La politica industriale, questa sconosciuta
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La politica industriale, questa sconosciuta
L'economia dell'innovazione, del cambiamento tecnologico, l'economia industriale, la teoria evolutiva, la crescita economica, il sviluppo, studi organizzativi, questi i principali temi affrontati nel talk moderato da Corrado Chiominto, Caporedattore della redazione economico-finanziaria, Agenzia Ansa insieme a Giovanni Dosi, Professore ordinario economia, Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e Mario Pianta, Scuola Normale Superiore. Evento a cura della Società Italiana di Economia.
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Questo è il festival dell'economia, ha visto qui tantissimi ministri. Io mi chiamo Corrado Chiomito, sono un giornalista dell'agenzia Anza, devo sempre mantenere un giusto equilibrio in quello che dico e quello che scrivo, però vi posso dire semplicemente che quando un ministro è importante perché ha la possibilità di cambiare attraverso le politiche che fa, quindi decide e può cambiare effettivamente le cose, ma io sono convinto che ancora di più a poter cambiare le cose non è il potere, ma è la forza degli argomenti, la capacità di comprendere le cose nel profondo e quindi sicuramente chi è che oggi è venuto qua invece di andare a sentire il ministro Urzio che si occupa di queste cose in contemporanea, vi assicuro che non rimarrà deluso, farà un approfondimento su dei temi forse con chiavi di lettura meno mainstream o forse meno superficialmente mainstream, magari che invece fanno parte della dialettica e del confronto all'interno del mondo accademico. Era prevista qui anche Francesca Bria oggi che invece purtroppo non si è sentita tanto bene e quindi non è potuta venire che era la parte attuativa perché con cdpcapital era sicuramente una persona che ha lavorato molto sull'innovazione ed ha anche gli strumenti, ma abbiamo la possibilità di affrontare questi temi qui con due professori di rilievo, io sono un volgarizzatore scusatemi ma io sono un giornalista e quindi ho due belle teste pensanti, quindi esco un po' fuori dalle dinamiche istituzionali che però ci sono. Abbiamo qui con noi Giovanni Dosi che è professore di politica economica alla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, le sue principale aree di ricerca comprendono l'economia dell'innovazione, del cambiamento tecnologico, l'economia industriale, la teoria evolutiva, la crescita economica, il sviluppo, studi organizzativi, se andate sui social trovate ogni tanto qualche suo intervento veramente importante. Scusate, non avevo mutato il mio cellulare. Tra l'altro qui questa mattina c'era Stiglitz, lui credo che sia un collaboratore, abbia collaborato con Stiglitz su molti temi. Stiglitz stamattina ha fatto un accenno alla necessità di nuove politiche industriali, parlando di diseguaglianza della necessità di cambiamento di contesto un accenno su questo l'ha fatto. Poi con noi abbiamo Mario Pianta che è il presidente della Società Italiana di Economia, anche lui è professore di politica economica alla scuola normale superiore a Firenze e si occupa anche lui di innovazione e crescita, diseguaglianze politiche economiche e industriali. Cercherò di sollecitarli con una visione un po' complessiva ma anche poi entrando nel dettaglio su quelli che sono i temi di attualità sui quali ci confrontiamo tutti ed i quali scrivo anche io come giornalista. Perché la politica industriale? L'industria, volente o nolente, rappresenta un quinto del nostro PIL italiano, quindi non si può essere distratti su questo tema. Come al livello di occupazione? Fino a poco fa era oltre il 30%, ora credo che sia, l'industria in senso stretto ne occupia appena di meno, un sul 28, 20 e detto questo ci sono alcune regioni, la percentuale è ancora più alta, il Piemonte, le Marche, quindi è una cosa della quale non essere distratti, mentre invece un po' di distrazione c'è. Volevo cominciare a introdurre il tema dando la parola a Giovanni Dosi per inquadrarlo un pochettino, uno sguardo un po' storico che ci porta un po' all'attualità. Le do la parola. Prima di tutto le politiche industriali ci sono sempre state, sia che le abbiamo chiamate politiche industriali o no. Hamilton 1791, The System Manufacture scriveva, noi siamo un paese sottosviluppato, gli Stati Uniti d'America, per fare catching up ci vuole l'industria tutti i paesi, anche i più liberali, hanno avuto politiche industriali e specialmente i paesi che hanno fatto catching up, che erano in ritardo e che dovevano arrivare alla frontiera. Cominciamo a dire cosa sono le politiche industriali. Le politiche industriali sono la società, la politica che decide gli obiettivi socio, politico, economico, militare ed organizza il loro raggiungimento rendendoli anche profittovoli per l'impresa. Pensate tanti diversi casi, Progetto Apollo, bisogna andare sulla Luna, dentro di 10 anni bisogna andare sulla Luna. Questo vuol dire che ovviamente lo Stato ci mette i soldi, però bisogna andare sulla Luna e io ti do i soldi per andare sulla Luna, che è molto diverso come filosofia dell'intervento pubblico che diretti i soldi e poi fa un po' quello che vuoi, che è la filosofia market fra amiche dei mercati che è andata di moda negli ultimi 40 anni, che poi è stato essenzialmente un trasferimento in conto profitti. Tutte le grandi avanzamenti sono avvenuti attraverso a politica industriale e non solo direttamente ma anche indirettamente, nel senso che le ricadute del Progetto Apollo sono state enormi dalla meccanica, la chimica e l'elettronica, oppure pensate come è nata e si è sviluppata l'industria farmaceutica americana, non era gli stregoni fino agli anni 40, l'industria farmaceutica è una cosa tedesca sinceramente, lo Stato decide, io voglio che tutto l'esercito abbia la penicillina ed è un progetto che istituisce l'industria farmaceutica americana, oppure ad altri livelli, la Corea che fa la cacing up, il Giappone prima, la Germania prima ancora, gli Stati Uniti assieme alla Germania, sono sforzi coordinati con degli obiettivi pubblici e non c'entrano niente con trasferimenti a pioggia, prendi i soldi e poi fai un po' quello che vuoi. L'Italia ha avuto politiche industriali? Beh sì, nei primi trent'anni dopo la guerra ha su insaputa, noi siamo un paese a su