Lavoratori poveri e salario minimo
Incorpora video
Lavoratori poveri e salario minimo
Il tema principale dell'intervento è stato la povertà lavorativa, con un focus sull'Italia. Sono stati citati gli oratori, che devono affrontare la questione e le relative problematiche, come l'assenza di un salario minimo legale in Italia e la complessità delle dinamiche familiari in determinate situazioni. L'obiettivo è quello di esplorare possibili soluzioni e politiche per affrontare il problema.
Nuova Renault Megane Tech 100% electric, scoprila nei nostri showroom. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Salop Acciaio, alluminio, carta, legno, plastica, vetro e bioplastica. Sono tutti materiali che, se riciclati correttamente, possono avere una nuova vita. Con piccoli gesti possiamo fare ogni giorno una rivoluzione, ogni giorno un nuovo rinascimento per l'ambiente. Con l'ambiente Con l'ambiente Con l'ambiente Con l'ambiente Con l'ambiente Con l'ambiente More than steel and glass. More than square footage and four walls. More than facilities and floor plans. Today, more than ever, we see more. We see dimensions others can't, from perspectives others don't. Because the more perspectives we have, the more dimensions we see. Autostrada del Brennero sta sviluppando oggi la mobilità di domani. Un'autostrada digitalizzata, in grado di connettersi con i veicoli che la percorrono, studiata per favorire la transizione ecologica strettamente collegata alla nuova ferrovia del Brennero. Un nuovo modello di mobilità di corridoio che abbiamo chiamato Green Corridor, Autobrennero. Sviluppiamo oggi la mobilità di domani. Autobrennero Autobrennero Autobrennero Autobrennero Autobrennero Autobrennero Autobrennero Buongiorno a tutti. Sì, mi sentite? Allora, è un piacere per noi che di solito noi siamo tre accademici quando parliamo in pubblico, abbiamo una ventina di studenti e basta. E oggi è una grande giornata, invece. Io sono Paolo Barbieri. Sono professore di sociologia economica qui all'Università di Trento. Dirigo la scuola dottorale, co-ordino un po' di roba. Ma il punto oggi non sono io, il punto sono i miei due ospiti. Il professore Yves Marx, professore all'Università di Amversa, direttore del Centro per le Politiche Sociali, Hermann de Lik, ha fatto ricerca sui temi del reddito minimo e della povertà in relazione ai cambiamenti del mercato del lavoro e alle migrazioni. È ricercatore presso l'Izza di Bonk, che è un prestigiosissimo centro di ricerca di economia del lavoro. È stato coinvolto in diversi network di ricerca europei, in cui molti di questi, per fortuna, eravamo presenti anche noi di Trento. Il primo è quello sui bassi salari, Lower. È stato coinvolto anche nel network di eccellenza Equalsoc, nei progetti Gini e Improve del settimo programma quadro dell'Unione Europea, in questi ultimi due in qualità di coordinatore. I suoi principali interessi di ricerca, tra i molti che ha, riguardano il mercato del lavoro, i cambiamenti del welfare in relazione alla distribuzione del reddito, con particolare attenzione alle tematiche della povertà. Fra le pubblicazioni curate dal professor Marks, vi ricordo solo questa, facciamo un po' di reclam perché ci siamo anche noi, l'end book con Inward Poverty, uscito nel 2018. La professoressa Struffolino, professoressa di sociologia economica del lavoro all'Università di Milano, dove dirige il progetto Offerta di lavoro delle famiglie e Inward Poverty, con Annette Fasang, quindi collaborazione di altissimo livello del Humboldt di Berlino, Asaf Livanon dell'Università di Haifa, associate editor del Journal of Fameries Research, che è un'altra rivista decisamente rilevante nell'ambito della sociologia economica e della sociodemografia. Nel 2021, quindi correggimi se sbaglio col precedente governo, è stato membro della Commissione Interventi e misure di contrasto la povertà lavorativa istituita presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, quindi oggi ci porterà un'esperienza importante per analizzare i meccanismi micro che originano i rischi di cui ci occuperemo. Ha lavorato molti anni in Germania, presso la Humboldt di Berlino, come docente di politiche sociali, presso il Wesebe, ancora che è un prestigiosissimo istituto di ricerca di Berlino. Anche lei ha pubblicato estensivamente sui temi dell'Inward Poverty, del mercato del lavoro e dei metodi di ricerca longitudinali, perché è anche una metodologa, Emanuela è anche una metodologa molto citata. Dunque, oggi ci occupiamo di lavoratori poveri e salario minimo, vedete il titolo alle mie spalle. Io introduco brevemente, cercherò di essere il più rapido possibile l'argomento, presentando un quadro minimamente macro e poi lascerò la parola ai colleghi, cominciando prima dai meccanismi micro e quindi prima lascerò la parola a Emanuela poi al tema delle politiche sociali e quindi a Yves. Allora, se questa cosa funziona, vediamo un po' dove devo puntarla, sembra di no, ok, no, torniamo indietro, perfetto, questa è la mia. Allora, metto anche io in piedi perché, ok, trovo piccolo, scusate, ma con le tasse divento anche un po' ciechi. Allora, perché ci occupiamo di Inward Poverty? Perché recentemente l'interesse per l'Inward Poverty, cioè per la povertà lavorativa, però uso il termine con cui la si identifica nella ricerca internazionale, è cresciuto moltissimo, lì vedete alcune delle pubblicazioni di cui, appunto, molti di queste dei nostri ospiti, lavori che cercano di rispondere a tre domande. La prima è se il lavoro, l'occupazione, sta perdendo la sua centralità, la sua capacità di prevenire la povertà dei lavoratori. Il salario è un problema di salari che sono troppo bassi, siste un trade-off, cioè un rapporto di sostituzione fra occupazione ed eguaglianza, questa è una delle grandi domande che, almeno dagli anni 70, gli economisti del lavoro e i sociologi economici si pongono. Cioè, se vogliamo creare più occupazione, quindi dare più lavoro a tutti, dobbiamo ridurre l'eguaglianza fra i lavoratori, dobbiamo ammettere condizioni di lavoro o meno protette o meno retribuite, questa è una domanda aperta da trent'anni almeno. E poi una prospettiva dinamica, cioè longitudinale, lo vedremo fra un attimo, è particolarmente ricca di informazioni rispetto a un fenomeno che è quello della stratificazione sociale dei rischi. Ma questa prospettiva dinamica serve anche per intervenire, cioè per fornire raccomandazioni di policy. Allora, veniamo a noi. La povertà lavorativa è un concetto parecchio interessante, perché nel complesso un numero elevato e crescente di poveri nell'Unione Europea sono in realtà lavoratori poveri, non sono persone escluse completamente dal mercato del lavoro. Il tasso di work poverty in Europa ha 27 e di circa il 9, qualcosa per cento nel 2019. In Italia è più alto, è il 12, 12, qualcosa per cento. Allora, le determinanti, cioè quello che vi fa correre il rischio di finire in povertà lavorativa, sono sia individuali, e