100 fotografie che sconvolsero il mondo
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100 fotografie che sconvolsero il mondo
In questo affascinante viaggio nel mondo della fotografia, Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci e consulente della Fondazione di Venezia per la gestione del patrimonio fotografico, ripercorre storie, ricordi e attimi attraverso le immagini racchiuse nel suo nuovo libro: “100 fotografie che sconvolsero il mondo”. Ogni scatto racchiuso nell'inedito ha, in qualche modo, contribuito a cambiare la realtà odierna.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Buongiorno a tutti, grazie per essere qui stamattina. Mi presento brevissimamente, lavoro al Sole 24h da tanti anni, seguo in particolare l'industria della moda che come potete immaginare si incrocia, anzi direi che non può fare a meno della fotografia in senso lato, anche se poi, tra l'altro a Milano, adesso ci sono alcune mostre bellissime di fotografie della moda che magari hanno fatto moda, ma hanno fatto anche fotografie di tanto altro. Ripeto, un mondo affascinante sia perché lo incrocio professionalmente tutti i giorni, ma sapendo che avrei incontrato Dennis sfogliando il suo libro, poi abbiamo parlato brevemente delle 10 fotografie che lui ha scelto sulle 100 che trovate nel libro, che cosa ci affascina di questo modo, di rappresentare la realtà o di rappresentare noi stessi. Io ovviamente non sono una nativa digitale, gli raccontavo che quando avevo 16 anni, avevo fatto in una scuola americana un corso per imparare a fotografare le basic rules of photography, poi ovviamente in bianco e nero, una piccola camera oscura, sviluppavamo le nostre fotografie, mi è rimasto questa eco di che mondo stupendo sia, di che vediamo il risultato finale, ma c'è tutto un processo in mezzo. Adesso il digitale ovviamente ha cambiato tutto, però con la magia di fermare l'attimo, che credo poi sia quello che spinge questa ossessiva ricerca del selfie, non so, pensavo che davvero non c'è un altro modo. Sì, io prendo un sacco di appunti, scrivo un sacco di diari, però stamattina, a me che poi non piace essere fotografata, però non ho potuto fare a meno di farmi il selfie sotto la montagna, perché ho colto quell'attimo, quindi credo che veramente sia, probabilmente questa la magia, però ho detto questo con Dennis Kurti, appunto, parliamo di altri o siamo a livelli molto più alti, la prima cosa che volevo chiederti, prima di appunto commentare una per una le fotografie, è come è venuta questa idea e quanto difficile è stato in fondo scegliere 100 fotografie sui trilioni di fotografie che avresti potuto scegliere. Buongiorno a tutti, grazie Giulia di aver scelto di accompagnarci in questo viaggio. Intanto il libro è un'idea di Chiara Savino che ringrazio, che è il publisher di solo 24 ore cultura, che mi ha chiesto di... Certo, tra l'altro scusami, ho approfitto per dire che qui fuori c'è questa tenda stupenda, questa libreria pop-up dove c'è tantissimo spazio naturalmente per tutti i libri di 24 ore cultura, che lo dico, in certe cose sono molto aziendalista, però in tutto sommato è vero che in Italia ci sono delle casettrici bellissime, però 24 ore cultura si è ritagliata questo spazio sia nei libri di fotografia, ma penso che per i libri per bambini, io non ho figli ma li avrei comprati tutti, quindi se vogliono comprare il libro basta uscire. No, il libro c'è... No, poi è anche qui sotto infatti. Assolutamente, quindi quando Chiara mi ha chiamato proponendomi questo progetto, all'inizio, Chiara se lo ricorda bene, era un po' titubante, perché appunto scegliere 100 fotografie da mettere in un libro, poi fotografie non casuali, ma che in qualche modo hanno contribuito a cambiare il mondo. Questo sconvolgimento ha anche a fare con lo sviluppo della fotografia in senso tecnologico, ma naturalmente rispetto ai contenuti. Quindi non è stato facile soprattutto in un momento come questo dove stiamo assistendo a una sovrabbondanza incredibile di fotografie. Però l'ho fatto, mi sono molto divertito e ho cercato di raccontare delle storie che non si vedono e non si colgono immediatamente. Cioè tu guardi quella fotografia, vabbè, è storicizzata, ce l'hai stampata, probabilmente l'hai vista all'interno di un contesto. Quando cambia il contesto cambia il significato della fotografia. Il rapporto tra la fotografia e la realtà e soprattutto il rapporto tra la fotografia e la verità è un rapporto molto ambiguo dove il contesto gioca un ruolo fondamentale. Per