insaputa, noi abbiamo i ministri che ci hanno la casa che guarda il Colosseo a loro insaputa, abbiamo i generali che trattano con la mafia a loro insaputa e per fortuna qualche volta ci viene qualcosa di bello, a nostro insaputa abbiamo avuto le politiche industriali, essenzialmente fatte da un'erosina anche meno di manager, Mattei, Severino Gagli, Olivetti, in realtà, questa è la cosa buffa, contro la maggior parte della politica, per questa è l'insaputa, perché i liberali ovviamente quando si parla delle politiche industriali gli viene l'iterizia, e in Audi è compagnia, in Audi l'Italia è stato l'unico paese a non usare integralmente i fondi del piano Marshall, perché in Audi diceva sennò gli italiani si vissero, specialmente gli operari non viva mai pagare di troppo, è stato l'unico paese fuori dalla cortina di ferro a non usare interamente il piano Marshall per i liberali, figuriamo che ci viene talvolta, sull'altro lato c'era lo scetticismo di classe dei comunisti che insomma le grandi imprese sono il nemico, e alla fine della fiera le politiche industriali hanno fatto cattolici sociali come Mattei o azionisti socialisti come Olivetti, ne abbiamo bisogno adesso tanto, tanto urgentemente, faccio due sempi, il clima è anche lì con degli obiettivi, l'idrogeno verde, pure la farmaceutica, che non è solo un problema italiano, neanche l'idrogeno perché ha vaccini, antibiotici, tumori, alzheimer lì abbiamo la dimostrazione nettissima che se si lasciano le cose al mercato non funzionano, non funzionano, anche quando c'è la conoscenza lì, come nel caso dei vaccini non funziona al mercato, quindi se si mettono insieme, se si mettono in fretta, il vaccino, poi gli ffetti collaterali, ma se lo mettono insieme sulla base di conoscenza prodotta fuori dal sistema dell'impresa e se non c'è il sistema pubblico che genera conoscenza, poi se non c'è il sistema pubblico, loro non la generano proprio, negli ultimi trent'anni la percentuale di vaccini più antibiotici approvati dalla Food and Drug Administration è stata il 6% e antibiotici di nuova generazione, quelli che serviranno quando arriva la prossima pandemia, quella cattiva, dei batteri antibiotico resistenti non ce n'abbia neanche uno e tutti gli anni il numero dei morti aumenta, raddoppia, siamo a circa 35 mila l'anno adesso, ma raddoppia tutti gli anni e nessuno fa ricerca su questo, è sicuro, dato che è una roba difficile, Big Pharma fa ricerca sulle cose essenzialmente per ricchi vecchi e malattie semplici. Con ritorni facili diciamo così, mentre invece c'è la necessità di avere uno sguardo lungo anche su questo fronte, su questo investimento. Io se posso passare a Mario Pianta, vi chiedo un attimo di portarlo, abbiamo parlato di vaccini, la cosa che mi viene in mente è che oggettivamente siamo qui tutti insieme, però abbiamo passato un periodo molto complicato in cui non si poteva uscire, nel quale le politiche da parte dello Stato sono state molto attente e finalizzate a degli obiettivi precisi in cui l'Europa ha consentito di superare dei limiti che invece sembravano essere obbligatori e quindi forse si è creato un nuovo contesto, partendo da questo nuovo contesto che ho appena descritto, lei vede che secondo lei sta emergendo un nuovo indirizzo, una nuova esigenza, un ruolo dello Stato che prima era visto come una cosa di cui temere, che orientava il mercato troppo e non la libertà e limitava la libertà o c'è un cambiamento di paradigma su questo? Abbiamo un paradosso, l'Unione Europea sul piano economico è stata fondata sui trattato di Maastricht che vincolava pesantemente la spesa pubblica, non più del 3% di deficit sul PIL e cosa meno nota, il divieto assoluto di aiuti pubblici alle imprese che sono esattamente le cose che hanno consentito, le cose che raccontava Giovanni Dosi poco fa, un investimento pubblico finalizzato a obiettivi condivisi che mobilita le risorse che hanno anche le imprese in questo ambito, ricerca, investimenti, produzione, occupazione, conoscenza. L'Europa nasce negando un elemento fondamentale che è stata alla base anche del suo successo precedente perché chi è arrivato in aereo ha volato probabilmente su un Airbus che è il risultato di una deliberata politica industriale fatta da alcuni paesi europei 30 anni fa che ha avuto un grande successo perché ora è il più grande produttore aerei del mondo insieme alla Boeing americana. L'Europa ha negato due strumenti fondamentali, le politiche macroeconomiche fiscali, quelle monetarie c'è la banca centrale e gioca da sola per conto suo, ma anche ha negato le politiche industriali con l'idea che il mercato è in grado di risolvere da solo non soltanto le scelte di breve periodo su dove investire le risorse ma anche lo sguardo di lungo periodo sulle traiettorie di sviluppo, su cosa si produce e perché obiettivi. Paradossalmente con la pandemia l'Europa ha fatto una scelta fondamentale, ha cancellato queste due regole, la cancellazione di queste due regole ha consentito all'Europa di superare in modo passabile la recessione che è venuta con gli effetti delle chiusure sull'economia mondiale, le distorsioni legate al blocco delle catene produttive mondiali e così via. Quindi abbiamo avuto un enorme sforzo di spesa che sarebbe stato impossibile con le vecchie regole e anche una nuova consapevolezza dell'importanza di una politica sanitaria ma anche per i vaccini, anche per la sanità pubblica. In Italia per fortuna il servizio sanitario nazionale pubblico e universalista ha tenuto per quanto sia stato tagliato dal punto di vista delle risorse in modo continuo negli ultimi decenni d è stata una risorsa fondamentale da questo punto di vista. L'Italia ha speso 100 miliardi per sussidi a imprese e famiglie per sospirare la crisi della pandemia, poi subito dopo è arrivata la crisi dell'inflazione e l'Italia ha speso 140 miliardi nei diversi anni per mettere in cantiere sussidi alle imprese e riduzioni dell'imposizione fiscale e sussidi alle famiglie. Il problema è che questi soldi sono andati a sussidi, cioè al tentativo di aiutare le famiglie e le imprese a tirare avanti facendo le stesse cose di prima. Non c'è stato nessuno in Europa e tanto meno in Italia che ha detto questi soldi li mettiamo per sviluppare una capacità di produrre farmaci all'altezza delle nuove sfide epidemiologiche che abbiamo, vaccini che non siamo in