sono legate al lavoro che uno fa e alla retribuzione che ne trae, che familiari. Cioè, la famiglia conta nel definire la situazione di rischio. Lo vedremo fra un secondo come e poi Emanuela lo riprenderà. Naturalmente contano anche le differenze istituzionali, cioè le differenze fra i vari paesi e i loro naturalmente sistemi di trasferimenti welfare inclusi. Dal punto di vista analitico, scusate queste puntualizzazioni, ma insomma noi ci lavoriamo, quindi, l'inborn poverty è un concetto piuttosto confuso, complicato, difficile da definire, non è immediata la sua definizione, a causa del fatto che tiene insieme due aspetti, un aspetto individuale e un aspetto familiare. Allora, l'individuo, il singolo lavoratore, deve essere occupato almeno sei mesi l'anno, ok? E deve ricevere un salario, naturalmente, alto o basso che sia, per il lavoro che fa. Ma poi il reddito familiare equivalente disponibile, cioè riscalato in base alla numerosità della famiglia, deve essere inferiore al 60 per cento del reddito mediano nazionale nell'anno in cui calcoliamo appunto questi tassi. Allora, vedete che si tengono due cose che solitamente non stanno insieme. Si tengono le condizioni del singolo lavoratore, lavori quanto hai lavorato e quanto ti hanno pagato, ma la condizione di reddito è quella familiare complessiva. Una dimensione individua e una dimensione familiare. Queste caratteristiche che costituiscono il concetto sono state oggetti di dibattito, sono discusse, sono contestate. Perché? Perché portano ad alcuni apparenti paradossi. Nel caso di crisi, di crisi economica pesante, i disoccupati spariscono da questo calcolo, perché l'hanno perso il lavoro, non sono più occupati, ok? Quindi voi rischiate di vedere che nei momenti peggiori il tasso di work poverty addirittura diminuisce oppure i soggetti che alla fine escono come i soggetti più a rischio? Salta fuori che sono i maschi, i maschi adulti, quelli che sappiamo essere più protetti. Ma perché? Perché i giovani e perché le donne vivono all'interno della famiglia, soprattutto in Italia, questo è un problema, in cui c'è ancora il modello pesante della famiglia monoreddito o 1,5 redditi quindi complessivamente non appaiono poveri, ok? È una cosa di cui bisogna essere consapevoli quando si ragiona con queste statistiche. Dunque un altro concetto che mi interessa sottolineare è questa cosa qui. Cioè la differenza fra bassi salari, che vedete sulla vostra sinistra, in work poverty. L'Italia è un paese che ha un tasso di bassi salari sotto il 60% del salario medio di riferimento, estremamente basso. Perché? Perché il sindacato funziona e fa il suo mestiere. Ci può piacere meno, ci può, eh, ma il mestiere del sindacato è quello di cercare di ridurre la diseguaglianza salariale, no? Più che legittimo. E infatti ci sono riusciti. Noi abbiamo tassi di lavoratori poveri, di low wage, che sono bassi rispetto al resto dei paesi occidentali. Ma abbiamo tassi di work poverty molto alti. Perché? Perché il modello familiare si combina con un modello occupazionale che produce questi esidi. Questa è la variazione nel tempo del tasso di work poverty che ci sono stati nei, credo, 27 membri della comunità europea 2007-2014. E l'Italia, vediamo se c'è il puntatore, fa niente. L'Italia, vedete lì, l'abbiamo segnalata in rosso. L'Italia ha visto una crescita del tasso di work poverty. Vi sembra una cosa minima, ma insomma pochi punti percentuali fanno una differenza importante. Queste sono dati dalla Commissione Europea. Ora, questa è una delle possibili risposte, ma poi rimando a Emanuela per la trattazione dei meccanismi in micro. Da cosa dipende questo tasso alto di work poverty che abbiamo nel nostro Paese? Dalla household work intensity, cioè dall'intensità lavorativa della famiglia. Quanta gente lavora e quant'è il contributo in termini di mesi ffettivamente lavorati sul totale possibile dei mesi lavorabili per ogni famiglia. E qua vediamo che abbiamo tre barre di tre colori diversi, molto basso, medio e molto alto, d è cresciuto il peso delle famiglie che hanno una bassa intensità lavorativa nello spiegare il work poverty. Qui c'è un dibattito, Emanuela poi vi renderà i doti di quello. Questa è un'altra cosa che vorrei sottolinearvi, poi ho quasi finito e chiudo. Io quando faccio lezione ai miei studenti, di solito dico, ragazzi considerate che le sfige si incrociano sempre, si combinano sempre fra di loro. E questo è un esempio di quello, cioè le condizioni di deprivazione socio economica non poter affrontare a livello familiare ogni mese una serie di spese, una serie di impegni economici, si combinano con il work poverty. Sono due aspetti diversi naturalmente, sono correlati, ma misurano cose diverse. E qua vedete quattro aree di paesi, questi sono dati macro. L'Italia, la vedete lì, il pallino rosso, è in una situazione, non è l'unico paese, ma è in una situazione dove cresce molto la deprivazione, lo vedete sulla scala dell'Y, leggetelo un po' come la battaglia navale, ma cresce anche il rischio di povertà lavorativa. Quindi siamo messi male, siamo nelle condizioni, il quadrante peggiore è quello lì, ok? Il quadrante migliore naturalmente è il quarto, dove ci sono pochi paesi e si riducono entrambi i rischi. Cosa sappiamo, e poi rimando a Emanuela di nuovo, l'in work poverty è il risultato di caratteristiche individuali del lavoratore, sei maschio, sei femmina, sei istruito, se non hai istruito, sei laureato in economia o in sociologia oppure in ingegneria e quant'altro, posizioni strutturali anche, cioè che lavoro fa, che tipo di occupazione. È stratificata per classe occupazionale, questi fatemi prendere un minuto, i sociologi, io sono un sociologo economico, sono particolarmente, insomma, ci tengono al concetto di classe nonostante tutta la letteratura che vi dice, che vi racconta che la classe ormai, la classe occupazionale, proprio la cosa di cui si parlava una volta, non conta più niente, oggi, bene, vi hanno raccontato un sacco di storie perché è assolutamente uno delle micro determinanti più importanti dei rischi sociali in generale anche di questo, naturalmente, le classi basse sono quelle più esposte. Ma c'è anche un processo istituzionale che ha a che fare con il fenomeno di precarizzazione, di deregolamentazione e poi di precarizzazione dualizzazione del mercato del lavoro, che è avvenuto in tutta Europa, ma che in alcuni paesi, del Sud Europa in particolare e l'Italia fra questi, è quello dove è avvenuto con una virulenza maggiore in termini di conseguenze sociali della deregolamentazione, cioè dell'accumularsi di rischi di precariato non su tutta la popolazione occupabile, ma su alcune categorie in particolare, queste categorie sono i giovani e le donne, quando si combinano essere giovani d essere uno giovane e donna le cose peggiorano. Naturalmente i giovani poi fanno famiglia fra di loro, giustamente, e quindi si combinano le condizioni di disagio di lui e di lei, sono