contesto intendo dire dove è stata pubblicata, su quale giornale, su quali giornali è stata esposta. Poi alla fine non potrò fare a meno di non chiederti qualcosa su queste immagini generate in modo artificiale, ma vabbè, senti, no, se vuoi iniziamo, che sono una più bella dell'altra. Vabbè, questo è una breve presentazione. Devo puntare? Siamo bloccati? Questo è... Scusa. Vabbè, parliamo di questa bellissima fotografia. No, scusate, era l'introduzione, sì. Allora, intanto il libro ha un andamento cronologico, non poteva essere che così, quindi siamo partiti dall'ottocento, dall'invenzione della fotografia. Però, tornerei una... sì, andiamo pure avanti. Andiamo avanti. Guarda, adesso arriva la fotografia. Ecco, questa è una frase di Ansel Adams che mi aveva sempre accompagnato che è un po' quello che dicevi tu, no, raccoglie questo. Quando tu fai una fotografia, non schiacci soltanto un bottone, che sia analogico, digitale, non cambia niente, ma dentro la fotografia, non è un bottone, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto. Quindi, la fotografia è un'attività conoscitiva e concettuale. Poi c'è questa frase di Diane Arbus, forse un po' troppo conosciuta, che dice, credo che esistano cose che nessuno riesce a vedere, ma non è un bottone, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, è una foto, sono cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate, perché questa vicenda della fissità della fotografia è veramente importante. Diane Arbus lo ha scoperto sulla propria pelle, in qualche modo. E poi c'è questa frase che mi ha sempre molto colpito, perché la fotografia di fatto non mente, ma i bugiardi possono scattare, possono fare delle fotografie, e questo è innegabile. Perché la prima fotografia, questa è la fotografia che Daguerre utilizza per presentare l'invenzione della fotografia un anno prima, cioè siamo nel 1838, quindi il 1939 è la data ufficiale dell'invenzione della fotografia, qui possiamo vedere come il rapporto tra realtà e finzione è incredibile. Cioè, io dico, la fotografia nasce con il virus della menzogna. Questo io lo trovo, è verissimo, perché lui deve presentare l'invenzione della fotografia è consapevole del fatto che la fotografia nel 1839, macchine di legno pesantissime che dovevano stare sul cavalletto, non avevano ancora inventato l'otturatore, per fare le foto bisognava togliere il coprio obiettivo, alzare il volet di uno chassis fare entrare la luce su una pellicola emulsionata a mano, che aveva pochissima sensibilità. Quindi Daguerre, per fare questa fotografia, impiega un tempo di posa, sapete tutti a cosa mi riferisco, di 20 minuti. Quindi è evidente che lui non può ritrarre soggetti dinamici, ma soltanto statici. Ma siccome lui è timoroso e dice, ma se io presento un'invenzione limitata che può fotografare soltanto soggetti statici, non va bene. Quindi cosa fa? Mette, come vedete, non lo prende il televisore, ma mi avvicino, vedete che qui ci sono due soggetti, c'è il lustra scarpe con il suo cliente. E quindi Aragò, che era a capo dell'Accademia, è contento, dice, bene, la fotografia può anche riprendere i soggetti dinamici. Ma non è vero, perché per fare questo tratto di strada da qui a qui ci vogliono tre minuti, non di più, eppure siamo in piena luce, lo vedete dall'ombra degli alberi, la luce venitale. Per farla breve, perché abbiamo altre nuove fotografie, cosa ha fatto Daguerre? Ha chiesto a due attori di posare per lui per venti minuti, gli ha pagati e sono rimasti lì fermi per raccontare questa fotografia. Ora, ha raccontato una bugia, no, lui l'ha fatta davvero, ma è il contesto, è il significato, quindi la fotografia appunto nasce con il virus della menzogna. La prima fotografia, quella che va a identificare proprio l'invenzione. Qui, va bene, andiamo più veloci, tema della guerra Giulia, quindi un tema che ci riguarda tutti molto da vicini, siamo nel 1863 questo è Timothy O'Sullivan e come vedete anche qua la fotografia gioca un ruolo incredibile, questa fotografia pazzesca, drammatica, quello che mi hai scritto di Gettysburg, vedete anche qua questa fissità della fotografia addirittura qui i fotografi e la fotografia vengono allontanati dai campi di battaglia perché restituiscono un'immagine che è più vera del vero e quindi è un'immagine veramente incredibile. Poi anche qua vedete questa fissità, questa necessità di rimanere fermi naturalmente possono fotografare soltanto i cadaveri, i caduti nella guerra. E qui abbiamo Ansel Adams, questa è una storia