grado di produrre e dobbiamo comprare a prezzi pesanti da due o tre produttori mondiali in tutto il mondo e quindi da un lato l'occasione consentita dalla mobilitazione di risorse è andata un pochino persa perché si è limitata a tamponare con dei cerotti i problemi. Adesso quest'anno siamo di fronte a un problema perché a Bruxelles si stanno ridiscutendo le modifiche dei trattati e si parla di ritornare con qualche flessibilità in più alla stessa logica austerità, riduzione dei vincoli delle possibilità di spesa pubblica limiti alle politiche di strategia industriale da questo punto di vista che riguardano l'indirizzamento delle traiettorie di imprese. Quindi abbiamo allo stesso tempo però un paradosso perché gli Stati Uniti hanno appena stabilito 700 miliardi di spesa pubblica per riorientare la produzione industriale dei servizi in linea con la transizione ecologica e in linea con la ricostruzione delle basi produttive interne in una situazione di instabilità internazionale, in più ci sono 840 miliardi di spesa militare americana. L'Europa stessa ha 1800 miliardi stanziati in questi anni se mettiamo insieme il Green New Deal che era iniziato poco prima della pandemia con le nuove strategie industriali che riguardano l'autonomia strategica, i materiali rari, le alleanze industriali eccetera. Quindi abbiamo un mondo che va tutto nella direzione di combinare come spiegava Giovanni Dosi poco fa obiettivi pubblici condivisi e risorse pubbliche private con obiettivi concreti, di aumento delle capacità tecnologiche, qualificazione delle produzioni, affrontare le sfide della transizione ecologica e della transizione digitale e le regole europee ci riportano in un contesto in cui dobbiamo giocare questa partita con le mani legate dietro la schiena. E quindi questo è complicato, diciamo che gli Stati Uniti in questo momento stanno facendo una concorrenza molto forte che le imprese uropee avvertono. C'è un confronto nemmeno troppo tanto sotterraneo tra Europa e Stati Uniti che riguarda in particolare proprio la possibilità di promuovere nuove iniziative anche tipo industriale. Noi abbiamo la necessità di fare gigafattori e i benefici che vengono attribuiti a chi è che le fa negli Stati Uniti stanno spostando parte degli investimenti su quel fronte là e questo ci crea dei grossi problemi. Vorrei ritornare un attimino a Giovanni Dosi, mercato, stato, quindi c'è necessità di stato, di più stato e il mercato non basta? La faccio un po' più cattiva, non gliela metto sul piatto d'argento, la faccio un po' più cattiva. Allora abbiamo parlato di risorse, le risorse sono finite, le risorse non sono infinite, hanno un limite e quando noi utilizziamo delle risorse pubbliche per sempio per metterci, l'ha detto molto in maniera molto elegante, per mettere una pezza al fatto che c'erano delle risorse pubbliche, per metterci in maniera molto elegante, per mettere una pezza al fatto che c'erano le difficoltà di bilancio delle famiglie sull'energia abbiamo speso decine di miliardi. La stessa cosa per tamponare le difficoltà di persone che non riuscivano a lavorare durante il lockdown sono state messe appunto di risorse a pioggia. Ecco, e queste hanno aumentato il debito che poi vuol dire risorse che dovranno pagare i nostri figli. Ecco, è possibile fare una politica dello Stato e fino a che punto questo non rischia di pesare sulle nuove generazioni? Ecco, non gliel'ho fatta cattiva non gliel'ho fatta per niente buona la domanda. No, allora io credo che interventi di politiche industriali come quelle di cui Mario Pianta e io parliamo in realtà costano di meno dei trasferimenti a pioggia senza risultati che abbiamo fatto negli ultimi 40 anni. Con questa ideologia, peccato che non ci sia la bria qui, questa ideologia di amichevolezza col mercato, sembra quasi che persino la Casa dei Positive Prestiti quando interviene dice scusate molto, non volevamo intervenire, ma proprio c'è una necessità di intervenire allora, ma scusateci, appena appena andiamo via, appena appena c'è l'occasione andiamo via. Invece è necessario intervenire massicciamente in due aspetti, il primo è quello di orientare le attività di ricerca, di scoperte tecnologiche, di produzione. Poi immagino che parleremo del PNRR. Certo, era il prossimo. Che era il prossimo. In ogni caso l'idea che probabilmente è stata detta nell'altra sessione che dobbiamo fare, incentivare Made in Italy, eccetera, è esattamente quella del PNRR. E' un'idea che dobbiamo fare. E' un'idea che dobbiamo fare, incentivare Made in Italy, eccetera, è esattamente l'opposto di quello che dobbiamo fare. Se settant'anni fa i cinesi avessero fatto la stessa roba avrebbero fatto una popolazione che vendeva ventagli di seta e guide sulla grande muraglia. Noi dobbiamo metterci dei soldi e soprattutto delle iniziative mirate per almeno recuperare la nostra posizione negli oligopoli internazionali dell'elettronica, oggi dell'intelligenza artificiale, della farmaceutica, che avevamo in parte e che noi volutamente abbiamo perso, un po' per porcherie poche politiche, un po' per anche volontà, questa alleanza perversa tra liberisti e piccolebello, il PC migliorista del piccolebello, Emiliano Romagnoli, io vengo da lì e quindi li conosco. E' un'idea che dobbiamo fare, incentivare Made in Italy, eccetera, è esattamente quella del PNRR. E' un'idea che dobbiamo fare, incentivare Made in Italy, eccetera, è esattamente che l'Italia sia chiamata fuori, essenzialmente, dal grande sfida internazionale. A costa, sì, costa, ma secondo me costa meno, che gli interventi attuali. Poi, voglio dire, costa, l'altra questione associata al costa, è chi paga, perché una buona parte, per esempio, degli interventi sull'elettricità, sul gas, è stata fatta, certo, per aiutare le famiglie a pagare i monopoli che hanno fatto tanti soldi che gli escono dalle orecchie. Vabbè, diciamo che io come giornalista economica non ne ho visti di ester profitti in questo momento. Ne vediamo ancora, ne continuiamo a vedere sia sul fronte bancario che sul fronte energetico. Siamo contenti che le nostre imprese siano in salute. Facciamogli pagare le tasse. L'ultima cosa che ha detto il ministro dell'Economia, Giorgetti, ma insomma col quale non ho assolutamente voglia di voler imizzare, però ha detto gli ester profitti, l'ha detto parlando in Parlamento, gli ester