giovani tutti e due sono precari tutti e due e quindi sono più esposte questo tipo di famiglia. Però abbiamo anche visto come i rischi più alti di un war poverty si rilevino per le famiglie tradizionali monoredito, il male breadwinner, anche quando, di solito il male, il breadwinner in Italia questo è ancora il modello dominante, statisticamente dominante, anche quando lui ha un rapporto di impiego a tempo indeterminato, anche se non è un precario. E da qui esce l'ultimo punto, l'importanza del lavoratore aggiuntivo, dovrei dire della lavoratrice aggiuntiva, perché si aggiunge appunto per sostenere il budget familiare, nel ridurre i rischi di un war poverty. L'attivazione di un secondo percettore di retito da lavoro si dimostra essere una misura rilevante nel ridurre i rischi della famiglia. Vi ricordate la condizione individuale essere occupato, condizione familiare i redditi che fanno cassa comune, diciamolo così, con le conseguenze positive di ridurre la trasmissione intergenerazionale delle war poverty o delle condizioni di povertà sui figli. La trasmissione intergenerazionale delle condizioni di esclusione sociale è un problema serissimo su cui i sociologi hanno lavorato molto, perché si dimostra che se dei bambini nascono e crescono in famiglie sotto lo sogno di povertà, i loro rischi sociali, dall'essere drop out a scuola, al finire male, a finire in occupazioni sottoretribuite, esplodono. Quindi è un problema serissimo. Ok, questo magari vedremo dopo, il problema della Genuine State Dependency, perché ha a che fare anche con le politiche di cui si occuperà il professor Mass. Quindi adesso lascerei, la parola è anche questo aggeggio, alla professoressa Strufelino. Buongiorno, mentre caricano le mie slide, ringrazio tutti voi per essere qui questa mattina il professor Barbieri per avermi coinvolto in questo panel che, come vedete, tratta di temi che non sono solo molto attuali nel dibattito politico oltre che accademico in Italia, ma che sono anche molto importanti per il contesto italiano. Dedicherò i miei 15 minuti questa mattina qui con voi per cercare di rispondere a una domanda che è questa, perché lavorare non basta per non vivere in povertà. Il professor Barbieri ha anticipato alcuni dei meccanismi in cui io cercherò di approfondire, di cui io cercherò di approfondire alcuni aspetti e lo farò partendo da una citazione, dal testo più vecchio che ho trovato in letteratura, che cita proprio il fenomeno dei working poor, dei lavoratori poveri. Questo è un articolo pubblicato nel 78 dal National Council of Welfare del Canada che nell'introduzione, recita in una traduzione mia, nessun mito sulla povertà è così persistente e diffuso come la convinzione che i poveri non lavorino. Questo viene ripetuto nelle colonne dei giornali, nelle editoriali, proclamato da molti politici e accettato da gran parte del pubblico in generale. L'introduzione di questo articolo conclude Questo mito ignora la realtà. Ecco, quello che vi propongo di fare questa mattina qui con noi è di disinnescare questo mito partendo dai dati che non solo l'Eurostate, la comunità europea produce in termini descrittivi sul fenomeno della povertà lavorativa, ma anche quello che noi, come studiosi, cerchiamo di fare analizzando i meccanismi che questa povertà lavorativa la genera. Principalmente a livello individuale, micro, come diceva il professor Barbieri, ma, come ci spiegherà il professor Yves Marx dopo, queste dinamiche sono anche disinnescabili attraverso le politiche, quindi con meccanismi più macro, agendo su meccanismi più macro. Partiamo da chi sono i working poor. Abbiamo già imparato qualcosa rispetto a questa definizione generale che viene utilizzata per identificarli, ma, cosa molto importante, i working poor non sono soltanto i lavoratori a basso salario, abbiamo detto. C'è qualcosa di più, perché i salari individuali vengono messi insieme nel nucleo familiare e messi anche a sistema per rispondere ai bisogni che nel nucleo emergono. Quindi questa lavoratrice che vedete sulla sinistra di questa slide potrebbe avere un salario individuale molto basso , di fatto, nel momento in cui il suo salario viene unito ai salari degli altri membri del nucleo, oltre a tutte le altre risorse che il nucleo ha a disposizione, le rendite, gli investimenti, etc., il fatto che un altro lavoratore è sul mercato del lavoro potrebbe proteggere questa lavoratrice a basso salario dal rifiuto di povertà collocarebbe quindi il suo nucleo al di sopra di questa soglia del 60% della mediana dei redditi del contesto in cui questa famiglia vive. Tuttavia, se questa stessa lavoratrice con un salario basso vive in un nucleo in cui pur l'altro percettore ha un salario un po' più alto che da soli gli permetterebbe di rimanere al di sopra da soli di povertà, nel momento in cui questo nucleo vede anche la presenza di due minori, cco, la famiglia cade quasi meccanicamente al di sotto di questa soglia proprio perché il bisogno di reddito aumenta quei due redditi prodotti sul lavoro da un basso salario più un salario relativamente ok, non sono più sufficienti. Quante sono le famiglie che si trovano in questa condizione in cui questa lavoratrice, pur lavorando, non riesce a arrivare alla fine del mese con il suo partner e i suoi figli? Beh, abbiamo detto che in Europa sono circa il 9%, in Italia un lavoratore su otto si trova in questa condizione. Di vivere una famiglia povera. Questo è uno dei casi in cui trovarsi con un valore su questo indicatore al di sopra della media europea non è una buona notizia. In altri casi questa è una buona notizia, in questo caso non lo è. I paesi che si trovano a sinistra di questo grafico, quindi la cui barra che rappresenta la quota di lavoratori poveri è più alta rispetto alla barra blu della media europea, non si trova in una buona condizione. L'Italia tra questi, citava il professor Barbieri, ha un 12% come tasso di povertà da lavoro. Un lavoratore su otto vive in una famiglia povera. Abbiamo però detto che la variabilità di questo dato in prospettiva europea è dato anche dalle caratteristiche e la distribuzione di alcune tipicità del modo in cui i lavoratori stanno sul mercato del lavoro, che hanno a che vedere con le loro risorse, il loro percorso educativo le loro opportunità di fatto di accedere a certi tipi di lavoro, ma anche alla variabilità delle risorse di welfare che hanno a disposizione, di questo ci parlerò poi il professor Marx dopo. Quindi questa variabilità che voi vedete tra i paesi europei in questo momento cerchiamo di spiegarla in termini di caratteristiche micro degli individui, della loro partecipazione, delle loro famiglie cercheremo di spiegarla dopo in termini di macro, di politiche. Il primo meccanismo di cui parliamo, sebbene abbiamo detto non essere sufficiente a spiegare la condizione di povertà da lavoro, sono proprio i bassi salari. I bassi salari in Italia sono una questione cogente proprio perché l'Italia