, ricerca avanzata e start up
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Innovazione, ricerca avanzata e start up
Il panel offre una panoramica completa del mondo delle start-up innovative, sottolineando la necessità di superare le sfide e la crescente importanza degli investimenti internazionali nel contesto italiano.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Dove si parlerà del mondo delle start-up innovative, come nascono, quali sono le difficoltà e le prospettive in un ambito italiano ma anche in un contesto europeo che sta cambiando rapidamente. Toccheremo anche il tema cruciale degli investimenti e del brevetto, anche alla luce delle nuove regole europee. Ne parliamo con i nostri ospiti, che vi presento subito, Valentina Garonsi, benvenuta e co-founder e amministratore delegato della Società Diamante, Paolo Di Giorgio, CEO di Angelini Ventures e Luca Rabagnan, CEO e founder di WISE. Iniziamo subito a capire con Valentina come è nata Diamante, tra l'altro è una società tutta al femminile, anche i finanziatori sono donne, che grazie alle piante sviluppa dei farmaci innovativi per le malattie autoimmune. Valentina, come è nata questa idea? Anzitutto buongiorno a tutti, sono Valentina, amministratore delegato e co-founder di Diamante. Diamante è un'azienda di biotecnologie, noi siamo basati a Verona, originiamo dall'Università di Verona e questa azienda che oggi è PMI innovativa, perché siamo nati nel 2016, è nata da un primo progetto di ricerca della mia collega Linda Vesani, che ha avuto l'intuizione di utilizzare questa tecnologia che le stava sviluppando nell'ambito delle terapie e della diagnosi di malattie autoimmune. Quindi è partita con un primo progetto, ha coinvolto la sua, che allora è la PCD student che oggi è presidente dell'azienda, in un primo progetto sperimentale, hanno ottenuto degli ottimi risultati dal punto di vista scientifico e li hanno deciso di pensare fuori dagli schemi, loro erano ricercatrici e non avevano nessun background di tipo economico mi hanno coinvolto, io ho conosciuto Linda per altre ragioni in passato, perché Linda aveva avuto un'altra azienda che purtroppo non era riuscito a finanziare, quindi a portare avanti e mi hanno coinvolto, io stavo scrivendo la tesi magistrale in ambito economico, sono laureata in economia e ho deciso di affiancarmi loro, abbiamo scritto un primo business plan, abbiamo partecipato a una serie di business competition, abbiamo ottenuto degli ottimi feedback del mercato o comunque da potenziali investitori e quindi abbiamo deciso di fondare questa azienda. Siamo nati un po' così, quindi dall'unione di competenza in modo etereogena abbiamo formato questo primo team, appunto noi siamo un team completamente femminile sia per quanto riguarda il Consiglio d'amministrazione che direi quasi completamente anche come staff operativo abbiamo una quota azzurra, possiamo dire così, siamo nate con un primo progetto in ambito diagnostico ci stiamo spostando adesso invece in ambito terapeutico. La tecnologia che noi utilizziamo arriva dalle piante, nel senso che per noi le piante, una particolare tipologia di pianta è una biofabrica, cioè quello che noi facciamo è utilizzare appunto le piante come dei sistemi per produrre quelle che sono quelle molecole che noi utilizziamo come farmaci. Il progetto su cui ci stiamo concentrando in questa fase è lo sviluppo di un terapeutico per l'artritormatoide, quindi ambito malati autoimmuni che ha un meccanismo di azione terapeutico completamente diverso rispetto a quello che sono ad oggi i trattamenti in funzione. Abbiamo già fatto su questa prima applicazione due studi preclinici che hanno ottenuto degli ottimi risultati e quindi l'idea è quella di continuare la sperimentazione poi con gli studi di tossicologia e quindi con la fase 1 in umano con il prossimo anno. Ecco ci vuole raccontare un po' più nel dettaglio come si utilizza una pianta come bioreattore e quali sono i vantaggi rispetto a uno sviluppo tradizionale. Assolutamente, una tecnologia che si chiama molecular farming è nata circa più di 30 anni fa negli Stati Uniti ma al tempo diciamo che era una tecnologia che non era sostenibile economicamente rispetto alle tecnologie tradizionali perché non c'erano degli strumenti tecnologici che permettevano di essere appunto sostenibili come oggi invece abbiamo per esempio il vertical farming che permette di poter crescere delle piante in un ambiente completamente controllato con totale automazione senza l'intervento umano che è l'ambiente ideale poi per la produzione di farmaci. Di fatto quello che noi facciamo è identificare una peptide quindi una parte di proteina che è specifica per una determinata malattia quindi nel caso delle malattie autoimmuni è quella proteina che scatena la reazione sbagliata del sistema immunitario, la inseriamo all'interno della sequenza del DNA di un virus vegetale quindi per esempio noi utilizziamo il virus del pomodoro quindi è un virus che infetta soltanto le piante non c'è passaggio di specie in questo caso ce lo mangiamo con il pomodoro per dirci. Con questa nuova particella noi andiamo ad infettare la pianta e quindi questo virus si replica poi all'interno della pianta parallelmente quindi produce quello che sarà poi riestrato dalla pianta e sarà per noi il farmaco quindi diciamo che è un sistema di produzione molto più flessibile rispetto a dei biolatori di sintesi chimica tradizionali che permette non solo una riduzione di costi ma anche una scalabilità molto veloce proprio perché per aumentare la capacità produttiva quello che si deve fare è soltanto aumentare il numero di piante coltivate quindi è una tecnologia molto flessibile che ha avuto nel mondo ottimi risultati per esempio un'azienda nel Canadese ha sviluppato un vaccino per il Covid con questa tecnologia ed è riuscita ad avere la certificazione dell'ente canadese quindi sta crescendo l'interesse verso questo tipo di produzione proprio per la flessibilità e la scalabilità che consente Ecco quindi come tempi e come spazi diciamo per la coltivazione come funziona? Sì come dicevo ci sono diverse tecnologie poi per andare a produrre queste piante per fare il passaggio di infezione Noi avevamo fatto una stima che idealmente per soddisfare il fabbisogno di vaccini per il Covid per l'Italia sarebbe servito uno spazio come un campo da calcio e due mesi di produzione per riuscire a fare questa produzione Giusto per dare l'idea di quelle che sono poi le dimensioni. Noi abbiamo una stanza nel nostro laboratorio di 20 metri quadrati e con quello riusciamo ampiamente a soddisfare tutte le nostre necessità dal punto di vista