profitti, rispondendo a questo on time al Senato due giorni fa, ci daranno grande soddisfazione, vedrete il gettito che daranno. È chiaro, quegli ester profitti, sui profitti si pagano le tasse. Io credo che sui vostri guadagni, ciascuno di noi paga le tasse. Credo che il dibattito così sia un po' spostato. In realtà il tentativo era quello di dire, abbiamo dei grossi campioni pubblici che sono parte della proprietà, li possediamo direttamente attraverso il teatro con grosse quote, forse potrebbero fare una politica di attenzione e di moderazione dei prezzi, perché come sappiamo tutti l'energia è quella che poi ha acceso una fiammella che poi è diventata un fuoco, si è accesa una sterpaglia. Questa è anche malafede, perché per esempio nella riacquisizione di autostrade noi abbiamo garantito ai fondi che tutti i sovrappiù, praticamente tutti i sovrappiù, veniva distribuito in dividendi e non reinvestito in autostrade stessa, quindi è malafede questa. Ci sono delle scelte politiche, ne parlavamo poco fa perché abbiamo incontrato una persona, si è stata appena completata un'operazione che è quella che riguarda l'acquisizione, chiaramente devo dire che non è stata nemmeno firmata ancora, è una grossa operazione che è la Excel all'Italia, che ora si chiama ITA, verrà acquistata da Lufthansa, che pagherà 325 miliardi, acquistando nel 41%, solitamente vi dico come funziona con le privatizzazioni, oramai sono cronista di vecchia data per quanto riguarda l'economia e quindi quando si fa una privatizzazione di una cosa pubblica solitamente le risorse vanno a ridurre il debito pubblico, in questo caso non è così, in questo caso si fa un aumento di capitale, questo aumento di capitale che fa entrare una società dentro quindi la preleva con un 49% che poi se darà utile entreranno con gli utili si dipagerà le acquisizioni anche dopo, versa questi soldi prendendo il 41% con un aumento di capitale mette risorse dentro una società quindi noi non ne avremo benefici, il beneficio che avremo è quello del fatto che all'Italia era un grosso buco e quindi forse non avremo più buchi dopo, forse, perché ancora non è chiusa, e però il 41% di quello che uno verza, se tu sei proprietario del 41% te lo ritrovi come investimento che non devi fare dopo, questo per spiegarvi alcuni meccanismi che poi magari sui giornali sfuggono un po' di più, però vi porto su un'altra cosa, sono stato cattivello, faccio il giornalista equilibrato, l'altra cosa che vi dico è questo, il PNRR, abbiamo detto che c'è PNRR, è un'opportunità, è l'opportunità, rischiamo di spregarla? Il governo sta cercando di modificarla, cioè se è trovato un piatto già pronto con mille rivoli, cosa bisognerebbe fare va bene così? Ci sono 200 miliardi che arrivano in Italia per il PNRR in una situazione che aveva una svolta politica fondamentale perché dietro il PNRR è stata una grande vittoria di chi ha in mente un'Europa che non sia solo l'Europa dell'austerità, ma è un'Europa capace di fare una politica fiscale e quindi quella è stata l'unica volta in cui è passata l'idea che l'Europa deve avere delle risorse da distribuire all'interno dell'Unione, mobilitando una politica fiscale per affrontare in quel caso lì la recessione legata alla pandemia, quindi è nata bene come un successo di quelli che da trent'anni dal trattato di Mastri dicevano che bisognava correggere quell'impostazione sbagliata che spingeva l'Europa sulla strada della stagnazione e dell'austerità e in effetti sono vent'anni che i redditi reali in Italia, come sapete, non aumentano. Però il problema è che la reggità delle regole europee e l'incapacità di prendere una strada ha fatto sì che questi 200 miliardi vanno su 200 linee di investimento diverse, una frammentazione pazzesca per accontentare un po' tutti, la provincia di Trento e la regione Sicilia e chi si occupa di energia, che si occupa di servizi sociali, che si occupa di casa e così via, quindi manca una massa critica, manca una visione che è quella che dicevamo prima, dietro a una politica industriale ci vuole una visione di futuro e quindi tutte le risorse di PNRR fossero state concentrate su due o tre cose, la ricostruzione del servizio sanitario nazionale pubblico, la ricostruzione di una economia ambientalmente sostenibile anziché i bonus edilizzi a pioggia, aumentare in modo massiccio la produzione di energia da fonti rinnovabili come il solare collegata alla ristrutturazione edilizia, se avessimo fatto questo non avremmo avuto l'impatto negativo dell'aumento dei prezzi dell'energia che c'è stato due anni dopo, quindi la mancanza di una visione e la difficoltà e la burocrazia di queste cose hanno portato a rischio che il PNRR sia una grossa occasione perduta, poi dal punto di vista macroeconomico spendere in qualche modo 200 miliardi o un po' di meno e sicuramente l'unica possibilità di evitare una recessione grave in un contesto di politica monetaria e ristrittive che è un altro errore che stava emergendo in modo drammatico perché di fronte ad un'inflazione che viene per l'effetto dell'aumento dei prezzi dell'energia e delle distorsioni dal punto di vista dell'offerta nei sistemi produttivi internazionali e al fatto che le imprese stesse alimentano l'inflazione perché quando possono, hanno potere di mercato, stanno aumentando i profitti e i prezzi alimentando l'inflazione generalizzandola, ecco di fronte ad una situazione di questo tipo una politica monetaria ristrittiva come quella che fa la Banca Centrale Europea copiando la Federal Reserve Americana è un disastro perché porta ad un effetto di restrizione sulla domanda, ad una caduta degli investimenti, ad una prospettiva di recessione o di crescita ai minimi livelli in questo contesto l'unico elemento positivo su cui giustamente il governo sta cercando di mettere le mani per controllare la direzione è la quantità di risorse legate al PNRR, però siamo in una situazione in cui giochiamo, non dico in difesa, ma siamo sulla linea di porta cercando di mandare il pallone in corner quando invece, come abbiamo detto, la politica industriale è una strategia di offensiva, di attacco, da questo punto di vista dobbiamo capire che non stiamo ragionando a risorse date, l'economia, al festival dell'economia è importante ricordarlo, non è la difficoltà di allocare risorse limitate tra burro e canoni oppure tra ambiente o auto di