è uno di quei paesi che nel corso degli ultimi 20-30 anni non ha visto i propri salari aumentare al pari di altri paesi europei. Quindi la stagnazione dei salari genera una condizione di povertà lavorativa che non migliora nel tempo. Un dato su tutti, tra il 2021 e il 2022 i salari italiani in media sono aumentati di circa il 2%, a fronte però di una questione legata all'inflazione che credo tutti abbiamo percepito non solo attraverso la comunicazione dei giornali e delle giornali, ma anche nel nostro portafoglio, di un più 8%. Quindi questa crescita residuale dei salari non è stata controbilanciata da un aumento in sé, ma è anche stata ulteriormente peggiorata da una questione regressiva legata all'inflazione. Cosa succede quando osserviamo i bassi salari e cerchiamo di capire quali sono le caratteristiche dei lavoratori a basso salario? Abbiamo tre indicatori principali che ci danno l'impressione di cosa significa avere una posizione fragile sul mercato del lavoro. Lavorare a tempo determinato, proprio perché il salario orario non viene cumulato a sufficienza nel corso dell'anno, visto che il tempo determinato per definizione potrebbe dare origine a quella partecipazione con i buchi in cui alcuni mesi non sono lavorati. Il part time, perché il salario orario, di nuovo, sebbene non troppo basso, potrebbe non essere cumulato a sufficienza nel corso delle settimane, dei mesi dell'anno. E infine il lavoro autonomo, che nel caso dell'Italia raccoglie anche tutta quella parte di cosiddette false partite IVA che non sono molto spesso coperte né da contraddizione collettiva né da un salario minimo. E questa è l'altra questione. L'Italia è uno dei pochissimi paesi in Unione Europea a non avere un salario minimo legale. Il salario minimo legale è stato oggetto in un importantissima direttiva dell'Unione Europea nel 2022 che definisce proprio la necessità di introdurre questa misura per proteggere i lavoratori e le loro famiglie dalla povertà lavorativa e la povertà in generale. Avere un lavoro a tempo determinato porta a un aumento del rischio di povertà da lavoro di circa 16 punti percentuali, ovvero il lavoratore a tempo determinato 1 su 6 ha un rischio alto di essere un lavoratore povero. Più grave la questione del part time, anche perché come vedremo dopo, il part time è proprio una di quelle forme di partecipazione al mercato del lavoro tipica della popolazione femminile. Ed è proprio la popolazione femminile che essendo poco presente sul mercato del lavoro viene auspicata come la parte che si deve mobilitare per contribuire al reddito delle famiglie, anche per evitare proprio la povertà lavorativa. Abbiamo però detto che il salario individuale non basta, perché la povertà da lavoro è un concetto complesso che mette insieme le risorse e i bisogni delle famiglie e dunque di quei lavoratori a basso salario e anche dei lavoratori a non basso salario dobbiamo considerare le caratteristiche familiari, i carichi di cura, il numero di figli e il numero di percettori, quindi l'intensità lavorativa che queste famiglie riescono a mettere sul mercato del lavoro. Di fatto abbiamo visto in quella grafica iniziale un lavoratore o una lavoratrice potrebbe trovarsi in una situazione fragile, ma a vedere la sua fragilità compensata dalla posizione forte di un altro membro del nucleo. Quando però questo non è possibile, ovvero quando nel nucleo permane un solo percettore, la povertà lavorativa è altissima, il 22% delle famiglie con un solo percettore è in povertà, questa è una cifra esorbitante se ci pensate, quasi una famiglia su quattro pur avendo un lavoratore al suo interno non riesce a arrivare a fine mese di fatto, se vogliamo utilizzare un modo di dire che ci faccia avere un po' l'impressione più pratica di quello di cui stiamo parlando. In quei nuclei con un solo percettore però ci sarebbe un secondo percettore da mobilitare, vedremo tra poco in che modo. Ci sono però dei nuclei in cui questo secondo percettore non è presente, le famiglie di genitori soli che sono prevalentemente donne hanno un rischio di povertà lavorativa ancora più alto, quindi vedete che la questione salariale è una parte importante della storia, abbiamo detto che è una questione cogente in un Paese come il nostro dove i salari sono molto bassi non sono cresciuti nel tempo a fronte di inflazione e altre dinamiche che hanno aumentato le spese, ma la questione del nucleo è altrettanto importante, quel salario cosa va a coprire? Le necessità di individui che però sono sempre più alte, bisogni sempre più costosi che non riescono a essere controbilanciati all'interno dei nuclei familiari. Mobilitiamo questo secondo percettore, potremmo pensare che davvero la soluzione è mettere più individui sul mercato del lavoro di fatto quella tabella descrittiva che ci mostrava il professor Barbieri prima ci dice che i nuclei ad alta intensità lavorativa, ovvero quelli dove ci sono più di un lavoratore, hanno meno probabilità di essere lavoratori poveri, proviamo a mobilitarlo questo percettore. Vi propongo un esempio con dei dati reali ISTAT, una famiglia di due adulti e due bambini per non essere in povertà deve avere un salario mensile oltre i 1602 euro. L'unico percettore di questa famiglia guadagna 1200 euro, un'infermiera a tempo determinato 7,50 euro all'ora netti con un contratto ok, tuttavia questi 1200 euro come vedete non sono sufficienti per tenere la famiglia al di sopra della fostola di povertà, la famiglia strategicamente decide di mobilitare il secondo percettore, la seconda percettrice potremmo dire. Tuttavia questa seconda percettrice riesce a trovare soltanto un lavoro con un contratto multiservizio a 4,50 euro per 20 ore al settimana come hostess in un hotel e il suo salario è di 380 euro netti al mese, 12 più 380, la famiglia ancora in povertà. Vedete che non è così facile mobilitare il secondo percettore d effettivamente aumentare le probabilità che questa famiglia riesca ad arrivare alla fine del mese in maniera dignitosa. Seppur questo rimanga strategicamente positivo perché comunque 380 euro non sono pochi da mettere nel budget familiare, pensate a quanto costa lavorare ai lavoratori. Nel momento in cui il secondo percettore che si occupava prima di molte cose legate alla cura della casa e della famiglia esce dal nucleo familiare per lavorare e guadagnare 480 euro, ci sono un'altra serie di spese, la mobilità con i trasporti pubblici se ci sono o con un'auto privata il pagamento di rette extra del nido o di babysitting per quelle 20 ore in cui la seconda percettrice che si occupava anche dei figli non è a casa. Quindi vedete che quando parliamo della facilità di mobilitare il secondo percettore dobbiamo anche parlare di risorse messe a disposizione per i servizi come i nidi e anche di supporto ad esempio alla mobilità pubblica che non grava sulle tasche italiani e delle persone in generale. Quindi abbiamo detto i redditi da lavoro a volte non bastano