di ricerca ma lo sarà anche per la produzione in fase 1 Quindi gli spazi sono davvero molto limitati proprio perché parliamo di nanogrammi di particella che sono necessari poi per fare questo tipo di attività che poi vengono prodotti infettando le foglie e quindi andando a raccogliere le foglie Sono delle piantine molto piccole di circa 10-15 centimetri di altezza quindi possono veramente stare in spazi molto contenuti quindi è una tecnologia che ben si presta e noi siamo molto convinti che si presterà come ottima alternativa alle tecnologie tradizionali Benissimo. Dopo questa prima presentazione passerei alla seconda ex startup perché anche voi adesso siete diventati una PMI. Luca Ravagnan, come è nata l'idea di Wise? Allora ci sono dei punti in comune con la storia che state raccontate in quanto anche noi proveniamo dall'università. Grazie mille per l'invito, è veramente un piacere oggi essere con voi e raccontarvi un po' la storia dell'azienda. Io sono un fisico, nella prima parte della mia vita sono stato ricercatore. Nell'ambito della ricerca che stavamo conducendo, per caso ci siamo imbattuti in una tecnologia che ci consente di integrare circuiti elastici quindi nella gomma direttamente circuiti elettrici. Abbiamo avuto l'idea di applicarlo al settore medicale. Per caso, mi curiosisce il per caso. Nel senso che tutto è venuto per sbaglio perché stavamo conducendo degli esperimenti e volevamo fare dell'altro e di fatto anzi a dire il vero era nell'ambito di un esperimento di una laureanda che quindi stava facendo proprio un esperimento, quello meno interessante all'interno del gruppo. Infatti all'epoca mi occupavo da altro, però questo esperimento non veniva, sembrava un errore sperimentale, non riusciva a ottenere i risultati che ci si attendeva. Mi unì a questo punto al team per aiutarla e capimmo insieme che in realtà non si trattava di un errore, semplicemente si stava osservando qualcosa di inatteso. Ed in atteso era un'implantazione di nanoparticelle in un polimero che consentiva di avere a questo punto un composito conduttivo e all'epoca non ancora elastico perché lavoravamo con polimeri rigidi, ma successivamente ci venne l'idea di utilizzare l'astomeri. E da lì, appunto, dopo qualche anno di ulteriore ricerca, l'idea di aprire un'azienda che sfruttasse quella che poi nel frattempo era diventata proprietà intellettuale per dispositivi medici. L'azienda è stata fondata nel 2011, quindi abbiamo 12 anni di vita, all'inizio come un'entità molto piccola, oggi siamo in 40 persone che lavorano in WISE. Abbiamo fatto tutto il percorso, dallo sviluppo dei prototipi, allo sviluppo dei prodotti, fino agli studi clinici sui primi prodotti, che sono stati approvati se in Europa, quindi abbiamo il marchio C, che nella FDA abbiamo ottenuto cosiddetto 510K, la clearance. Quindi ora siamo in fase commerciale con il nostro primo prodotto, che è un elettrodo che viene usato durante l'operazione al cervello. Quindi i nostri elettrodi vengono appoggiati sul cervello del paziente durante un'operazione, nel maggior parte dei casi, di rimozione di un tumore, quindi per il monitoraggio. Si stimola e si registra il cervello. I nostri elettrodi, grazie a questa tecnologia, sono estremamente sottili e conformabili, quindi riduciamo di molto l'invasività, ma soprattutto aumentiamo, miglioriamo la qualità del segnale alla fine. Questo è il primo prodotto che ora è commerciale, ne stiamo sviluppando un secondo, che è il Next Step, che è invece un prodotto che sarà cronico, quindi che verrà implantato permanentemente nel paziente per il trattamento del dolore cronico. Su questo non siamo ancora commerciali, siamo in una fase avanzata ed è quello che ora stiamo facendo. Quindi da qualcosa di inatteso e forse anche dall'intuizione di utilizzare qualcosa che non doveva risultare, è diventata poi una società. Paolo Di Giorgio, voi non siete una startup, ma siete comunque una società nata da poco, giusto? Sì, noi siamo un fondo di investimento, Corporate Venture Capital, abbiamo lanciato Angeleni Ventures nell'ottobre dell'anno scorso, quindi sono poco più di 5-6 mesi, anche se abbiamo cominciato operazioni già nel 2021, che adesso sono diventate parte del portfolio di Angeleni Ventures. Quindi magari, se vuole, dico un paio di parole su Angeleni Ventures. Sì, certo, per capire appunto cosa c'è in Italia come Venture Capital. Assolutamente. Nasciamo come una società di Corporate Venture Capital che fa parte del gruppo Angeleni, Angeleni è un' realtà industriale da 2 miliardi di euro di fatturato che opera sul settore farmaceutico, robotica, automation, più altre società come Vinicolo, anche Consumer Goods. Questo progetto è nato con l'idea appunto di un obiettivo molto lungo termine, di avere la possibilità di essere più esposti e anche far parte dell'ecosistema dell'innovazione che deriva dalle startup. Inizialmente siamo nati con l'obiettivo di identificare aziende vicine a quelle che il settore interesse della nostra divisione farmaceutica, quindi operanti principalmente nel sistema nervoso centrale, nella salute mentale, quindi per patologia, come per esempio ipilessia, depressione e altre correlate alla salute mentale. Quello che è stato fatto, abbiamo fatto alcune operazioni prima in Europa dove abbiamo creato un cosiddetto startup studio con un team di Entrepreneurial Residence che fanno ricerca di scoperte accademiche per poi creare startup veri e propri. Questa operazione si chiama Argo Bayo, è basata a Parigi, però opera su tutta l'Europa e quest'anno avremo le due prime aziende che vengono lanciate da questo studio. Poi abbiamo anche creato un fondo in Canada perché l'idea volevamo essere esposti all'innovazione nord americana e con questo fondo che è partito nel 2021 abbiamo già fatto sei investimenti in aziende nascenti da realtà accademiche stati unitensi e canadesi, sempre operanti nel settore del sistema nervoso centrale. In Italia anche abbiamo fatto due operazioni, una l'anno scorso abbiamo investito in una startup che si chiama Serenis, operante nel settore della telemedicina, soprattutto nell'ambito della psichiatria e della psicologia anche. E l'altro abbiamo lanciato con CDP, Casa Depositi e Prestiti e Evotech, uno startup studio tutto italiano che si chiama Extend che ha una missione simile a quello che citavo prima francese dove c'è un gruppo che fa uno scouting, un'analisi di tanti progetti accademici italiani con diverse università italiane per poi identificare quelle più interessanti per creare da là uno sviluppo del farmaco e eventualmente delle nuove tecnologie. Questo è un progetto tutto italiano, tutto