lusso, l'economia è l'arte di aumentare la quantità di risorse che abbiamo, questa era l'idea di Adam Smith degli economisti classici, questa è la ricetta che ci riguarda proprio la politica industriale, la politica industriale è investire per far crescere la capacità delle stesse persone, della stessa società di migliorare la quantità soprattutto la qualità delle produzioni, quindi non giocare in difesa ma guardare al futuro e a questo punto decidiamo sul piano della politica qual è il futuro che ci interessa. PNRR? Io sono addirittura più pessimista di te Mario perché voi l'avete letto, è una punizione crudele e ingiusta leggere il PNRR ma se qualcuno ci ha tentato è una mistura tra burocratese ragazzini della McKinsey che mixano, fanno dei cocktails di parole abbastanza sexy, perché spero che nessuno di voi abbia mai letto un report alla McKinsey, spero veramente. Sì, meglio di no, perché fa danni dal cervello ma più delle droghe. Mi cancelleranno la loro agenda. Sì, fanno cadere i neuroni. E lì c'è di tutto, c'è le parole giuste, c'è ambiente, inclusione, sostenibilità, ma dietro non c'è niente. Scusa, nelle 400 pagine del PNRR la parola politica industriale c'è due volte soltanto, quindi come dire abbiamo una macchina e non viene chiamata macchina e cita soltanto l'internazionalizzazione dell'impresa, quindi come dire si disegna un programma in cui non si parla dell'oggetto specifico. L'oggetto del programma, assolutamente. E non siamo neanche capaci di spenderlo, ma il grado ha fatto la lista dell'aspetto, dai vari ministeri dice, dimmi un po' che cosa vuoi. Poi non abbiamo più la tecnocrazia, capaci nemmeno di realizzare quella roba lì, perché quella pochissima che c'avevamo, ex mise, ma di tanti anni fa, non quella è stata totalmente distrutta. La vera tecnocrazia era nell'Iri e nell'Eni fino agli anni 80. Lo Stato non ha mai avuto una tecnocrazia salvo nell'infrastruttura che anche quella abbiamo eliminata negli anni 80, negli anni 80 e negli anni 90, perché era meglio metterci degli evocati invece che degli ingegneri, tanto bisognava fare degli accordi farlochi con le imprese per fare i ponti che cadono, quindi è meglio metterci gli evocati. L'altro punto che vorrei enfatizzare è che c'è una profonda incompattibilità tra qualsiasi idea di politica industriale, anche quelle confusamente accennate nel PNRR e il ritorno di industrialità, è come dire andare a Monza e vincere con il freno a mano tirato, ma è difficile un po'. È assolutamente necessario lasciare i gradi di libertà al bilancio dello Stato, tali per cui le politiche industriali possono avere il loro effetto. Se si cresce poi il debito si prende cura da solo, perché il debito è misurato debito diviso prodotto, se il prodotto aumenta molto il rapporto a debito prodotto diminuisce. Se noi tagliamo il debito ma il taglio del debito ha effetti più che proporzionali sul prodotto, questo peggiora la frazione. Devo dire che questo è facile, lo capiamo tutti, se abbiamo fatto le elementari, quando c'è una frazione si aumenta sotto il denominatore e diminuisce il valore. Devo dire che ho letto, mi ha girato DOSI, The Foundation of Complex Evolving Economies, che è l'ultimo libro che ha scritto, che tra l'altro ho presentato all'estero in Università Eccelenti, sono 700 pagine scritte in inglese ricche anche di formule matematiche io ho il figlio che fa matematica, ho qualche complessità, però questo è semplice. Se per ridurre il debito, dato che il valore assoluti è un po' difficile da ridurre, aumentare il prodotto interno l'urbo, quindi la crescita italiana, vuol dire migliorare il nostro rapporto rispetto all'Europa. Perché quel Maastricht di cui parlavamo tanto tempo fa prevedeva un 60% di debito PIL, noi ora abbiamo doppiato molto di più in questo periodo e quindi dovremo ridurre. Gli obiettivi che ci sono in questo momento a livello europeo, quello di cui si sta discutendo per il ritorno del nuovo patto è quello di imporre una riduzione del 5% anno che per l'Italia vorrebbe dire una bella mazzata, togliere risorse a quelli che invece potrebbero essere nuovi settori. Il ritorno a Mario Pianta. Evitiamo di essere un po' così, lo dico scherzando perché in realtà voi ci avete orientato bene su quello che sto indicando, ma di essere disfattisti. Voliamo essere propositivi. Quali sono i settori su cui bisognerebbe investire? L'automotive. Noi abbiamo parlato dell'Europa e abbiamo capito che l'Europa, forse rimettendo un po' di regole stringenti, in particolare perché ci sono alcuni falchi, la Germania, l'Olanda, che spingono un po', si rischierebbe di creare un grossa difficoltà, un freno a mano, correre una corsa con il freno a mano. Però l'Europa per esempio su alcuni settori sta cercando di spingere ad andare avanti, tipo quello dell'automotive. L'Italia, diciamo invece, è l'Italia che frena, cioè parte proprio già col freno tirato rispetto agli obiettivi che sono molto... e c'è una filiera, effettivamente c'è occupazione, le preoccupazioni ci sono anche da parte sindacale. Lì per esempio che si potrebbe fare? Mi pare aver letto una slide su questo. Questo è un esempio fondamentale. Che cosa è successo negli ultimi trent'anni? Si è lasciato fare alla Fiat, poi FCA e poi Stellantis, la strategia Marchionne, l'illusione di una grande ripresa, eccetera, e poi il contratto separato senza la FIOM, la riduzione dei diritti sindacali e una strategia di riduzione dei salari. C'è l'idea che si poteva fare auto facendo le vecchie auto a motore a scoppio senza fare nessun investimento sulle nuove tecnologie quando l'elettrico cominciava a diventare forte non solo con Tesla ma anche con Renault, per non parlare di Toyota. La politica ha finanziato queste strategie della FIAT, poi dell'FCA, senza nessuna condizionalità. Quando c'è stata l'erottomazione, vi ricordate, trent'anni fa gli incentivi per l'erottomazione delle auto, quando c'è stata poi più recentemente gli incentivi sulla pandemia, i crediti garantiti dal pubblico e poi i sussidi all'imprese, non c'è mai stata un intervento pubblico che abbia detto ti do questi soldi perché bisogna tutelare il patrimonio dell'impresa italiana ma fate investimenti per favore nella direzione del futuro. La direzione del futuro non doveva deciderla un funzionario del MISE, l'aveva scritta l'Unione Europea, ci sono gli impegni in sede ONU per