molto bella perché Ansel Adams passa per un fotografo paesaggista, questo fotografo americano di fatto lui era una guida dei grandi paesaggi americani. Ecco, la cosa che mi ha colpito di questa immagine, questo qua è il famoso monolithe del Yosemite Park che lui a un certo punto scatta delle fotografie così importanti e così belle anche che le porta al Senato americano e gli dice ma noi vogliamo distruggere tutto questo quindi la nascita dei grandi parchi americani, possiamo dirlo con certezza, accade, avviene perché Ansel Adams fissa con la fotografia la grande bellezza dei parchi americani. Quindi ancora una volta la fotografia che contribuisce in questo caso a migliorare il mondo. Ferdinando Schanna, il nostro fotografo, uno dei più amati, il primo fotografo a entrare nella Magnum nel 1982 dice oggi non ne sono più così sicuro però credo che una buona immagine possa contribuire a migliorare il mondo, forse a comprenderlo meglio, le brutte immagini forse no, forse fanno il contrario. Ecco, quindi Ansel Adams è stato un grandissimo fotografo perché è quello che si inventa al sistema zonale, è quello del tutto a fuoco, è quello della grande profondità di campo, ma è stato anche un grande rivoluzionario che ha capito in anni non sospetti, siamo nel 1927, l'importanza di documentare e di raccontare con intelligenza. Se posso dire, io prenderei tutti i nostri senatori, anzi facciamo tutti i nostri parlamentari, per esempio, visto che non è così complicato, vedere la mostra di Salgado che c'è oggi a Milano, forse qualcuno di loro le sciocchezze sull'assenza del cambiamento climatico, sul fatto che ci sono gli eco talebani il pianeta sta benissimo forse non lo direbbero. Tengo a precisare che una delle prime mostre l'abbiamo fatta con Salvatore Carruba a Milano, grazie Salvatore di essere qua e poi ti ascolteremo volentieri, eravamo negli anni 90 credo, fine 90 abbiamo portato la prima mostra di Salgado. Ecco questa è un'immagine importante e anche questa, Robert Capa, lo conoscete tutti, questa immagine famosissima, è il miliziano e questa immagine è stata più volte accusata e ancora oggi ci sono dei libri che mettono giustamente anche in discussione la veridicità di questa fotografia. In realtà ci sono diverse versioni, ce n'è una la quale mi sento più vicino che è quella di Richard Willam che è il biografo ufficiale di Robert Capa e che racconta che Robert Capa era in una zona di addestramento dei miliziani quindi era molto protetto perché non c'era effettivamente la guerra ma questi addestramenti li facevano con i proiettili veri e quindi lui a un certo punto addirittura alza la macchina fotografica scatta senza neanche riguardare nel mirino della camera e riprende questo miliziano che riceve un proiettile proprio in fronte e cade. Dopodiché questa fotografia è stata molto discusa e quindi accusata di essere una finzione ma la cosa che mi ha sempre molto colpito e questo lo diciamo nel libro è che ancora oggi non so per voi ma questa è l'immagine della guerra, è l'immagine della violenza, è l'icona perché questo soldato è proprio nel momento esatto in cui riceve il proiettile quindi sta per morire. Allora anche qua la fotografia è un linguaggio ambiguo perché tu non puoi fotografare la morte, tu non puoi fotografare l'amore, giusto per equilibrare, tu puoi fotografare due innamorati ma sono quei due lì e tu non lo sai se quei due innamorati indipendentemente dal genere si stanno lasciando, si stanno conoscendo, vedi quell'immagine di due persone così come dire non puoi fotografare la morte, potrai fotografare qualcuno sul letto di morte allora è proprio questo allora in questa cultura occidentale dove c'è il rifiuto della rappresentazione della morte con quest'immagine di fatto viene rifiutata e quindi viene accusata di essere una messa in scena che poi sia una messa in scena o sia vera poco importa quello che importa a me, quello che importa forse agli operatori è che quest'immagine ha rappresentato l'idea della guerra e quando l'Iraq negli anni aveva attaccato gli americani avevano attaccato l'Iraq non c'erano immagini vi ricordate no c'era la ricerca delle armi di distruzione di massa e i soldati stavano sul confine sono stati lì sei mesi c'erano delle dirette c'erano delle dirette pazzesche di arnetto e i giornali chiedevano questa immagine perché gli articoli dovevano comunque essere corredati da immagini e questa era l'immagine che veniva scelta tant'è che poi quando hanno ucciso Saddam Hussein mi ricordo mi aveva fatto