in questo caso misure come il salario minimo può migliorare questo brutto 25% che è il rischio di povertà sulla base di salari individuali potrebbe non bastare mettere insieme le risorse di diversi percettori all'interno del nucleo perché esistono bisogni come quello di cura che richiedono risorse e che dunque non permettono di essere fuori dalla povertà anche per quei nuclei in cui ci sono più percettori. Il tasso di povertà di questi nuclei rimane molto alto e qui misure di conciliazione e di supporto alla conciliazione di famiglie e lavoro sono la chiave. Per fortuna però esiste lo Stato. Vediamo che il tasso di povertà diminuisce si dimezza di fatto nel momento in cui teniamo in considerazione non solo i redditi prodotti sul mercato, non solo i redditi messi insieme nel nucleo ma anche il contributo che lo Stato dà in termini di trasferimenti. Tuttavia rimane questo 12-13% come dicevamo prima questi sono i lavoratori poveri in Italia che lavorano almeno un mese all'anno e che tuttavia non riescono a sbarcare il lunario con il loro nucleo familiare. Ecco, in Italia questo 13% tiene già in considerazione tutti quei trasferimenti che di fatto già esistono. In Italia però i lavoratori che ricevono un trasferimento sono circa il 50%, in Europa sono più del 65%. Questi trasferimenti sono ad esempio i redditi di cittadinanza. Di fatto queste misure redistributive che arrivano dopo che i salari sono stati generati aiutano le famiglie a sostenersi e a uscire parzialmente la povertà, non tutte però. Questo ci dice che abbiamo ancora molto da fare per risollevare anche questo 13% perché queste sono famiglie che di fatto già sono impegnate sul mercato del lavoro. Voi mi direte quei trasferimenti costano alle tasse dello Stato costano tutti noi, è davvero necessario mobilitarle? La mia risposta è in parte sì perché i costi espliciti che queste politiche hanno sono comunque inferiori ai costi della povertà stessa. Della povertà stessa nel presente ma anche nel futuro e per le future generazioni. Un po' il professor Barbieri l'ha accennato. La povertà costa in termini di diminuzione dei consumi. Chi non ha risorse non spende. Quindi se vogliamo fare un discorso più generale l'economia stessa viene depauperata dal fatto che gli individui non possono consumare. Più importante dal mio punto di vista è il fatto che la povertà genera cattiva salute. La cattiva salute qualcuno la deve curare. Su questo la ricerca è univoca. Lavorare in posizioni precarie, poco pagate, per lungo tempo è terribilmente depauperante della salute individuale. Gli individui non solo hanno forme di stress che generano poi malattie fisiche e queste malattie fisiche qualcuno di nuovo se ne dovrà fare carico. Non solo la salute, non solo i consumi in generale ma quello che più è importante, le opportunità di vita, la transizione alla vita adulta viene inibita dalla mancanza di risorse. Quando parlo di transizione alla vita adulta intendo le risorse per uscire dalla casa dei genitori, stabilire la propria famiglia, mettere in atto scelte di riproduzione in maniera libera. Tutte queste cose, mancanze di risorse, vengono inibite, posticipate, abbandonate. L'ultima cosa, poi concludo il mio intervento, è la povertà infantile. In questi nuclei familiari abbiamo visto che ci sono dei bambini, quindi la povertà individuale dei lavoratori si trasforma in povertà infantile. La povertà infantile è associata fortemente a abbandono scolastico e dunque l'impossibilità di raggiungere un titolo di studio che permetterà a questi ragazzi di entrare sul mercato del lavoro con posizioni più stabili, meglio pagate, ecc. Abbandono scolastico che porterà a più alto tasso di disoccupazione e a più bassi salari. Questo è il tipico processo di trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze e della povertà, di cui la povertà da lavoro è uno dei meccanismi. Quindi vi rendete conto che rispondere alla povertà lavorativa oggi, investendo risorse ingenti, ci permette di risparmiare risorse ingentissime nel futuro. Siamo di fronte a una tempesta perfetta in questo Paese in cui la situazione dei bassi salari sembra stagnare, in cui i contratti a tempo determinato sono molto diffusi, in cui il part time involontario è molto diffuso, in cui la tassazione è scaramente progressiva e in cui il welfare è poco redistributivo. La mia risposta è un po' sì e tuttavia dobbiamo avere molta fiducia in tutte quelle misure di contrasto a tutti questi elementi della tempesta perfetta di cui ci parlerà il professor Marx. La povertà lavorativa è un problema complesso, fatto di molte dimensioni, ipotizzare di risolverlo con una misura che sia la panacea di tutti i mali è illusorio. Quindi dobbiamo davvero impegnarci a pensare politiche che insieme, tutte insieme, in maniera organica affrontino le diverse complessità che questo problema ci pone. Vi ringrazio e lascio la parola a Yves Marx per il prossimo intervento. Buongiorno a tutti. Grazie per avermi invitato. È fantastico essere qui, perché non abbiamo Festival del genere dove vivo. E quindi è fantastico, è un concetto incredibile ed è così bello vedere tante persone interessate in questo dibattito che è così vitale e interessante in Italia. Quindi grazie agli organizzatori, grazie al professore Barbieri per aver organizzato questo panel di discussione. Quindi che cosa può essere fatto? Grazie per questa introduzione eccellente e anche a quello che ha detto la professoressa Strufolino per quanto riguarda la situazione in Italia di questo problema. Che cosa può fare la politica in tal senso? Il principale messaggio che vi vorrei trasmettere è quello che vedete scritto in questa diapositiva. Le persone che lavorano non devono vivere in povertà. Quindi se si fanno le cose giuste a livello di politica, questa condizione può essere raggiunta. Ed è quello che cercherò un po' di illustrarvi con la mia presentazione, ma questo è il mio messaggio principale. Non è che ci sia solo una politica corretta, non è il fatto di avere un salario minimo, un reddito base, ma è il fatto di mettere tutta una serie di cose insieme quindi avere una serie di politiche che vengano messe in atto. Io lo chiamo un approccio a lasagna perché ci sono strati di lasagna uno sull'altro che in qualche modo si completano e fanno questo fantastico pasto. Perché se la lasagna viene fatta nel modo ottimale è fantastica da mangiare. Quindi cercherò di guardare quelle che sono le politiche di reddito, quindi anche il fatto che ci sia un secondo percettore di reddito di cui abbiamo parlato prima. Però appunto ci sono tante politiche che entrano in funzione, però io mi occuperò soprattutto dell'aspetto del reddito. Questo è un grafico molto importante, forse è un po' complicato. Vi prometto che non ve ne farò vedere tanti, ne ho soltanto due e cercherò di spiegarveli un po'. Questo è un confronto a livello internazionale, ovvero ci sono una serie di paesi, vedete, USA, l'Estonia, la