quanto riguarda la transizione ecologica, la riduzione delle emissioni, quindi il futuro è eliminare le auto progressivamente alla commissione interna e passare alle auto, ad esempio elettriche. Questa roba non si fa per quarant'anni, il risultato è che il FIAT scompare e tutte le sue eredità perché Stellantis sostanzialmente sta trasferendo le produzioni in Francia, generalizzando un modello produttivo francese comunque Stellantis è l'ultima della fila, Stellantis e Volkswagen, Volkswagen aveva ancora l'idea del diesel, pensate quanto anche i tedeschi possono sbagliare dal punto di vista dell'elettricità elettronica, sull'inquinamento ci hanno avuto qualche problemino giudiziario diciamo. Esatto e quindi da questo punto di vista vedete come è importante non lasciar fare agli obiettivi di breve periodo di profitti dell'impresa che vogliono massimizzare quello che sanno già fare ma invece dare degli obiettivi per andare avanti. Quindi il futuro dell'auto italiana, su questo anche il sindacato è d'accordo, è quello di un'accelerazione della transizione verso la filiera dell'elettrico, cercando di consolidare capacità produttive, utilizzare la ricerca, riqualificare il personale, c'è una importante filiera che però è stata abbandonata a se stessa e quindi ci vuole una politica industriale dell'auto che proponga una collocazione in cui l'Italia ormai non è un produttore di auto finali, è una produttore di componenti e però queste componenti sono sempre più dequalificate, il ciclo produttivo si è spostato prima in Polonia, adesso ormai siamo in Marocco per buona parte delle componenti dei produttori europei e bisogna avere una strategia che disegni le risorse pubbliche che vengono date in cambio di una chiara serie di obiettivi sulle capacità produttive in questo ambito. Questa storia dell'auto è una parte fondamentale del quadro generale della transizione ecologica in cui c'è la questione ovviamente delle fonti di energia qui non possiamo avere ancora per la terza volta qualcuno che riperpone il nucleare come fonte energetica, quella è una strada che è stata chiusa col referendum negli anni 70, c'è stato un secondo referendum dieci anni fa, dimentichiamoci il nucleare che è una tragedia dal punto di vista ambientale, tecnologico ed economico perché nei paesi dove si regge si regge solo per un'enorme quantità di sussidi e perché i governi vogliono ottenere le fonti di energia nucleare perché poi ci producono le armi atomiche collegate nella maggior parte dei casi, la storia americana, la storia della Francia è legata a strategie di questo tipo, quindi sull'energia, sull'auto e poi su tutte le attività, il riciclo, la sostenibilità di tutte le attività economiche abbiamo una traiettoria molto chiara e molto precisa che è già segnata anche dagli impegni che l'Italia stessa ha preso alla COP 21, 22, 23 per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di CO2 e per quanto riguarda altri impegni di sostenibilità. Abbiamo dall'altra parte la spinta che ci viene dall'European Green Deal con le opportunità e le risorse che ci sono, dobbiamo smettere di illuderci, di poter tirare a campare con visioni miopi di breve periodo, quando abbiamo decine di migliaia di ingegneri italiani che stanno migrando in Germania perché guadagnano il doppio di quello che possono guadagnare a Trento, abbiamo 15.000 ricercatori che sono andati via dalle università italiane per andare a lavorare nelle università del resto del mondo e questi sono i cervelli e le energie, le capacità che ci servono per fare queste cose. E quindi questo è un po' una perdita perché vuol dire perdere un po' le risorse del futuro, cioè lasciare andare fuori i nostri figli, vuol dire rinunciare alla possibilità di avere risorse buone su cui costruire il nostro futuro. Anche su risorse esistenti, io ho partecipato un po' al piano assolutamente trascurato dalla GKN di Firenze, di Campi Visenso, lì c'erano competenze grosse nella produzione di stemi assi che possono entrare sia nell'automobile motoroscopio, sia per esempio nelle automobili elettriche o quelle a serie di idrogeno. La Stellantis vende a un fondo, il fondo ottimizza le sue produttive nuove, chiude. Chiudere un'impresa però di 300 operai che hanno capacità tecnologiche specifiche vuol dire buttare via queste capacità. Noi abbiamo fatto un piano, ovviamente gratuitamente e pro bono assieme ai nostri ingegneri da Sant'Anna, proponendo diverse alternative tra cui alcune meno radicali, autobus sostenibile, altre più radicali, produzione di elettrorisatori per idrogeno, non ci hanno neanche detto ciao al ministero. Addirittura non ci hanno mai convocato, non ci hanno mai convocato. Questo come con l'università? Come potrebbe essere con l'università? C'è un consorzio pubblico privato che si chiama Artes con noi come università a capofila, potrebbe essere il collettivo di fabbrica, potrebbe essere molto meglio una congiunzione di queste cose, nessuno, niente è successo. Questo è l'archetipo di come non solo noi non costruiamo risorse nuove ma distruggiamo quelli esistenti. Quello che volevo dire è che in realtà il governo, non ho niente contro avizie mandolini, penso che mandolini siano date da preservare, però oggettivamente abbiamo la necessità di immaginarci un futuro e questo è quello che dovremmo imparare a fare. Il governo su questo vedremo perché la prossima settimana scoprirà un po' le carte, farà un DDL sul Made in Italy in cui dal meccanismo nella tutela, quello che vorrei capire lì dentro quante innovazioni c'è, poi vedremo, ciò che presenterà anche un disegno di legge che riguarda in particolare la costruzione la facilitazione dei costruitori di CIP in Italia che è un altro delle cose importanti. Siamo in un momento in cui alcune indicazioni poi bisognerà anche vederle, quindi il fatto che noi si discuta di questo vuol dire anche poter sollecitare l'idea che si costruisca una strada, certo che devo dire che le indicazioni che arrivano non sembra molto andare nel confronto che c'è. Su questo volevo ritornare, dato che il tempo stringe qualche domanda la volevo far fare a voi, vi volevo dire che il 12 giugno all'Accademia dell'Incei ci sarà un confronto organizzato dalla Società italiana di Economia, per cui abbiamo il Presidente, che parlerà gli anni 20, ma riguarderà il 2020, le strutture produttive e le diseguaglianze. Su