effetto sulle prime pagini dei giornali c'era questa pagina di Saddam Hussein morto questa è la bandiera russa sul Reichstag ed è un'immagine di Cialdè un'immagine che ha fatto storia eccetera eccetera ecco qua dovete sapere che è un'immagine che è stata ricostruita perché cos'è successo che un soldato quel soldato russo che mette la bandiera sul Reichstag aveva rubato un orologio a un tedesco e lo aveva indossato e quindi quando fanno questa prima fotografia che è quella là che vedete in alto scusate non si vede benissimo ma se comprate il libro lo vedrete molto bene si vede l'orologio di marca tedesca e com'è che un russo non è possibile se ne accorgono e quindi rimettono in scena completamente la fotografia e la rifanno e la rifanno questa non potevano metterla però questo mi ha molto colpito perché poi 30 anni fa un mio amico si è sposato e mi ha mandato le partecipazioni di nozze con questa fotografia rubandola e allora gli ho detto guarda io vengo al tuo matrimonio ti faremo i regali e tutto ma sappi che questa fotografia è una menzogna è la fotografia più romantica della storia moderna eccetera ma io spero che non ti porti sfortuna ho ancora sposato è andato tutto bene perché questa fotografia ha avuto così tanto successo è stata stampata su copertine di quaderni cartoline addirittura tazze da tè o ovunque d uono è diventato molto ricco con questa grazia questa fotografia ma ricco al punto tale che un sacco di persone andavano da lui a dire ma quella signorina lì sono io da giovane e quel signore lì sono io certo punto lui ha ricevuto così tante richieste di denaro che non ce l'ha fatta più e ha tirato fuori una fattura dicendo io avevo preso due modelli perché stavo lavorando per un giornale questa fotografia è una messa in scena è un servizio di moda però passa per come dire l'immagine più spontanea dell'amore. Oppure come dicevi tu fossero veri magari lui si stavano dicendo addio per sempre, l'ultimo bacio. Chi se ne frega no? E siamo nel 1950. Questa è divertentissima perché lui è Elio Terwitt, uno dei fotografi più ironici che conosciamo, fotografo di Magnum, un pilastro dopo Cartier-Bresson e Robert Capa, sicuramente Erwitt ha avuto un ruolo fondamentale e qui siamo in piena guerra fredda, 1959, ci riporta ancora ai nostri tempi di guerra fredda anzi questa è una guerra come dire ahimè praticata e Egliot riesce ad avere un pass super, un super pass, guardate come vicino ai nostri due protagonisti a Khrushchev e a Nixon è proprio attaccato e non è facile perché motivi di sicurezza quindi lui è lì che gira e scatta questa fotografia voi sapete, qua stiamo parlando di fotografia analogica lui era lì per diversi giornali e quindi non sviluppa neanche i rullini, lui deve stare lì a fotografare scatta un rullino di 36 pose, lo prende, lo dà la staffetta e gli dà la didascalia, dice dove siamo, siamo a Mosca ccetera eccetera, poi come dire, qualcuno che fa i giornali c'è, sappiamo come vanno le cose, sviluppano il rullino siamo in piena guerra fredda e la didascalia, vi ricordate prima quando vi parlavo dell'importanza del contesto Giulia tu ci lavori tutti i giorni e i giornali americani dicono ecco finalmente che Nixon gliele canta a Khrushchev altro che la guerra fredda, no, la vince. Egliotermi dopo un po' di tempo dichiara che era lì vicino quindi sentiva tutto che Nixon stava raccontando a Khrushchev le proprietà alimentari della cicoria nera stavano parlando di tutt'altro ovviamente, ovvio che la guerra fredda c'era, ci mancherebbe altro ma in questa fotografia lui è lì così dice, tu non sai che è la cicoria nera, devi mangiarne di più lo dichiara naturalmente dopo un po' perché questa foto insomma è diventata una foto storica qui Richard Avedon siamo nel 1957 e questa foto ci racconta di una Marilyn Monroe che è veramente come dire la sostanza un po' quello che dicevi tu Giulia, guardate questa immagine è fatta con niente, non c'è niente, c'è uno sfondo neutro ma c'è questa capacità di cogliere quello che diceva Diane Arbus, puoi vedere delle cose che prima non avevi mai visto questa Marilyn che passa per loca giuliva, che passa per la persona più stupida anche perché poi bisogna usare le parole che porta dentro di sé un dramma incredibile, una sofferenza e qui è perduta, è sperduta, è da sola, è drammatica cco la fotografia forse più di altri linguaggi riesce davvero a fermare questi momenti incredibili, un'immagine a cui io sono molto legato questa è una fotografia pazzesca perché è di Adams, intanto farò un