Germania, eccetera eccetera. Vedete la sigla sull'asse delle X. Non c'è qui l'Italia, perché l'Italia non ha un salario minimo, insieme ad altri paesi come i paesi del Nord, la Svesia, la Danimacca, Cipro persino. Quindi la maggior parte dei paesi europei ha un salario minimo, la Germania è stata una delle ultime a introdurre il salario minimo nel 2015. Ma non c'è l'Italia, come potete vedere, ovviamente ha tutta una serie più complessa a livello di contratto collettivo per la contratazione salariale, però non c'è il concetto di salario minimo. Allora, per spiegarvi ancora un po' meglio questo grafico, vedete che c'è una linea nera, e come potete vedere è la soglia di povertà, ed è calcolata allo stesso livello in tutti i paesi, perché viene calcolata nello stesso modo. Non perché il livello di povertà sia lo stesso, perché sappiamo che la soglia di povertà che viene utilizzata dall'Europa è, abbiamo detto, il 60% del livello di vita medio. E questo 60% nel caso della Romania, che è qui, Romania vuol dire 300 euro al mese, ma nei Paesi Bassi il calcolo viene fatto allo stesso modo, però è ovvio che il quantitativo è più elevato, perché il costo della vita è più elevato, quindi 1300 euro al mese. L'Italia è sui 950 euro al mese come soglia di povertà per l'Italia, ed è questo il modo con cui noi facciamo i confronti. Guardate invece la parte rossa di queste colonne, è il livello del salario minimo in ciascun paese, quindi vari paesi europei, compresi anche gli Stati Uniti, vedete il rosso rappresenta il salario minimo. Se guardate più attentamente, vedete che il salario minimo, e questo è il caso di una persona individuale, un adulto, un lavoratore singolo diciamo così, e vedete che se questa persona lavora full time per il salario minimo, vedete il rosso, in teoria si trova sopra la soglia di povertà. Quindi è possibile avere un salario minimo sufficientemente elevato per assicurarci che la persona che lavora full time, quindi a tempo pieno, possa essere al di sopra della soglia di povertà. Se guardate invece la parte azzurra e la parte arancione, queste cosa sono? Le tasse e i contributi sociali. Quindi il reddito netto è più basso rispetto ovviamente a quello lordo. Vedete il caso della Germania. La Germania, con il salario minimo, è successo questo, c'è stato un dibattito lunghissimo prima che ci potesse essere poi l'introduzione del salario minimo. Un dibattito molto vivace, accalorato, proprio per questo aspetto del neoliberalismo. Però siamo arrivati al salario minimo nel 2015, però vi dicevo, ci sono i contributi sociali, ci sono le tasse. Quindi cosa succede? Questo quadratino rappresenta il reddito netto di una persona. Guardate, il salario minimo in Germania è alto a sofficienza per la soglia di povertà, ma dovendo pagare i contributi sociali e le tasse, vedete che la persona in Germania, nonostante il salario minimo, è al di sotto della soglia di povertà. Se guardiamo questi quadratini, come vi dicevo prima, che è il reddito netto, ci sono anche delle buone notizie. Perché se il salario minimo è alto a sufficienza e non ci sono tasse elevate o contributi sociali troppo elevati, ecco che allora il salario minimo, vedete i quadratini nelle altre colonne, sono sopra la soglia di povertà. Ecco un grafico un po' più complicato. Se guardiamo un genitore single, quindi un unico percettore di reddito, questo è un genitore single. Questo genitore single ha due figli e ancora una volta facciamo il confronto. Genitore single è dura, non è così facile essere genitore con due figli e un unico salario, ma nello stesso tempo è molto sfidante come situazione per capire anche qual è il potenziale di guadagno lavorando a tempo pieno. E quindi da un lato hanno un unico reddito, però nello stesso tempo si rendono conto che il loro potenziale di guadagno per lavorare a full time è comunque legato e dipendente da quello che riescono a trovare per poter assicurare dei figli. E quindi, di nuovo, guardiamo le colonne rosse che sono il salario minimo. Questo salario minimo non dipende dalle circostanze familiari. Se siete single, se avete un partner che ha un reddito alto, non dipende da questo. E quindi il salario minimo resta lo stesso indipendentemente dalle vostre condizioni familiare. Vedete, in tutti questi casi, e questo è un punto molto importante, vedete che le colonne rosse che rappresentano il salario minimo sono decisamente sotto la soglia di povertà. Perché in questo caso la condizione è molto più difficile. Ci sono due figli, la soglia di povertà ha un effetto diverso sul salario minimo. E quindi, quando si parla, anche se c'è un salario minimo elevato, anche il più alto che si può avere in un paese, non è comunque sufficiente per assicurarci che la persona possa superare la soglia di povertà. E quindi, vedete, ancora una volta, le tasse, i contributi sociali previdenziali, sono sempre le nostre colonnine arancioni e azzurre. E se riguardiamo di nuovo il nostro reddito netto, il nostro quadratino, vedete che alcuni paesi, per fortuna più di uno, dove il quadratino è al di sopra della soglia di povertà. E come lo fanno? Non solo per il salario minimo, anche se è abbastanza elevato, non supera la soglia, ma perché vengono aggiunte altre cose. E adesso ritorniamo alle nostre lasagne. Vedete, ci sono altre parti della colonna, in altri colori. Ci sono dei assegni familiari, per esempio, che è la parte verde. E poi abbiamo anche degli assegni familiari per l'università, e quella è la parte grigia della vostra colonna. E nei paesi che hanno le prestazioni migliori, abbiamo anche ulteriori benefici, quelli che io ho chiamato altri benefici e che sono in viola. Non so, dei sussidi ulteriori, quindi oltre all'assegno familiare, ci sono anche altri sussidi per coloro che hanno un reddito basso. In giallo, per esempio, ci sono i sussidi per l'alloggio o per il riscaldamento. E in alcuni casi hanno anche dei sussidi per altre spese che il nucleo familiare dovrebbe sostenere. Quindi, se si vuole avere una politica sui redditi che protegga le persone, lavoratori, lavoratrici per poter, loro lavorano tanto, full time, non c'è soltanto una questione di salario minimo, di ridurre le tasse, ma è necessario aggiungere degli aiuti, assegni, sussidi. Questo è quello che il grafico vi vuole mostrare. Poi, un po' per riassumere, così possiamo anche iniziare la parte più interessante di dibattito, scusate il problema tecnico, volevo trovare questa diapositiva. Queste sono le mie conclusioni. Ci sono tre elementi da considerare. Ovvio, ci vuole un salario minimo che sia il più alto possibile rispetto al mercato, perché naturalmente questo può essere stabilito anche con la contratazione collettiva. E poi fare in modo che la tassa azione sia troppo elevata. L'ideale sarebbe non pagare tasse quando si è in questa situazione di salario minimo vicino alla povertà, oppure ridurre i contributi sociali al minimo. L'altro è disporre di un sussidio