strutture produttive e diseguaglianze, dato che se vogliamo ascoltare Fianta lo dovremmo andare a sentire, io invece volevo sollecitare dosi, perché come fa un bravo giornalista prima di venire cerca di capire un pochettino che cosa potranno dire i relatori, qual è il loro umore rispetto a alcune cose, ho visto un video molto molto molto interessante sul dilemma di Blade Runner, lei ha parlato del dilemma del Blade Runner, ci racconta che cos'è, perché stiamo parlando di attività produttive, si parlerà di diseguaglianze, il 2020 c'entra qualcosa con le diseguaglianze questo dilemma del Blade Runner, e poi diamo la parola al pubblico. Ci sono tendenze di lungo periodo che vengono addirittura prima della tecnologia, dell'intelligenza artificiale ccetera, che sono di polarizzazione, aumento delle diseguaglianze, cose su cui Mario ha lavorato per anni, in cui anche noi abbiamo contribuito all'analisi, essenzialmente abbiamo una riduzione del potere contrattuale dei lavoratori dappertutto, questo induce una diseguaglianza di polarizzazione, induce molta più fragmentazione, una distribuzione del reddito molto più iniqua, questo ben prima delle nuove tecnologie robot o non robot, dell'intelligenza artificiale, quello che c'è di nuovo è che con l'intelligenza artificiale aumentiamo il potere di controllo sull'attività lavorativa, quindi abbiamo un potere di controllo sulla vita sociale in generale degli individui. Se mettiamo insieme queste cose, cioè una distribuzione molto più asimmetrica delle conoscenze, del potere e del reddito, tendiamo a convergere a una struttura sociale che io e Marica Yerginliti, in questo articolo su la scena, chiamiamo lo scenario Blade Runner, vi ricordate il film Blade Runner in cui c'è un tecnofeudalesimo di un'elite che controlla le conoscenze e l'esercizio della forza e poi un sottoproietariato enorme, per dramatizzare la faccenda l'abbiamo chiamato il scenario Blade Runner, dicendo che c'è anche uno scenario più improbabile ma possibile che quello che chiamiamo lo scenario Keynes nel 1930, scritto in 1932. Cosa lasciamo ai nostri nipoti? Con le nuove tecnologie, noi saremmo in grado di liberarci la maggior parte dei lavori noiose, lavoreremo due giorni a settimana e per il resto ci risicheremo la poesia, la musica, quello che vogliamo. Noi siamo, io credo, ad una bifurcazione e la politica conta moltissimo in queste bifurcazioni, possiamo andare in una direzione o in un'altra, se volete fare la scommessa che partendiamo è facile, però ci vuole anche l'ottimismo della volontà. Diciamo che in Blade Runner c'è questa pioggia incessante che purtroppo in Emilia hanno vissuto in maniera drammatica, ma oggi c'è il sole, quindi vogliamo essere un attimo ottimisti. Volevo sapere se qualcuno di voi vuole fare domande, se abbiamo un microfono non lo so, sì, perfetto, in prima fila, chi altro c'è che vuole fare domande così mi oriento un po' sui tempi? Ok, ci siamo, due ci sono? Buongiorno, grazie. Mi chiedo se vi viene qualche dubbio in un paese come l'Italia dove il pubblico indirettamente già controlla più del 50-52% del prodotto interno lordo dove c'è una galeria degli orrori di politiche industriali pubbliche che vanno dalla politica siderurgia, all'Italia, il vaccino made in Lazio che è fallito, se vi viene mai il dubbio che questa politica industriale gestita dall'alto poi alla fine non abbia solamente i casi positivi che avete citato da Airbus, l'Apollo, eccetera eccetera. Cominciato? I casi che ha citato, alcuni casi sono i casi positivi, provi a immaginare un'Italia dopo guerra senza ieri e senza acciaio, un pezzo importante dell'industrializzazione italiana è stata fatta con l'acciaio pubblico, che negli anni spesso alla fine degli 80 ci sia stata un'intromissione molto pesante della politica nei scelti industriali, non è antipolitica industriale, io ho studiato abbastanza l'Ieri prima che venisse smantellata in un giorno mezzo a prendere i soldi sporchi subito e scappa, gli ingegneri del l'Ieri erano un gioiello, c'era il top amico della politica che ha dissipato l'ira di Dio, però alla fine della fiera, persino liquidando nella maniera disgraziata in cui è stato fatto, lo Stato ha guadagnato di più di quanto ha investito, quindi malgrado tutti gli sperperi ccetera non è stata un'operazione falimentare, io naturalmente l'avrei tenuto a dire, e il vaccino è una non politica industriale, vorrei farlo ma non posso farlo, ti do i soldi ma non ti li do, poi c'erano dietro cose che non ho capito bene su chi faceva, dove era la proprietà, se era in Svizzia o in Italia, secondo me sono bei casi di assenza di politica industriale e di intromissione in debita della politica, nel caso dell'Azzaio e dell'Italia, l'Italia abbiamo inanellato tutte voglio dire, eravamo riusciti, Prodi era riuscito a vendere ai francesi per due miliardi, arriva Berlusconi e dice no perché deve essere italiana e poi voglio farti un rispetto, eravamo riusciti a vendere una sola per due miliardi. Allora vediamo adesso, vi dico subito che ci dispiace un po' che non c'è Federica Bria perché essendo Presidente di CDP Capital e CDP è un po' il braccio finanziario dello Stato, è quello che consente di fare politiche di sostegno e di indirizzo dell'economia, in questo momento per esempio è entrata in grandissime società e dovrebbe per esempio in particolare in questo momento la partita che si sta giocando è quella che riguarda la rite unica delle TLC, in questo momento c'è Labriola che parla da un'altra parte, sono molto curioso di sapere quello che ha detto, ma insomma immagino non granché perché in questi momenti delicati fin quando non si chiude un'operazione per fare una rete pubblica e CDP è uno strumento fondamentale e avremmo fatto un piccolo agguato qui noi alla Bria per chiederti un pochettino che cosa e oggettivamente le politiche è difficile credo immaginare le politiche del passato e riattuate oggi, oggi gli strumenti sono diversi, oggi gli strumenti sono di tipo finanziario, sono di pubblico e privato insieme, quindi il venture capital tanto per dirlo proprio chiaramente, quindi sono queste leve che sono quelle che consentono di creare una politica industriale che non può prescindere dal lavoro sotto e dalla finanza dall'altra parte. Poi picchiatemi se dico cose sbagliate perché io non sono un accademico, faccio il