brevissimo ragionamento che noi a volte conosciamo le immagini ma non ne conosciamo l'autore, cosa che non avviene per esempio con la pittura perché se uno dice c'è un quadro lungo 12 metri in bianco e nero, c'è il Guernica, e chi è fatto il Guernica sappiamo chi si chiama Picasso sappiamo addirittura come si vestiva, come adorava le maglie righe, sappiamo qual era il suo rapporto con le donne, non tanto bello da dire la verità quindi c'è un aspetto biografico che si mescola con l'opera, con i fotografi, questo è di Adams, non si sa tanto bene ma secondo te questo è interessante, è perché forse il fotografo non viene visto come un artista? Anche sicuramente e perché le immagini hanno quel potere, è un peccato perché poi per esempio sapere perché si trovava in quel posto magari dove è andato dopo cco tornando a Salgado un po' lui questo lo sta facendo, lui ha un po' superato, hai ragione, questo lui lo ha, è uno dei pochi che è riuscito a superarlo Infatti qui è di Adams, se poi andate sulla rete a cercare questa storia trovate anche dei filmati addirittura perché c'erano delle truppe televisive lui muore e lo dichiara con il senso di colpa di aver generato questo omicidio, incredibile, perché lui era in giro con due corpi macchina perché all'epoca c'era un corpo caricato a colori, un corpo caricato in bianco e nero e poi avevi due macchine perché 36 posa a volte non bastavano quindi dovevi togliere lullino, caricarne un altro, perdervi un sacco di tempo, allora questo signore, questo capitano lo guarda, lo provoca gli dice voi americani siete in giro come dei pistoleri, invece delle pistole, tu hai due macchine fotografiche e gli dice guarda io in realtà sono qui per raccontare delle storie lui lo guarda e gli dice vabbè vediamo se sei davvero veloce come un pistolero, ti faccio vedere io una storia da raccontare però devi essere molto veloce dice 1, 2, 3, si gira e spara dalla sospetta spia vietcong, il dramma vero è che lui scatta la fotografia, allora è per questo che lui dice accidenti se io non fossi stato lì con le macchine fotografiche, dopo di che lui viene arrestato e bla bla, però c'è tutta una storia dietro, però la cosa vera è questa questa è un'altra immagine pazzesca perché Nick Hood viene mandato per la stampa americana, diciamo che la guerra del Vietnam è stata raccontata solo dal punto di vista americano tutta la storia di questa guerra noi l'abbiamo con le immagini che arrivano da lì, quindi lui va lì per i giornali americani, scatta questa fotografia, è pazzesca perché Napalm Girl, lei viene colpita, è nuda perché i vestiti vengono bruciati addosso addirittura d è un'immagine drammatica perché poi si vedono questi soldati tranquilli che non fanno niente, ma viene tenuta nel cassetto perché comunque anche se siamo nel 70, diciamo le immagini di bambini nudi non vanno bene, poi però alla fine decidono di pubblicarla ma la cosa che mi ha colpito, questa immagine colpisce chiunque, ma c'è un fatto che è curiosissimo e che quando viene pubblicato in America questa fotografia diventa il manifesto contro la guerra in Vietnam, quindi un'immagine che viene generata per sostenere quella guerra per far capire che atrocità stavano facendo i vietnamiti, che non era l'intento della stampa americana ovviamente, però questa immagine che viene pubblicata diventa poi un manifesto nei cartelli di protesta, diventa l'immagine simbolo contro la guerra quindi anche qua i fotografi ci fanno vedere e naturalmente esattamente quello che vogliono mostrarci, però non basta la volontà del fotografo, quando si completa l'operazione la si completa quando viene mostrata e in che modo viene mostrata. C'è anche un rischio oggi che con la velocità con cui si propagano le immagini questo possa essere addirittura accelerato, qui c'è avuto un po' di tempo, la tieni nel cassetto, oggi una volta che hai schiattato una fotografia puoi non mandarla online però mi sembra che sia tutto ipervelocizzato, qualsiasi reazione hai ragione Giulia è tutto ipervelocizzato, però io sono anche convinto di un fatto che le fotografie come il vino cambiano nel tempo, ci sono delle immagini che potevano significare e comunicarci delle cose, poi cambiano i contesti culturali e quindi anche le immagini cambiano assolutamente di significato. Letizia Battaglia ha un omaggio a lei che ci ha lasciato da poco e la cosa è incredibile e qua un po' risponde alla tua domanda perché noi parliamo di singole immagini ma quando le immagini sono dei gruppi, quando sono degli