focalizzato sull'università, all'accademia italiana, abbiamo già dei contratti con un framework preciso di tech transfer con circa 6-7 università e si sta anche espandendo. Noi come gruppo Angelini Ventures, sicuramente siamo molto interessati in Italia, infatti queste due operazioni lo rappresentano bene, però abbiamo un footprint molto globale perché abbiamo un team sparso un po' in tutto il mondo. Abbiamo un partner a Boston, abbiamo due principal, una a Berlino, una a Copenhagen, abbiamo un altro senior partner che è fra Roma e Singapore, un'altra persona a Milano e un'altra in Svizzera. Abbiamo deciso anche un po' in seguito alla nostra spensa col Covid e col fatto che comunque si riesce a lavorare bene remote, invece di avere tutto il team in una singola location, di averli sparsi e di riuscire a essere parte di quegli ecosistemi dove si sta sviluppando grande innovazione nell'ambito della biotech e nell'ambito anche del digital health che sono i due settori maggiormente di interesse per noi. Ecco, abbiamo iniziato ad avere una prima fotografia della realtà che c'è in Italia con sia i Venture Capital che le idee che poi sono diventate qualcosa di concreto, ma a proposito di finanziamenti, Valentina chiedo a lei, è stato difficile perché quando si ha un'idea potente come quella che avete descritto entrambi, poi c'è uno step successivo, bisogna metterla a terra e la situazione in Italia come Venture Capital, non in generale ma proprio sul settore delle life science e comunque dell'aspetto scientifico non è mai stato così un campo forte. Quale è stato il vostro percorso? Direi molto difficile la raccolta di capitali soprattutto in Italia. No, molto difficile ma assolutamente non impossibile, poi dipende, noi siamo in un settore dove c'è molta ricerca di base all'inizio, quindi è complesso rapportarsi con un Venture Capital perché normalmente un Venture Capital entra in una fase successiva alla fase iniziale di primo sviluppo che è sicuramente quella più rischiosa. Quindi noi inizialmente ci siamo finanziati con dei grants europei e dei bandi italiani, dei bandi regionali, ma in particolare questo grande progetto europeo che è durato poi quattro anni e che ci ha permesso di finanziare la ricerca di base iniziale per arrivare alla fase di sviluppo in cui siamo oggi. Quindi ci sono comunque delle opportunità che ti permettono di arrivare al punto in cui è un progetto interessante anche per gli investitori. Lato investitori noi abbiamo iniziato con la fondazione Golinelli che è una fondazione che è stata in Bologna e che è partita con un verticale nel life science e siamo rientrati nel loro percorso di accelerazione perché per le startup almeno una fase iniziale i percorsi di accelerazione sono molto importanti, non tanto per i workshop che vengono fatti quanto più per la parte di networking perché ti permettono di entrare poi in contatto con dei mentor o comunque con delle figure degli esperti che fanno crescere professionalmente il team ma che soprattutto ti danno quelle conoscenze che altrimenti non avresti la possibilità di avere perché è difficile avere dei consulenti quando si hanno poche risorse almeno una fase iniziale. Quindi noi siamo partiti con la fondazione Golinelli, abbiamo fatto il loro percorso di accelerazione, hanno fatto un piccolo investimento SID e siamo arrivati appunto a fare due studi preclinici in animale che poi hanno dato appunto degli ottimi risultati e questo ci ha permesso poi lo scorso anno di raccogliere, fare due round di capitale. Abbiamo raccolto circa un milione di euro con un gruppo di business angel italiani, in particolare angel for women, anche qui un gruppo di business angel donne che sta credendo in un progetto di donne, questa cosa mi piace dirlo non tanto perché ci sia una differenza di genere marcata ma abbiamo comunque avuto la percezione che almeno nell'ambito investimenti l'ambiente ci sia sicuramente meno presenza fisica. Quindi abbiamo trovato questo gruppo di investitrici che ha riduto e che sta credendo nel nostro progetto, tant'è che abbiamo fatto un primo momento di capitale a metà dello scorso anno e già subito con la fine dell'anno hanno fatto un follow on perché siamo entrati in contatto con un fondo di venture che è di origine israeliane ma che poi ha sede negli Stati Uniti a cui è piaciuto molto il nostro progetto e che hanno poi deciso di entrare già lo scorso anno. Quindi abbiamo fatto subito un altro momento di capitale lo scorso anno e l'idea è quella poi di continuare la raccolta anche quest'anno. La possibilità di avere poi questi investitori in particolare il fondo nel nostro team è direi fondamentale, ci aprirà sicuramente molte più porte ma hanno una rete di contatti soprattutto negli Stati Uniti che sarà per noi appunto un punto di forza per riuscire poi a trovare altri investitori. Quindi diciamo che in Italia è forse più complesso perché chiaramente è un territorio più piccolo, ci sono meno fondi, c'è anche una cultura del rischio diversa rispetto agli investimenti soprattutto nelle biotecnologie dove il time to market è decisamente diverso rispetto a un'azienda che opera in altri settori però non è impossibile. Se si ha un buon progetto comunque si riescono a trovare le persone giuste da inserire nel team. Luca invece per lei come è stato? È stato complicato? Allora sicuramente complicato nel senso che il lavoro dell'amministratore delegato del founder alla fine sostanzialmente è quello. Nel nostro caso poi noi abbiamo raccolto ad oggi circa 26 milioni di euro da investitori e abbiamo una buona base di investitori, sei italiani che europei, italiani sono europei anche li fuori dell'Italia e più 8 milioni di euro di grants quindi anche una componente importante non diluitiva. Certo è che a seconda delle diverse fasi e mi ritrovo molto in quello che mi dice la collega, la difficoltà è diversa nel senso che quando noi siamo partiti nel 2012 abbiamo trovato un primo investitore illuminato che ha creduto in un team dove all'epoca anch'io ero solo un ricercatore quindi noi diciamo che ero ancora da formare come prenditore che ha messo un piccolissimo importo ma ci ha creduto veramente e di fatto ha accompagnato il team, era spressa. E' stato il presidente fino a poche settimane fa dell'azienda. A questo poi sono seguiti dei round dove peraltro è stato essenziale trovare investitori non italiani che credessero nell'intrappresa perché purtroppo è quella fase lì, cioè nella fase che descriveva la mia collega. Quando ancora c'è una fase in cui il prodotto contiene un livello di rischio è difficile trovare investitori italiani che entrano nella fase di seed