cronistaccio. Voi dire una cosina sul venture capital poi, vabbè? Io ho ben presente il rapporto deficit-pill e soprattutto debito-pill e so come si muove la frazione ovviamente, ma pensando alla montagna di debito che ha già l'Italia, immaginare altro debito così di primo acchito mi fa un po' impressione, diciamo così, mi parebbe invece che il problema non sia tanto quello di fare altro debito ma quello dell'allocazione dei risorse che abbiamo, solo per fare un esempio, lei prima parlava di ricerca, dei fondi alla ricerca, se penso quello che è costato è un'operazione tipo 800, 10, 12, 15 miliardi, non lo so, se qui i soldi fossero andati alla ricerca forse avremmo fatto politica industriale più intelligente, uso questo termine qua e questo è solo un sempio, penso a tutta una serie di altre operazioni che forse è come le allochiamo le risorse, come le orientiamo, più che pensare a questa montagna di debito che cresce. Ci sono due questioni, nel breve periodo noi abbiamo una scelta di spesa pubblica e vi ricordo che sulla ricerca l'Italia è il fanalino di coda dell'Europa, l'Italia ha il più basso livello di laureati nella forza lavoro, spende l'1,4% di PIL per la ricerca e stiamo sotto la media, quindi la media che comprende Romania, Bulgaria eccetera, quindi abbiamo una debolezza strutturale da questo punto di vista, ma questo è il risultato di scelte che non riguardano le pensioni, riguardano l'allocazione della spesa pubblica complessiva. La priorità della ricerca, dell'innovazione, della formazione universitaria, della qualificazione delle competenze è una priorità che è stata ignorata perché queste sono sempre gli investimenti nelle persone nel lungo termine che possono essere rimandati, gli investimenti pubblici sono crollati dalla crisi del 2008 in poi e non a caso il PNR sottolinea gli investimenti proprio perché tutti i paesi hanno avuto una tendenza a tagliare gli investimenti che investono nel futuro per pareggiare i conti nel breve. Questa roba del debito è un problema che Biden in questi giorni proprio in questo momento sta litigando con il congresso controllato dei repubblicani perché si sono dati un tetto di spesa del bilancio che è il contrario di quello che Biden ha fatto con gli 800 miliardi di spesa. C'è un paradosso tra una logica da ragionieri che guarda nel breve periodo il pareggio dei conti e una logica economica che guarda la traiettoria di sviluppo. Allora non dobbiamo farci chiudere da una logica ragionieristica quando in realtà la possibilità di investire nelle direzioni giuste, chiaramente non nello sprecare i soldi, si consente di allargare la torta, questa allargare la torta ci consente di stare meglio, occupare più persone, pagare di più i salari e soprattutto poi anche ripagare il debito. Il debito poi in questa fase di inflazione un po' si riduce in termini reali per questo ffetto ma soprattutto una cosa che dobbiamo ricordarci, un quarto del debito pubblico italiano sta nella cassaforte della Banca Centrale Europea perché è stato ricomprato con le politiche di quantità di vision, quindi il nostro debito non è vero quello che è stato comprato da investitori finanziari che possono farci aumentare lo spread che quindi sono tra virgolette pericolosi per quanto riguarda la stabilità del nostro futuro, non è il 140% del pile, molto meno ma questo vale anche per gli altri paesi europei. Il problema è che ragioniamo a compartimenti stagni, la politica monetaria si fa a francoforte, bisogna far contenti tedeschi, aumentiamo i tassi di interesse, riduciamo l'offerta di moneta e facciamo finta che la banca centrale viene a chiedere al tesoro italiano il rimborso del debito che ha nella cassaforte. Magari lo farà anche. È una cosa che non ha senso, non possiamo vivere un'economia che non ha nessun senso perché da che mondo è mondo, da quando ci sono gli Stati nazionali, la banca centrale era un pilastro della politica conomica nazionale e assicurava il finanziamento della liquidità nell'economia e il finanziamento del debito. Questo è un problema che ha soltanto l'Europa perché ha fatto questo processo di integrazione zoppo. Un'integrazione zoppa vuol dire che tu fai un'integrazione monetaria la metti da una parte e non fai un'integrazione fiscale, non fai un'armonizzazione fiscale per cui le tasse sono diverse e quindi le grandi imprese italiane vanno a far finta di pagare le tasse in Lussemburgo, Olanda e Irlanda. Questa roba è chiaro che non si può fare, sono elementi strutturali che se li affrontiamo ci permettono di superare distorsioni di breve periodo come quelle che diceva lei. Il cronometro che ho qui davanti a me mi tampeggia così spaventosamente, siamo tre minuti sotto, questo per dirvi che abbiamo fatto una lunga ghiacchierata, spero che abbiamo detto delle cose interessanti. Chiaramente a che cosa serve una politica industriale? Serve proprio ad evitare che si fanno, diciamo, che si diano risorse a pioggia e che si spreghino risorse aumentando il debito in maniera esponenziale senza che se ne abbia una reale efficacia, se non momentanea. È come un vero pracebo la verità. Quindi penso che qui qualche idea ne è uscita fuori, qualche indicazione abbiamo data e certamente non è un'idea solo diversa forse da quella che avete sentito anche da qualcun altro e quindi spero che questo possa alimentare un dibattito, un confronto e magari portare questa piccola italietta a uscire fuori da pizza e mandorle. Ma anche in una logica da ragionieri, il rapporto già avanti, che non è certo un trotskista, ci sono tra i 60 e 70 miliardi di trasferimenti alle imprese che potrebbero anche essere tagliati. E tra l'altro anche Confindustria non aveva detto di no. Confindustria non ha detto, bisogna, ha detto rivediamo come si può sfare questo perché l'idea di Confindustria anche per esempio è quella di riguardare i meccanismi di allocazione delle risorse per le imprese perché si rendono conto che queste distorcono il mercato. Anche gli agevolazioni che ci sono sulle imprese, che sono quei 70 miliardi di cui si dice, sono tante e sono solo su alcuni settori e alcuni settori il mondo cambia e quindi bisogna avere la capacità di guardare avanti e di costruire un nuovo futuro. Va bene, grazie a tutti, vi ringrazio per s'astagfirmi ad ascoltare. Grazie soprattutto a tutti.
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