storytelling sono ancora più potenti. Il lavoro di Letizia è stato importante perché siamo in un momento anche politico dove c'è stato un tentativo di dire la mafia non esiste, la mafia è un'invenzione. Lei per dieci anni consecutivi insieme a un gruppo di fotografi, naturalmente non da sola, in epoca pre internet eccetera, si muoveva, non so chi di voi lo conosce come Weegee, questo fotografo americano che girava con un'automobile con dentro una radio pirata sintonizzata sulle onde della polizia perché doveva arrivare prima della polizia sulla scena del crimine altrimenti ormai guardiamo tutte le serie tv viene chiusa. Viene chiusa la scena del crimine con il nastro e della polizia non lo puoi inquinare, non lo puoi fotografare e lei aveva creato un sistema per cui riusciva ad essere sulla scena del crimine ma non per voyerismo ma perché voleva, questo era il suo obiettivo, rendere giustizia a questi morti. Lei voleva dare un volto alle atrocità vigliacche della mafia, questo è stato il suo lavoro. Quindi Letizia Battaglia è stata una grande fotografa perché è riuscita davvero a restituirci questa idea, questa estetica perché parliamo proprio di un'estetica della violenza che apparteneva alla mafia. E questo l'ha fatto non solo con una foto ma con centinaia di foto, la foto di Piersanti Mattarella, ve la ricorderete tutti, e lei entra con la testa addirittura nella macchina ma vi assicuro non è voyerismo, era il desiderio di documentare quella atrocità pazzesca. Helmut Newton, tu parlarai delle mostre e c'è questa mostra molto bella a Milano dedicata a Helmut Newton che è stato sicuramente il fotografo che ha contribuito a dare un'immagine potente della donna, queste sue donne svestite sono in realtà vestite di fierezza, sono vestite di potenza. Nel suo lavoro c'è un cambio di paradigma e queste donne finalmente sono uguali agli uomini, anzi sono più degli uomini, gli uomini fanno una figura piuttosto meschina nelle sue fotografie. Se devo dirti, secondo me nella fotografia di moda manca ancora oggi lo sguardo femminile, perché per quanto ormai si stia tutto mischiando, c'è il boom delle borse da uomo, ci sono le collezioni genderless, tutto quello che vogliamo, ci sono le collezioni gender fluid, tutti dicono di sentirsi gender fluid, però lo sguardo femminile sulla moda un po' secondo me ancora manca, lo sguardo fotografico. Sono d'accordo, la cosa incredibile è che se voi andate a cercare delle interviste sulla rete di Silvia Goebel, Isabella Rossellini, Charlotte Rempling, etc., tutte dicono una cosa e che Newton non ci chiedeva niente, eravamo noi che facevamo qualcosa per lui, perché è come quando tu vai in un ristorante e ti aspetti di mangiare o di bere, quindi se ti trovi davanti a Newton ti aspetti che accadano certe cose e quindi le generavano, ed è veramente incredibile, questi amazzoni lui quando fa i big news, queste donne svestite che hanno solo sulle scarpe, le realizza dopo aver visto, dopo essere rimasto fortemente impressionato da dei grandi manifesti dei ricercati della Badermainow, della RAF in Germania, e rimane colpito e decide di rifarle, naturalmente cambiando il contesto e celebrando queste incredibili amazzoni. Nan Goldin, fotografa americana, avrete forse visto il documentario che ha vinto al festival del cinema della passata edizione, in realtà lì si parla di lei come artista, ma si parla di lei come attivista, perché fa questa battaglia contro gli opioidi, etc. Però la cosa interessante, noi abbiamo scelto Nan Goldin perché appunto nel 1983 lei è la prima fotografa che mette davvero in evidenza e che raccoglie questa esperienza di una fotografia diaristica, quindi alcuni fotografi smettono di guardare ai grandi eventi, la fotografia diventa lo strumento ideale per raccontare la propria intimità. Lei lo fa nella sua comunità un po' fatta di droga, violenza, dipendenze, ma lo fa con una sincerità tale, con un'armonia tale che diventa una delle più grandi artiste in assoluto. Di Shanna abbiamo già parlato, questa fotografia è abbastanza interessante perché, parlavamo prima della fotografia di moda, qui ci sono Dolce e Gabbana, agli inizi della carriera non li conosceva nessuno, poverissimi, poveri in canna, la loro collezione però ha ispirata la cultura siciliana, quindi vogliono un fotografo siciliano, Ferdinando di Bagheria, e con le loro macchine, con le loro automobili partono e vanno a fare questo servizio, scelgono Marpesa, che è questa modella bellissima, e scattano questa fotografia. E lui però