tecnicamente detta e quindi diciamo il nostro primo milione di euro raccolto aveva una componente importante che veniva da un fondo tedesco, Heite Grunder Fund, che è un fondo che teoricamente neanche doveva investire in Italia ma che per la prima volta doveva investire solo in Germania, noi siamo l'unica azienda italiana in cui non aveva investito e è un fondo svizzero al quale può essere un'Italia. C'è anche quella che oggi si chiama Indaco. Successivamente a questo ulteriore percorso che ci ha permesso di sviluppare il prodotto e iniziare a validarlo, abbiamo raccolto dei round più grandi in cui sono entrati altri fondi quali Xscience, CDP, Eureka e spero di non far tolto di aver dimenticato perché abbiamo una base, questo è un momento imbarazzante, al momento abbiamo complessivamente un numero molto elevato di fondi al nostro interno che devo dire ci supportano a creduto nell'intra presa durante tutti questi anni e che continuano a sostenerci nella crescita. Ecco Paolo, lei ovviamente il campo biotech lo conosce molto bene, è stato ad Harvard, è stato a Basilea dove ci sono appunto due grossi gruppi farmaceutici quindi c'è un ecosistema del mondo live science. Invece in Italia, le difficoltà che hanno raccontato adesso Valentina e Luca, sta cambiando questo mondo in Italia? Siamo ancora in una situazione così difficile? Secondo me sta cambiando nel senso se andiamo a vedere i dati, c'è stato un report recente di EY che ha sottolineato il fatto investimenti nel venture capital in Italia sono passati da 400 milioni, investimenti in startup nel 2017 a 2 miliardi nel 2022, quindi i numeri stanno aumentando molto, nell'ambito biotech soprattutto negli ultimi 2-3 anni ci sono molti nuovi fondi che stanno investendo nel biotech, alcuni di questi prima facevano più medtech e si stanno spostando anche nell'ambito biotech, direi che 10-20 anni fa era veramente molto raro e difficile avere questo tipo di finanziamenti in Italia, adesso la situazione sta cambiando, sta migliorando, ovviamente le difficoltà di cui parlavano prima sono anche comuni un po' a tutti gli entrepreneur, in alcune parti magari se uno si trova a Boston ci può essere più facilità nel fare fundraising, però è abbastanza comune anche dal punto di vista del VC, per esempio noi vediamo un migliaio di company l'anno e alla fine facciamo 3-4 investimenti, qui c'è un attrition rate molto alto e bisogna sempre trovare investitore giusto che ci crede, che supporta, sicuramente un ottimo approccio fatto da entrambi quello di trovare qualcuno anche che ha una presenza internazionale, che può aprire anche un network di altri investitori internazionali che poi nei round successivi facilitano molto la crescita dell'impresa, però tornando all'Italia secondo me le cose stanno cambiando, stanno migliorando, non siamo ancora ai livelli della Francia o dell'Inghilterra, però sicuramente sta aumentando il tipo di investimento, si sta creando una nuova classe di entrepreneur che riescono anche a portare delle companies avanti, ci sono gli investitori quindi l'ecosistema sta crescendo in positivo questo sicuramente. Forse appunto è una questione proprio culturale, no? Avvate voi già accennato che probabilmente darà i suoi frutti nei prossimi anni per cui diciamo c'è speranza per chi magari adesso guarda con curiosità la ricerca e ha l'idea magari di avviare una startup. Secondo me ci vuole tempo nel senso, non sono cambiamenti che vedi da un anno all'altro, magari ce ne vorranno 10, ci vorranno operatori che comunque investono, ci credono, a casa dei posti del prestito la parte di CP Venture sta facendo un ottimo lavoro negli ultimi anni e sicuramente promuovendo la ricerca ci sono nuovi gruppi come noi ma anche come altri che guardano con molta attenzione il mercato italiano, iniziative come Extend ma anche altre simile che cercano di colmare quel gap che c'è appunto di cui parlavano loro fra la scoperta accademica e poi la creazione di una company che può attrarre i capitali Venture Capita. Quindi tutte queste operazioni messe insieme contribuiscono alla creazione dell'ecosistema e vedremo buoni risultati nei prossimi anni però bisogna anche lavorarci di più secondo me. Ecco secondo voi anche all'interno dell'università ci sono come dire degli aiuti o comunque dei corsi che possono in qualche modo aiutare a diventare degli imprenditori rispetto alla ricerca di base che sappiamo essere molto forte in Italia. Ma poi quel passaggio per portare l'idea al di fuori e in maniera concreta, cosa ne pensate su questo? Beh sicuramente ci sono dei corsi, parlo per una nostra esperienza, noi siamo un team eterogeneo, io sono l'unica componente in ambito economico, le mie ricercatrici sono dal punto di vista biotech quindi per me è stato sicuramente più semplice perché già avevo il punto di vista economico e questo sicuramente mi ha aiutato poi nel portare avanti l'azienda. Ed è molto più complesso invece per le mie colleghe che hanno invece un background tipo scientifico dove il fare impresa è un qualcosa di completamente diverso, sono completamente diverse le logiche perché chi fa ricerca accademica ha come obiettivo la pubblicazione. Se fai azienda il tuo obiettivo deve essere brevettare quella tecnologia, proteggerla, quindi è una dinamica molto diversa, sono diverse le tempistiche di lavoro e inizialmente c'è stata una forte resistenza nel riuscire a far rientrare quello che la ricerca che noi stavamo facendo nelle logiche aziendali. Ci sono dei corsi, sicuramente in università quello che forse ci ha aiutato di più sono appunto questi percorsi di accelerazione dove vieni guidato a prendere, ad avere delle conoscenze di base banalmente che cos'è un conto economico, che cos'è un business plan, che cos'è un canvas ma soprattutto a entrare un po' più nell'ottica di quello che significa fare azienda. E poi confrontandoti con altre aziende, parlando con altri imprenditori, capendo un po' quelli che sono stati i loro errori e cercando poi di evitare per o meno grandi errori perché poi quando si fa azienda ovviamente è inevitabile sbagliare, l'importante è riuscire poi a sistemare la situazione e comunque continuare. Quindi diciamo che sicuramente noi abbiamo avuto questa difficoltà soprattutto nelle fasi iniziali, aiuta avere qualcuno all'interno dell'azienda che possa darti il punto di vista economico o che arrivi dall'ambiente economico ma soprattutto inserirsi in questo network di altre aziende per riuscire un po' ad acquisire competenze, poi si impara facendo. Ecco Luca, lei è passato dalla ricerca pura, quindi lavorava all'interno dell'università e si è catapultato nel mondo