universale o quasi, ovvero darlo ai nuclei familiari indipendentemente dal reddito. In questo modo, avendo sussidi familiari, sono sicuri di averli, si sentono più tranquilli, lavorano molto più tranquillamente. Il fatto di lavorare o meno, avere questi benefici, permette loro naturalmente di avere una maggiore tranquillità e anche l'incentivo a trovare lavoro. E come terzo elemento, avere delle forme integrative, degli strati ulteriori per dei benefici a livello dei figli, sussidi a segni per il pranzo, la scuola, la mensa, tutta una serie di benefici che possono in qualche modo fare fronte ai bisogni e circostanze. Questo è un po' per riassumere e dare un'introduzione alla nostra discussione. Dunque, a parte ringraziare i nostri due speakers e i nostri colleghi anche, io aprirei per qualche minuto, se abbiamo ancora un po' di tempo, per domande. So che vi abbiamo un po' portato molta carne al fuoco, però, insomma, qualcosa forse può emergere, per cui raccoglierei le domande, mi raccomando, concise e sul punto. Scusate se faccio un po' il cerbero, però. Dommande? Ok. Prima cosa, possiamo ammettere che ci sono responsabilità in questo punto, sia politiche, sia industriali, ricordiamo gli anni 90, prima i trasferimenti dell'azienda, Romania e compagnia, e poi la Cina e gli altri Paesi dell'Est, che di fatto hanno fatto da ricatto per i livelli salariali dell'Europa, soprattutto in Italia. Quindi ci sono delle responsabilità, se siamo a questo punto, ammettiamo anche che è stato sbagliato qualcosa, qualche economista mondiale l'ha messo adesso. Poi, questa seconda cosa, questa situazione comunque ha riguardato tutta l'Europa, però l'Italia peggio, perché, come abbiamo visto dalle statistiche, in questi 30 anni il salario in Italia è addirittura diminuito rispetto alle inflazioni, rispetto ai valori, ai parametri generali, mentre negli altri Paesi, fino alla Germania, che è aumentato del 30%. E quindi noi siamo ancora peggio, vedi la domanda di prima. L'ultima cosa, ecco le soluzioni, in parte il professor Marx mi pare che l'abbia già risposto, sulle soluzioni, salario minimo è dibattito di questi giorni, ieri la Presidente Meloni è stata qua proprio a trattare l'argomento, e contrappone salario minimo al cuneo fiscale. Chiedo, a mio avviso, le due cose non sono in contraposizione, in alternativa, perché il cuneo fiscale in ogni caso bisogna intervenire, perché sappiamo che va a penalizzare sia i prenditori sia i lavoratori, e le ricchezze del Paese vanno prese anche da altre fonti. Il salario minimo va a garantire proprio le cose che abbiamo detto, perché non è vero che la contrattazione sia sufficiente, perché sappiamo che prima di tutto non è estesa così dappertutto, proprio anche a causa delle leggi della precarietà. Ma soprattutto le stesse contrattazioni spesso sono sotto il livello minimo. Il caso del mese scorso della Cassazione del Tribunale, che ha dato ragione a un reinterno di un lavoratore, che era sotto il famoso articolo della Costituzione che dice che la ritribuzione deve essere proporzionata al lavoro, eccetera, eccetera, e questo aveva un contratto regolare di 3,50 €, quindi è dimostrato che il salario minimo ha la sua sufficienza. Grazie. Credo che rispondere alla prima domanda prenderebbe il resto della giornata, quindi responsabilità della globalizzazione è tutto. Certo, viviamo in una società di mercato. Lascerei invece ai due colleghi, magari a Emanuela, rispondere sull'Italia, sul fatto che l'Italia è messa peggio di altri paesi, che è un dato di fatto, e poi il confronto fra le due politiche, salario minimo o riduzione delle tasse, a carico vuoi del lavoratore, vuoi dell'impresa, invece a Yves. Io non ho problemi a associarmi a quanto da lei detto rispetto al fatto che al di là delle dinamiche macroeconomiche, ci sia una responsabilità politica, questo lo condivido assolutamente, e in questo senso credo che la volontà politica sia molto importante anche nel presente rispetto a questa questione del salario minimo. Lei ha giustamente detto che la contratazione è diffusa, ma potrebbe essere addirittura al di sotto dei minimi salariali che in altri paesi sono settati in maniera relativamente alta. Porto un esempio, però poi lascio la comparazione a Yves in questo. Anche in Germania appunto il dibattito sul salario minimo è stato accesissimo per moltissimi anni, infatti si è arrivati alla definizione del salario minimo soltanto nel 2015, anche i sindacati erano contro il salario minimo, ma a un certo punto si sono resi conto che il salario minimo poteva essere usato da loro stessi come base per contratare in alto. Questo timore è un timore di nuovo politico, se i sindacati sono forti nella loro attività il salario minimo è un vantaggio perché quello è davvero il minimo da cui partire per la contratazione. E di fatto anche questi timori che poi si sono dissolti nel caso tedesco, ora dal 2015 al 2023 l'evidenza empirica che gli studiosi hanno portato su questa questione è assolutamente in linea con quanto sto dicendo, ovvero che il salario minimo è un punto di partenza. I salari sono aumentati per tutti, il benessere è aumentato soprattutto per quei lavoratori che prima al salario minimo non ci arrivavano, quindi un po' di coraggio in questo senso e anche di, diciamo, di coraggio per aprire anche gli occhi rispetto all'evidenza che ci arriva dagli altri paesi. In questo senso la comparazione è molto importante, ovviamente non possiamo trasferire uno a uno ciò che ha funzionato in un contesto in un altro ma possiamo imparare da quelle esperienze e cercare di calarle nel nostro di contesto. Questo assolutamente lo condivido e possiamo portare come studiosi proprio gli esempi di come queste cose hanno funzionato anche storicamente in altri posti per cercare di evitare quei miti di cui forse parlavo all'inizio, di non portare avanti dei miti che fanno male non solo alla narrazione ma anche alle vite concrete delle persone. In questo caso le loro opportunità sul mercato del lavoro è in termini di opportunità di vita in generale. Non so se Marx vuole... Sì, sono assolutamente d'accordo. C'è stato uno spostamento davvero incredibile nel quello che si pensa del salario minimo rispetto agli anni 80, agli anni 90. Gli economisti erano quasi tutti d'accordo e anche organizzazioni come l'OXE dicevano il salario minimo è negativo, è dannoso per il lavoro, significa che si perdono posti di lavoro in relazione ai cambiamenti tecnologici, alla globalizzazione, il fatto che i computer ci portano via il lavoro, per così dire. Quindi ci fu tutta una serie di ricerche che furono condotte e ci dicono che in realtà non è così, è possibile avere un salario minimo decente e al tempo stesso continuare a mantenere i posti di lavoro e anche avere crescita dei posti di lavoro. Quindi c'è stata proprio un'inversione totale di questa prospettiva ed è quasi un'ironia che se guardiamo il report dell'OXE di adesso, l'OXE raccomanda ad