è molto titubante, molto impaurito, perché lui è un reporter, un reporter di guerra, era entrato in magnum da quattro anni, tutti i suoi colleghi in magnum erano incavolati, lo prendevano in giro, tu vai a fare una fotografia di moda, la consideravano di serie B, anzi un po' gli dava fastidio che un reporter doveva essere tosto, vero? Cioè, solo guerre. Solo vai a fare la moda, e lui però fa le fotografie di moda come sa fare le fotografie, quindi ricchea delle situazioni di reportage, andate a vedere il servizio intero è veramente molto divertente. E qui lui, a Caltagirone se non sbaglio, ed è lì in mezzo al paese che sta scattando questo abito di Marpesa, arriva un bambino che li prende in giro, cioè che si comporta come scianna, quindi con una scatola di fiammiferi fa finta di fare il fotografo. Ferdinando se ne accorge e gli dice Marpesa, posa per lui, e quindi lei sta facendo una smortia anche molto esagerata verso il bambino e naturalmente lui coglie quest'istante. E' molto interessante perché anche qui si apre un filone, cioè nella fotografia di moda, avvedon fa Dovima in mezzo agli elefanti, William Klein fa le modelle che scendono dai taxi di New York, Newton inserisce il nudo, Ferdinando Scanna inserisce l'idea dello storytelling dentro la fotografia di moda. Catrino Pi è un artista attivista, molto importante alla stregua di Zanele Molchi che adesso ha al Mudec di Milano, che usa il proprio corpo, insomma lei è una di quelle artiste che più di altre ha ragionato sul tema del genere, qui riporta le ferite di una lametta sul suo corpo andando a ricostruire il prototipo della casa, quindi della famiglia, della casa, un'artista fortissima, io l'adoro perché veramente è stata una di quelle che ha contribuito a generare questo dibattito sul genere sessuale. Mi approfitto per chiederti questo perché mi ha abbastanza disturbato, credo che ci sia una mostra a New York, forse al MoMA adesso, di una fotografa finlandese mi sembra, che invece fotografa se stessa, che è gravemente obesa, e diciamo che il suo attivismo è quello, cioè l'accettazione di corpi fuori, quindi questa è una cosa che ha aumentato un po' nel tempo, cioè usare proprio il proprio corpo, non fotografare i corpi degli altri. Beh ha aumentato tantissimo, insomma io prima non l'ho detto ma stiamo andando veloci, la stessa Annan Golding usa se stessa, Cindy Sherman usa se stessa, Shirinne Schatt usa se stessa, c'è proprio un gruppo nutritissimo di uomini e donne, molte donne hai ragione, che usano il proprio corpo per raccontare queste vicende. Questo è David de la Chapelle, diciamo che tutto questo libro nasce perché io ho fatto una mostra di David de la Chapelle al MUDEC con Simona Servini e con Chiara Savino che ha pubblicato poi il libro, un artista americano strepitoso che, come dire, qui viene scelto per la sua capacità di raccontare la fotografia intesa come messa in scena. La fotografia è sempre il risultato di una messa in scena perché è il fotografo che decide quando scattare, cosa scattare, da quale punto di vista, da capa a Cartiobresson a Elio Terwitt, la fotografia è sempre il risultato di un punto di vista e di una scelta. Lui questa cosa la esaspera e dice il mondo fuori mi delude e quindi io ne costruisco uno parallelo, non ha mai scattato una fotografia fuori, alla realtà non gli interessa, tutto quello che lui scatta è una ricostruzione. E qui lui ha uno studio a Los Angeles grandissimo, ma non perché è megalomane ma perché deve fare queste foto, dove pensate addirittura ha allagato il suo studio, lo ha reso stagno e ha scelto queste 32 comparse per fare questa fotografia che è il diluvio universale, siamo nel 2006. Quindi in questa fotografia, come in tutte le fotografie di David Lachapelle, non c'è neanche un minuto di post produzione, se non regolare le luci eccetera, non c'è neanche un inserimento, tutto quello che vedete è costruito, il fondale è un fondale fatto con l'aerografo, l'acqua è vera e tutte quelle cose che vedete sono tutte ricostruzioni e questo è veramente incredibile proprio perché la fotografia è il risultato finale. L'opera qual è la fotografia, non certo la ricostruzione. Chiudo con questa barzelletta perché si può raccontare in modo diverso. Questa è la mia preferita. Che dice, me l'aveva raccontata Shan per la prima volta e dice una sera un amico che si dilette in fotografia viene invitato a cena e mostra le foto che ha fatto e la padrona di casa guardandole dice ma sono bellissime, lei deve avere una macchina fotografica