dell'imprenditoria, quindi ha tutte e due le realtà? Sì, io sono uno di quelli strani persone che ha sia un PhD in fisica che un MBA in bocconi e perché alla fine mi sono reso conto che dovevo chiudere il gap di cui si parlava prima. Sì, devo dire, rispondo anche in parte al fatto che è cambiato nel tempo e ora le università hanno cambiato approccio. Quindi io quando partì un po' di anni fa oramai ero un animale molto strano, un fisico che voleva fare impresa, molto poco capito dal mio ambiente, l'università in cui ero all'epoca non capì quello che volevo fare. Tant'è che il gruppo che ha fondato l'azienda insieme a me, noi non siamo stati uno spin-off universitario, siamo partiti come aziende dipendenti, cioè noi siamo partiti da soli. Oggi la stessa università, che è l'università di Milano, ha cambiato completamente, ha un programma che si chiama Seed for Innovation, di cui oggi sono mentor, quindi diciamo don't give back all'università, quindi supportano altri team e fa qualcosa che all'epoca non c'era, che però adesso esiste, ovvero andare ad aiutare gruppi di ricerca che hanno stanno sviluppando qualcosa a capire se ne vale la pena, intanto per vetterla, prima cosa, e seconda cosa, a fare una prima analisi se esiste, se si può montare sopra un modello di business e se esiste di fatto un mercato. E questo è un grosso passaggio culturale per università che ora sta avvenendo, via in università di Milano, da molti anni al Politecnico di Milano e so in molte altre università, io vedo di più Milano ma sono sicuro anche altrove. Quindi, ovviamente questo è anche un passaggio per il founder, come nel mio caso, che era un fisico che ha fatto ricerca per un po' di anni e che deve colmare il proprio gap, però se si trova in questo contesto di mentor e se uno ha un background scientifico non ha problemi, quindi poi da prendere anche, diciamo, quello che gli manca dalla parte economica, però deve trovare qualcuno che lo guidi. Io all'epoca fui fortunato a trovare il mio primo investitore, che è stato il mio primo mentor, che è in realtà Mario Zanonepoma, presidente, persona che ha avuto una lunga carriera, presidente di molti gruppi, Mediocredito Italiano, Telepiù, che mi ha formato, però ho avuto la fortuna di trovarlo. Oggi è più facile anche all'interno dell'università. C'è un'ultima cosa però che però manca e che è quello che forse è il quid, perché i talenti, diciamo, all'interno dell'università questo passaggio verso culturali c'è e i fondi si stanno formando. C'è sempre un gap che ancora ci sono pochi soggetti che è quello del seed, perché all'università chiaramente uno è in grado di fare uno sviluppo fino a un certo punto, arrivare al più a un prototipo, ma ancora un prototipo, quello che è anzi un pretotipo, qualcosa che contiene alcune informazioni ma gli manca, è una citazione che non è mia, ma che non è ancora certo sufficiente per un venture capital per entrare. È un'attività che è ancora ad alto rischio e che richiede una quantità di capitale non altissima ma c'è e al momento non vi sono molti attori. Io conosco Eureka che certamente copre almeno una parte della tecnologia e questo, ci sono altri attori anche CDP che è attiva in questo spazio, però è da lì che nascono, diciamo, soprattutto le innovazioni e dove bisogna molto creare. Poi è chiaro, quando poi, come nel nostro caso, siamo provazioni, prodotti, siamo sul mercato, non dico che tutto sia più semplice, però il rischio è molto più basso, però è nella zona di alto rischio dove si fa la differenza, dove altri paesi in passato e ora anche l'Italia hanno fatto molto bene. Certo, quindi è proprio il primo step, l'early stage, che è forse più difficile per... Io chiedo subito se poi avete delle domande, già fino qui ci sono degli spunti, fatemi un cenno, alzate la mano, intanto io vado avanti. Ecco, quali sono, visto che voi guardate come Venture Capital società che hanno già fatto questo primo passaggio, su che cosa state investendo e su quali tipi di idee state credendo in questo momento? Sì, come area di investimento abbiamo una preferenza per startup e aziende che operano nel settore del sistema nervoso centrale, perché quella è un'area dove noi abbiamo molte competenze come team, è un'area anche vicina all'attività della divisione farmaceutica del gruppo Angelini, però stiamo anche cominciando a vedere un po' al di là di questo tipo di innovazione. Infatti le aziende, le nostre aziende di portfolio fino ad adesso in aggiunta agli investimenti che abbiamo fatto negli startup studio in Francia e in Italia, sono aziende che operano totalmente o almeno in parte nel settore del sistema nervoso centrale. Per citarne alcune abbiamo investito in un'azienda che è stata originata da una scoperta dell'Università di Virginia, che sta identificando delle nuove molecole che possano bloccare gli impulsi elettrici nell'epilessia, oppure stiamo vedendo con un'altra azienda scoperta e fatta da un gruppo lavorato vent'anni nell'Università di Toronto, che sta sviluppando delle molecole che possano attenuare gli aspetti di decadimento cognitivo nella depressione. Adesso cominciano degli studi clinici, giusto per fare un paio di esempi. Con ArgoBio in Francia stiamo sviluppando delle nuove piattaforme per colpire dei nuovi target farmaceutici, che normalmente con i metodi inconvezionali non sono approcciabili, ma con questi nuovi metodi, che si chiamano protein degradation, riescono a colpire questi nuovi target e quindi a dare potenziale di sviluppo per molti nuovi farmaci. L'ultimo investimento che abbiamo fatto, un po' nell'area simile a quella di Luca, è nell'ambito dei device. In questo caso è un device che si impianta nel cervello dei pazienti con l'epilessia e permette di fare sia una lettura di elettroencefalogramma e sia una stimolazione personalizzata degli impulsi elettrici per bloccare i segnali che poi danno vita all'attacco epilettico. È un'azienda basata nello stato di Washington, negli Stati Uniti, con una tecnologia che è stata sviluppata nella Mayo Clinics, che è una delle cliniche migliori negli Stati Uniti. Hanno già dei dati sperimentali sui pazienti che sono molto superiori a quelli dei farmaci tradizionali, quindi ha un'alto potenziale di impatto per pazienti con l'epilessia. Quindi in generale, questi erano giusto alcuni degli esempi, quello che cerchiamo, sicuramente cerchiamo altra innovazione, cerchiamo uno sviluppo del farmaco che sia diverso in un certo senso da quello che è stato fatto fino ad adesso, che sia un first in class o un best in class. Magari anche se il target è già conosciuto, però hanno una modalità nuova che può dare per uno sviluppo