alcuni paesi, nel caso della Polonia o dell'Estonia, raccomandano infatti di aumentare addirittura i salari minimi. E quindi sono assolutamente d'accordo. La contrattazione collettiva e il salario minimo non sono sostituti, si rafforzano l'un l'altro. Abbiamo scritto un saggio a riguardo di recente, quindi i paesi che vanno meglio sono quelli che hanno il salario minimo e poi oltre al salario minimo c'è una contrattazione collettiva molto esaustiva. In questo senso l'Italia è un'ottima posizione perché l'Italia ha già un altissimo livello di contrattazione collettiva. Quindi se l'Italia introducesse il salario minimo e se fosse sufficientemente alto, quindi significherebbe intraprendere quel passo coraggioso che ha intrapreso Angela Merkel in Germania. Perché diciamo ok, il dibattito c'è stato, definiamo un salario minimo vero, che abbia un vero impatto. L'hanno fatto, loro l'hanno fatto e adesso addirittura lo aumenteranno in Germania in maniera sostanziale. Quindi credo che questa sia proprio la cosa principale adesso per l'Italia, introdurre il salario minimo a livello serio e poi naturalmente anche la tassazione importante. Come dicevo prima, le persone che percepiscono il salario minimo non dovrebbero essere tassate. Le tasse si possono trovare altrove, quindi persone che sono più ricche e quindi trovare altri fondi per lo Stato. Questo è il mio messaggio principale, quello che vorrei lasciarvi appunto oggi. Direi che possiamo raccogliere ancora un paio di domande. Dobbiamo fare un po' in fretta però un paio di domande forse ci stanno. Ok, prego, scusa non l'avevo visto. Grazie. In Italia in particolare c'è un'area abbastanza vasta di lavoro irregolare, lavoro nero, lavoro irregolare e questo qua comporta una visione da parte dell'opinione pubblica piuttosto contrastante rispetto all'introduzione del lavoro minimo. Sì, del salario minimo, per cui volevo capire se potesse individuare qualche modalità per contrastare, oltre al contrasto normale, questo fenomeno. Grazie. Allora, sì, immagino che come sociologo economico nazionale devo inventarmi io una risposta. La risposta che mi verrebbe da dare era quella che mi dava sempre il Miglio Reineri, che era mio docente tanti anni fa, e lui mi diceva, Paolo, compariamo sempre i dati sugli spettori del lavoro in Italia, Francia e Germania. In Italia abbiamo un numero risibile di spettori del lavoro e di istituzioni deputate a controllare, e quello sarebbe il primo passo, ma ne servono migliaia in più, bisogna appunto capire che gli spettori del lavoro non è il cerbero, non è quello che rovina l'economia, così come prima Ive ricordava, le ricerche ci sono voluti decenni che hanno dimostrato, Alan Kruger, che se fissate un reddito minimo non è quello che riduce l'occupazione, è lo stesso, i controlli non sono quelli che danneggiano il mercato del lavoro, anzi, lo fanno funzionare meglio. Questa è l'unica, al momento sarebbe la cosa più ovvia. Posso aggiungere, Paolo, anche rispetto a quanto diceva Ive Marks prima, l'introduzione di un salario minimo poco tassato è uno di quegli strumenti per disincentivare il lavoro nero che almeno emergerebbe accettando di pagare un salario minimo. Comunque ricordiamoci che il dibattito un po' così risibile che abbiamo in questo momento sul salario minimo, anche i proponenti nel caso italiano parlano di 9-10 euro l'ordi all'ora, in Germania stanno aumentando il salario minimo a oltre 13 euro l'ordi all'ora. Quindi, partendo da 8,50 euro nel 2015, quindi dal 2015 al 2023, da 8,50 euro a oltre 13 euro, questo è un adeguamento delle risorse notevole che, se poco tassato, può contribuire, oltre ai controlli su cui concordo con Paolo, a far emergere almeno una parte di quel lavoro nero di cui lei parla. Dato la mia età, ovviamente non vi riguarda, ma vorrei sapere un commento, un suggerimento, una proposta su quello che sento a parte dei giovani, sulle false partite IVA. Questa gente è tutta sfruttata, perché non sono partite a lavori autonomi, hanno un orario, si devono presentare nell'ufficio, è un lavoro subordinato, pagato come partita IVA. Non se ne parla neanche di essere assunti in maniera regolare, l'offerta è partita IVA, che poi l'importo di questa partita IVA è un sfruttamento, perché un minimo di oneri previdenziali dovrà fare questa ragazza. Siamo diventati, da quando andavo a lavorare io, è cambiato il mondo, ma è cambiato il negativo però. Io se fosse questi ragazzi qua, sarei arrabbiatissimo, altro che occupazioni. Sono troppo gentili, subiscono questo affronto fatto, perché per me è un affronto offrire mille euro di partita IVA a otto ore al giorno. Ma la precarizzazione del mercato del lavoro italiano, e non solo, perché la precarizzazione e la segmentazione avvenuta nei paesi dell'Aereo SD e in Europa in modo particolare, ma in Europa del Sud è avvenuta in modo particolarmente pesante, è un problema su cui noi facciamo corsi in università. Bisognerebbe anche ragionare del perché la precarizzazione è stata ai margini, cioè solo concentrata su alcune categorie, e qui i miei amici del sindacato magari un ragionamento potrebbero farlo. Anche perché, dovendo scegliere a un certo punto chi proteggere di più, su chi concentrare di più la protezione, chiaramente dinamiche politiche che in Italia conosciamo bene, però è vero, il risultato adesso infatti si parla di dualizzazione, non più neanche di segmentazione del mercato del lavoro. Cioè vuol dire il mercato del lavoro si è spaccato in due pezzi, un pezzo comunque protetto in qualche modo garantito con i salari comunque compressi, ma un pezzo che è minoritario ancora, che è un quinto degli occupati nel nostro Paese, però un quinto, insomma era il 13%, adesso continua a crescere. E' un pezzo che è lasciato a se stesso, si è un problema politico, e più in generale da sociologo mi piacerebbe dire che è un problema della carenza di attenzione verso il lavoro, il lavoro come elemento fondante non solo della riproduzione economica di un Paese ma anche della sua riproduzione sociale. Il lavoro, le giovani famiglie, le condizioni che permettono di avere alti tassi di occupazione, non solo dei maschi, che comunque ancora ancora in Italia i maschi lavorano, magari meno che non la media europea eccetera eccetera, ma il lavoro femminile. Ecco, sì, queste sono riflessioni che prenderebbero il resto della giornata, però certo la precarizzazione e la dualizzazione del mercato del lavoro ha avuto anche quegli esiti indecenti. Certo, dunque gli organizzatori cosa mi dicono? Basta, ok gli organizzatori hanno detto stop, quindi io vi ringrazio, ringrazio sicuramente i miei colleghi che sono venuti fino a Trento per partecipare a questo bello evento, ringrazio voi che siete qui, vedo un sacco di giovani, spero che siate tutti i miei studenti dall'anno prossimo e basta, grazie ancora a tutti. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org
{{section.title}}
{{ item.title }}
{{ item.subtitle }}