pazzesca, chissà che macchina lei ha. E al momento di andare via il fotografo dice che ha una cena meravigliosa, lei deve avere delle pentole meravigliose. Grazie molto. Guardando le foto di moda mi è venuta in mente questa cosa che io seguo la moda ormai da più di vent'anni. È una cosa che mi ha sempre fatto effetto, a me piace vedere, a me piace tantissimo vedere dietro le quinte delle cose, da piccola mi facevo regalare tutti quei libri che erano come si costruisce, come è fatta una barca, come è fatta... E quindi mi piace da sempre andare nel backstage anche se io non parlo di stile sul sole e mi ricordo che mi faceva un effetto i mood board o anche soltanto diciamo la mappa di chi avrebbe sfilato quando perché era pieno di polaroid. E io parlo di vent'anni fa quando non c'era ancora stato questo revival e la riedizione delle polaroid. Ecco quelle per esempio sono una specie non so di selfie anteliteran, però stanno vivendo una seconda giovanezza, è molto interessante, penso anche dal punto di vista tecnico. Ci sono anche moltissimi artisti ormai che usano la fotografia, le polaroide da David Ockney, il gigante, fino al nostro Maurizio Gallimberti, italiano, però Geary, Fontaine, lo strumento appunto non è importante, devi avere qualcosa da dire. Se hai la macchina fotografica più bella e più costosa del mondo, ma non hai niente da dire, la puoi tenere chiusa nel tuo armadio. Comunque la fotografia ha un grandissimo futuro davanti al seno. Non so, abbiamo pochi secondi, ma anche se esforiamo qualche minuto, io sono sicura che ci sono delle curiosità e magari se avete qualche domanda per Denis. Prego. Deve essere stato molto difficile per lei selezionare tutte le foto che hanno caratterizzato la nostra storia, ve lo chiedo, il criterio che l'ha ispirato nella selezione delle foto, è stata più la qualità della foto o l'evento? Un po' tutte e due, poi dovevo scrivere intorno a questi, non bastavano belle foto, mi servivano delle fotografie che davvero portassero con sé un po' una storia, entrambe le cose in realtà. Poi c'è stato qualche fotografo che ci sono tutti che hanno accettato molto volentieri, qualcuno che ha detto di no, abbiamo dovuto rinunciare delle fotografie perché poi se sono tutte superstà, io in mezzo accento non ci voglio stare. La foto si porta un copyright e quindi dice, no io non voglio, o fai una cosa su di me, o in mezzo accento non ci sto, in alcuni casi abbiamo dovuto rinunciare delle foto, pochi, pochissimi, per la maggior parte hanno accettato. Comunque è bellissima questa cosa, nel libro ogni foto vedrà un piccolo racconto, tutto sommato appunto dicevo, sono appassionata dietro le quinte, questa è una cosa bellissima perché forse si potrebbe fare anche con i quadri, anzi sono sicura che ogni quadro ha una sua storia, però con la fotografia forse perché l'immagine ci è così familiare. Non so se avete qualche, sì. Buongiorno, tutti complimenti. All'inizio ha messo quella bella frase dove diceva che la fotografia è in realtà dentro c'è l'amore, tutte queste cose qua, alla fine l'abbiamo visto perché c'è la politica, come mai nessuna foto sulla musica o magari è stata scartata, non si sono mai confrontati i grandi fotografi con questo tema della musica? No no, si sono confrontati, la musica è fondamentale, io appena curato la mostra di Guido Arari sui 50 anni di attività, abbiamo raccontato tantissimo, qua ne dovevo scegliere 10 quindi non potevo, no no, la musica è assolutamente importante, non mi ricordo esattamente se ci sono però se non c'è perché sono stato distratto io. Perché dobbiamo fare le altre 100 fotografie. Però assolutamente il rapporto tra la musica e la fotografia ha un rapporto fortissimo, soprattutto nel jazz, c'è una storia bellissima che dice che a un certo punto siamo a New York in un locale dove stanno facendo del jazz un po' improvvisato così e c'è un signore che indica e dice vedi quel signore lì seduto lì è nella fotografia quello che per noi nel jazz è Miles Davis ed era Cartier-Bresson, perché era così, proprio lui si muoveva anche quasi a ritmo di musica, no assolutamente fondamentale. Allora il prossimo titolo, le 100 fotografie della musica. Grazie dell'idea. Bene, no non vogliamo, insomma abbiamo sforato un pochino però poi so che ci sono altri incontri quindi vabbè io ringrazio tutti, grande opportunità per me e come abbiamo detto il libro lo trovate qui sotto o qui davanti al grande, alla libreria pop-up. Grazie.
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