clinico dei risultati superiori a quelli che sono normalmente i dati che si ottengono dagli standard of care. E poi ovviamente oltre alla scienza, guardiamo molto al team e alle potenziali di sviluppo delle aziende. Questi sono gli aspetti principali. Guardate al team, quindi si ritorna un po' alle competenze che stavamo appunto dicendo. Infatti tornando a quello che dicevano Luca e Valentina, secondo me l'università può dare un primo in printing, cioè può dare delle basi. Anche io come Luca ho fatto oltre al dottorato un MBA con una specializzazione proprio nell'entrepreneurship e venture capital, secondo me è servito molto per conoscere le basi. Però la verità, il passaggio più importante secondo me lo dà la mentorship e cominciare a lavorarci dentro, perché un conto è studiare a tavolino in un'aula universitaria come si fa un business canvas, come si fa un business plan anche finanziario, PNL, eccetera. Un conto è parlare con un mentor che ha già fatto azienda, l'ha portata a un'uscita di successo che può essere un M&E o un IPO conosce tutti i passaggi critici di come sviluppare delle milestone, di creare del valore aggiunto in base ai capitali che riescono a raccogliere di capire anche quali sono i punti chiave nel network per accedere a un certo tipo di investitori. Secondo me quello è fondamentale, certe volte non serve neanche magari l'MBA, ma serve un mentor che veramente può accompagnare queste persone che possono essere una nuova classe di imprenditori a fare quel passaggio che poi li porta su tavoli internazionali che sicuramente sono fondamentali per la crescita poi dell'azienda. La paura del fallimento, quando avete iniziato? È un pensiero... Quando si fa impresa è una delle cose da considerare, non si può partire pensando quello perché altrimenti significa che non è la tua strada. Poi quando sei assorto nel tuo day by day non è un pensiero fisso, certo quando fai azienda soprattutto nel primo periodo la sensazione è comunque quello che ti chiedi ma chi me l'ha fatto fare più o meno tutti i giorni perché comunque le difficoltà sono tante ma sono tante anche poi le gratificazioni che si ottengono perché quando inizi con un piccolo progetto di ricerca e vedi che ogni giorno questo progetto cresce, acquisisce valore entrano nel team nuove persone, hai buoni feedback, hai dei buoni risultati scientifici allora diciamo che dal punto di vista professionale si riescono ad acquisire delle competenze che bilanciano un po' questa paura. Chiaro che c'è, secondo me la chiave è giocare un po' in prevenzione quindi avere chiaro quello che è il piano, quelle che sono le milestone da raggiungere e soprattutto quando si ha la percezione che ci possono essere dei rischi o delle difficoltà condividerlo all'interno del team, condividerlo con gli investitori che si hanno e identificare diversi scenari possibili per poi mettere in atto delle azioni che possano mitigare questi rischi o comunque allontanare appunto questo scenario. È chiaramente un qualcosa di possibile, lo abbiamo visto con tutto quello che è successo negli ultimi 2-3 anni, non c'è assolutamente niente di scritto, immagino che tutti continuino a riscrivere business plan che ovviamente statisticamente non si avverano quasi mai però è un ottimo esercizio per costruire questi scenari e per essere pronti nel caso in cui ci siano delle difficoltà. Poi se per qualche motivo chiaramente non si riesce ad arrivare agli obiettivi sperati o a raccogliere dei finanziamenti per poter portare avanti l'attività, chiaro che non deve essere visto proprio come un fallimento ma come l'averci almeno provato, aver fatto tutto il possibile e probabilmente era un qualcosa che non poteva essere fatto mai. Cioè all'estero il fallimento è quasi una nota di merito perché vuol dire ci ho provato, ho fatto esperienza, in Italia è sempre stato visto come una nota di demerito e quindi per quello che volevo potevo percepire questo. Ma il fatto che siate tutte donne è stato anche questo un ostacolo? Allora non vorrei dire un ostacolo, c'è comunque la percezione, diciamo che in Italia è cambiato moltissimo sicuramente. Noi siamo partiti anni fa, sono sempre stata un po' l'unica fra le varie startup in cui io mi trovavo a fare dei programmi accelerazione, ad essere donna, ad essere in un ruolo di amministratore delegato dell'azienda. Sta cambiando, sto vedendo molti più team in cui ci sono delle donne soprattutto nella parte manageriale. C'è comunque un forte stereotipo iniziale ma che poi viene un po' a perdersi nel momento in cui si conoscono le persone. Sicuramente l'ambiente più maschile lo è l'ambito investitori, fondi, mi trovo a parlare molto di più con uomini che non con donne, sta cambiando molto, lo dimostra il fatto che noi abbiamo raccolto da un gruppo di business angel tutto al femminile. Quindi significa persone che hanno tutte più o meno un ruolo manageriale o comunque fanno parte di un contesto di un ecosistema di imprenditrici solido in Italia, quindi questa cosa ci fa sicuramente piacere. Non vorrei dire che abbiamo avuto delle difficoltà maggiore rispetto ad altri team ma sicuramente c'è un forte sbilanciamento sulla componente maschile. Più in Italia rispetto al resto del mondo, nel resto del mondo non ho avuto esperienze particolari, ho trovato sempre team più bilanciati da questo punto di vista. Sta cambiando moltissimo quindi confido che si riuscirà ad arrivare a questo bilanciamento in tempi lunghissimi. Luca, lei per quanto riguarda appunto il rischio e il brivido di dire non riusciamo a trovare i fondi. Allora il brivido c'è continuamente però il punto è se uno, la bicicletta, se uno deve pedalare ha rischio di sbucciarsi una gamba però questo fa parte del rischio di impresa quindi è qualcosa che uno deve metabolizzare, deve fare proprio. È vero, chiaramente maggior ragione per aziende piccole ma è vero sempre nell'imprenditoria nessuna azienda di nessuna dimensione è salva da questo quindi fa parte del gioco. Devo dire come diceva la collega uno deve vedere questo in un senso di scenario planning cioè cercare di prevedere quelli che sono ciò che avverrà quindi oltre al business plan anche quelli che sono le incertezze legate al business plan e lavorare cercando di non trovarsi poi in situazioni di difficoltà. Noi ne abbiamo avuto molte nella nostra storia soprattutto all'inizio e ci sono bisogna essere pronti, faccio un esempio anche perché quando siamo partiti dopo 12 mesi che eravamo partiti uno dei nostri founder è tratto un amico è scomparso ha avuto un infarto a 30 anni quindi siamo trovati ad avere una delle persone chiavi del team che è venuta meno quindi cosa che uno non poteva certo immaginarsi però diciamo la parte rimanente del team anche nel suo ricordo che Gabriele Corbelli che rimane sempre con noi diciamo e penso sarebbe contento oggi di quello che abbiamo fatto siamo andati avanti quindi chiaro che uno è sempre davanti all'incertezza potrebbe tutti noi rischiamo il fallimento lo sappiamo bisogna viverlo come un'eventualità ma allo stesso tempo non svegliarsi oggi non devo fallire. Cioè oggi devo pedalare perché voglio andare là poi appunto il rischio di cadere e sbocciarsi una gamba c'è bisogna diciamo e spero che questo non accada nel caso che accada è importante poi rialzarsi è vero che in altri paesi eventuali sbocciature sulle gambe vengono valutate come o diciamo tu sei uno sportivo diciamo si vede che hai fatto molta strada. Guarda che belle cicatrice sulle gambe in Italia non è tanto prezzato però pure questo che sta secondo me cambierà perché questa nuova imprenditoria è ricollegata da quello che veniva detto prima uno dei punti che un po' manca è il tema dei mentor che è sempre anche quello nel senso chi ha già avuto questa esperienza prima anche del fallire diciamo si crea quando ci sono tante persone che fanno e falliscono fanno che hanno successo e quindi è un sistema che si autofertilizza ci vuole del tempo uno dei limiti che ci sono stati in passato è che c'erano poche persone che avevano fatto pochi mentor disponibili per certi versi ora che siamo che tendiamo siamo di più e si spera anche sempre di più avremmo avranno successo avremo successo per tutti noi questo come dovrebbe aiutare anche le nuove generazioni anche i venture sbagliano nel senso che lei prima ha parlato di esempi di investimenti di società che hanno delle prospettive interessanti ma immagino che c'è un rischio anche da parte vostra sì assolutamente è un po' insito nel nel modello del venture capita al sesto nel senso in media uno per ogni 10 aziende in cui investe 2 3 hanno degli ottimi exit c'è quindi ritornano il capitale anche con dei multipli alti 2 3 restano più o meno pari e 5 falliscono quindi c'è uno quando entra nell'ottica di fare venture capita già partire dal momento dal primo momento con deve capire che un domani molte delle aziende il portfolio in cui uno sta investendo faliranno non andranno avanti e quindi un po si si attacca anche al discorso anche il venture capitalista di avere un po lo stesso mindset dell'imprenditore infatti quando quando c'è un investimento di una startup comunque l'investitore ci crede quasi quanto il cio il founder c'è diventa parte integrante del team c'è diventa anche un membro che aiute in tutti i modi possibili perché ovviamente fa squadra è una squadra gli interessi sono comuni che quali portare a successo l'azienda e anche per anche in questo per questo motivo molti che vengono del mondo venture capital prima sono stati imprenditori loro stessi riescono a capire ancora meglio quali sono le difficoltà dove uno dove un cio si trova a diversi a diversi stati però per noi il falimento fa parte del business model e quindi come dicevo prima noi anche quando vediamo delle aziende che falliscono però imprenditori ha fatto un ottimo lavoro siamo anche pronti a finanziare una nuova company con lo stesso imprenditore nonostante ha fallito ci sono i motivi per cui un'azienda è fallita nell'ambito biotech uno può avere popolazione pensare a un nuovo target a un'altissima innovazione però sa subito che i rischi sono altrettanto alti quindi e poi c'è anche il tempo lungo no spesso ecco spesso questo tipo di innovazioni hanno tempi molto più lunghi rispetto a un prodotto consumer che ovviamente può essere reddizio per attaccare quelli valentini è vero mondo delle donne però anche quello sta cambiando per esempio noi nel nostro portfolio dove adesso abbiamo otto aziende a parte i due startup studio tre aziende su otto sono i CEO sono donne quindi si sta muovendo sicuramente nella direzione giusta vediamo molto più female entrepreneurship sicuramente fa bene al mercato è una bella immagine ci sono domande grazie mi pare di capire che almeno due dei nostri invitati sono degli esperti neuroscienze cercano delle molecole che abbiano applicazione e poi modelli organizzativi io mi collo un po dall'estremo opposto diciamo questa catena perché sono neurochirurgio responsabile di un dipartimento di neuroscienze in un grosso ospedale di Roma allora la mia domanda per voi è quanto voi siete sensibili anche alla fase 4 alla fase di post marketing quando dovete magari valutare gli esiti sui pazienti perché poi penso che questo possa essere un elemento molto importante anche per promuovere da un certo punto di vista dell'immagine della socialità le vostre aziende le neuroscienze sono notoriamente molto complicate io penso che su questo settore ci debbano essere degli esperti nella valutazione dell'outcome che aiutino non tanto solo per gli effetti delle complicanze che sono un po dove abbattere la lingua di uno che fa il vostro lavoro quanto anche nel miglioramento della qualità della vita ma prendo io perché noi siamo attualmente sul mercato quindi noi in questo momento i nostri elettroli vengono usati presso diversi centri noi andiamo una parte del nostro team, diciamo composto da persone che associano i clinic all'affairs che vanno in sala e con il chirurgo che utilizza i nostri prodotti li spiega portano a casa feedback vi sono i chirurghi che hanno partecipato sia alle fasi precliniche che alle fasi cliniche ma anche il post market per noi è molto importante perché noi dobbiamo capire come andare a migliorare il prodotto per rendere sempre più facile da usare e utile all'utilizzatore finale quindi il device, oltre ci sono anche proprio i post market studies che si fanno ma quello che è fondamentale è continuare a portare a casa il feedback dell'utilizzatore perché chiaramente fare un prodotto che è innovativo per me ma non lo è per l'utilizzatore è tutto inutile quindi anche piccoli dettagli cerchiamo di capirli nell'interesse reciproco Allora noi nel biotech, il biotech ha dei percorsi e tempi lunghissimi nel senso dalla scoperta del target fino alla messa in commercio passano 10-12 anni noi siamo nella prima fase diciamo nei primi 5-6 anni quindi partecipiamo alla fase preclinica e partecipiamo ai primi studi clinici di fase 1 e fase 2 però già là comunque cerchiamo sempre di capire quanto un nuovo prodotto possa essere beneficio, possa portare beneficio per il paziente a punto di vista di efficacy, di safety anche raccogliendo feedback dal punto di vista dei clinici Invece nella parte digital health che è un po' più vicina al commerciale uno dei primi step è proprio capire anche quali sono sia le esigenze del paziente ma anche quali sono le esigenze dei medici e della classe clinica per capire meglio come sviluppare un prodotto perché sennò poi da un punto di vista commerciale non funziona, magari l'idea è ottima però poi quando va in commercio si cozza con quella che è la realtà e le richieste del medico e in quel caso non vanno bene è una parte che noi valutiamo molto sia nel biotech che nel digital health con diversi pesi però secondo me sarebbe sbagliato non farlo perché sennò uno va con un'ottica, diciamo, una sua idea in testa che poi non è quella che effettivamente è utile poi sul mercato C'era un'altra domanda, aspetti che arriva il microfono C'era prima questo simbolo Scusici Nessun problema L'anno scorso ho partecipato a un evento analogo, due startup, un fondo e mi aveva dato la sensazione di stantio, di un qualcosa ecco ancora una volta il nostro paese stenta, fa fatica a venire avanti Quest'oggi ho la sensazione, volevo capirlo, se è solo la mia sensazione che è in un solo anno l'Italia mi sembra che abbia cambiato marcia, ecco è solo per la vostra positività o avete sentito questa accelerazione? Grazie per il commento Come dicevo prima l'Italia sta cambiando marcia e non è da un anno all'altro, forse da cinque anni a questa parte sicuramente sì, questo lo vediamo C'è da dire, se vogliamo togliere gli occhiali rosa come si dice, che la realtà è che nel mondo, a livello globale, nel mondo degli investimenti stiamo vivendo un momento difficile sia per investitori che per startup perché a causa dell'inflazione e quindi il costo capitale che sta diventando più alto è più difficile fare fundraising nel mondo del biotech, dell'el tech anche raccogliere fondi per capitali nel mondo di venture capital, quindi stiamo vivendo un anno difficile da quel punto di vista, però sicuramente fa parte dei normali cicli economici Adesso è un buon momento per investire, secondo me, perché nei prossimi anni ritorneremo su come ciclo economico e le cose saranno migliori Posso commentare? Diciamo che in questo momento l'Italia è leggermente forse anticiclica, nel senso che ci sono molti fondi disponibili e per certi versi gli occhiali sono più rosi in Italia che negli Stati Uniti anche andando presso gli eventi, quindi di fatto a volte un po' di ritardo è vantaggioso, almeno in questa fase Comunque certamente le cose sono cambiate molto, proprio in quest'ultimo quinquennio, secondo me bisogna dare un merito ampio a Casse Depositi e Prestiti perché ha dato un'iniezione di risorse enorme nel senso che i numeri che venivano detti prima sono prevalentemente di prevalenza, a parte poi del gruppo Angelini ovviamente, ma diciamo che Casse Depositi e Prestiti ha messo a disposizione un paio di miliardi per le startup italiane sia direttamente che tramite altri fondi, questo ha dato chiaramente una macchina vasta, c'è benzina e nel momento in cui poi la benzina c'è si crea tutto con quel contesto che poi aiuta a partire quindi questo è un momento particolarmente buono, il contesto interazionale non lo è, però questi sono cicli Se posso aggiungo anche il fatto che si stanno iniziando a raccogliere un po' i frutti della costruzione di quell'ecosistema di cui parlava prima il collega, ovvero del fatto che sono diversi anni che in Italia si cerca di partire con le startup non c'erano i mentor, mancavano delle esperienze, iniziano ad esserci tantissimi percorsi di accelerazione per le startup, quindi anche più facile da questo punto di vista partire Le università appunto danno maggiori disponibilità, offrono più opportunità, si riesce a fare molto più networking a livello internazionale, anche dall'Italia, quindi anche questo sicuramente aiuta e lo si sta concretamente vedendo Sì, buongiorno, volevo riprendere il tema del contrasto tra le visioni economica e scientifica che si diceva prima Volevo chiedere se avete mai incontrato, soprattutto da parte dei fondi che hanno creato in voi, delle forti pressioni affinché magari rendirizzaste le vostre ricerche o i vostri studi Più verso un prodotto che può dare un ritorno veloce nel tempo, quindi questo aspetto qui se c'è e se lo avete incontrato, oppure se invece il sistema si sta indirizzando verso un rispetto reciproco tra i due aspetti e quindi se appunto i fondi in qualche modo hanno preso coscienza che a volte i tempi della scienza appunto non sono quelli di un ritorno immediato Soltiamo le risposte perché siamo con il tempo molto molto ristretto, mi ha capito la domanda, vuoi partire tu? Il punto è che l'investitore e la scienza sono cose diverse, quindi non è che c'è un contrasto, semplicemente chi investe non investe in ricerca, quando gli investitori investono in un prodotto fondamentalmente è quella la vera differenza, quindi quando il ricercatore è arrivato a un prodotto poi è da lì in poi che entra, quindi non è un contrasto, sono solamente fasi diverse, edificemente l'investitore entra vicino a tu di fare una ricerca diversa perché non è il suo mestiere per essere sintetici Assolutamente, l'investitore è molto allineato alla fine all'imprenditore, certe volte l'investitore capisce anche meglio del giovane imprenditore qual è la strada che deve prendere, perché non è che si può fare tutto, i fondi sono limitati bisogna avere una direttiva molto precisa, cercare di capire come arrivare a un certo obiettivo, a certe milestone, quindi aiuta anche molto a organizzare il lavoro, quindi da quel punto di vista l'investitore secondo me molte volte, soprattutto nel caso di giovani imprenditori non di quelli che l'hanno fatto diverse volte, può aiutare molto a chiarire le idee, a pianificare meglio poi un possibile successo in una startup perché non si può fare tutto ovviamente Sì, diciamo che deve essere un gioco di squadra, come si diceva prima, l'obiettivo è quello di far crescere l'azienda, di arrivare sul mercato o comunque di raggiungere gli obiettivi che ci sia dati, per cui deve essere un lavoro di squadra, poi dipende dal team, dipende dall'investitore, ma diciamo che nel momento in cui si sta scegliendo reciprocamente deve anche instaurarsi quel tipo di relazione che mette poi le basi per la costruzione poi di un buon team, per cui è poi una decisione che deve essere presa in condivisione sulla base dell'obiettivo nella base di quello che è la scelta migliore dal punto di vista strategico per l'azienda Ecco, il nostro tempo, ahimè, è terminato, ringrazio i nostri ospiti, ringrazio voi di averci seguito e al prossimo evento Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org
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